ACTA Associazione Cultural-Turistica Aulettisti

Belice: visita alla valle terremotata
La rievocazione di una tragedia
di Walter Giocoso

I vecchi ruderi e le case diroccate hanno sempre rappresentato per pittori e fotografi una forte attrazione. I dipinti hanno in molte occasioni permesso di ricostruire vicende dell'antichità che sarebbero rimaste ignote ai posteri. Per quanto però una riproduzione possa essere fedele, per quanto una fotografia possa mostrare la crudeltà di un avvenimento, vedere con i propri occhi queste rovine è a mio avviso una lezione di vita che un immaggine o un libro di storia non possono impartire.
Mi reco a Poggioreale, uno dei tre paesi della valle del Belice che dopo il terremoto che lo colpì 28 anni fa, fu completamente abbandonato ed interamente ricostruito. Il sisma l'aveva infatti colpito in maniera così forte, che non era nemmeno pensabile ricorrere a lavori di ristrutturazione.
Le indicazioni stradali sono molto scarse, a volte fuorvianti, perchè indicano il paese nuovo. Riesco comunque a raggiungere la meta per tentativi.
Poggioreale si presenta con una lunga via principale che attraversa il paese. La prima impressione che si ha è quella di visitare una città fantasma, nello stile dei vecchi films western. La lontananza dalle strade percorse dalle automobili abbandona questo posto in un inabituale silenzio.
Gli alberi cresciuti dentro le case, hanno preso il posto della mobilia, ed i corvi che si odono gracchiare di tanto in tanto sono gli unici esseri viventi ad abitare questi luoghi. La scena si presenta subito più desolante di quanto mi aspettavo; non è la stessa cosa che visitare vecchie rovine romane, le cui case lasciate intatte sono sPoggiorealetate consumate soltanto dal tempo, e mostrano il segno degli anni che sono trascorsi; le case sono costruzioni recenti, si possono scorgere anche dei soffitti decorati, ma i muri che sono crollati mostrano la brutalità di ciò che è successo.
Adesso c'è silenzio; anche i corvi, disturbati, si sono allontanati. Attorno a me nessuno, solo case semidistrutte, una biblioteca senza libri con dei resti cartacei sparpagliati per terra, una chiesa malridotta. Delle botti sfasciate nell'atrio di una casa sono il segno di un'attività interrotta bruscamente. Le insegne dei negozi dipinte sui muri, che si stanno sbiadendo, non ti dicono che una cosa: "abbandono".
Una vecchia e logora borsetta sulla strada porta la mia immagginazione a cercare di ricostruire ciò che quel giorno può essere successo: gente che corre avanti e indietro, cercando di fuggire senza sapere dove, abbandonando tutto. Mi sembra di vedere della gente che passa su quella borsa, cercando di scansare le macerie, e le donne con i bambini piccoli tra le braccia e gli altri stretti forte per mano, passare per la strada e cercare di mettersi in salvo.
E' solo un attimo; poi mi risveglio e mi guardo intorno: di nuovo la stessa atmosfera irreale di una città abbandonata. Sento dei passi alle mie spalle, mi volto e scorgo in lontananza una persona anziana vagare tra le rovine.
Questa volta è una persona vera. Non ha l'atteggiamento di un turista che guarda incuriosito; piuttosto quei luoghi sembrano a lui familiari. Viaggia senza meta tra una casa e l'altra, senza un obiettivo preciso, come se non potesse fare a meno di starvi vicino. É sicuramente uno del luogo che ritorna ogni tanto nel paese dove è nato, un paese che non c'è più. Lo rivedo piccino giocare in quei cortili con gli altri bambini, poi più grande conoscere sempre tra quelle strade il suo primo amore, sposarsi, avere dei figli e condurre una vita, forse non molto agiata ma tranquilla, senza desiderare nulla di più. Poi d'un giorno all'altro la sua vita cambia completamente; se è stato fortunato è solo rimasto senza casa e senza soldi, ma potrebbe anche aver perso molti suoi cari in quella sciagura. Quando ritorno alla realtà il vecchio era sparito: proprio come un fantasma, uno dei centinaia di fantasmi che hanno vissuto lo stesso incubo.
Prima di dirigermi verso le altre mete prefissate, Salaparuta e Gibellina, le altre due città ricostruite, passo a dare un'occhiata a Poggioreale nuova, dove mi imbatto in una strana piazza in stile moderno, costata allo stato chissà quanti miliardi, ma non frequentata dalla gente del luogo.
Salaparuta: le indicazioni stradali mi conducono alla città nuova. Le case e le strade sono tutte uguali; solo i nomi permettono di distinguerle una dall'altra. Ogni via ricorda un poeta o uno scrittore italiano ed una specie di tempietto costruito apposta senza tetto, rievoca il terremoto. Quasi nessuno per le strade a cui chiedere come raggiungere Salaparuta vecchia.
Proseguo alla rinfusa fino a quando incrocio un pastore con il suo gregge di pecore che mi indica la direzione corretta.
Giunto alle rovine, capisco perchè non erano neanche indicate: Salaparuta non esiste più; il terremoto l'ha completamente rasa al suolo. A differenza di Poggioreale, non erano rimaste nemmeno le mura delle case, ma soltanto un ammasso di macerie abbandonate sulla collina. Una grande struttura in cemento sovrasta la montagna; si tratta del "Cretto", un enorme blocco bianco che ricopre le macerie come un lenzuolo funebre, ed i corridoi che lo solcano corrispondono al tracciato viario dell'antica città. É una sorta di monumento alla memoria, costruito con soldi provenienti per lo più da donazioni.
Gibellina vecchia è quasi adiacente. Anche qui c'è poco da guardare: è lo stesso agghiacciante spettacolo. La nuova Gibellina è invece molto distante, e per raggiungerla bisogna attraversare S.Ninfa. É senza dubbio la più caratteristica delle tre città. Una grossa stella si trova all'ingresso del paese, e le strade sono "adornate" da sculture moderne. Tutto sembra indicare che la città è rinata, ma in realtà la vita di questo paese non è ancora risorta. Il progetto di ricostruzione non ha tenuto conto ne delle radici culturali, ne delle abitudini quotidiane della popolazione locale. Molti spazi sono troppo vasti per essere effettivamente vissuti e mancano reali centri di aggregazione per la popolazione. Probabilmente la gente, abituata alla vita di paese ed al lavoro di campagna non è ancora riuscita ad inserirsi in una struttura cittadina moderna. Non so dirvi come trascorre la giornata un abitante di Gibellina, ma posso assicurarvi che la città è molto triste. Le poche automobili posteggiate e qualche giardinetto fiorito mostrano che il paese è abitato, ma le strade sono deserte e la desolazione nel vedere ciò è stata maggiore di quella che ho provato a Poggioreale. Anche qui un silenzio tombale ti avvolge, ma non senti neanche la presenza dei corvi o altri uccelli, che non trovando alberi su cui rifugiarsi migrano lontano. Sembra incredibile ma non trovo neanche persone a cui chiedere informazioni. Cerco il "Palazzo di Lorenzo", l'edificio più interessante del paese: ha la forma a scatola e racchiude nel suo cortile, la facciata recuperata di un antico palazzo della vecchia Gibellina. Prima una ragazza, poi il benzinaio... nessuno sembra conoscere il palazzo. Poi incontro un gruppetto di bambini, tenuti d'occhio da una delle loro mamme.Gibellina I loro squamazzi si odono da abbastanza lontano. Proprio loro riescono ad indicarmi il famoso palazzo ("quello del serpente") e si danno un gran da fare per spiegarmi la direzione corretta. Mia madre mi avrebbe raccomandato di stare attento agli sconosciuti, ma quella donna li osserva con assoluta tranquillità. Tutto mi da l'impressione di essere benvoluto. Riesco con le loro indicazioni a raggiungere il palazzo; per entrare al suo interno si percorre una specie di corridoiio perimetrale (Quale mente diabolica l'avrà concepito?) ed al primo piano c'e' anche il famoso serpente affacciato ad una finestra, che invano avevo cercato di identificare nelle strane sculture moderne disseminate per le strade. Chissà perchè li aveva così tanto impressionati.
Il mio viaggio termina qui. Ho anche occasione di ammirare uno splendido tramonto dietro la "stella" che è ormai il simbolo del paese e delle sue opere. Le possenti sculture di Gibellina, che io ho ammirato solo in parte, ne fanno una città unica in Sicilia, un vero museo dell'arte moderna a cielo aperto. Forse un giorno, grazie al suo particolare fascino, potrà diventare un grande centro di attrazione della nostra isola. La spontaneità di quei bambini, privi dal terrificante ricordo della tragedia e l'accoglienza calorosa e sincera ricevuta da tutte le (poche) persone incontrate fanno ben sperare perchè Gibellina torni ad essere una città normale anche nella vita quotidiana.


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& Walter Giocoso