Migra:
Voci dal mondo della migrazione
Intervista a Carla Mellidi
A cura della Redazione
Migra nasce come agenzia di informazione ed è costituita essenzialmente da immigrati. Potresti spiegarne il progetto?
L’Agenzia Migra (Agenzia informazione immigrati associati on line) nasce nell’ambito di un più ampio progetto europeo Equal, dedicato alla "Immagine dell’immigrato nei media, nella società civile, nel mondo del lavoro". In Italia gli immigrati e le immigrate sono passati da una condizione di invisibilità totale a una sovra-esposizione in termini spesso emergenziali. Le persone scompaiono dietro stereotipi e facili titoli: sono il "problema immigrazione". Anche quando ci si vuole dissociare da questa tendenza si rischia di farne solo un oggetto delle proprie attenzioni, politiche ecc...o a scivolare nel "buonismo". Il tentativo dell'agenzia è permettere alle persone di essere soggetti attivi anche nell'informazione. Di immigrazione si parla molto (e male), noi vorremmo che a parlare fossero gli immigrati stessi. Molti dei collaboratori e collaboratrici di www.migranews.net sono giornalisti (o lo erano nel Paese di provenienza), altri vorrebbero diventarlo. Nel primo mese "Migra" ha pubblicato oltre 100 articoli scritti da una trentina di persone originarie di molti luoghi (Libia o Malesia, per dirne due fra quelli meno citati) che raccontano spesso storie straordinarie ma taciute e talvolta anche con con un controllo del linguaggio e capacità innovative di scrittura che... molte e molti di noi (nativi) dovrebbero invidiare
Se ho capito bene, una rivista di giornalisti "migranti" e "stanziali", che abbia come prospettiva il dialogo interculturale, inteso come scambio reciproco di esperienze e momento di interazione tra culture diverse.
Sì, in realtà il progetto nasce per dare spazio soprattutto a "migranti" sperando che i giornalisti "stanziali" scoprano su www.migranews.net quante storie, ricerche, possibilità ci sono nell'Italia meticcia oltre quel poco che loro sono soliti raccontare (le paure anzitutto se non esclusivamete) e dunque da qui parta il dialogo. Insomma l'agenzia vuol essere un luogo di incontro e confronto reale. L'intercultura per noi sta già nelle cose. Una realtà composita e complessa non può esser raccontata da un coro monocorde. Deve esserci spazio per quante più voci possibili e non necessariamente solo per raccontare se stessi. E' vero che mettere in relazione consapevole le differenze significa in primo luogo renderle reciprocamente conoscibili (e questo sarebbe già un grande risultato) ma non basta. E' un passaggio, obbligato (forse ancora lontano) ma sostanzialmente un passaggio, un ponte. Il risultato da perseguire è, secondo me, poter avere letture diverse della stessa realtà. Insomma la speranza è che un giornalista - o chi comunque vuole comunicare attraverso "Migra" - tunisino, albanese, pakistano, guatemalteco, greco, cinese, rom, iracheno, burkinè, palestinese, ecc... non sia chiamato a parlare solo su temi che coinvolgano il Paese d'origine o la propria comunità in Italia, ma che possa scegliere di cosa - e come - parlare, anzitutto raccontando l'Italia che... è anche "sua" visto che ora vive qui. Lo stesso vale per le donne, anzi a maggior ragione per le donne che sembrano strette in una doppia gabbia: cultura di provenienza e sesso.
Ho notato che Migra dedica uno spazio rilevante ai Rom e ai Sinti, impropriamente chiamati - dalla stampa ufficiale, ma non solo - zingari o nomadi. Si tratta di una minoranza che, sin dal suo apparire in Europa nel XV secolo, ha subito violenze e persecuzioni fino allo sterminio nazista della seconda guerra mondiale (oltre 500.000 uomini e donne trucidati nei campi di concentramento). Ritieni che sia arrivato il momento di affrontare la questione zingara con un approccio diverso? Quale? E' strano come persone che non hanno mai preso parte attiva a una guerra siano state tanto spesso vittime di soprusi e violenze e comunque sempre maltollerate. Deve essere veramente fragile il sistema in cui viviamo se basta che qualcuno se ne allontani un po' per metterlo in crisi e scatenare reazioni da panico. Tutto deve essere controllato, inscatolato. Mi chiedo cosa succederebbe se si smettesse di pensare ai rom in termini di emergenza e problemi, ma semplicemente ci si preoccupasse di tutelare i loro diritti prima di tutto come individui. Poi su di loro mi pare che l'ignoranza sia davvero imbarazzante. "Zingaro" è diventato un contenitore in cui mescolare tutto. I campi nomadi sono i veri ghetti delle nostre città, luoghi di snaturamento, dove relegare chiunque sia "scomodo", per i motivi più disparati. Fino al paradosso di costringere a campi, topi e roulottes gente obbligata a essere "zingara" pur se non lo è. Qualche tempo fa abbiamo pubblicato su "Migra" un'intervista in cui Filippo Podestà raccontava di come rumeni arrivati in Italia per lavorare e che non appartenevano a nessun gruppo rom o sinti siano stati di fatto costretti a un campo, costretti a essere "zingari". Visitando il campo di via Barzaghi lui semplicemente s'era accorto che di rom, o di altri gruppi nomadi, non c'era traccia: lì si trovavano solo quelli di cui Milano voleva disfarsi. Gunter Grass ha proposto una rappresentanza dei rom nel Parlamento europeo, questo è un modo di considerarli parte attiva della società. Ma prima di tutto sarebbe auspicabile rinunciare alla "questione zingara" e cominciare a demolire la cortina d'ignoranza. Che è assai radicata anche nell'immaginario collettivo e individuale: tant'è che molte e molti continuano a pensare (e peggio talvolta a raccontare e scrivere) che gli "zingari" siano ladri di bambini ignorando o rimuovendo che la verità storica è all'incirca opposta, ovvero in molti Stati europei era/è consentito sottrarre i bambini alle famiglie "nomadi" senza doverlo in alcun modo giustificare. Molti scrittori cosiddetti migranti hanno deciso di raccontare l'Italia, la realtà in cui vivono, utilizzando la nostra lingua e mescolando forme narrative e linguaggi di diverse provenienze. A tuo avviso, i mezzi di informazione hanno prestato sufficiente attenzione a questo fenomeno? In Italia è difficile sfondare la pigrizia dell'abitudine, la sicurezza del già noto. E' una nuova letteratura che sta crescendo in sordina, praticamente ignorata dai grandi mezzi d'informazione, ma sta crescendo. Il discorso è davvero assai complesso e il ritardo del riconoscimento dipende sostanzialmente da due elementi più intrinsecamente legati fra loro di quanto piaccia pensare. Riconoscere il migrante come scrittore (o come pittore, scultore, musicista, ecc.) significa ripensare i rapporti, rinunciare all'asimmetria a vantaggio degli "italiani doc" (ammesso che poi esistano: tanto per dire, Pasolini e Bevilacqua hanno molto in comune?) e porsi in termini di scambio reale, ristrutturando su questo gli equilibri sociali. Poi c'è il sonnacchioso mondo intellettuale. E' una nuova lingua quella che nasce dalle pagine di chi scrive in una lingua che non è quella con cui ha imparato a parlare? E' una straordinaria opportunità leggere le forme che prende lo straniamento, lo spaesamento, rintracciare nel silenzio, che è l'ossatura di tante opere, echi di culture e lingue lontane intrecciarsi. Ma anche questo richiede uno sforzo minimo: rinunciare al già visto, già detto. Scendere dagli altari e rischiare un confronto. Il punto d'arrivo è lontano come sembra o invece siamo affetti da presbitia? Ci si chiarirà le idee - come sempre - lungo il cammino.
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