Ci sono parole che mentre le senti scivolare via, mentre le guardi
scorrere e le pensi perdute, come la sabbia s'insinuano fra le pieghe
della mente e, invisibili, restano, testimoni eccentriche di altro che
il pensiero non aveva contemplato, come quando la pioggia deposita sulle
città la sabbia del deserto.
Le parole della raccolta declinano in prosa e versi un «esilio del
senso», «un altro modo di abitare il mondo»: sono parole migranti che
traghettano il senso da un esilio all'altro nel perenne attraversamento
dell'«eterno viaggio del ritorno verso di sé». Nella fatica delle
frontiere attraversate, nel dolore delle parole trascinate lontano,
seppellite dentro, nel cimitero del silenzio, tracciano linee sottili di
storie invisibili, lasciano intravedere tenaci possibilità nuove di
mondi possibili. Perché «da nessuna parte è il luogo».
E' un poeta statunitense, «il più importante poeta vivente d’America»
secondo il Poet News, Jack Hirschman, espulso per la tenace opposizione
alla guerra in Vietnam dall'università di Los Angeles, a raccontare i
giorni sfatti di chi non ha luogo in nessun posto, di quelli costretti a
essere «più miserabili dell'essere miserabile - schiacciati, benché
la nostra lingua possa / sperare così profonda e piangere così piena
di stelle», quando «la notte con le unghie / gridava contro il ferro /
i graffiti di / moribondi rantoli da dentro / il forno».
Cantano la libertà dal «fardello di certezze, / visioni affrancate /
da nascere / sul muso dell'aurora» i versi di Haward, erede della
cultura nomade dei Ikazkazen (tuareg del Sahara centrale) che muove le
parole al ritmo del movimento.
Poesia d'azione, scritta su bastoni di castagno, pulsione di respiro e
sangue, è il Contributo alla creazione di un partito del ritmo
di Serge Pey, originario dell'Occitania, figlio di profughi catalani
rifugiati in Francia, perché «in una poesia si può sistemare / tutto
il futuro / che si vorrebbe far esistere».
Un mendicante raccoglie nelle pagine, della brasiliana Christiane de
Caldas Brito, parole abbandonate come monete da passanti distratti o
perduti. E' il mendicante a ricercare e riscoprire suono e senso: le
parole abusate le soppesa vuote, ingombranti, pompose, mute, le conserva
paziente nell'attesa di suoni di senso che riempiano lo spazio del
respiro di mareggiate, fogliami, assenze. Anche «lo straniero Mohamed»
(nel secondo racconto della Brito) reinventa e riscopre una lingua nel
suo italiano modulato sul ritmo di una melodia araba, prima di tuffarsi
ad annegare nel fiume delle parole negate. E frontiere chiuse sono le
labbra di chi si porta «un cimitero di parole dentro», perché
l'esilio del senso è prima di tutto un esilio linguistico.
«Il soffio di vento che attraversa la steppa» riporta l'iracheno
Yousif Latif Jaralla a ricongiungersi nel flusso dei fiumi del tempo
alle terre lontane di voci che restano musica. Lo sradicamento subìto
come una colpa, i ricordi portati a spalla, sacchi sempre più
ingombranti man mano si allontana il punto di partenza, finché il tempo
s'avvita e tutto finisce in uno specchio «e lo specchio in una bisaccia
e la bisaccia su un cammello, e il cammello per la stanchezza o per l'età
butterà quella bisaccia lungo il suo cammino in uno dei tanti deserti».
La voce dell'algerino Tahar Lamri scava nell'italiano, insegue nei
dialetti (romagnolo, mantovano, veneto) scambi e resistenze in un
pellegrinaggio attraverso l'eco in cui sopravvivono, sfumando gli uni
negli altri, storie, sogni e ricordi.
Nella parola che «può sconfiggere la morte ma può anche darla»
ricompone le lacerazioni dello sradicamento Kossi Komla-Ebri (Togo).
Solo la ricomposizione di una nuova lingua, dove i suoni della nuova
terra si modellano sulle forme della narrativa africana, scava un varco
d'accesso alla comunicazione.
In bilico fra due mondi, nell'equilibrio incerto tra presente, rimpianto
e nostalgia l'italo-argentina Sandra Ammendola cerca nel canto della
memoria il senso della condizione perpetua dell'emigrare, dei perpetui
confini.
Ma sono parole migranti anche quelle di Carmine Abate, che costruisce in
versi una lingua possibile, un'identità perseguita e fondata
sull'ibrido. Come ancora nella mescolanza Alberto Masala trova l'unica
lingua di affermazione e liberazione.
Brevi schede in fondo al volume offrono informazioni su ognuno degli
autori della raccolta. I curatori sono insegnanti di Lettere nelle
scuole medie superiori e fanno parte del Cies (Centro informazione
educazione allo sviluppo). Sono membri della redazione del sito Voci
dal silenzio, che si occupa di letteratura della migrazione, e sono
stati tra I promotori del primo convegno nazionale Culture della
migrazione e scrittori migranti (Ferrara, 19 e 20 aprile 2002.
Su Yousif Latif Jaralla leggi anche «Il
poeta non è qui». Intervista a Yousif Latif Jaralla, artista iracheno di
Virginia Farina (*)
Su Kossi Komla-Ebri leggi: In
questo mondo l’unico avventuriero è il migrante: intervista a Kossi
Komla-Ebri, medico e scrittore di Sabatino Annecchiarico
|