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COLLEZIONI DI INGEGNERIA
La Mole Antonelliana formato mignon
e le preziose vetrine Liberty. Che la Mole Antonelliana svetti sulla città di Torino è cosa nota. Ma non tutti sanno che il magnifico modello in legno dell’edificio, alto quasi quattro metri, sia custodito all’altro capo della Penisola, e precisamente al dipartimento di Progetto e costruzione edilizia dell’Università di Palermo, dove ha un posto da star nella collezione dei modelli in miniatura di particolari costruttivi, dalle finestre ai contrafforti. Il plastico della Mole, che misura precisamente 90 centimetri di larghezza per 1 metro e 13 di profondità e 3 metri e 45 di altezza, arrivò con ogni probabilità per l’Esposizione nazionale di Palermo del 1891-1892, a fare bella mostra di sé nel padiglione allestito dal Municipio di Torino. Era orgogliosa, la città sabauda, di far vedere al mondo l’opera ambiziosa che si apprestava a costruire, di mostrare quel gigante che dai 47 metri di altezza previsti inizialmente era passato a ben 167 metri, l’edificio all’epoca più alto d’Europa. Un prodigio realizzato grazie all’innovativa concezione strutturale di Alessandro Antonelli, il progettista piemontese (era nato in provincia di Novara nel 1798) che aveva previsto per la Mole una serie di requisiti che fino ad allora soltanto l’architettura in ferro aveva potuto realizzare: minimo impiego di materia e quindi massima economia, pianta completamente libera da ostacoli e dunque grande flessibilità di distribuzione degli spazi, |
involucro a maglie
completamente a giorno, con la possibilità di illuminare e aerare facilmente. Tutte caratteristiche che si possono
apprezzare nel modello di legno, realizzato da Felice Porro.
Il plastico, custodito in una teca di vetro, è soltanto una delle ragioni di interesse della visita al dipartimento, che
affonda le radici in quella Scuola di applicazioni per ingegneri e architetti, istituita nel 1866, che ha avuto come direttori
o docenti Giovan Battista Filippo Basile, Ernesto Basile, Giuseppe Capitò, Salvatore Benfratello, Salvatore Caronia
Roberti, Vincenzo Ziino. Di quella grande tradizione dell’epoca Liberty e dell’ingegneria ottocentesca restano mobili
realizzati dalle officine Ducrot, pregiate vetrine attribuite a Ernesto Basile, un’importante biblioteca con antichi trattati
che si è di recente arricchita del lascito di Salvatore Benfratello. Esposte nelle teche alcune rarità, tra cui i due volumi
de “L’architetto prattico” di Giovan Battista Alberti, stampati nel 1726 e nel 1750.
Quanto alla Mole Antonelliana, la costruzione dell’opera, destinata originariamente a essere la sinagoga della comunità
ebraica torinese, fu iniziata nel 1863. Ma nel corso dei lavori il progetto subì numerose modifiche che videro trasformarsi
la cupola, sormontata da un lucernario, in una volta a padiglione capace di assurgere a simbolo della città. Alla
morte di Alessandro Antonelli, nel 1888, gli succedette nella conduzione dei lavori il figlio Costanzo, che però – a edificio
quasi ultimato – perdette l’incarico in seguito a divergenze con l’amministrazione civica sulle opere di decorazione
interna che si stavano realizzando su disegno del padre. Tra il 1930 e il 1932 vennero realizzate poderose opere di
cemento armato per consolidare le fondazioni. E altri radicali lavori occorsero dopo il 23 maggio del 1953, quando la
cuspide della Mole crollò per cinquanta metri a causa di un uragano: fu ricostruita utilizzando strutture prefabbricate
in acciaio, con l’aggiunta di un ascensore panoramico. Infine, dopo essere stata impiegata, dal 1980 al 1994, come
sede espositiva per mostre temporanee, è stata sottoposta a una radicale opera di recupero e trasformata in Museo
nazionale del Cinema.
E il modello palermitano? Prima è stato custodito alla facoltà di Architettura di via Maqueda. Qui, dal 1960 in poi, il
titolare del corso di Elementi costruttivi Giuseppe Guercio ha promosso la nascita della collezione di miniature, mirata
a far disegnare agli allievi, come dal vero ma a scala ridotta, particolari costruttivi che al reale avrebbero comportato
visite in cantiere non sempre facilmente attuabili. Negli anni Ottanta il plastico della Mole Antonelliana e la collezione
di modelli si trasferirono in viale delle Scienze, allorché venne costituito il dipartimento di Progetto e costruzione edilizia
in cui confluirono docenti delle facoltà di Architettura e di Ingegneria. Nel 1998, per iniziativa dell’attuale direttore
del dipartimento, il professore Antonio De Vecchi, il modello della Mole Antonelliana è stato restaurato con oltre novecento
ore di lavoro. Tutte le parti sono state pulite, quelle mancanti sono state integrate: colonne, balaustre, infissi ed
elementi di decoro della volta, delle facciate, dei pavimenti. Perfino l’angelo posto in cima alla cuspide. Una replica
perfetta.
Viale delle Scienze, Palermo. Ingegneria-Edificio 6. Dipartimento di Progetto e costruzione edilizia. |
I marmi perduti di Sicilia
una tavolozza di colori e venature. Il rosso cupo di Pachino e il rosso di San Vito, il rosso venato bianco di Montegallo e il rosso chiaro con piccole macchie bianche di Taormina. E ancora, quello di Casteldaccia e quello di Piana. Sono soltanto alcune delle sfumature vermiglie offerte dai marmi di Sicilia, una caleidoscopica tavolozza di colori che va dal bianco al giallo, dal rosso al verde. Ricchezza ormai perduta, a causa dell’esaurimento delle cave, del loro cattivo sfruttamento o, peggio, delle speculazioni edilizie che hanno coperto di cemento interi giacimenti. Ricchezza testimoniata dalla varietà di marmi adottata storicamente nei monumenti dell’Isola, ma pure dalla straordinaria collezione di “cubetti” di dieci centimetri per lato custodita al dipartimento di Ingegneria strutturale e Geotecnica dell’Università di Palermo. La collezione è stata recuperata nel 1997, dopo un periodo di abbandono, grazie all’impegno di Laura Ercoli che ne ha curato la ricatalogazione e ne ha ricostruito a fatica le origini, che risalgono alla fine dell’Ottocento. Lavoro non facile, visto che non esistono tracce dei due cataloghi dei primi del Novecento: una mancanza cui ha supplito, in parte, il fortuito ritrovamento dei libri inventariali del 1909 del “Gabinetto di meccanica applicata alle costruzioni” della mitica “Regia Scuola d’Applicazione per gl’ Ingegneri in Palermo”, la fucina di talenti e di stile guidata alla fine dell’Ottocento dal progettista del Teatro Massimo, Giovan Battista |
Basile.
Proprio alla Regia Scuola, negli anni compresi tra il 1888 e il 1896, si deve il primo nucleo di 141 cubetti, inventariati dal numero 99 al 166. Fu Basile a fare realizzare, probabilmente su suo disegno, anche le vetrine espositive in legno di pino pece dove oggi sono esposti i cubetti e che in origine erano destinate alla raccolta dei modelli di opere ingegneristiche. In realtà, già nel 1880 Salemi Pace aveva pubblicato uno studio sulla “Determinazione sperimentale delle costanti specifiche delle pietre da costruzione della Sicilia” relativo ai marmi, ed è quindi presumibile che, a cura di questo studioso, già a quella data fosse in corso di realizzazione il primo nucleo della collezione. E forse i marmi sono stati esibiti alla prima Esposizione agricola siciliana che si tenne a Palermo nel 1902.
Di sicuro c’è che nel 1909, alla data degli Inventari del Gabinetto di meccanica, la collezione era cresciuta, ed era composta da 187 cubetti lucidati di dieci centimetri per lato e da altri dieci più piccoli di cinque centimetri per lato: era costata complessivamente 3.717,85 lire. La vetrina destinata a contenerla, in legno di noce e ciliegio verniciato a mogano, a pianta quadrata di 82 centimetri per lato, veniva inventariata per un valore di 200 lire. Per dare un’idea dell’impegno economico sostenuto, il costo di sei sedie era di 13,50 lire. Dal successivo inventario del 1919 risulta che i cubetti di lato 5x5 furono schiacciati per esperimenti e che la collezione fu arricchita da altri 14 campioni. E ulteriori arricchimenti avvennero progressivamente, certamente fino al 1927.
Un secondo settore della collezione è invece costituito da lastrine di dimensioni variabili di marmi lucidate, e proviene - unitamente a quella di campioni informi di rocce e di minerali - dall’ex Istituto di Arte mineraria, all’epoca in cui il direttore era Giovan Battista Floridia, tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento.
Venne poi la Seconda guerra mondiale e successivamente le numerose trasformazioni edilizie e organizzative degli istituti universitari susseguitesi fino agli anni Settanta: la collezione confluì nell’Istituto di Geotecnica e arte mineraria e poi, nel 1985, nel nuovo dipartimento di Ingegneria strutturale e Geotecnica. Come tanti altri oggetti, fu abbandonata in casse polverose. La rinascita avvenne grazie al ritrovamento da parte di Laura Ercoli che riuscì, grazie alla collaborazione di un gruppo di lavoratori socialmente utili diplomati e laureati, a ripulire, ricatalogare, esporre nuovamente i marmi. Anche le vetrine furono riesumate e restaurate.
La collezione ha offerto lo spunto per iniziare un sistematico lavoro di ricerca condotto dal dipartimento in stretta collaborazione con il laboratorio di Ingegneria chimica per i Beni culturali. Un lavoro che si pone come obiettivo la caratterizzazione chimico-fisica e petrografica dei materiali di pregio che hanno trovato impiego nell’edilizia storico-monumentale della Sicilia. I campioni sottoposti ad analisi vengono prelevati in occasione di lavori di restauro e sistematicamente confrontati, mediante microscopia ottica in luce riflessa, con quelli della collezione, con l’obiettivo di creare progressivamente un catalogo completo della collezione corredato di dati tecnici e scientifici.
Il direttore del dipartimento è Maurizio Papia. Viale delle Scienze. Ingegneria-Edificio 6 Dipartimento di Ingegneria strutturale e Geotecnica |