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IL MONDO CHIUSO DENTRO UNA VALIGIA

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Dal diario alla lettera, dai versi alla prosa autobiografica, al racconto breve. Frammenti di vita quotidiana, parole che viaggiano chiuse nelle valigie del ricordo e della nostalgia.

Pagine colorate raccoglie alcune testimonianze di immigrati che nella scrittura hanno elaborato il dolore della partenza, la fatica dell’integrazione, ma anche la curiosità verso una cultura e uno stile di vita diverso. Gli autori presenti nell’antologia vengono dal Nord Africa, dall’Europa dell’Est, dall’America latina e molti di loro si sono accostati alla scrittura per la prima volta.

L’antologia è stata realizzata dal Cies di Ferrara e dall’Associazione Cittadini del mondo.


Da "Pagine colorate"

«La nostalgia, si diceva Gal quando l’aereo sorvolava già la gelata pianura lombarda, è un misero veleno che intossica l’anima. E chi solamente ieri l’avesse visto gesticolare, borbottare qualcosa all’angolo di Isonzo e Cavour; là a Ferrara, sicuramente non l’avrebbe creduto il malinconico cantore delle sue rancheras preferite che gli scaldavano l’anima, ma il solito povero vagabondo extracomunitario che la nebbia e il freddo avevano fatto impazzire» (da “Neorealismo” di Jesus Cervantes).

«Quando andavo a trovare i miei amici, c’era la polizia armata in strada; io avevo un po’ pura, ma visto che ero bambino non mi fermavano. A scuola i miei compagni erano albanesi, ma andavano d’accordo anche con i ragazzi serbi che incontravano per strada. Iniziai a capire molto bene le cose quando avevo tredici anni. All’inizio del terzo anno di scuola media, dopo le vacanze estive, io e i miei compagni trovammo la polizia serba davanti alla scuola. Tutti gli studenti erano fuori: la polizia ci disse che non avremmo più studiato in lingua albanese, e che saremmo andati alla scuola serba» (da “Adolescenza in Kosovo” di Zecir Zeqiri).

«Adesso posso… posso tutto/ posso volare come gli uccelli/ viaggiare come un marinaio/essere portata dal vento/per le onde dl pensiero. (….) Sentire la rugiada che cade/ vedere le stelle, viaggiare/ad una velocità tale da oltrepassare/la luce di uno sguardo/senza che le raggiunga/l’aura della stella che è morta/ era lei, e nessuno l’ha percepita/la mia nostalgia si fa dolore/e finisce nella notte abissale…» (da “Adesso posso…” di Eliana Marques De Morais).

«Cara madre, dobbiamo imparare a rispettarci tra di noi, nel bene e nel male, a non alzare il dito contro le ragazze-madri, contro le donne senza uomo, contro le donne che vogliono vivere la vita a modo loro e non secondo uno stampo sociale maschile, perché non è l’uomo che ti può dare valore in una società, ma tu stessa come donna, come moglie e, soprattutto come madre, che non deve tramandare le ingiustizie che h vissuto, perché è nata femmina. Madre che deve dare la consapevolezza- ma prima la devi avere tu- che tutti hanno il diritto di vivere come persone che nessuno debba permettersi di stabilire le regole di un gioco che lo rende in tutti i casi vincitore» (da “A mia madre… e tutte le madri arabe” di Samira Garni).

«C’è un detto arabo che dice “Chi vive quaranta giorni tra il popolo, diventa uno di loro”. Io9 dico però che per diventare uno di questo paese bisogna viverci quarant’anni, perché, fino a quando non si aprono tutte le porte, l’immigrato non si sentirà mai come a casa sua. L’immigrazione è un fenomeno nuovo per l’Italia, rispetto agli altri paesi europei, e questo mi lascia ancora sperare che le cose cambieranno con il tempo. Il mondo è così bello, perché siamo veramente diversi; diventerà più bello solo quando il colore della pelle e la provenienza non saranno una diversità» (da “Chi vive quaranta giorni…” di Mohamed Tafa).

«Ora devo salutare ognuno di miei cari. Il viaggio si snoda, ordinato e noioso, lungo binari attraversati dalla scia interminabile dei miei ricordi. Il nuovo tempo è cominciato, conservando intatti i sogni e le speranze. (….) La città ha un nome strano, nessuno mi accogli, nemmeno sprecando un sorriso falso. (…) Ora sono straniero, non ho nemmeno un amico o un vicino cui confidare i miei drammi quotidiani, un affetto anche piccolo per alleviare le mie angosce» (da “L’ultima valigia” di Ahmed Chgouri).

«Lavoravo in un mobilificio di Copparo. Un giorno, andando a montare una cucina a Ferrara, mi trovai un’intera famiglia che ci aspettava: la mamma, un po’ anziana, la figlia e il marito. La vecchia, rivolgendosi al titolare che conosceva molto bene, dice: “Tunin, at tolt un marochin a lavorar con ti?”

“Al ne brisa un marochin, ma un palestines, nat a Nazareth”.

“Boia! Dov l’et nat al Signor” dice la vecchia.

Io rispondo senza dare importanza alle sue parole: “No, Gesù è nato a Betlemme”.

La signora rimane un po’ perplessa, ci pensa un attimo e dice: “At ga rason! Ma Nazareth l’é avsin al Maroc, al ne vera?”

“No” rispondo io “Marocco e Palestina si trovano in due continenti diversi”.

“Va ben, da par tut al tira al vent, a sì tut cumpagn, n ghè brisa difarenza”.

(da “Considerazioni semiserie di un immigrato” di Ibrahim Uthman).

«…Poi si arriva alla regione degli incanti: dobbiamo dar credito alle parole magiche dello scrittore ungherese Gyula Krùdi che nei primi tre decenni di Novecento ha dedicato gran parte dei suoi romanzi e dei racconti ai personaggi fantasma di questa zona. Si deve viaggiare in treno nel Nyrsèg di notte per vedere che i protagonisti fantasma di questo scrittore non sono dei prodotti di un sogno. I fiocchi di nebbia densa sopra il suolo evaporante, il loro spostamento in senso orizzontale sopra le strade, all’altezza della testa di un uomo, evocano un mondo popolato di streghe fate. I mulini ad acqua, le decorazioni murali primitive di chiese antiche, i cimiteri con le croci simili a totem i meli che fermano la sabbia. Tra loro e sopra di essi signore, signorine, cavalieri galanti, goliardi erranti, appaiono e scompaiono di sfuggita» (da “Buongiorno Ungheria!” di Melinda Bonani Tamàs-Tarr).

«Al mercato esistono tanti altri mestieri più o meno simili in ogni società, ma fra tutti quello più curioso è l’arte della colorazione dei tessuti, che in Mauritania ha una delle più eccelse scuole nel popolo dei Soninkè (…) La colorazione dei tessuti è eseguita a mano, tessuto per tessuto, immergendo in bagni di colore, ottenuti con polveri naturali, le varie stoffe a più riprese (…) Ed i risultati sono sorprendenti ed i negozi del mercato sono ravvivati dall’incredibile fantasia delle stoffe esposte (…) La stessa fantasia che nei secoli ha inventato meravigliose storie di animali buoni e cattivi, furbi e sciocchi, ricchi e poveri, di re, regine e piccole Cenerentole, che il papà racconta, tutti coricati sulle stuoie sotto la luce delle stelle, prima di addormentarsi, la stessa fantasia che una volta all’anno ci fa versare nel fiume una ciotola di latte per gli annegati che nessuno dubita continuino a vivere nei suoi abissi, intrappolati nella corrente» (da “Ritagli di vita in Mauritania” di Achetou Traore).

«Caro diario, ormai ho quindici anni e ancora mi chiedo perché esistono il razzismo e i pregiudizi. Io lotterò perché nel mio paese nessuno sia uno straniero, né extracomunitario né selvaggio» (da “Considerazioni di una straniera in Italia” di Amarachi Acuzie).

«Mi mancavano le parole in italiano (…) Ero completamente persa, sicuramente non mi aveva capito. Continuavo a guardare l’orologio sempre più agitata. Aspettavo vicino alla macchina non sapevo più cosa fare, era già l’una meno dieci (…) Ero molto confusa e preoccupata mi mancavano le parole per chiedere spiegazioni» (da “Ringraziamenti accidentali” di Blessing Kelechi).

«Noi amiamo sconfinatamene, soffriamo sconfinatamene; se beviamo, lo facciamo fino a vedere l’infinità davanti agli occhi. I nostri gesti sono grandi e impulsivi come il Volga (…) sono affettuosi come l’odore del pane e del sale; sono calorosi come il forno a legna di una volta che nutriva e scaldava tutta la casa delle numerose famiglie» (da “Noi Russi amiamo ciò che è grande” di Irina Riabokon).

«In quel tempo Rostropovic era famoso in tutto il mondo. In platea c’erano poche persone ed io. Sulla scena è seduto il musicista d solo con il suo violoncello. Mi sono goduta due ore e sono rimasta incantata sentendo quella musica divina (…) Dopo un anno, fu costretto ad abbandonar la sua patri subito dopo Solgenitzin e molti altri. Sono passati 27 anni. E adesso ricordo ancora che io, come un uccello libero, mi sono librata sotto le nuvole al suono del suo violoncello» (da “Non ci sono profeti nella propria patria” di Irina Ruban).


Gli autori di "Pagine colorate"

Amarachi Ajuzie, nata in Nigeria, frequenta l’Istituto Tecnico per periti aziendali e corrispondenti in lingue estere a Ferrara.

Melinda Bonani Tamàs-Tarr è nata in Ungheria e risiede in Italia dal 1983. Ha pubblicato racconti e poesie in riviste e antologie. È docente di ungherese – letteratura e storia- , giornalista pubblicista, nonché traduttrice ed interprete. Si occupa della direzione ed edizione del periodico di cultura “Osservatorio letterario – Ferrara e l’Altrove”, da lei fondato nel 1997.

Jesus Cervantes nato in Messico, vive in Italia da più di quindici anni. Scrittore, pota, pittore, ha realizzato mostre personali e collettive a Bruxelles, Zurigo, Città del Messico, San Cristobal de Las Casas, Los Angeles, Ferrara, Fano, Siena, Bologna e Venezia. È autore anche di una parte dei disegni che illustrano i testi.

Ahmed Chgouri, nato in Marocco, ha svolto attività di traduttore e interprete.

Samira Garni, nata ad Agadir in Marocco, ha lavorato come mediatrice linguistica ed intercultural nelle scuole e come animatrice presso il Centro Famiglie del comune di Ferrara.

Blessing Kelechi, nata in Nigeria, vive e lavora a Ferrara.

Eliana Marques De Morais, nata in Brasile, scrive da molti anni poesie e racconti.

Sonia Mireya Pico Diaz, nata in Colombia, studia canto al Conservatorio di Ferrara; ha svolto numerosi interventi nelle scuole come mediatrice interculturale e di didattica musicale.

Irina Riabokon, nata in Russia, dipinge e scrive poesie. Prima di venire in Italia, ha pubblicato articoli e poesie in un giornale moscovita.

Irina Ruban è nata in Uzbekistan, dove ha svolto l’attività di ingegnere idraulico.

Mohamed Tafa, nato in Marocco, svolge l’attività di elettricista. Questa è la sua prima esperienza di scrittura.

Aichetou Traore, nata a Kaedi in Mauritania, ha lavorato come mediatrice interculturale nelle scuole.

Ibrahim Uthman, nato a Nazareth, ha studiato Farmacia presso l’Università di Ferrara; attualmente lavora in un’impresa artigianale.

Zecir Zefiri, nato nel Kosovo, ha partecipato al recente conflitto del Kosovo, durante il quale ha maturato la decisione di venire in Italia. Frequenta l’ITIS a Ferrara.


Un mosaico di parole e immagini 

Diversi per stile e contenuto, gli scritti hanno in comune la volontà di far conoscere le tradizioni del Paese di provenienza degli autori. Raccontare quello che si è lasciato per gettare un ponte verso la nuova esistenza che il viaggio d’emigrazione ha inaugurato. Gli scrittori, sia che parlino a sé stessi o che scrivano lettere, sia che scelgano la prosa fluida del racconto breve o il ritmo spezzato dei versi, comunicano lo stesso disagio: sostare per tanto tempo su una linea di confine sempre più mobile tra l’emarginazione e l’integrazione, in una condizione e un ruolo che stenta a definirsi con contorni precisi. Un “limbo” la cui durata può essere inaspettatamente breve o drammaticamente lunga. Accanto alle parole i disegni, di cui sono autori Jesus Cervantes, Marco Tessaro e Luigi Zampini. Immagini che nei colori vivi e cangianti o nei chiaroscuri dei tratti di matita narrano in un altro linguaggio lo stesso percorso. A completare l’antologia, le schede-paese che  introducono gli scritti accompagnando il lettore nella dimensione esistenziale delle scrittrici e degli scrittori, contestualizzandoli nella loro realtà di provenienza.

Pagine colorate – Storie, racconti, poesie di immigrate e immigrati

A cura di Francesco Argento e Alberto Melandri (L. 20.000), Maurizio Tosi Editore

Il libro può essere richiesto al Cies di Ferrara, tel. 0532/761882, vocidalsilenzio@libero.it

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