Venite, voi compagni,
compagni di catene e di tristezza,
camminiamo alla riva più bella,
non ci sottomettiamo,
non abbiamo da perdere che tombe.
Mahmud Darwish
I
Quando sento il nome di Gerusalemme le mie sensazioni sono confuse e indescrivibili: un
nome antico, che richiama una storia millenaria ma anche drammi recenti, generati proprio
da quella storia.
Da ragazzo, per me che ero nato e vissuto a Nazareth (la città del Signore), Gerusalemme
rappresentava la grande città, ricca di monumenti e di attrattive per i giovani, un luogo
dove tutti gli studenti desideravano fare le loro gite scolastiche, un po' come Roma per
gli italiani.
Quando finii le scuole superiori e andai a lavorare con mio fratello a Gerusalemme, la
città mi si presentò in una dimensione diversa: rimasi affascinato dalla multiforme vita
che animava le sue strade e dallo splendore delle chiese e delle Moschee. Ammiravo le sue
mura merlate, i portoni, sempre aperti, enormi e accoglienti; le vie strette, affollate di
gente comune, di turisti e pellegrini. La strada principale, che taglia la città vecchia,
dove si trova il mercato (suk), era piena di bancarelle e piccoli negozi; tanti colori e
tante varietà, dai mercanti di stoffa, agli artigiani che lavoravano il rame, in forme e
disegni diversi, ai venditori di spezie e dolciumi.
Sentivo il suono delle mille campane e nel frattempo l'imam che invitava alla preghiera.
Guardavo la Cupola della Roccia ( chiamata in arabo Quebbet as-Dakra), costruita all'epoca
degli Omayyadi, uno dei più importanti luoghi sacri dei musulmani, e non riuscivo a
nascondere le mie emozioni di fronte a quel maestoso santuario dell'Islam. Si racconta che
proprio da quel punto Maometto abbia spiccato il volo notturno (Alisraa ) nel cielo.
A pochi metri si ergeva silenzioso il "Muro del pianto", dove gli ebrei si
ritrovano e recitano le loro antiche preghiere, e non molto lontano la Via Crucis, che
ricorda il percorso di Cristo verso il Monte Calvario, che si trova fuori delle mura.
Questa varietà architettonica sembrava volermi ricordare che da sempre ebrei, musulmani e
cristiani sono riusciti a vivere pacificamente, pur mantenendo la propria diversità
culturale e una distinta identità.
II
Oggi mi arrivano da lontano le immagini di una Gerusalemme agonizzante; una città
violata, divisa in mille parti, dove la vita è sofferenza e paura. Nelle sue colline non
crescono più gli ulivi, abbattuti da coloro che sognano soltanto l'odio e rivendicano il
diritto esclusivo di una Patria, che invece appartiene a tutti. Il vento dell'intolleranza
si abbatte sulla Spianata delle Moschee e sugli altri luoghi sacri, distruggendo immagini
che un tempo erano patrimonio di tutta la città.
Musulmani, ortodossi, ebrei e cattolici, che convivevano in armonia, ora si sentono
estranei, molto spesso nemici; ma vedo nei loro volti, al di là delle differenze etniche
o religiose, la voglia di ritornare a vivere e di riappropriarsi le piccole cose, tutto
ciò che una volta faceva parte della vita quotidiana e che oggi è diventato
semplicemente un sogno.
III
Ricordo il mio ultimo soggiorno a Gerusalemme, poco prima di partire per l'Italia: era una
sera d'estate e io, ritornando verso Nazareth, guardavo il sole che calava sulla città,
mentre le prime ombre della sera incominciavano a rivestire i suoi monumenti e si
proiettavano sul tramonto. Una sensazione di attesa e di incertezza accompagnava i miei
pensieri. Intanto, sfilavano davanti ai miei occhi le case abbandonate, le palme
rinsecchite e i contadini che tornavano a casa sui loro somari stanchi.
In quel momento, afflitto da un triste presagio, mi sono chiesto: "Sorgerà l'alba su
Gerusalemme?"
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