Angurie
e meloni
di Davide Bregola
Con
questo intervento vorrei dare delle suggestioni e iniziare a ragionare assieme a
chi leggerà il mio intervento sulla questione dell’immigrazione e più
propriamente sul disegno di legge Bossi-Fini. * Fatti
di cronaca recente avvenuti nella “democratica” provincia “rossa” di
Mantova: Da “La Voce di Mantova” di giovedì 13 giugno 2002: Blitz dei carabinieri ieri mattina all’alba nella valle dei meloni per
rintracciare eventuali clandestini. I Carabinieri della stazione di Sermide,
Magnacavallo, Felonica e Ostiglia hanno effettuato ieri all’alba un controllo
nei casolari fatiscenti dell’area della coltivazione del melone per
riscontrare l’eventuale presenza di clandestini. I Militari ne hanno trovati
18, tutti di nazionalità marocchina. Per loro, oltre alla denuncia per
infrazione alle norme dell’immigrazione, sono scattati diversi provvedimenti. Queste
non sono storie di guerra o narrazioni medioevali, sono casi, avvenuti pochi
giorni fa, di uomini ridotti in schiavitù. Guarda caso si stanno verificando
controlli e denuncie solo adesso che la campagna della raccolta di frutta e
verdura come il melone o il radicchio, fonte redditizia per la zona, sta
finendo. * Non
sono i politici o i disegni di Legge come nel caso della Bossi-Fini, che
producono l’intolleranza, al contrario essi sfruttano un fondo
d’intolleranza diffuso che già esiste e forti della popolarità di alcuni
atteggiamenti cercano di assecondare le intenzioni dei loro elettori o di
cavalcare un pensiero diffuso per creare corrispondenza tra sentire comune e
giurisdizioni. * Brano
tratto da: Creoli meticci migranti
clandestini e ribelli di A.Gnisci Meltemi (1998) Pag. 71-72. Il
migrante –da est a ovest e da sud a nord- è l’unico avventuriero (pacifico)
del nostro tempo. Egli/ella decide, per una questione di dignità, di giocarsi,
rischiare e avventurare la propria vita, senza assicurazioni e garanzie. Solo da
lui/lei –se si ha il talento dell’ascolto narrativo e antropologico- si può
venire a sapere che cosa è e quanto vale oggi l’esistenza umana; egli,
infatti, è il soggetto che narra dal luogo più rischioso e più vicino alla
sventura, alla sparizione e alla morte. Solo il migrante può narrare il caso
umano del nostro tempo con una lingua che può aspirare ad essere mondiale,
perché egli/ella parla dall’antro della sibilla più povera: da sotto i ponti
delle grandi città occidentali e africane, dal buio ventoso delle stazioni
ferroviarie, dagli incroci delle vaste strade metropolitane dove si protende e
offre nello spazio accelerato e ansioso di un cambio di colore del semaforo,
sulle vie antiche e degradate della prostituzione. Eppure anche il migrante può
diventare un nuovo modello di uomo e donna del mondo. Migrare è un gesto
originario e fortissimo che sfonda il chiuso mito mediterraneo di Ulisse e lo
lascia indietro. Migrare è un gesto arcaico del ripudio. […] Il migrante
decide di deviare dalla propria terra-madre, culla e cuccia sicure ma scarne
dell’esistenza, e farsi strada da sé. […] Migrare è il gesto trascendente
del coraggio, contro la zavorra discendente della disperazione. Il migrante
perciò ha diritto al rispetto più alto. Egli/ella è portatrice della
“sacralità”, laica e mondana del nostro tempo, trasferita interamente
nell’umano. Egli/ella si sta giocando la vita e ha battuto, per ora, la
violenza e la morte. E’ il nostro vessillo, anche se dovesse perdere. In
tema con il brano di Gnisci, un fatto di cronaca recente avvenuto nella
“democratica” Italia: da “La Stampa” di martedì 2 luglio 2002:
-Brindisi- Tragedia dei disperati sul Tir
dei cocomeri –due clandestini curdi muoiono asfissiati, altri due gravi. Non
importa come: sui gommoni che sfrecciano sull’Adriatico pilotati da scafisti
assassini pronti a gettare in acqua anche i bambini. Se nelle stive delle navi o
nei doppifondi dei camion. Quattro giovani curdi questa volta si erano nascosti
in un Tir imbarcato su un traghetto. Erano nascosti fra le angurie. Due sono
morti asfissiati, gli altri due sono ricoverati nell’ospedale Perrino di
Brindisi. Le loro condizioni sono gravi. E’ questa l’ultima tragedia
dell’immigrazione in Puglia, regione distesa nell’Adriatico, come una grande
banchina su cui approdano ogni giorno immigrati di qualunque etnia.[…] Questi
non sono casi di magnaccia o spacciatori che uccidono per regolare i conti tra
bande. Queste non sono storie di violenze fatte a cittadini inerti e
inconsapevoli che si sono visti entrare in casa loschi individui che li hanno
tenuti come ostaggi mentre saccheggiavano le loro case. Sono storie di persone
con una speranza, magari un sogno, e cercano, con ogni mezzo necessario, di
esaudirlo. |