LE BARCHE E LA VOGA



La Laguna di Venezia rappresenta per la cultura materiale legata alle lagune il punto di riferimento storico-etnografico più rilevante dell’intero alto Adriatico.

E’ qui infatti che si sono sviluppati nel corso dei secoli, sin dai primi insediamenti di popolazioni, venetiche o paleovenete, manufatti, mezzi e metodi del tutto caratteristici e peculiari rivolti all’utilizzo della Laguna quale risorsa primaria di vita, sia sotto l’aspetto della percorribilità acquea, che per quello legato alla pesca e alla conformazione del terreno basso e paludoso.

Il fondo obbligatoriamente piatto, fondamentale per poter navigare su acque basse e non sempre con fondale costante; il conducente che voga al bisogno anche con un solo remo, in avanti, in piedi sulla poppa, addirittura senza il bisogno del timone; lo svilupparsi di un’apposita asimmetria costruttiva (è il caso della gondola) che sfrutta così sempre più la propulsione data dall’idrodinamica dell’imbarcazione; le diverse forme di "forcola", aperte, che non fissano il remo, sono tutti elementi che caratterizzano in modo del tutto particolare e peculiare ciò che nel corso dei secoli si è sempre più affinato per un adattamento sempre più spinto e profondo alla laguna.

La scoperta nelle zone perilagunari circostanti Lova di Campagnalupia, presso un insediamento paleoveneto, di una imbarcazione monoxile (attribuibile probabilmente al periodo del bronzo e attualmente conservata a Venezia), che con la sua particolare forma è particolarmente affine alle attuali barche note con il nome di "pupparìni" e "batèle", evidenzia come, fin da epoche molto antiche, la forma delle imbarcazioni lagunari denotasse una caratteristica convergenza evolutiva, dovuta al naturale adattamento all’ambiente lagunare.

Se nei primi secoli di vita in laguna navigare nell’intrico di canali, canneti, boschi alluvionali e fuggevoli barene poteva essere solo occasionale o rappresentare uno dei vari modi di vita litoranea, da un certo momento in poi per i popoli perilagunari veneziani diventò uno scopo primario. L’invasione longobarda, consolidandosi come presenza stabile e occupando anche la pianura padano-veneta, aveva via via isolato le lagune venetiche dalla precedente continuità territoriale dei possedimenti di Bisanzio, ormai ridotti, oltre che alla laguna veneziana, all’isola Istria e al ravennate.

Probabilmente da questo periodo in laguna si è sviluppato con sempre maggiore perfezione l’uso delle più svariate imbarcazioni, adattandole alle più diverse caratteristiche fisico-morfologiche lagunari, obbligando nel contempo le popolazioni "d’acqua" a sviluppare quell’uso del mare che farà della futura laguna di Venezia la capitale della più importante "nazione d’acqua" del mondo.

La sempre più spinta dimestichezza con l’ambiente acqueo si espresse quindi in laguna proprio attraverso i diversi caratteri tipologici delle imbarcazioni, con le particolari velature "al terzo" e con la caratteristica voga sviluppata prima col sistema detto alla "vallesana" e, successivamente, con quello ben più noto detto all "veneta".

La voga alla vallesana è probabilmente uno tra i più antichi sistemi di voga usati nelle lagune venete, attuato da un singolo vogatore che, sistemato in posizione di pòpe leggermente avanzata e con le forcole de prova, rema spingendo con il corpo i remi incrociandoli contemporaneamente. Anche se a prima vista sembra difficile da apprendere e forse innaturale, è probabilmente il sistema più efficace per percorrere i vari canali e ghebi sinuosi lagunari. E‘ tuttora in uso presso le popolazioni dell’estuario, in particolare quelle insulari, tra i vallesani e i pescatori della cosiddetta piccola pesca. L’altro sistema, quello classico, usato anche per le regate, è denominato voga alla veneta, e si effettua da un equipaggio di almeno due persone, poste rispettivamente in posizione di prua (provier) e di pòpe. Le imbarcazioni possono essere condotte singolarmente anche con l’ausilio di un solo remo, come per la gondola: in tal caso il vogatore, che è posto di pòpe, favorisce la propulsione dell’imbarcazione con la remata di spinta (o di premèr) e con il ritorno detto in stalìa. Le imbarcazioni, a seconda che venissero usate in mare, nei canali marittimi prospicienti il medesimo o nel litorale, in laguna aperta, nelle barene, valli, canali e fiumi interni, o nella città di Venezia, hanno assunto tipologie e forme idrodinamiche del tutto peculiari e nomi in "vernacolo" particolari e appropriati. Si può tentare di classificare le imbarcazioni veneziane e dell’estuario veneto dividendole complessivamente in cinque categorie:
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  1. quelle specificatamente costruite per la pesca lagunare o marina, quali la caorlina da valle, la sampieròta, il mussètto, il bragòzzo, la batèa da vàlle, la scomparsa bragàgna, il saltafòssi, la batèla concordiense, il sandalètto da fòssina, il tòpo ciosòto o pìsso o mestierétto, la barca da tratta ecc.;
  2. quelle usate un tempo per l’attività venatoria, e cioè lo s’ciopòn (o sàndolo s’ciopòn), il còfano e la fisolèra;
  3. quelle destinate soprattutto al trasporto di merci, come la caorlìna, la variante ortolàna, il battelon, la batèla, la tòpa, la peàta, l’istriano-dalmata brassèra, la comacìna, i bùrci ecc.;
  4. quelle adibite al trasporto di persone, tra le quali primeggia la gòndola, la gòndola da traghètto, i vari sàndali, il gondolìn da frèsco o bàlotìna, lo scomparso burcèllo, la mascarèta ecc. ;
  5. per ultime ci sono quelle da regata o comunque da esibizione e cioè il gondolìn, il puparìn, la mascarèta da regata, il galeòne, lo scomparso bùcintòro, le recenti gondole dette dòdesòna e disdotòna ecc.
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Le schede che seguono intendono presentare le più importanti tra le varie tipologie attualmente conosciute, alcune delle quali ancora attuali per l’Estuario Veneto.

BALOTINA

Evidenzia la tipologia della gòndola, dalla quale si differenzia per la relativamente maggiore lunghezza, per la forma più rotondeggiante e stretta, per l’uso e per la composizione dei vogatori (fino a sei). E’ soprattutto un’imbarcazione utilizzata durante le feste e manifestazioni acquee (e un tempo arricchita all’uopo anche con ornamenti e fregi) e per le varie manifestazioni pubbliche oltre che come barca da rappresentanza e sportiva. La denominazione pare risalga all’uso antico di utilizzare la stessa imbarcazione per il controllo del traffico nei canali durante manifestazioni acquee ufficiali e di scagliare da bordo della stessa, con l’ausilio di una speciale balestra, pallottole di fragna (argilla) dette balòte, contro chi si comportasse indisciplinatamente o intralciasse i cortei.

BATELA

Rappresenta, di norma, un’imbarcazione adibita al trasporto; a seconda della zona di utilizzo o della foggia può cambiare denominazione, variando in lunghezza tra i nove e i 12 metri e con stazza compresa tra i 10 ed i 40 quintali.

La più nota è la cosiddetta batèla buranèla: si tratta di una imbarcazione che normalmente, è lunga intorno ai nove metri e con una larghezza massima di 1,60metri.

Nonostante sia adibita solo al trasporto merci, presenta uno scafo armonioso e bilanciato, con prora slanciata e con l’asta leggermente ricurva.

Può essere portata da uno o due vogatori, nel qual caso il primo si colloca di poppa a sinistra presso la falca, mentre il secondo rimane a prora appoggiato sul paiolato.

BATELA A COA DE GAMBERO

Altro tipo di batèla è la cosiddetta "batèla a còa de gàmbero", usata per il trasporto di merci e di persone: è ormai scomparsa e non più usata in laguna. Le ultime documentazioni fotografiche della sua presenza risalgono alla fine dell’800; poteva avere dimensioni variabili dagli 8 ai 10 metri di lunghezza e presentava una forma molto elegante ricordando, per certi versi, le prime gondole raffigurate nei quadri del Bellini e del Carpaccio. Nelle valli da pesca era in auge, sino a pochi anni fa, la cosiddetta "batèla de vàle", altra variante della semplice batèla, adibita esclusivamente al trasporto del pesce dalle valli ai mercati di Chioggia e Venezia.

BRAGOZZO

Derivante probabilmente dalla tartana o da barche di valle, e un’imbarcazione soprattutto chioggiotta. Può raggiungere i 16 metri di lunghezza e presenta la prora rotonda e rientrante mentre la poppa è più tozza. Fino alla prima metà di questo secolo, nei giorni di festa, il bragozzo (o altre imbarcazioni grosse, come la tartana) veniva addobbato sulla cima dell’albero con un particolare oggetto di arte popolare denominato "penèlo" che serviva anche da segnavento e che raffigurava sia i Santi Patroni di Chioggia, Felice e Fortunato, che simboli vari della Passione e probabili altri simboli precristiani come il sole e gli uccelli. Anche il bragozzo, come I’affine bragozzetto, veniva arricchito a prora con angeli, trombe e cavalli alati mentre nei "boli", cioè i cerchi ornamentali dipinti ai lati, di norma si dipingevano le iniziali del "paron de barca", I’IHS sacro, la raffigurazione del Cristo di S. Domenico o la Madonna di Sottomarina. Anche la parte interna della prora poteva essere dipinta con scene del vangelo o della passione. I bragozzi avevano sempre al seguito il piccolo sàndolo denominato portolata o batèlo a pìsso.

Simile al bragozzo, ma leggermente più piccolo, rinveniamo anche il bragozzetto o battelluccio, che può variare dai 9 agli 11 metri. Era usato in mare con vela al terzo soprattutto per la pesca a strascico e del pesce azzurro; la vela un tempo era sempre contraddistinta con i simboli della famiglia del pescatore, mentre la prora e la poppa venivano abbellite con caratteristiche figure quali angeli in atto di suonare la tromba e cavalli alati.

Parlando del bragozzo non si può fare a meno di accennare alla bragàgna, imbarcazione adibita soprattutto alla pesca lagunare, ormai da annoverare tra quelle scomparse. Usata un tempo soprattutto dai pescatori chioggiotti e giudecchini, poteva arrivare ai 12 metri di lunghezza; portava tre alberi collocati rispettivamente sui tre trasti della barca (a poppa, in mezzo e a prua) ed era usata con le vele al terzo, anche se sub quadrate. Di norma si accompagnava con un sàndolo o batèlo a pìsso che serviva per effettuare la spola a terra per scaricare il pescato o comunque per collegare l’imbarcazione stessa, molto più grande e conseguentemente con maggior pescaggio, alle zone di sosta che potevano avere fondali poco profondi. Era usata soprattutto in laguna, originariamente per scopo vallivo, pescava normalmente di traverso e con una particolare rete che prende il nome di bragagna come la barca stessa, e utilizzando sia le vele spiegate che un apposito argano detto molinèlo. Tra il corredo di bordo figurava sempre la burcièla, sorta di minuscola imbarcazione simile alla maròta, chiusa e bucata sul fondo e ai lati. utilizzata al traino per temporaneo stoccaggio e trasporto del pesce vivo ai più vicini centri pescherecci.

Sino alla prima metà del secolo si utilizzava ancora la brazzèra: si trattava di un’imbarcazione lunga tra i 10 e i 14 metri, che per certi versi, se si eccettua la velatura, ricorda il bragozzo chioggiotto. E’ estranea come tipologia tipica e attualmente non e più presente nell’Estuario Veneto: un tempo vi faceva la sua comparsa esclusivamente per trasporti dalla costa istriano-dalmata. Deve il suo nome brassèra o brazzèra all’isola di Brazzà in Dalmazia, da dove probabilmente ha avuto la sua prima origine, diffondendosi, poi, in tutta la costa istriano-dalmata di influenza veneziana.

CAORLINA

Tra le più antiche tipologie lagunari è sicuramente ascrivibile la caorlìna, riprodotta in varie raffigurazioni già dal ’500, di forma decisamente aggraziata. Originariamente si supponeva provenisse dalla laguna caprulana e dalla città di Caorle ; varia di lunghezza tra i 9,5-10 metri, a fianchi subparalleli e con prora e poppa del tutto simili tra loro. Se ne conoscono di varie tipologie, a secondo dell’uso, e cosi troviamo la caorlina da seràggia, quella cosiddetta ortolana, e, più in là nel tempo, la barca da cogolèti, la barca da buranèli e il batèlo a la Nicolòta. Essenzialmente per il trasporto di merci rinveniamo il batelòn, imbarcazione, per certi versi, molto simile alla caorlina e lunga intorno ai 12 metri. La poppa era leggermente più stretta e appuntita della prora, mentre entrambe sono munite di un’asta che poteva essere portata da due a quattro vogatori, posti in coperta di poppa e prora. Qualche esemplare, ormai del tutto a motore entrobordo diesel, è tuttora impiegato per il trasporto sia all’interno della città di Venezia che dall’Estuario. Affine a questo rinveniamo il batèlo: si tratta di una variante più piccola del batelòn, attualmente del tutto scomparsa e adibita soprattutto al trasporto di merci.

CAORLINA DA REGATA

E’ una variante della caorlìna, utilizzata solo per manifestazioni sportive, che ha fatto la sua prima apparizione solo nel dopoguerra (1949) durante la Regata Storica. Rispetto a quella originaria, dipinta normalmente in pece nera all’esterno e in grigio sulla coperta, questo tipo di caorlìna si presenta in varie colorazioni, soprattutto legate alle manifestazioni di regata e alle associazioni o colori di appartenenza.

COMACINA

Con l’affine bùrcio, da cui si differenzia per la prora più slanciata e provvista di asta, la comacìna sino a non molti anni fa è stata adibita a barca da carico e da trasporto. Originaria probabilmente delle Valli di Comacchio (da cui ha preso il nome) o comunque realizzata dai maestri d’ascia provenienti dal delta veneto-emiliano, e attualmente quasi del tutto scomparsa. Un esemplare, riutilizzato e adattato per il trasporto di turisti, ha percorso sino a pochi anni fa i canali della Laguna di Venezia con il nome di pìpìna; un altro ha rappresentato la "Banefica S. Giacomo dell’Orio" alle regate storiche sino a pochi anni fa. L’altra tipologia, il bùrcio, è stata una caratteristica imbarcazione fluviale da carico, un tempo distribuita lungo tutti i tratti terminali dei corsi d’acqua dal delta del Po alle lagune venete; poteva essere lunga fino a 30 metri, originariamente armata con due alberi, smontabili per passare sotto eventuali ponti, e con vele al terzo; anche se in questi ultimi anni i burci superstiti sono tutti convertiti a motore diesel entrobordo, un tempo venivano condotti, oltre che con le vele remi o a traino (sia umano che di un cavallo o bue). Fino a pochi anni fa era frequente l’incontro con i burci lungo il Sile e le sue derivazioni in laguna (canali Silone e Siloncello). Nei canali del Padovano (canale di Battaglia, derivazioni del Brenta ecc.) era in uso un’imbarcazione simile che prendeva il nome di padovana, caneva o lipa; nel Veronese un altro tipo di burcio usato nell’area dell’Adige prendeva il nome di pescantina, probabilmente derivante dall’omonimo paese. Col nome di burchiello, invece, esisteva un’imbarcazione per il trasporto delle persone che faceva la spola da Venezia a Padova, entrando nel Naviglio Brenta a Fusina; nel periodo estivo era utilizzata dai Veneziani per raggiungere le dimore di villeggiatura in terraferma, nelle ville venete.

DISDOTONA

Si tratta di un’imbarcazione esclusivamente da parata, di recente tipologia e costruzione, apparsa per la prima volta agli inizi del secolo (1903), raggiunge la lunghezza di oltre 20 metri. La denominazione di disdotòna è legata al numero dei componenti l’equipaggio, che consta di 18 vogatori; l’affine dòdesòna, invece, viene condotta a 12 remi. Per motivi di rimessaggio è smontabile in tre parti legate fra loro. Altra imbarcazione caratteristica è utilizzata solo per manifestazioni acquee e la bissòna: si tratta di una barca usata soprattutto nelle regate o nelle feste tradizionali che prende probabilmente la denominazione dal vernacolo "bissa" (biscia), per la forma molto estesa essendo di sagoma molto allungata e snella, arrivando anche a 14 metri di lunghezza. E’ condotta da otto vogatori e attualmente è di norma variamente addobbata. E’ tra le barche più belle e fastose che appaiono durante la regata storica a Venezia e nelle altre più importanti solennità veneziane.

GALEONE

Si tratta anche in questo caso di una imbarcazione da gara e parata, usata un tempo nelle cerimonie ufficiali acquee, che ultimamente è stata riscoperta per la cosiddetta Regata delle Antiche Repubbliche Marinare: Venezia, Amalfi, Genova e Pisa. I primi quattro galeòni, costruiti nel 1956 dagli artigiani della Cooperativa fra gondolieri "Daniele Manin", dispongono di un equipaggio di otto vogatori e il timoniere. Parlando del galeòne non si può non fare un accenno al bucintòro, presente fin dalle prime manifestazioni pubbliche della Repubblica di Venezia, e in particolare per la Festa della Sensa, cioè del giorno dello sposalizio di Venezia col mare. Di etimologia controversa era addobbato e decorato con estrema ricchezza e pompa e realizzato sempre in un unico esemplare. L’ultimo bucintoro è quello costruito tra il 1722 e il 1728, spogliato e quindi bruciato dagli invasori francesi nel 1798.

GONDOLA

Si tratta della più nota ed elegante delle imbarcazioni lagunari. probabilmente il massimo della perfezione legata alla conducibilità idrodinamica. frutto di una plurisecolare evoluzione riassunta dalle varie esperienze e barche lagunari, rielaborate e via via adattate. Con la dizione gòndola oggi evidenziamo soprattutto l’imbarcazione di gran lunga più impiegata a Venezia per il trasporto di persone, mentre in realtà, fino alla prima metà del secolo si riconoscevano alcune varianti di volta in volta denominate gòndola da traghèto. gòndola falcàda o a coa de gambero, gòndola de casada. gòndola da fresco, barchètta, bàlotìna, mussìn, massòche, gòndola da regata, gondolòn e gondolìn. Le molteplici denominazioni probabilmente evidenziano un massiccio uso della tipologia base della gondola per molteplici attività soprattutto urbane, quali il trasporto di persone per i traghetti in città o tra la terraferma e le isole, per il diporto, per competizione e per rappresentanza.

GONDOLA DA REGATA

Si tratta di una particolare forma di gondola, adibita soprattutto per competizioni di regata, lunga intorno ai 10 metri. Le regate, nel periodo del massimo splendore e potenza della Serenissima venivano organizzate soprattutto in occasione di grandi avvenimenti, come la visita da parte di sovrani o ambasciatori importanti, per celebrare grandi vittorie o avvenimenti eccezionali. Le regate erano precedute normalmente da un corteo acqueo con le bissòne addobbate a cura delle varie famiglie patrizie e con al centro il bucintoro.

GONDOLIN DA REGATA

I gondolìni sono fra le imbarcazioni più antiche usate per le regate e bisognerebbe tornare indietro di molti secoli per trovare il fondamento delle odierne gare. Essi trovano l’impiego più spinto con la Regata Storica. Le competizioni remiere erano effettuate con vari tipi di barche, a 8, 10 e 12 remi, e per ultima si disputava sempre quella con i batelìni, ovvero gli odierni gondolìni.

MASCARETA

Si tratta di un particolare sàndolo, leggerissimo e a praticissima manovrabilità. che risulta tra i più diffusi in laguna. Varia tra i 6 e gli 8 metri di lunghezza; per la sua semplicità trova impiego agevolmente nelle parti più difficili e complesse della laguna, tra le barene, le velme e tra l’intrico dei ghebi.

MASCARETA DA REGATA

La particolare forma idrodinamica e la relativamente semplice manovrabilità fa della mascarèta un’imbarcazione che ben si presta anche per le competizioni e per l’attività sportiva remiera. E’ frequente osservare appassionati di voga allenarsi proprio con mascarète percorrendo anche il Canal Grande a Venezia.

PEATA

Si tratta della barca da carico più caratteristica e riscontrabile un tempo a Venezia e in laguna. Come la comacìna e il bùrcio è di notevoli dimensioni, arrivando a misurare oltre i 15 metri di lunghezza, con una stazza di oltre 40 tonnellate a pieno carico. Con il termine di peatòn e peòta si denominava una imbarcazione simile alla peàta, ma attrezzata con tetto e finestre, che serviva alle famiglie patrizie veneziane. al Doge e ai massimi funzionari dello Stato per particolari manifestazioni e visite in laguna. In mare il ruolo della peàta era assolto dal trabàccolo, lungo tra i 15 e i 25 metri, utilizzato soprattutto per il trasporto del legname dall’Istria e dalla Dalmazia che veniva poi distribuito nei principali porti adriatici.

PUPARIN o SANDOLO PUPARIN

E’ il più raffinato, armonico ed evoluto dei rappresentanti del gruppo dei sàndoli, evidenziando anche qui, come per la gòndola, la maestria e il livello di perfezione raggiunto dagli artigiani mastri d’ascia veneziani. E’ lungo tra i 9 e i 10 metri, e può essere portato da una a quattro persone, a seconda anche delle dimensioni. Il conduttore di poppa, detto a sua volta pupparìn, si colloca su di una apposita pedana, come nella gòndola, dal momento che è volutamente costruito con lo scafo parimenti asimmetrico. Era usato un tempo anche come barca da casàda, e oggi si presta ottimamente anche per regate.

SANDOLO

E la più comune barca lagunare, diffusa con varianti un po’ in tutte le acque lagunari e fluviali costiere. A seconda delle dimensioni e delle caratteristiche d’uso l’imbarcazione assume nomi particolari, come sàndolo puparin, sàndolo s’ciopon, sàndolo sampieroto, mascarèta, sàndolo buranèllo, e sàndolo da barcariòl. Sotto la denominazione di sàndolo si riscontrano nella penisola italiana barche simili anche in zone lagunari distanti dalla Laguna di Venezia come la Laguna di Lesina in Puglia o in quella di Orbetello in Toscana, probabilmente ascrivibili ad origini o apprendimenti veneti.

SANDOLO COMACCHIESE o VULICEPPI

Si tratta di una forma di sàndolo del tutto particolare, ascrivibile al caratteristico saltafòssi dell’estuario e delle valli venete. E’ localizzato nell’area valliva di Comacchio. Era usato soprattutto da una particolare categoria di pescatori denominata fiocìni, dediti esclusivamente alla pesca delle anguille con la caratteristica fiocina a sette punte. A differenza del sàndolo da fòssina della laguna veneziana, quello di Comacchio, più stretto, può essere molto lungo, arrivando anche oltre i 9 metri. Nel vernacolo di Comacchio e Goro è chiamato rispettivamente vulicèppi e velocìpete, per la peculiare caratteristica che gli permetteva di scappare velocemente dalle valli dopo aver rubato il pesce. Il nostrano sàndolo saltafòssi è di uso esclusivamente lagunare vallivo e può variare tra i 6 ed i 9 metri.

SANDOLO S’CIOPON

Viene così denominato un sàndalo del tutto particolare, attualmente non più in uso, utilizzato fino alla prima metà del secolo per la particolare caccia con la spingarda, cioè lo s’ciopon, che era collocato e fissato nella parte anteriore della barca. Le dimensioni medie si attestavano tra i 4 e i 5 metri, e il corredo di bordo consisteva, oltre che nelle particolari forcole e nei remi, in una apposita e lunga palìna (sorta di piccolo remo con I’apice solitamente troncato o biforcuto, per poter all’occasione spingere la barca puntando sul fondo), usata durante la caccia per permettere il lento e graduale avvicinamento alle prede. Altra imbarcazione da caccia, probabilmente sempre ascrivibile alla tipologia dei sàndoli, è la cosiddetta fisolèra, riportata in varie stampe d’epoca, e utilizzata per la caccia praticata dai veneziani in laguna attorno alla città ai fisoli, cioè agli uccelli tuffatori, quali gli svassi. Di uso più recente per la caccia è il còfano, impiegato per raggiungere le caratteristiche postazioni in cannuccia denominate covègge.

SAMPIEROTA

Viene cosi denominato un particolare tipo di sàndolo, originariamente presente (o nato) nella zona di S. Piero in Volta, cioè nel litorale di Pellestrina e dalle dimensioni variabili tra i 6 e i 7 metri. Sembra essere tra le barche classiche lagunari una delle più recenti, essendo costruita solo dal secolo scorso. Può venire condotta sia a remi che con velatura al terzo e ha la probabile forma (che si presenta più panciuta e allargata) proprio per essere nata per la piccola pesca in zona lagunare più aperta e profonda, soggetta con più frequenza al mare mosso, essendo quasi a ridosso delle bocche di porto. Nella vicina Istria esisteva sino a pochi anni fa un’imbarcazione del tutto simile, adibita sempre alla piccola pesca, denominata batana di Rovigno d’Istria. Altro tipo di barca legato geograficamente all’isola di Pellestrina e il caùsso, impiegato soprattutto per la pesca delle seppie e comunque, attualmente, come la gran parte delle imbarcazioni tipiche lagunari, in via di estinzione.

TOPA

Come per la Sàmpieròta, con la tòpa siamo in presenza di una imbarcazione che raccoglie in sé le caratteristiche per essere utilizzata in acque profonde, intermedie tra la laguna e il mare. Per certi versi simile al tòpo, dal quale si differenzia soprattutto per lo specchio di poppa quasi verticale. Può variare tra i 6 e i 14 metri, e originariamente era condotta a remi e con la velatura al terzo. Attualmente la stragrande maggioranza delle tòpe è stata trasformata a motore.

TOPO

Come precedentemente scritto per l’affine tòpa, anche qui ci troviamo di fronte ad una imbarcazione utilizzata soprattutto nelle parti lagunari profonde e talvolta mosse, nella fascia intermedia tra le aree calme e tranquille di velma e barena e quelle più vivaci del mare. Si distinguono vari tipi, denominati, di volta in volta, a seconda dell’utilizzo, tòpo da sabbia, mùsso o mùssetto, ostreghèr da màr, il mestierèto o tòpo da mestierèto e il tòpo venessiàn. Attualmente, quelli che esistono, sono tutti trasformati a motore, mentre in origine erano condotti a remi e con velatura al terzo, simile all’armo pesca per la tartàna; era utilizzato come portolàta per le tartàne e per pescare con i parangàli.

VIPERA

Barca del tutto particolare, probabilmente legata alla famiglia dei sàndoli, utilizzata nel secolo scorso dagli agenti doganali, per controllare il commercio del sale e gli eventuali contrabbandieri, successivamente dall’autorità militare. Lunga intorno ai 10 metri, era condotta da un equipaggio di sei vogatori e poteva quindi, all’occorrenza, diventare molto veloce. Recentemente (1979) è stata ricostruita per decisione del Comitato organizzatore della Vogalonga, la caratteristica manifestazione di primavera che vede la Laguna di Venezia ospitare centinaia di imbarcazioni a remi di vari tipo.

Tratto da: G.RALLO, "Guida alla natura nella Laguna di Venezia", Muzio Editore