Prefazione
Alla
stazione di Pordenone, una sera d'inverno, insieme a Mauro Marra, ero in
attesa del treno da Milano e di Lance Henson. Quando mi sono presentato
con l'infelice battuta "Mister Henson, I presume", egli ha
sorriso con gentilezza. La caratteristica principale di Lance è infatti
una timidezza delicata, che contrasta con il suo abbigliamento da perenne
"hobo", il vagabondo che viaggia clandestinamente nei treni
attraverso l'America della Grande Depressione e che nell'aspetto fisico è
un po' Bukowski e un po' Hell's Angel. Lance Benson parla con voce pacata,
gentile, e riflette qualche istante prima di rispondere, quasi a voler
essere sicuro di non creare fraintendimenti. Abbiamo capito dopo, quando
l'amicizia è diventata un rapporto fraterno, che Lance non può
permettersi di parlare senza soppesare le parole, perché lui è la voce
del suo popolo, sia che parli ad un giornalista o ad un amico, sia che
prenda la parola alle Nazioni Unite a Ginevra. E allora ti rendi conto del
peso enorme che è costretto a sopportare come poeta e come
'tsistsistas": ìl vero nome del popolo Cheyenne, che nella
lingua tribale definisce I'"essere umano". Lance Henson,
inoltre, parla con la gentilezza tipica di chi è abituato a controllare
la propria rabbia, di chi sa quanto male possano fare le parole: per
questo egli le padroneggia, ordinate e nitide, come il suo inglese colto e
perfetto. Perché lo Cheyenne Lance Henson è una delle grandi voci della
letteratura americana contemporanea, e lo dimostrano le innumerevoli
traduzioni delle sue opere, delle sue poesie, che ‑appaiono persino
nelle antologie scolastiche italiane, quale unico rappresentante, insieme
a Walt Whitman, della poesia nordamericana.
lo e Mauro abbiamo spesso pensato che questa seconda edizione del suo
"Canto di Rivoluzione" avrebbe meritato di essere presentata da
qualche luminare della critica letteraria mondiale; ed invece è toccato a
noi, e ci sentiamo quasi schiacciati dalla responsabilità, perché per
noi, per la gente del "Cerchio" (coordinamento nazionale dei
gruppi di supporto al Nativi Americani) e per tutti quelli che hanno la
fortuna di essergli amici, il grande poeta nativo americano Lance Henson
è semplicemente Lance, il compagno di tante serate e notti sulla strada,
in viaggio per chissà dove, di risate ai caselli sull'autostrada, di
tante notti tirate fino a tardi a parlare delle iniziative riuscite e a
programmarne sempre di nuove, ad ascoltarlo recitare nella sua lingua le
sue poesie, travolti dalla loro bellezza. Solo entrando nel suo mondo,
lasciandosi trasportare dal fascino e dalla magia delle sue evocazioni,
che si tratti di un bar dell'Oklahoma o di un treno per Sarajevo, che ci
indichi le sagome schive di due coyote nella prateria o che urli un dolore
sempre vivo per la sua gente massacrata e violentata materialmente e culturalmente dal "Veho" (il termine
dispregiativo con cui gli Cheyenne chiamano nella loro lingua i bianchi),
solo allora si intravedono la complessità e le sfumature della sua anima.
Lance, infatti, non è solo uno Tsistsistas, un Uomo: in lui convivono il
padre amorevole, il poeta, l'officiante del culto del Peyote, il portavoce
della sua gente e il veterano del Vietnam e, infine, l'Hetomitoneo",
il Dog Soldier, il componente della più importante confraternita di
guerrieri del popolo Cheyenne, formata da quanti si votavano alla morte
per la salvezza del proprio popolo.
Soltanto la certezza che la sua poesia basti da sola a rendere la
grandezza del suo talento ci consola della nostra incapacità a forgiare
l'immagine di questo guerriero in jeans e in giubbotto di pelle che scruta
con amarezza i mali del mondo e li denuncia chiamando a testimoni i grandi
del suo popolo e dei popoli nativi d'America, da Lama Spuntata a Toro
Alto, da Cavallo Pazzo a Capo Giuseppe, con una potenza lirica senza pari.
Solo questo ci rasserena; e nello scusarci con lui e voi ci rendiamo conto
che siamo capaci solo di volergli bene.
Auro
Basilicò
I momenti che ricordo più volentieri con Lance sono
quelli immediatamente successivi ad una conferenza, quando si allenta la
tensione e tutti tiriamo un respiro di sollievo: "Anche stavolta è
andata!".
In una di queste serate, in qualche posto del nord-est, dopo i saluti e le
strette di mano, Lance ci fece rimanere tutti di stucco dicendo:."Io
ho girato un po' dappertutto, ma non penso di aver coltivato delle
amicizie; io intreccio legami familiari e voi siete la mia famiglia".
E questo è il tratto che più impressiona in Lance: questa ricerca di
legami profondi, radicati, come quelli che tenevano insieme il 'tiospaye",
la famiglia allargata dei popoli delle Grandi Pianure. Si può spiegare
così anche la sua lotta ìn difesa del suo popolo e di tutti i popoli
tribali, perché lui riconosce e sa che il valore e la forza di tali
legami rimangono ancora intatti in quei popoli che non hanno sacrificato
la propria cultura e le proprie tradizioni sull'altare della società dei
consumi. Lance e tutti gli altri superstiti dell'immane tragedia che ha colpito per oltre
cinquecento anni i Nativi Americani sono riusciti a sconfiggere il trauma
del genocidio e dell'etnocidio solo mantenendo vivi questi legami con la
forza del sentimento, oltre ogni barriera temporale. Per loro la storia
non è la scansione cronologica degli eventi: per loro la storia è il
"topos", il luogo: è il brandello di coperta rossa che sbatte
ancora nel vento a Sand Creek, greve dei bimbi sventrati in nome della
Bibbia e del Progresso, è il sangue sparso a Wounded Knee, che fa
piangere ancora, dopo più di cento anni, le donne Lakota, come noi
possiamo testimoniare.
Nella società americana questa gente non ha molte alternative: o si piega
e accetta di produrre i beni di consumo che stanno distruggendo gli
alberi, l'acqua, le montagne e il mare, o fugge nell'oblio e nel vuoto dei
whisky o della droga; oppure resta in piedi e lotta con le armi che la
tradizione mette a loro disposizione. Una di queste è il mito e la
metafora; ed è questa la strada che ha percorso Lance per ritrovare se
stesso e per riscoprire il proprio popolo. Non è un caso che la presa di
coscienza politica dei Nativi Americani sia obbligatoriamente passata
attraverso il recupero delle tradizioni e della propria religione,
quest'ultima intesa nel senso etimologico di "religio",
ideologia e filosofia che lega le cose e le tiene insieme. Tutto questo è
trasfuso da Lance nella sua poesia: e questa diviene allora sul serio un
"Canto di Rivoluzione", un canto universale che libera il mondo
e l'uomo da se stesso e dalle proprie paure, che generano guerre e
tirannie, un canto che mette l'uomo al suo posto, in fratellanza con tutto
ciò che vive, e gli consente di ritessere la trama originaria
dell'universo.
Questo, in definitiva, è sempre stato il compito dei poeti e il canto di
questo bardo dell'Isola della Grande Tartaruga, della TERRA ERRONEAMENTE
CHIAMATA AMERICA, per dirla con le sue parole, è un dono importante per
tutti noi. Le nostre associazioni, l'Huka-Key di Pordenone e la Mitakuye
Oyasin di Vicenza, sono orgogliose di poter presentare, su gentile
concessione della Casa Editrice Selene di Milano, questa seconda edizione
di "Canto di Rivoluzione", arricchita da alcune poesie inedite
in Italia. Questa pubblicazione è un tangibile segno della nostra
fratellanza con Lance e con il suo mondo; e non è un caso neppure il
fatto che gli utili di questo libro vadano a sostenere due scuole Cheyenne.
Noi speriamo che tutte le mattine, tra i bambini indiani che vanno a
scuola, ci possano essere tanti Lance Henson che rivendichino con orgoglio
la propria identità e cantino, a voce spiegata, la gloria del proprio
mondo, del proprio popolo e di tutti gli oppressi della terra.
Mauro Marra
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