Associazione Cultural-Turistica Aulettisti |
I vecchi ruderi e le case diroccate hanno sempre rappresentato per pittori
e fotografi una forte attrazione. I dipinti hanno in molte occasioni permesso
di ricostruire vicende dell'antichità che sarebbero rimaste ignote
ai posteri. Per quanto però una riproduzione possa essere fedele,
per quanto una fotografia possa mostrare la crudeltà di un avvenimento,
vedere con i propri occhi queste rovine è a mio avviso una lezione
di vita che un immaggine o un libro di storia non possono impartire.
Mi reco a Poggioreale, uno dei tre paesi della valle del Belice che
dopo il terremoto che lo colpì 28 anni fa, fu completamente abbandonato
ed interamente ricostruito. Il sisma l'aveva infatti colpito in maniera
così forte, che non era nemmeno pensabile ricorrere a lavori di
ristrutturazione.
Le indicazioni stradali sono molto scarse, a volte fuorvianti, perchè
indicano il paese nuovo. Riesco comunque a raggiungere la meta per tentativi.
Poggioreale si presenta con una lunga via principale che attraversa
il paese. La prima impressione che si ha è quella di visitare una
città fantasma, nello stile dei vecchi films western. La lontananza
dalle strade percorse dalle automobili abbandona questo posto in un inabituale
silenzio.
Gli alberi cresciuti dentro le case, hanno preso il posto della mobilia,
ed i corvi che si odono gracchiare di tanto in tanto sono gli unici esseri
viventi ad abitare questi luoghi. La scena si presenta subito più
desolante di quanto mi aspettavo; non è la stessa cosa che visitare
vecchie rovine romane, le cui case lasciate intatte sono state
consumate soltanto dal tempo, e mostrano il segno degli anni che sono trascorsi;
le case sono costruzioni recenti, si possono scorgere anche dei soffitti
decorati, ma i muri che sono crollati mostrano la brutalità di ciò
che è successo.
Adesso c'è silenzio; anche i corvi, disturbati, si sono allontanati.
Attorno a me nessuno, solo case semidistrutte, una biblioteca senza libri
con dei resti cartacei sparpagliati per terra, una chiesa malridotta. Delle
botti sfasciate nell'atrio di una casa sono il segno di un'attività
interrotta bruscamente. Le insegne dei negozi dipinte sui muri, che si
stanno sbiadendo, non ti dicono che una cosa: "abbandono".
Una vecchia e logora borsetta sulla strada porta la mia immagginazione
a cercare di ricostruire ciò che quel giorno può essere successo:
gente che corre avanti e indietro, cercando di fuggire senza sapere dove,
abbandonando tutto. Mi sembra di vedere della gente che passa su quella
borsa, cercando di scansare le macerie, e le donne con i bambini piccoli
tra le braccia e gli altri stretti forte per mano, passare per la strada
e cercare di mettersi in salvo.
E' solo un attimo; poi mi risveglio e mi guardo intorno: di nuovo la
stessa atmosfera irreale di una città abbandonata. Sento dei passi
alle mie spalle, mi volto e scorgo in lontananza una persona anziana vagare
tra le rovine.
Questa volta è una persona vera. Non ha l'atteggiamento di un
turista che guarda incuriosito; piuttosto quei luoghi sembrano a lui familiari.
Viaggia senza meta tra una casa e l'altra, senza un obiettivo preciso,
come se non potesse fare a meno di starvi vicino. É sicuramente
uno del luogo che ritorna ogni tanto nel paese dove è nato, un paese
che non c'è più. Lo rivedo piccino giocare in quei cortili
con gli altri bambini, poi più grande conoscere sempre tra quelle
strade il suo primo amore, sposarsi, avere dei figli e condurre una vita,
forse non molto agiata ma tranquilla, senza desiderare nulla di più.
Poi d'un giorno all'altro la sua vita cambia completamente; se è
stato fortunato è solo rimasto senza casa e senza soldi, ma potrebbe
anche aver perso molti suoi cari in quella sciagura. Quando ritorno alla
realtà il vecchio era sparito: proprio come un fantasma, uno dei
centinaia di fantasmi che hanno vissuto lo stesso incubo.
Prima di dirigermi verso le altre mete prefissate, Salaparuta e Gibellina,
le altre due città ricostruite, passo a dare un'occhiata a Poggioreale
nuova, dove mi imbatto in una strana piazza in stile moderno, costata allo
stato chissà quanti miliardi, ma non frequentata dalla gente del
luogo.
Salaparuta: le indicazioni stradali mi conducono alla città
nuova. Le case e le strade sono tutte uguali; solo i nomi permettono di
distinguerle una dall'altra. Ogni via ricorda un poeta o uno scrittore
italiano ed una specie di tempietto costruito apposta senza tetto, rievoca
il terremoto. Quasi nessuno per le strade a cui chiedere come raggiungere
Salaparuta vecchia.
Proseguo alla rinfusa fino a quando incrocio un pastore con il suo
gregge di pecore che mi indica la direzione corretta.
Giunto alle rovine, capisco perchè non erano neanche indicate:
Salaparuta non esiste più; il terremoto l'ha completamente rasa
al suolo. A differenza di Poggioreale, non erano rimaste nemmeno le mura
delle case, ma soltanto un ammasso di macerie abbandonate sulla collina.
Una grande struttura in cemento sovrasta la montagna; si tratta del "Cretto",
un enorme blocco bianco che ricopre le macerie come un lenzuolo funebre,
ed i corridoi che lo solcano corrispondono al tracciato viario dell'antica
città. É una sorta di monumento alla memoria, costruito con
soldi provenienti per lo più da donazioni.
Gibellina vecchia è quasi adiacente. Anche qui c'è poco
da guardare: è lo stesso agghiacciante spettacolo. La nuova Gibellina
è invece molto distante, e per raggiungerla bisogna attraversare
S.Ninfa. É senza dubbio la più caratteristica delle tre città.
Una grossa stella si trova all'ingresso del paese, e le strade sono "adornate"
da sculture moderne. Tutto sembra indicare che la città è
rinata, ma in realtà la vita di questo paese non è ancora
risorta. Il progetto di ricostruzione non ha tenuto conto ne delle radici
culturali, ne delle abitudini quotidiane della popolazione locale. Molti
spazi sono troppo vasti per essere effettivamente vissuti e mancano reali
centri di aggregazione per la popolazione. Probabilmente la gente, abituata
alla vita di paese ed al lavoro di campagna non è ancora riuscita
ad inserirsi in una struttura cittadina moderna. Non so dirvi come trascorre
la giornata un abitante di Gibellina, ma posso assicurarvi che la città
è molto triste. Le poche automobili posteggiate e qualche giardinetto
fiorito mostrano che il paese è abitato, ma le strade sono deserte
e la desolazione nel vedere ciò è stata maggiore di quella
che ho provato a Poggioreale. Anche qui un silenzio tombale ti avvolge,
ma non senti neanche la presenza dei corvi o altri uccelli, che non trovando
alberi su cui rifugiarsi migrano lontano. Sembra incredibile ma non trovo
neanche persone a cui chiedere informazioni. Cerco il "Palazzo di Lorenzo",
l'edificio più interessante del paese: ha la forma a scatola e racchiude
nel suo cortile, la facciata recuperata di un antico palazzo della vecchia
Gibellina. Prima una ragazza, poi il benzinaio... nessuno sembra conoscere
il palazzo. Poi incontro un gruppetto di bambini, tenuti d'occhio da una
delle loro mamme.
I loro squamazzi si odono da abbastanza lontano. Proprio loro riescono
ad indicarmi il famoso palazzo ("quello del serpente") e si danno un gran
da fare per spiegarmi la direzione corretta. Mia madre mi avrebbe raccomandato
di stare attento agli sconosciuti, ma quella donna li osserva con assoluta
tranquillità. Tutto mi da l'impressione di essere benvoluto. Riesco
con le loro indicazioni a raggiungere il palazzo; per entrare al suo interno
si percorre una specie di corridoiio perimetrale (Quale mente diabolica
l'avrà concepito?) ed al primo piano c'e' anche il famoso serpente
affacciato ad una finestra, che invano avevo cercato di identificare nelle
strane sculture moderne disseminate per le strade. Chissà perchè
li aveva così tanto impressionati.
Il mio viaggio termina qui. Ho anche occasione di ammirare uno splendido
tramonto dietro la "stella" che è ormai il simbolo del paese e delle
sue opere. Le possenti sculture di Gibellina, che io ho ammirato solo in
parte, ne fanno una città unica in Sicilia, un vero museo dell'arte
moderna a cielo aperto. Forse un giorno, grazie al suo particolare fascino,
potrà diventare un grande centro di attrazione della nostra isola.
La spontaneità di quei bambini, privi dal terrificante ricordo della
tragedia e l'accoglienza calorosa e sincera ricevuta da tutte le (poche)
persone incontrate fanno ben sperare perchè Gibellina torni ad essere
una città normale anche nella vita quotidiana.
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& Walter Giocoso