La
sabbia in movimento
sabbia la sabbia sabbia…
La sabbia è la parola
in movimento nel tempo.
E nomadi del deserto
sono i nostri scrittori,
narratori di parole
scrittori della migranza.
"Parole
di sabbia" raccoglie testi di scrittori di diversa formazione e
provenienza, che tuttavia hanno in comune la condizione della "migranza",
intesa come spostamento, movimento, attraversamento di luoghi e
culture in una prospettiva sempre aperta.
Il migrante è colui "che parte - scrive Kossi
Komla-Ebri - "frantuma tempo e affetti…egli rompe con la sua terra,
i suoi paesaggi, l’aria, gli odori, i profumi, i colori, i rumori, i
suoni familiari. Egli si porta a tracollo d’anima, un brandello della
sua vita condito con l’acidulo fardello della nostalgia…Colui che
parte, va ad affrontare, a vivere un’altra vita. Egli, sotto altri
cieli, entra nei panni di un altro personaggio, accede su un altro
palcoscenico per interpretare un altro se stesso in un nuovo contesto:
altro clima, altro paesaggio, altre conoscenze, altri affetti, altri
suoni, odori, rumori, altri ritmi. (Intervista in Voci dal silenzio).
Il migrante è l'eterno viaggiatore nel senso che il suo approdo non è
definitivo e il suo percorso non è mai esaurito. "Anche fermo in un
posto - afferma Tahar Lamri - compie in realtà l'eterno viaggio del
ritorno verso di sé ed è conseguentemente sempre pronto a perdere la
propria identità senza alcun timore, coltivando in segreto l'identità
primordiale" (Intervista, Fara Editore).
Lo scrittore della migranza trasferisce questa
esperienza - sia quella dell'arrivo che della partenza -
nell'immaginario letterario, traducendola in "parole nuove" e
traendo da essa contenuti e linguaggi inediti. E' un pellegrino della
voce, "un trans-nomade
che porta il senso oltre i confini (territoriali e di pensiero), ne passa
i limiti, abbatte le barriere smascherandone la matrice dell'imposizione.
E', in chiave attuale, il comunicatore orizzontale che discende dai
cantori delle oasi, i trovatori, gli improvvisatori di tutte le
culture" (Alberto Masala, Taliban).
Senza dubbio, possono essere ricondotti alla comunicazione
orizzontale, di cui parla Masala, i racconti di alcuni autori presenti
nell'antologia, che si richiamano direttamente ed esplicitamente alla
narrazione orale: da quella dei meddah del Nord Africa e dei Tuareg del
deserto (Tahar Lamri) a quella della tradizione sufi (Yousif Latif Jaralla)
o dei griot africani (Kossi Komla-Ebri), intrecciandosi in maniera
originale e inedita con esperienze che
appartengono alle culture popolari delle regioni in cui questi
scrittori vivono ed operano. Tahar Lamri, nel racconto Il pellegrinaggio della voce costruisce la sua narrazione su questo attraversamento di
mondi e di linguaggi, presentando in modo simmetrico il viaggio di tre
"improvvisatori di culture", appartenenti a realtà diverse, che
alla fine si ricongiungono metaforicamente nella comune speranza di
"un mondo dove c'è ancora posto per le antiche storie". In
fondo, i cortili, dove i "meddah" raccontavano le storie, non
sono diversi dalle aie delle campagne padane, entrambi "luoghi dello
scambio e dei sentimenti. Luoghi delle risa e dei pianti". Anche il
linguaggio riproduce queste esperienze di scambio, mescolando forme
linguistiche diverse (arabe e italiane)
e utilizzando espressioni dialettali (romagnolo, mantovano,
veneto), che hanno talvolta una funzione autonoma, in altri casi
rafforzano, alla maniera del parlato ( Che ora sono? C'or el? - Hai
pensato alla radio? Te mai pinsè alla radio?), la lingua della
scrittura.
Analoga operazione compie lo scrittore iracheno Yousif
Jaralla che, in entrambi i suoi racconti (I fiumi di altrove e Gli
amici del narciso), rivela una spontaneità narrativa che affonda le
sue radici nella tradizione orale mediorientale e si innesta in una
cultura, quella siciliana, in cui la presenza araba costituisce ancora
un'eredità importante. Da questa contaminazione nasce una miscela
espressiva originale, dirompente, che sovverte regole e convenzioni della
lingua italiana, in un gioco di sovrapposizione di registri linguistici e
piani narrativi diversi. La costruzione sintattica e l'uso dei tempi verbali sono
continuamente piegati alle esigenze della voce narrante, che sembra
seguire un sotterraneo ritmo musicale, alla maniera dell'oralità sufi,
sottolineato dalle continue ripetizioni (a volte veri e propri stilemi - e…e…e;
Senti…senti; Il sangue… sangue…sangue…) e da frequenti voci
allitteranti (cesso, cesso, successo, progresso, processo, sesso, sesso).
Questi adattamenti della lingua italiana sono quasi sempre funzionali alla
narrazione, anzi ne costituiscono il collante emotivo ed espressivo,
rendendola compatta e nello stesso tempo ricca di spunti evocativi.
Anche il racconto di Kossi Komla-Ebri si richiama alla
tradizione orale, anzi possiamo dire che questa è il vero soggetto della
narrazione. La parola nella cultura africana è una cosa sacra,
costituisce lo svelamento della realtà, o forse qualcosa in più:
"Non ci si può parlare il mattino senza essersi lavati la bocca,
perché essa è il tempio della parola…La parola e il saluto sono cose
sacre. La parola ha potere taumaturgico: può sconfiggere la morte ma può
anche darla" (Oralità, Convegno Culture della migrazione e
scrittori migranti, Ferrara 2002). Su questo terreno l'autore
costruisce un racconto che ha come protagonista un giovane figlio di
migrante che, diviso tra due culture, quella della sua reale formazione
(l'Italia) e quella di provenienza (l'Africa), sente spontaneamente
prevalere la prima, pur avvertendo il peso della cultura della terra
d'origine. Il dialogo con il padre, che è immaginario e rimane comunque
virtuale fino alla fine, segue due percorsi diversi: nella prima parte si
caratterizza come monologo tutto centrato sulla condizione di sradicamento
del giovane; nella seconda, invece, padre e figlio si incontrano e il
contatto si stabilisce proprio attraverso la mediazione della parola, che
assume nel contesto un valore taumaturgico, rappresentando la via di
accesso alla comprensione reciproca. Le forme narrative, modellate su
quelle della tradizione africana, con il ricorrente ripetersi di
espressioni proverbiali, accompagnano il progressivo avvicinamento tra
padre e figlio: una sorta di percorso di formazione, che investe entrambi
i soggetti.
La centralità della parola si avverte, pur con sfumature
diverse, anche nei testi della brasiliana Christiana de Caldas Brito e
dell'italo-argentina Sandra Clementina Ammendola.
Il destino dello scrittore migrante - scrive Christiana de
Caldas Brito - è quello di
"abbandonare il proprio luogo di origine, come
gli uccelli, per vivere altrove. Con due grandi differenze: gli uccelli
ritornano al posto da dove hanno migrato; raramente, gli esseri umani. Gli
uccelli mantengono le proprie ali nel paese di arrivo, ma gli scrittori
migranti devono acquisire nuove ali. E le ali degli scrittori
migranti sono le loro parole".
La parola, nei racconti di Christiana de Caldas Brito,
diventa memoria delle origini, ali che non riescono a volare (Le mie
labbra tornano ad essere frontiere chiuse - Linea B), testimonianza
dello sradicamento (Le ho seppellite tutte. E adesso ho un cimitero di
parole dentro. Sono vuote di ricordi le parole che uso al lavoro, alla
metro, negli incontri per la strada. Parlo con la gente, senza toccare le
parole di dentro - Linea B), "saudade", struggimento che
accompagna ricordi ed eventi lontani (Che fare con le parole sepolte
che non riesco a dimenticare, che di notte cantano come cicale, parole
impazzite che odorano di mango? - Linea B). Ma le parole sono
anche "lampi, accordi musicali improvvisi", canto, motivo per
costruire un gioco surreale, come accade ne Il mendicante, in cui
il protagonista raccoglie parole di ogni genere, cercando disperatamente
quelle appropriate che possano dare un senso alla vita. Il
mendicante-poeta fa di questa ricerca un attraversamento nel mondo delle
parole, cogliendo significati nascosti, forme, colori, dimensioni che
sfuggono agli altri. Il mendicante di parole è un po' come lo scrittore
migrante che riesce a rappresentare aspetti inediti della realtà, perché
la sua condizione lo proietta al di là della routine, delle consuetudini,
del ripetersi scontato degli eventi. "E' un bambino capace di
guardare con stupore quello che agli altri non sorprende più".
Sandra Ammendola,
argentina di nascita e calabrese per parte di padre, sottolinea con la
parola lo sradicamento dovuto alla sua doppia origine, "figlia
d'emigrato, esiliata, emigrata ancora". Questa doppia origine affiora
sistematicamente nelle esperienze dei suoi personaggi, continuamente in
bilico tra "un lasciare e un trovare ripetuto, circolare".
Sono storie nelle quali
la parola diventa l'elemento di continuità tra due mondi, tra due
appartenenze che convivono
in un equilibrio
sempre instabile, "una voce di ricerca nella memoria" in grado
di esprimere la circolarità delle origini attraverso
il racconto dei piccoli eventi quotidiani: una lettera, un regalo,
una telefonata.
L'interpretazione che noi offriamo dei racconti raccolti in
"Parole di sabbia" è certamente solo uno dei possibili approcci
di lettura; ci sono altre chiavi interpretative e ed altre modalità di
analisi, che lasciamo naturalmente individuare al lettore. Ci sembra
tuttavia giusto sottolineare una novità importante di questa antologia:
la presenza di scrittori che, pur nella diversità dello stile e delle
tematiche trattate, si caratterizzano per un linguaggio letterario non
convenzionale, proponendosi come protagonisti di una nuova idea di
letteratura migrante, transnazionale e transculturale.
In questo senso,
diventa significativo il contributo di alcuni poeti, italiani e stranieri,
accomunati agli autori dei racconti dall'adozione di un linguaggio
di confine che scavalca frontiere, colma distanze, affida all'universalità
del canto e dell'ascolto della parola la costruzione di un'identità
aperta e plurima.
Questi autori sono: Carmine Abate, "transfuga
linguistico", come egli stesso si definisce; Hawad, poeta tuareg in
cui rivivono tutte le suggestioni della
tradizione orale che appartiene agli uomini del deserto; Alberto
Masala, che fa della mescolanza (sardo, italiano, francese, inglese,
castigliano) uno strumento di liberazione e di difesa da ogni tipo di
omologazione; Serge Pey, sciamano
che cavalca le pulsioni del respiro del sangue.Con lui la poesia batte i
piedi, diventa vertigine e svuotamento di ogni fibra del corpo. Jack
Hirschrman, definito da Poet News " il più importante poeta
vivente."
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