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 Fossa della Garofala

L'ultimo lembo di Conca d'Oro sull'antico alveo del Kemonia

E' un parco urbano sconosciuto, un lembo di Conca d'Oro sopravvissuto miracolosamente all'avanzata del cemento. La Fossa della Garofala, racchiusa fra i palazzi di corso Pisani e la cittadella universitaria di viale delle Scienze, porta alla scoperta di un paesaggio dimenticato di Palermo, di ipogei e complessi sistemi di irrigazione, di specie botaniche esotiche e di esemplari di macchia mediterranea.

Il "viaggio nel tempo" attraversa i quindici ettari dell'area che fu parte dell'elegante parco di Luigi Filippo d'Orléans e si sviluppa lungo l'originario tracciato del fiume Kemonia, che assieme al Papireto delimitava la città punica. Il nome deriva dal primo proprietario di cui si conosce l'identità , Onorio Garofalo, alla fine del XV secolo. Poche le notizie successive, fino all'acquisto, alla fine del Settecento, da parte del principe di Aci, che vi realizza una stazione agricola sperimentale, una tenuta di caccia e un castelletto ancora visibile che sorge su un terreno privato.
Nel 1809 Luigi Filippo d'Orléans, sposando Maria Amelia di Borbone, figlia di Ferdinando IV, lo acquisisce come dote della moglie e vi realizza il suo parco fuori le mura. Il duca Enrico d'Aumale, figlio di Luigi Filippo, amplia il possedimento, realizzando una tenuta agricola fra le più belle della Conca d'Oro. Dalla fine del XIX secolo il parco si avvia verso una fase di abbandono, fino a quando - intorno al 1950 - viene comprato dall'Università .

Per la sua particolare conformazione geologica calcarenitica, la Fossa della Garofala fu utilizzata come cava a cielo aperto per l'estrazione di materiale edile dal periodo punico e romano fino al XVII secolo. Molto interessante è il complesso di gallerie e cisterne che si dipartono da una cavità , al centro della quale si trova un gazebo in ghisa di fine Ottocento che sovrasta un'enorme vasca circolare. Ma non minore è l'interesse botanico. Un'idea di parco, diffusa nell'Ottocento, dove l'utile e il dilettevole si confondono, dove emergono tra la vegetazione manufatti funzionali alla coltivazione e ispirati alle tecniche agricole arabe: gebbie, pozzetti di derivazione, condotte di adduzione in terracotte, torri per il sollevamento dell'acqua che, prelevata dai pozzi, veniva distribuita in tutto il parco.
Il recupero è stato possibile grazie alla volontà collettiva del preside della facoltà di Agraria, Salvatore Tudisca; del direttore del dipartimento di Colture arboree, Tiziano Caruso; del decano del dipartimento Agronomia, ambiente, territorio, Riccardo Sarno; del direttore del dipartimento di Scienze entomologiche, fisiopatologiche, microbiologiche, agrarie e zootecniche, Maria Luigia Alicata. Responsabile scientifico della Fossa è Giuseppe Barbera, curatore Tiziana Turco.

Viale delle Scienze, ingresso facoltà di Agraria