Nomadi in campo di Roberto Costa
Padova: al “campo nomadi” di S. Lazzaro
Cittadini italiani senza nessun diritto  

Campo S. Lazzarom è uno dei due campi nomadi di Padova, situato su un’area asfaltata compresa tra l’argine (del Piovego) e la strada, dalla quale è separato da un deposito d’auto dismesse. E’ in funzione dal 1998, vi abitano 150 persone, tutte stanziali, fra cui una sessantina di bambini. Sono Sinti Taic, Rom Larvati e Rom Serbi.
La signora Franca, appartenente a una famiglia Sinti Taig, ci spiega che i Taic, di origine tedesca, sono in Italia da generazioni e quindi sono cittadini italiani: i suoi figli hanno fatto il militare. Prima di fermarsi stabilmente lei ed il marito facevano i giostrai tra Piemonte, Lombardia e Veneto. Due dei suoi nove figli abitano ancora con lei ed un altro ha sposato una gagè (non zingara). Franca ha trovato occupazione in una cooperativa di pulizie e lavora tre ore di mattino così il resto della giornata può occuparsi della famiglia. Avere un posto fisso dove abitare è più comodo, dice convinta, ma questo campo è male organizzato e la vita è dura, d’estate l’asfalto brucia e non c’è neanche un albero. Poi siamo in troppi ed è difficile andare d’accordo, si litiga per i bambini, per i bagni, per le bollette. Speriamo che il Comune ci dia la possibilità di vivere in modo più decente. Anche la famiglia Parusati denuncia la promiscuità dei bagni e delle docce: Non è igienico vivere così, si fa la fila per andare in bagno e l’acqua delle docce è spesso fredda. Non possiamo vivere peggio degli animali. Il Comune ha stanziato dei soldi ma non ha chiesto a noi cosa è necessario per sistemare il campo.

Nei container vive un gruppo di famiglie di Rom fuoriusciti dalla ex-Jugoslavia. Gli uomini sono scappati perché obiettori militari – la cultura rom, infatti, rifiuta la guerra. La loro doveva essere una sistemazione provvisoria di sei mesi, invece sono qui già da quattro anni e fanno fatica a adattarsi perché in Jugoslavia abitavano in casa ed avevano un lavoro fisso. Parlano bene di Tito, mentre di Milosevic hanno un pessimo parere. Lavorano in fabbrica e se qualcuno dice di trovarsi bene, qualcun altro parla di sfruttamento. Tutti vorrebbero andare via dal campo, una signora afferma che vivere nei container è dura: Non c’è spazio, si dorme tutti insieme, d’estate si muore dal caldo, d’inverno di freddo e si litiga con gli altri per via dei bambini.

L'altro gruppo di famiglie, Kalderas e Stoiko (Rom Harvati), ripete con forza anche maggiore l’asprezza della vita nel campo: mancano gli spazi per i bambini, i litigi scoppiano anche per questo, i bagni fanno schifo. Come possono pretendere, dice Gigliola, che i nostri figli siano puliti a scuola se non possiamo lavarli? Al mattino si fa la fila ma dopo tre persone finisce l’acqua calda. Ci sono anche i topi, le zecche e le pantegane che di notte spaventano i bambini. E poi continua Alessio, il marito: Siamo cittadini italiani, andiamo a votare, facciamo il militare e non abbiamo nessun diritto; cerchiamo lavoro ma non ci vogliono, così però non possiamo continuare…

 


Torna alla prima pagina