La tratta degli schiavi africani
verso le Americhe fu uno dei caratteri distintivi e uno dei “supporti
tecnici” indispensabili del colonialismo moderno dell’Europa imperialista.
Per farsene un’idea precisa e abbastanza accettabile, si legga la Storia del colonialismo di Wolfgang Reinhard, pubblicata
recentemente da Einaudi. La giustificazione teologico-politica dello schiavismo
ebbe come suo inventore, già nei primi tempi cinquecenteschi della conquista
spagnola dei Caraibi e del Messico, il vescovo Bartolomeo de Las Casas, il
protettore amoroso (nel linguaggio di T. Todorov) degli indios. Questi ultimi, a
suo vedere, non erano adatti ai lavori forzati, erano deboli e ben predisposti,
invece, ad accogliere la parola di verità apostolica romana-ispanica; che si
prendessero schiavi dall’Africa per lavorare nel Nuovo Mondo.
Oggi la situazione è girata, o meglio, è la stessa ma più complessa ed
evoluta: la colonizzazione globale – economica, finanziaria, culturale e
militare – del pianeta da parte delle ex-nazioni coloniali euroamericane
(dette G7 + la Russia, che è l’ultimo impero coloniale di vecchio stampo
rimasto nella storia e nella realtà) prevede che le migrazioni di popoli poveri
dal sud-est verso il nord-ovest del mondo vengano disciplinate in maniera
schiavistica e a fini di
sfruttamento. Questa è l’altra faccia dell’ingiustizia che regna tra gli
umani: in Africa, in America Latina, in Asia i popoli vengono tenuti nella
miseria e depredati; e quando, a causa di queste “angherie” (vecchia parola
italiana che voleva dire per l’epoca feudale: “lavoro sotto padrone che non
paga”), i popoli depauperati sono costretti ad emigrare verso i paesi ricchi,
questi li trattano da nuovi schiavi: del lavoro sottopagato, del controllo
poliziesco, della malavita.
Questo è il mondo in cui viviamo. O no? Se è così, non resta che
ribellarsi. I discorsi valgono per la chiarezza estrema che fanno e per
l’educazione che possono indurre nei giovani figli dei ricchi occidentali.
Solo così si può essere ribelli con le parole. Tutte le altre sono
chiacchiere.
Dimenticavo: le vere impronte migranti sono quelle dei piedi.
|