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CONVENTO DI SANT'ANTONINO
Il mulino nascosto
nel cuore della città
E’ uno straordinario pezzo della memoria collettiva cittadina che torna a essere presenza viva e attuale. E’ il convento seicentesco di Sant’Antonio da Padova degli Osservanti Riformati di San Francesco (Sant’Antonino nell’accezione consueta), uno scrigno che custodisce quattro secoli di storia religiosa e laica, a due passi dalla Stazione centrale. Acquisito dall’Università di Palermo nel 2004, l’edificio all’imbocco di corso Tukory, accanto alla chiesa omonima, è oggi al centro di un notevole impegno di progettazione e di reperimento dei finanziamenti necessari al restauro, circa venti milioni di euro. Sforzo che ha già portato a recuperare la metà della somma grazie all’intervento della Regione siciliana e del Comune di Palermo e a far partire in tempi record gli scavi esplorativi, le opere di consolidamento strutturale e la prima tranche dei restauri. L’ex convento, che è oggi un cantiere, apre eccezionalmente le sue porte alla città per mostrare uno dei più interessanti tasselli della sua storia varia e stratificata: gli ambienti e i macchinari dedicati alla fabbricazione del pane, reperti di archeologia industriale la cui perla è il gigantesco mulino in legno massiccio che si è conservato pressoché intatto. Il convento, infatti, fu trasformato agli inizi del Novecento dall’Esercito in caserma della sussistenza, dedicata al ciclo di lavorazione completo “dal grano al pane”. Nelle sale che un tempo avevano ospitato i frati, venne prodotto per mezzo secolo |
pane per i militari di tutta la Sicilia. Gli anziani ricordano ancora il drammatico assedio al
mulino durante la Seconda guerra mondiale da parte di cittadini affamati, episodio che richiama alla memoria il
manzoniano assalto ai forni.
A essere aperte alla visita sono le sale che contengono i macchinari per la panificazione, posti nell’ala sud-est dell’edificio. Ma prima della trasformazione in caserma l’edificio visse per tre secoli la sua storia religiosa. Venne costruito a partire dal 1630 per ospitare i frati francescani, infermi e no, in un luogo più vicino alla città rispetto al convento di Santa Maria di Gesù. Ospitò fino alla morte pure Fra’ Umile da Petralia, celebrato scultore di crocifissi, uno dei quali è visibile nella chiesa attigua. La sua costruzione porta la firma di Mariano Smiriglio, attivo al tempo in numerose fabbriche palermitane, soprattutto religiose. Nella sua guida Gaspare Palermo lo descrive come “insieme di magnifiche fabbriche”, ed effettivamente il grande cortile quadrato, con un porticato scandito da alte colonne di billiemi, e alcuni grandi saloni con volte a botta e a crociera, dovevano conferire al complesso architettonico una grande solennità. D’altronde, all’epoca della sua costruzione, era stato pensato come l’approdo e il fondale visivo del lungo viale alberato aperto nel 1635 che risaliva dal mare, lo stradone di Alcalà, oggi via Lincoln. Davanti al convento c’era un complesso scultoreo costituito da un “teatro” semicircolare con statue marmoree (oggi ancora esistenti all’interno del cortile antistante la chiesa) e da una sontuosa fontana, detta della Ninfa, che oggi si trova nella città nuova, in piazza Alberico Gentili. Dopo il 1866, con la soppressione degli ordini religiosi e la confisca dei loro beni, il complesso divenne sede militare. Alla fine di questo secolo risalgono l’abbandono e lo smembramento delle sculture: succedette quando i piani urbanistici della città cambiarono radicalmente con la costruzione della Stazione centrale e della grande piazza antistante, quinta prospettica di via Roma. Il convento rischiò perfino di essere abbattuto a favore di una regolarità della rete stradale e di un ampliamento degli spazi intorno all’edificio ferroviario, ma alla fine rimase al suo posto, insieme con la chiesa, pur se ormai in disparte rispetto all’adiacente piazza della stazione. A essere demolito, dopo il 1935, fu invece il vicino Oratorio del Presepe. Nei primi anni del Novecento la trasformazione in “caserma della sussistenza” e l’installazione di un mulino, uno dei pochi in Europa ancora pressoché intatto. L’edificio fu modificato pesantemente per essere adattato al nuovo uso: il loggiato chiuso con muratura per ricavarne magazzini, le grandi sale percorse da binari su cui correvano carrelli che trasportavano da una parte all’altra prima il grano e poi il pane, le pareti innalzate e le scale spostate, le strutture di copertura in legno sostituite con solai in cemento armato, alcuni corpi bassi costruiti. Oggi la rinascita, a opera dell’ufficio tecnico dell’Università di Palermo, sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza ai Beni culturali. L’ex convento, che già oggi ospita, negli ambienti recuperati, alcune strutture dell’Ateneo, diventerà sede di un polo linguistico, di un laboratorio di ricerca di base e applicata dedicato ai materiali innovativi, e di un museo di archeologia industriale negli ambienti dedicati alla panificazione. Piazza Sant’Antonino, Palermo |