al di sopra e al di fuori del papiro, ci
sono delle forze
Antonin Artaud
Fra gli eventi poetici che
non si possono ignorare ormai ci sono quelli curati dalla Multimedia di
Raffaella Marzano e Sergio Iagulli in varie località della Campania. Dopo
l’edizione di Napolipoesia del 1999 nel parco Archeologico di Posilippo che già
aveva raggiunto un importante traguardo, quella di quest’anno, appoggiata da
alcune strutture pubbliche (in particolare dall’assessorato all’Identità
del Comune di Napoli), è destinata a lasciare il segno. Più che di un
festival, come dicono gli stessi organizzatori, si è trattato davvero di una
festa della poesia, un incontro tra appassionati appartenenti a culture diverse
per mettere a confronto esperienze poetiche di varia natura che hanno in comune
l’attenzione a nuovi linguaggi e a pratiche testuali diversificate nonché la
volontà di avere una voce politica per esprimere le tensioni del nostro mondo,
mediante un’arte concepita come strumento per parlare del presente.
Nelle tre serate si sono succeduti nella
bellissima Sala dei Baroni del Castel Nuovo-Maschio Angioino, di solito sede di
riunioni politiche, 21 poeti arrivati puntualmente da tutte le parti del mondo
che hanno recitato le proprie creazioni nella loro lingua madre mentre i testi
in traduzione italiana scorrevano sullo sfondo, accompagnati da uno stuolo di
eccellenti musicisti per la maggior parte napoletani (Carmela Cardone, Maurizio
Carbone, Mauro Di Domenico, Gaspare Di Lieto, George Johnson Jr, Ferdinando
Gandolfi, Alfredo Messina, Enzo Nini e Massimiliano Sacchi), chiamati ad
“interagire” durante le letture con strumenti classici o etnici.
La notevole
performance di apertura nel cortile del Maschio, ha riportato in campo un
aficionado, il sardo Alberto Masala, da sempre molto sensibile alle esperienze
d’avanguardia, specialista di eventi di poesia concreta, che si è esibito in
un reading corredato di proiezioni dedicate alle donne afgane e accompagnato
dalle belle voci di Fabiola Ledda, Miriam Palma e Maurizio Maiorana.
Dei poeti invitati, voci famose o emergenti, ci sembra doveroso citare tutti i
nomi, ricordando che alcuni di loro avevano già partecipato ad altre
manifestazioni quali “Parole di Mare”, “Lo Spirito dei Luoghi”, “Verba
Volant” curate dagli stessi instancabili organizzatori negli anni scorsi ad
Amalfi, Salerno, Baronissi e a
Napoli.
Erano presenti gli italiani Mariano Baino, Tommaso Di Francesco e
Gabriele Frasca, gli spagnoli Antonio Ganomeda, Juan Carlo Marset e Vicente
Valero, il portoghese Casimiro de Brito, lo sloveno Ciril Zlovec, il croato
Sinan Gudzevic, il bosniaco Izet Sarajlic, l’inglese originario di Trinidad,
Roger Robinson, il canadese Christopher Dewdney, gli statunitensi David
Henderson, Jack Hirschman, Devorah Major e Janine Pommy Vega, la cilena Carmen
Yanez, il tuareg Hawad, il camerunese Paul Dakeyo, l’australiano Hugh Tolhurst.
Il Secolo XIX - CULTURA
8 giugno 2001
la PERFORMANCE
Litanie in stato di trance
Poesia in stato
di trance quella di
mercoledì alla
serata d’esordio del Festival
Internazionale di Poesia a Palazzo Ducale. Nacchere ai piedi, strumento della
pioggia tra le
mani, due lunghi bastoni di castagno in movimento ricoperti di ideogrammi per la
performance del francese Serge Pey, versi ipnotici tratti dalla
sua raccolta
Nierika, o le memorie del quinto sole (ed.Il Maestrale).
Scritti
sotto l’influenza allucinogena del peyote, le poesie-litanie di Pey sono dei
"viaggi iniziatici"secondo il rito degli huicholes, gli indios di Las
Latas nella Sierra Madre messicana, con i quali il poeta di Tolosa ha vissuto
per un certo periodo. E dove ha appreso i segreti dei marakaame, i
cantori-sciamani che evocano con le loro cerimonie il nierika, quel buco nella
materia che fa vedere al dì là.
Un ritmo lento che poi diventa frenetico, occhi chiusi, energia, una
concentrazione assoluta che ha stregato il pubblico dell’inaugurazione. Sul
palco Claudio Pozzani, ideatore e curatore del Festival, Arnaldo Bagnasco, il
sindaco Giuseppe Pericu e l’assessore regionale alla cultura Nucci Novi
Ceppellini, e poi il secondo ospite della serata, Alberto Masala, poeta e
performer amico e traduttore italiano di Serge Pey, nato in Sardegna residente a
Bologna,che ha letto il suo poema “Taliban i 32 precetti per le donne”,
ancora inedito e dedicato alle donne afghane in ostaggio agli integralisti.
Divieti, fustigazioni, obblighi, percosse, niente scuola, niente lavoro fuori
casa, niente bicicletta, niente corpo, amputazione per le unghie laccate,
segregazione perché il nostro Dio ci spia, ci nasconde. Versi duri e difficili
in cerca di editore, con l’intenzione di devolvere i proventi del futuro libro
alla causa delle donne prigioniere del burqa.
Poi i due poeti leggono in francese e in italiano versi dedicati «agli amici e
ai fratelli del Chiapas » che raccontano di montagne sacre e di figli uccisi,
affermano che in occasione del G8 saranno «a fianco di chi manifesterà »,
Masala fuori scena racconta la sua idea, nettissima, dell ’ essere poeta: «Professionalizzo
il delirio, rendo possibile l’utopia e la diversità. Sono un trasportatore di
voci senza voce, impronunciabili e impronunciate ».
PIAZZA GRANDE - cultura
Intervista ad Alberto Masala
Novembre 2001 per numero di Dicembre.
P.G.: Quando è nata l’idea
di questo progetto “Taliban”?
Lo spunto l’ho avuto da “A” che è una rivista anarchica. Nel numero di
Aprile c’era un articolo di Maria Matteo che parlava della situazione delle
donne in Afghanistan e lì ho trovato l’elenco dei precetti che poi ho
utilizzato per questo lavoro-azione.
E’ stata una vera esigenza espressiva:
per me la poesia deve servire per trasportare la voce di chi non ha voce. Dopo
aver letto queste orribili leggi contro le donne non potevo ignorarle, dormirci
sopra! mi sono messo subito a scrivere; altrimenti a cosa serve la poesia! non
ho avuto esitazione a parlare con voce di donna: fare poesia significa anche
spogliarsi della propria anagrafe, della propria esistenza… delle proprie
miserie personali.
P.G.: Oggi in questo progetto si avverte un’atmosfera profetica, è un
caso o è il potere profetico della poesia?
La poesia ha un potere profetico. Intendo dire che mentre il
mondo dei media si muove sulla superficie, solo quando succedono le cose, la
poesia si muove appena incontra il problema: la sofferenza delle donne c’era
prima della guerra.
Se vuoi ti regalo un’altra profezia: quando questa guerra finirà, la
condizione delle donne non cambierà; l’Alleanza del Nord, se prende il
potere, avrà nei confronti delle donne lo stesso comportamento dei Taliban.
Il problema di questa
guerra nasce dai mercati, è l’oleodotto che deve passare di lì, è il
business dell’eroina, questa è la guerra alla quale ci chiamano a combattere:
per il business! la condizione delle donne non viene nemmeno presa in
considerazione! l’integralismo dei militari dell’Alleanza del Nord non è
pari e non è simile in tutto a quello dei Taliban, ma la condizione è la
stessa (le prime notizie ce lo confermano n.d.r.).
Anche in altri paesi come il Quwait e l’Arabia Saudita la
vita delle donne è soggetta a questi soprusi.
P.G.: Ti è capitato di guardare con occhi diversi il tuo
lavoro dopo l’11 Settembre, dopo la guerra?
Certo: ho avvertito l’urgenza del fatto che uscisse il libro, per rendere più
conosciuta nel mondo la condizione delle donne, ma ciò di cui mi occupo in
“Taliban” non è cambiato con gli attentati o la guerra.
P.G.: Che rapporto c’è (o non c’è) fra questi 32
precetti per le donne e il Corano?
La schiacciante condizione delle donne è propria di tutte le culture con un Dio
maschio, invadente, che detta assoluti, e con una struttura patriarcale; è
successo in altri periodi nel cristianesimo, o ancora oggi fra gli ebrei
ortodossi.
Io sono affascinato dalla cultura Islamica: l’Islam dei Kurdi, la cultura dei
Sufi… non si può parlare di una sola cultura islamica, è riduttivo e
ignorante.
Se lasci mano libera a Biffi cosa credi che possa combinare!? Dandogli il potere
vedresti la condizione delle donne a Bologna! Vedi come la Chiesa ha mandato dei
missionari a convertire le comunità dell’interno della Sardegna fino al 1936!
In Sardegna c’era una società matrilineare: le società nomadi pastorali
vengono dal culto della Dea Madre.
Fra il Corano e i precetti dei Taliban c’è la stessa distanza che vi è fra
il Vangelo e il Cardinale Biffi.
P.G.: Tu affermi che la poesia oggi, come altre forme d’arte, è
complice della società spettacolare basata sullo sfruttamento e già da tempo
ti sei “dimesso dalla cultura occidentale” (dall’introduzione a Taliban) e
lo hai dimostrato in ciò che fai, ma non hai paura che questo tuo grido contro
le leggi dei Taliban possa essere brutalmente strumentalizzato da chi oggi
festeggia la guerra?
Non ho paura di nessuna strumentalizzazione perchè le
posizioni sono chiare. Nell’introduzione stessa Taliban denuncia i motivi che
hanno dato origine a questa guerra, inoltre dico che “io non combatterò per
loro”: nè per il business di Bush, nè per quello di Bin Laden.
Bisogna uscire dalla logica male/bene, io mi pongo da osservatore attivo: dico e
prendo posizione.
Non sono anti-americano e né anti-islamico: sono contro i traffici
dell’economia imperialista americana e contro ogni integralismo.
Ancora una volta voglio dire con grande forza: “Non in mio nome”, “not in
my name” come diceva Julian Beck.
E’ vero che spesso anche l’arte che si propone con onestà intellettuale può
essere strumentalizzata; per evitare questo occorre prendere una posizione
eticamente chiara.
Se essere contro il potere del denaro americano significa essere anti-americano
allora lo sono, ma ho tanti amici in America... Non mi sento nè
strumentalizzato nè strumentalizzabile.
P.G.: La raccolta “Taliban” viene letta dal vivo e
diffusa liberamente, ma quando potremo trovarla sugli scaffali di una libreria?
Stiamo ancora definendo i particolari, comunque quando questo piccolo libro sarà
stampato i ricavi delle vendite andranno interamente devoluti aal RAWA (Women’s
From Afghanistan Revolutionary Association): un’importante associazione,
attivissima nel divulgare nel mondo la conoscenza della condizione delle donne
afghane.
P.G.: Cosa succede
durante la lettura pubblica di “Taliban”?
Dal vivo presentiamo TALIBAN, i trentadue precetti per le donne, come un
concerto di poesia, una “opera” musicale diretta da me (ma in modo
emozionale, con parole più che con gesti).
Il testo è un “canto” poetico e oltre alla mia presenza/voce, in scena c’è
Fabiola Ledda, che esegue un ritmo al tamburello fermo e costante, ipnotico, ma
nello stesso tempo dialogante; il tamburello è nella tradizione dionisiaca e
nei culti della dea madre, da cui noi sardi idealmente discendiamo come cultura,
la rappresentazione dell’imene femminile: il TAMBURO-FEMMINA. In
contrapposizione c’è un TAMBURO-MASCHIO (Maurizio Carbone) dalla voce
profonda e ossessiva. L’insieme si fonde con il lavoro dei due vocalisti,
Miriam Palma e Antonio Are (dalla gutturalità al canto lirico), che si
completano a vicenda creando un legame ed un’interazione continua con gli
altri elementi.
La persona che occupa pubblicamente un metro-quadro di mondo per trasportare
voci e storie di chi non ha voce, ha il dovere etico di farlo in modo esemplare.
Quando agisco con la poesia io mi prendo le mie responsabilità, ma il mio nome
deve essere dimenticato: è più importante il messaggio.
Io sono il trasportatore del messaggio.
Esso non nasce da me: esiste già.
Massimiliano Salvatori
Le voci della
luna - marzo 2002
intervista a cura di loredana
magazzeni
Che cos'è per te la poesia e qual è stata l'esperienza
più profonda ad essa legata?
è l'arte di professionalizzare il delirio, l'utopia, la visionarietà, e
rendere questo credibile nel sociale, ascoltabile... è il canto dell'essenza
che, per essere ascoltato, ha bisogno di ritmo
è la testimonianza che è possibile coltivare tensione di purezza, bellezza,
autonomia interiore...
è la condizione dell'imprendibilità dello spirito che non può essere ridotto
in forme
è il trasporto delle voci di chi non ha voce, la testimonianza della diversità
e della differenza... la pratica della non-omologazione, il senso che acquista
direzione sconosciuta
e tanto altro ancora
l'esperienza certamente più
importante, quella che mi ha dato coraggio, è stata la partecipazione a One
World Poetry, il festival mondiale di poesia di Amsterdam (che ora non esiste più)
avevo 33 anni
ho incontrato alcuni fra i più grandi poeti del mondo
è stata la mia iniziazione
Difetti e pregi della poesia italiana
rispetto all'esperienza dei poeti stranieri che hai conosciuto in questi anni,
possibili soluzioni...
I difetti ed i pregi della poesia italiana contemporanea sono quelli di tutte le
poesie "occidentali" contemporanee... né più, né meno...
Girando per festival in europa mi rendo conto che esiste uno standard omologante
e sempre più interfacciato fra letterature
I pregi eventuali vengono dal rapporto con la grande tradizione di ogni paese,
nella continuità o nella rottura... cose queste che producono
"posizioni".
Naturalmente ogni paese fa il conto con la propria tradizione
Purtroppo quella italiana degli ultimi due secoli ha molti punti di oscurità e
di debolezza, soprattutto se si fa una comparazione con altre parti.
Mi spiego: che tradizione si creava in Italia mentre in Francia c'erano i vari
Baudelaire, Rimbaud, Mallarmé, Verlaine, Apollinaire, Artaud... e via così...
O mentre in Russia c'era Majakowskij?
Che tradizione si poteva creare in un paese cattolico, crociano, fascista?
La poesia italiana contemporanea ancora paga queste origini
Inoltre, ad aggravare tutto questo, trovo che oggi ci sia poco coraggio nella
scrittura occidentale contemporanea, e quindi anche in Italia
L'occidente ha progressivamente perso la propria relazione originaria con il
canto, il vero senso della poesia... e questa si è cristallizzata sul foglio
scritto, ha perso il suono ed il ritmo, è diventata un'espressione
prevalentemente mentale, senza riscontri reali sulle sue capacità comunicative
questo ha determinato una posizione ristretta ed auto-referenziale in cui chi si
fa chiamare poeta è anche colui che tutela e determina sia le modalità
espressive che quelle di fruizione, imponendole con un sistema che ne supporta
la sua inoffensività, senza rischi, protetto da barriere...
allora la distanza dal rito è abissale
il pubblico è passivo, disorientato, incapace di opporsi, trascinato com'è in
un territorio di estraneità e di astrazione
la poesia diventa per "addetti", si esprime per codici, ne puoi sempre
prevedere
ogni sviluppo...
ed annoia...
così la gente se ne distanzia, aiutata anche dal fatto che questo mondo sembra
oggi non aver bisogno di poesia (parlo della generalità, ovviamente...)
Nelle società tradizionali ancora il poeta è riconosciuto dalla gente come
voce rappresentativa, portante, espressiva della comunità: dice l'inespresso e
l'inesprimibile, è autorizzato a parlare "dell'oltre" che è capace
di vedere. E la comunità gli revoca l'incarico se non fosse più capace di
sostenerlo.
Qui in occidente il poeta (parlo sempre in generale) si auto-nomina e porta il
proprio isolamento in un continuo riavvolgersi su sè stesso: perde la capacità
di narrare perché, spesso, non ha niente da dire oltre le proprie miserie
personali
Guardati attorno: pensa a quale presunzione spinge lo scrivente occidentale che
si pone al centro di un mondo essendo incapace di rappresentarlo.
E' coincidente con l'arroganza espressa dal danaro che lo tutela, lo stesso
delle multinazionali...
Nel passato recente solo i Beat hanno rotto questo processo rendendosi
non-funzionali alla scienza di riproduzione del controllo sociale, opponendosi
con intelligenza
Poi sono venuti gli epigoni, che, come tutti gli epigoni, hanno trascinato nella
mediocrità il livello espresso precedentemente...
Succede sempre così, lo sappiamo e ne siamo osservatori già preparati
Per fortuna esiste ancora gente come Jack Hirschman, che ha migliorato la
tradizione,
o come Serge Pey, che oggi in occidente è per
me il poeta che meglio ha saldato questi due emisferi, universalizzando il
proprio canto.
Ne cito solo due sapendo che non sono gli unici, ma sono fra i pochi...
Oppure si deve andare fuori, lontano, ai margini, nelle periferie: dove non c'è
il "Potere" trovi ancora molta gente che sa narrare e cantare
Qui in Italia forse solo i diversi come Pasolini, gli estranei che stanno
arrivando, le donne come Patrizia Vicinelli, i socialmente marginali possono
risollevare la situazione.
A patto che abbiano una reale coscienza critica rispetto al modello 'di potere'
assimilato.
CARTA n. 6 del 2002
Da un’idea
di Alberto Masala
Taliban,
fra canto e poesia
Trentadue
precetti proiettati su uno sfondo, quelli del regime talebano imposti alle
donne: fanno da contraltare, per ognuno, altrettante vivide visioni poetiche che
in successione dicono la segregazione con parole potenti e penetranti.
E’ Taliban, un “concerto di poesia” diretto dal
poeta sardo Alberto Masala, voce-guida
recitante accompagnata dalla scansione ritmica costante del tamburello (Fabiola
Ledda) e dai vocalismi di due straordinari interpreti: Miriam Palma e Antonio
Are.
Masala, riuscendo a guardare con occhi nascosti di donna
ostaggio, rende con la dimensione dell’ascolto la condizione di schiavitù e
consegna alla forza puntuale delle parole la trasposizione di ogni spietata
prescrizione in un correlato squarcio di sofferenza e in un fermo grido di
libertà, assumendone e rivelandone identità e dignità.
Il libro Taliban, i trentadue precetti per le
donne, con introduzione di Jack
Hirschman, è uscito in America e sarà a breve
pubblicato anche in Francia (Serge Pey ne cura l'edizione), in
Italia pare non interessi agli editori.
Il poema, nato e messo in scena prima che la terra afgana
diventasse l’ultimo obiettivo bellico dei potenti del mondo, nasce come
sostegno alle istanze di liberazione delle donne afghane.
I guadagni ricavati dalle vendite sono
infatti destinati interamente al RAWA (Women's from Afghanistan Revolutionary
Association).
Silvana Fracasso
Grotta
della vipera
Sarebbe
curioso stimare la quantità d’interventi più o meno autorevoli prodotti su
ispirazione di quello che, dopo i fatti dell’11 settembre 2001, si può ormai
considerare un cliché verbale e concettuale: “dopo l’undici settembre”. E
prima dell’undici settembre? Prima, Alberto Masala, “contemporaneo
con radici”, ha prodotto i versi di Taliban, i trentadue precetti per le
donne. In principio un concerto di poesia (esordio nell’aprile del 2001,
festival NapoliPoesia, poi in giugno a Nuoro, Mediterranea PoesiaAzione), solo
in seguito espropriato all’oralità - dimensione particolarmente cara al suo
ideatore - per le autoprodotte Edizioni Totalmente Libere (al momento se ne può
fare richiesta all’indirizzo: nad3824@iperbole.bologna.it).
Ora questo progetto, a dispetto della sua clandestinità, ha trovato la strada
di un’edizione americana curata da Jack Hirschman, uno dei massimi poeti
viventi. Dell’edizione francese si occuperà invece Serge Pey, altro grande
protagonista della poesia contemporanea internazionale.
Taliban
prende
dichiaratamente le mosse dalla pubblicazione dei 32 precetti talebani contro le
donne sul n. 271 di A rivista anarchica (vedi www.anarca-bolo.ch)
ad opera di Maria Matteo. Masala riprende ogni prescrizione riportandola sulla
sua pagina e facendo seguire il proprio testo (ma più che di trentadue
composizioni si può parlare di altrettante strofe di un poema). Non si tratta
però di un procedere epigrafico: gli stessi precetti vengono promossi ad
agghiacciante testo poetico. Si ha così sotto gli occhi un’ulteriore
testimonianza della natura intertestuale di molta arte poetica, che in questo
caso si realizza nella dialogicità instaurata tra la nuova creazione e il suo,
alla lettera, pretesto. Masala istituisce un toccante dialogo tra le tremende
sanzioni talebane e le parole-dramma di donne cui egli dà voce; e chiamando le
donne afgane ad esprimersi in prima persona, il poeta attiva già l’infrazione
del precetto n. 3: Divieto di parlare o dare la mano ad uomini che non siano
mehram (padre, fratello o marito). Perciò non possiamo che essere grati ad
Alberto Masala per aver dato alle stampe Taliban, così che quella
voce possa giungere a un maggior numero di persone, come ci si augura che
accada. E anche siamo grati al poeta ozierese-logudorese-sardo-italiano-euromediterraneo-…
(“globale” no, forse non gradirebbe l’interessato) per averci dato una
nuova prova di sensibilità, poetica e civile. A proposito di senso civile: non
sarà accessorio informare che i guadagni dalle vendite del libro sono destinati
interamente al RAWA, Women's from Afghanistan Revolutionary Association.
Giancarlo Porcu
Rubicondor
On Line. Bookshow
Date: Fri, 17 May 2002
Alberto Masala, Taliban. I trentadue precetti per le donne
Introduzione
di Jack Hirschman.
Versione inglese di Jack Hirschman e Raffaella Marzano.
Edizioni Totalmente Libere / minores - Bologna, marzo 2002
Euro 5,00 - ISBN 88 900770 0 X
Info: ETL - via Santa Caterina, 41 - 40123 Bologna
nad3824@iperbole.bologna.it
Era il maggio 2001 - e l'11 settembre, quindi, ancora lontano - che a Torino,
alla Fiera del Libro, Alberto Masala, che conoscevo personalmente in
quell'occasione, mi consegnò uno di quegli opuscoletti confezionati con
passione artigiana che tutti i poeti hanno prima o poi messo in circolazione,
nell'attesa o assenza di una pubblicazione vera e propria. Il titolo era "Taliban.
I trentadue precetti per le donne" e - a riprova che, assai prima che
l'attacco alle Torri Gemelle prima e la guerra poi scatenassero l'attenzione
planetaria, pietà e denuncia per quanto avveniva in Afganistan erano già cosa
ben viva - si trattava di un poemetto dolente su quanto le donne musulmane erano
e sono costrette a subire per via dell'ortodossia coranica (o dell'estremismo
islamico, per usare una formula più "corrente"). Quell'opuscoletto è
divenuto ora un libro delle Edizioni Totalmente Libere, con testo inglese a
fronte, a cura di Jack Hirschman e Raffaella Marzano. Lo scrittore anglosassone
firma anche la prefazione al volume, ma quel che più vale sottolineare è che,
oltre a un'edizione americana presentata da Ferlinghetti alla City Lights di San
Francisco alcune settimane or sono, "Taliban" sta per uscire anche in
Francia, e al suo esordio è andato letteralmente a ruba, in Europa come
oltreoceano. Il ricavato delle vendite è devoluto al Rawa, il movimento di
liberazione delle donne afgane, che l'8 marzo scorso hanno letto pubblicamente i
trentadue precetti riscritti poeticamente da Masala a Quetta, in Pakistan.
"Per me è come il Nobel", commenta l'autore che, pure abituato per
storia e passione a una vita di viaggi e incontri, senza confini e frontiere, si
trova ora - grazie a "Taliban" - come al centro di un'onda che cresce.
Leggere questo poemetto non solo rende merito alle capacità e alla carica
suggestiva e immaginifica dell'autore, ma ci introduce alla presenza - fisica -
di quelle donne oppresse e prigioniere, strappa (forse più all'oleografia
occidentale che a loro stesse) il burqa che le ha rese invisibili alle
coscienze.
(silvia
tessitore)
Terra
di nessuno
Pollicino - Briciole di verde
Le
mille lingue della poesia
di Roberto Dall'Olio
Senza respiro. Un senso di asfissia che non concede
nulla al ricamo dei sentimenti, una spietatezza di parole che prima l'autore ha
sperimentato su di sé, diffondono i versi di "Taliban", poema civile
di "un importante poeta italiano" (Alberto Masala) come dice jack
Hirschman, bardo della Beat Generation, nella sua introduzione al libro. Solo
così poteva essere data voce a chi non ha voce. Senza inventare nulla, senza
concedere neppure un anfratto alla coscienza salottiera della poesia da
scaffale. E si può parlare di bellezza solo alla fine, nei versi che congedano
il poema: "la donna che dorme nel cielo/appare in nascite fugaci/indica
lampi ad ogni primavera/ ... e noi siamo felici/perché gli uomini non possono
vederla". Poema composto da trentadue testi in riferimento agli altrettanti
trentadue precetti che il regime talebano aveva imposto alle donne afghane. Sono
testi che diramano il ruvido coraggio della contemporaneità trasferendo il
problema della segregazione di genere nel cuore della coscienza maschile e
occidentale. Ambedue ancora tarlate da un nichilismo bellicista che ne inquina
le aspirazioni più profondamente democratiche e non violente.
Alberto Masala, poeta della contaminazione, che mescola il sardo (sua lingua
madre), l'italiano, il francese, l'inglese e il castigliano, ha scritto
"Taliban" molti mesi prima dell'attacco alle Torri Gemelle di New York
e al Pentagono di Washington, con una veggenza anticipatrice che irrompe nel
tenore sovente manierato dell'impegno letterario contemporaneo. Si diceva del
coraggio. Anche il coraggio dell'ingenuità della parola poetica a fianco di un
serrato confronto con l'habitus razionalmente difensivo della nostra logica
quotidiana. Habitus che è indispensábile al sistema di controlli cui sono
sottoposte molte delle vitalità odierne. La mano invisibile del capitale,
dell'Impero, che ha straordinarie similitudini col dio nascosto dei Taliban per
cui Masala scrive alla prescrizione 14 DIVIETO DI LAVARE I PANNI Al FIUMI 0 IN
LUOGHI PUBBLICI:
"Il nostro dio ci spia/ mi circonda/si nasconde nei cani/è
nell'acqua che scorre/ogni giorno/bisogna lavare le intenzioni".
Un sistema di controlli che mortifica il desiderio per alimentare i desideri
oggettuali, mortifica il sogno per alimentare il consumo di oggetti :
"Accanto ho sempre un dio …prosciuga il mio desiderio/ piantando dei
coltelli nei miei sogni/perché non vedano la luce/non ho più sonno/non ho più
sonno/non ho più sonno/ ho il ventre pieno di coltelli", Precetto 13
DIVIETO DI RICEVERE CURE DA MEDICI MASCHI.
"Taliban" è uno spettacolo vero che Masala porta in giro
avvalorandosi della collaborazione musicale di Fabiola Ledda ed Edi Bianco
(strumentale), Miriam Palma e Antonio Are (vocale). Uno spettacolo assolutamente
non in linea con il sistema dello spettacolo quale siamo avvezzi in Italia e che
è quanto mai importante in questo terribile momento di guerra aperta (in quanto
la guerra nel Golfo era presente anche prima del suo scoppio mediatico), di
Guerra del Golfo 2 come viene già definita senza nessuna vergogna per la sua
serialità. Anzi viene proclamata guerra umanitaria per "esportare" la
democrazia. La democrazia come merce, per decontestualizzare nuovi territori,
per omologare le forme artistiche, urbanizzare il Sud del mondo. La democrazia
non si esporta, e soprattutto non si esporta la nostra democrazia parlamentare
che non è affatto "La Democrazia", ma solo il modello democratico
parlamentare quale si è affermato in Occidente, la cui crisi è oggi palese e
problematica. Masala questo l'ha capito bene, infatti è un poeta che si radica
in una coscienza vigile e proprio per questo consapevole dei processi in atto
sopra descritti, una coscienza che non ruota attorno al solito ego poetico, ma
cerca di radunare forme altre di resistenza, promuove, dà voce a chi non ha
voce.
E' infatti "un poeta dell'esortazione, un anarchico con coscienza di
livello culturalmente internazionale... e tanto catalisticamente avanti da
essere progenitore come lo sono stati Antonin Artaud in Francia e Julian Beck
con il Living Theater negli U.S.A. In breve, è coinvolto in una poesia di
provocazione - come dice, Pasolini - ma con questa differenza: dove Pasolini
portò le sue idee di provocazione sullo schermo, e fu ... un attivista
dell'intelletto, Masala ha insistito nella carica orale della performance
pubblica del suo lavoro, che è in gran parte omaggiante e litanica, e, sì,
esortativa è la parola giusta". Parole di Jack Hirschman dall'introduzione
a " Taliban " per l'edizione statunitense del poema . Lo slancio etico
di cui Masala ha caricato i suoi versi, per nulla incastrato in equivoci ed
ambivalenze moralistici, porta il suo testo e il suo spettacolo alle radici del
senso stesso delle nostre gerarchie spacciate per necessarie, per pilastri
dell'edificio culturale, quando altro non sono che meccanismi dell'imbragatura
sociale il cui fine è la perpetuazione delle disuguaglianze. Uno slancio che
dunque propone la poesia nell'ottica decisiva e innovativa della pratica
ecologica dell'arte.
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