Julio Monteiro Martins


E' nato a Niteròi, nel Brasile. Ha insegnato Scrittura Creativa negli USA, in Brasile, Portogallo e Italia. E' stato uno dei fondatori dei Partito Verde Brasiliano e dei movimento ambientalista "Os Verdes". E' stato anche avvocato dei diritti umani a Rio de Janeiro.
Nel suo paese di origine ha pubblicato nove libri tra raccolte di racconti, romanzi e saggi. In Italia ha pubblicato Il percorso dell'idea e Racconti italiani, Besa, 2000. 
Attualmente vive tra il Brasile e la Toscana dove, oltre a insegnare Lingua Portoghese e Letteratura Brasiliana all'Università degli Studi di Pisa, dirige e insegna nel Laboratorio di Narrativa, che è parte dei Master della Scuola Sagarana, a Lucca.






DESPERADA

Mentre cercavo di sistemare un po' il salotto, che Silvia come al solito aveva lasciato sottosopra, vidi vicino a me una sorta di luminescenza giallastra, un alone quasi totalmente trasparente che si muoveva nell'aria, dalla porta verso il centro della stanza. Mi resi conto che in salotto non ero solo. Spenta la lampada, vidi distintamente mia madre che cercava di entrare inosservata nell'appartamento. Non era altro che una luminescenza gialla, molto tenue, come una vecchia macchia di ruggine su un tessuto scuro, ma adesso, al buio, la sua immagine, che brillava leggermente, era molto più nitida di prima. Aveva indosso la stessa vestaglia di seta color pesca con cui l'avevo vista tante volte alzarsi in piena notte per andare in bagno o in cucina a prendere le gocce. Ora, con quel volto inespressivo, mi sembrava timida, timorosa, e quando capì che l'avevo sorpresa mentre cercava di entrare di nascosto si fermò e rimase immobile, con lo sguardo fisso sul pavimento, come se stesse aspettando la mia reazione.
- Non puoi entrare qui, lo sai - le dico. - Torna indietro. Subito!
Con la medesima espressione di prima, lei si girò e lentamente si diresse verso la porta del salotto, sparendo di nuovo nel suo mondo. Mentre la vedo uscire, mi riempio di ansia ma anche di fierezza, per la calma e la freddezza razionale con cui ho difeso il mio spazio.
La tensione durante quell'incontro sorprendente, la palpitazione causata dal bisogno di una forte disciplina, mi sveglia. O forse no. Forse sono quei rumori osceni che provengono dal bagno, dove Silvia si sforza di vomitare, e poiché non esce più niente, il suo esofago ha delle contrazioni rumorose, come se stesse cercando di espellere conigli vivi o di rivoltarsi in un colpo solo. Il gin è un veleno, qualcuno avrebbe dovuto dirglielo, no?
Può darsi pure che la causa dell'incubo, dell'insofferenza ai conati, dell'insonnia improvvisa, sia tutta nella mia testa. I miei nervi sono ancora stravolti da quei cinque o sei sonniferi che ho dovuto prendere la settimana scorsa: senza non ce l'avrei fatta ad andare a lavorare tutti i giorni alle otto in punto. Sono i nervi. I nervi somigliano ai pianoforti a coda, da concerto: se ci suoni un'altra musica, diciamo rock, o jazz, perdono la giusta intonazione e le corde vanno per conto loro. I nervi sono tesi e capricciosi come quelle corde. E dopo, per rimetterli a posto di nuovo è un caos…
Mi sembra di vedere ancora quella nebbia rugginosa che mi gira attorno, ma preferisco far finta di niente. Fuori è ancora buio. Ho solo tre, al massimo quattro ore di sonno. Sono poche. Fra qualche minuto Silvia farà svenire sul nostro letto il " Personaggio Cattivo ", e quando si sveglierà sarà di nuovo il " Personaggio Buono ". Sono due donne, ma solo una è sposata con me, quella buona. L'altra non può sposarsi con nessuno, è un'anima torturata, una "desperada", come nei vecchi film western quei banditi messicani un po' pazzi e scapigliati che avevano un coraggio sovrumano, perché non avevano più niente da perdere eccetto la loro vita, che ormai non valeva quasi nulla. 
Tutte le sere, verso le dieci o le undici, qualcosa di brutto, di tetro, si scatena dentro di lei, e in un istante le porta via il sorriso, la dolcezza, l'equilibrio, persino la lucidità, e Silvia comincia a sudare, talvolta a sudare freddo, come presa da un calore perverso, e a camminare come una tigre in gabbia; alla fine si mette qualcosa indosso, prende la borsa ed esce. Anche quando è senza una lira, esce lo stesso. E l'ho vista uscire anche senza borsa. E con la neve. E senza ombrello sotto una pioggia torrenziale, incorniciata da fulmini. Sempre senza dire una parola. E sempre senza guardare dietro. Senza guardarmi mai negli occhi. Senza dare mai una spiegazione.
Dopo quattro anni di vita insieme non so ancora dire se mia moglie sia alcolizzata, drogata o semplicemente succube di istinti perversi. Che sia una vampira, come nei film della Hammer?… Di sicuro è una che ha subito un trauma, un trauma potentissimo, micidiale, qualcosa che ha visto o vissuto così tante volte da far sembrare la vita stessa un "tra parentesi", perso in un'altra pagina di quello stesso libro. Il trauma, invece, è il testo che deve essere letto e riletto. Ma non mi ha mai parlato di cos'è successo, e io non le ho mai chiesto di farlo. Capivo che quello era il suo "inesprimibile" turbamento e che nessun idioma sarebbe stato alla portata di "quegli" eventi. Una parte di lei era stata persa, cancellata, prima di conoscermi. E io mi sono accontentato di ciò che di lei era sopravvissuto alla sciagura, ossia del " Personaggio Buono " che quella donna dimezzata aveva ancora da offrirmi. Fino alle dieci o alle undici di sera.
C'è stato un tempo, forse quando si sono sposati i miei nonni, in cui i fidanzati quasi sempre si conoscevano già da qualche anno, della vita passata dell'altro sapevano persino i dettagli, si osservavano da quando erano adolescenti, o addirittura bambini. Ma adesso tutto è cambiato, e oggigiorno siamo tutti dei nomadi, anime sradicate che si inventano un passato verosimile, o almeno soddisfacente, e poi s'incontrano per strada, o negli aeroporti, ai corsi di aggiornamento o a quelli di meditazione, o che ne so, in un punto qualsiasi del ciclo biologico, a ventotto, quarantadue, sessant'anni, e durante questi incontri fortuiti - perché non ce ne sono d'altro tipo - devono essere sempre preparati, sempre giovani, o ringiovaniti, con qualche progetto carino, con qualche frase che serve a stirare il futuro, ma anche da vibrante sipario per nascondere un passato quasi sempre fatto di grandi sconfitte, rivelate a poco a poco attraverso una sequenza di piccole delusioni, e uno ringrazia Dio e la Madonna e tutti i santi per aver permesso quell'incontro felice che poteva benissimo non esserci stato, e va tutto bene così com'è, e non si vuole sapere più del minimo indispensabile per non imbrattare quella fortuna; soltanto lo stretto necessario per usare lo stesso bagno e la stessa cucina. È questo il momento in cui un profondo egoismo crea una disponibilità d'animo così assoluta e incondizionata da sembrare pura generosità. E dopo? Eh… dopo viene l'osservazione attenta, la scoperta che l'altro è come un indigeno con cui non serve scambiare parole, ma pentole con frecce, badili con piumaggi, in un gioco di baratto quotidiano che prima che uno se ne accorga diventa una specie di "pratica amministrativa" del matrimonio. E così è stato tra me e Silvia. Lei esce, ed io non so proprio chi le paghi da bere, chi la porti in giro; provo a leggere un po', mi preparo una tisana, qualche volta arriva a casa con addosso una puzza di fumo, e un sudore acre già asciutto nei vestiti, che fanno pensare che sia andata a bere con i barboni; provo ad ascoltare un po' di musica fino a che il sonno mi vince in quello che gradualmente diventa il miglior momento di tutta la giornata, in cui i sogni arrivano ed entrando allontanano i pensieri brutti.
Stasera la sbronza è stata troppo dura. È ancora in bagno. Si lava il viso lentamente con l'acqua fredda. La vedo chiaramente, anche se non la posso vedere. Ne vedo tutti i dettagli, anche le labbra un po' gonfie e le piccole vene rosse nel bianco degli occhi. Oh Dio, come amo questa donna! E come la capisco bene!
Quando Silvia esce, tutte le sere, porta con sé la parte cattiva di me che le chiede un passaggio, che la accompagna. Poi lei scarica in un posto qualsiasi quel mio livore, nello stesso modo in cui io, tutte le mattine, scarico il sacchetto della spazzatura nel cassonetto all'angolo della strada.
Dio non voglia che le succeda qualcosa di male. Non resisterei. Vedo che il suo angelo custode è stufo di guardare quel filmaccio a luci rosse con un telecomando scarico tra le dita… Non voglio nemmeno pensarci: temo che un giorno le giri le spalle e l'abbandoni. Oppure che lei trovi qualcuno più cattivo, o più "desperado" di lei. O che prenda una polmonite… Accidenti, sono tanti i pericoli della vita…
Silvia, vieni… Ho bisogno di te. Sdraiati qui vicino a me. Voglio sentirti ansimare e gemere nei tuoi sogni agitati, come fai tutte le notti. Vieni. Questo è il tuo focolare, il tuo riparo, e almeno su questo letto io faccio le veci dell'angelo custode, va bene? 
Silvia… Ti ho aspettato tanto, così tanto che avendo perso il cuore prima di trovarti, ho imparato ad amarti con le arterie.




MISS MAGLIETTA BAGNATA

"Il nostro commilitone, ora che torna a casa, si è fatto prestare i soldi e ha comprato una cuccetta per poter descrivere alla madre com'è. In questo modo ne approffittiamo pure noi…"


- Babbo?
- Dimmi.
- Non voglio disturbarti, ma…
- Vieni, vieni. Stavo leggendo questo racconto di Acheng, un cinese che…
- Babbo, scusami. Mamma mi ha detto di chiederli a te i soldi, sai, quelle cinquecentomila per le mie vacanze a Rimini, da Riccardo.
- Perché proprio a Rimini?
- Perché è un posto divertente. E poi ci sono le ragazze…
- Le ragazze? Ma quanti anni hai? Quattordici o quindici?
- Quattordici, babbo. Ma cosa c'entra?
[Com'è cresciuto in fretta, non me ne sono neanche accorto. L'ultimo ricordo che ho di lui è di quando non faceva più di quattro passi e cascava sempre, poi alzava la manina, mi guardava, mi sorrideva dicendo "babbo" e io lo prendevo in braccio. Dove sono stato tutto questo tempo? E come ha fatto a nascondersi così bene per crescere lontano dai miei occhi?]
- Va bene. Ti faccio un assegno.
- No, babbo, un assegno no: come faccio a cambiarlo? Perché non me li dai in contanti?
- Posso farti una domanda?
- Vai.
- Come mai gli adolescenti come te a un certo punto diventano tutti antipatici, così, all'improvviso? Da dove viene questo pragmatismo, questo tono annoiato che ti fa aprire la bocca solo per parlare di cose pratiche, materiali, come se i genitori fossero diventati dei capiufficio, o peggio, dei secondini?
- Ma che ne so?
- Cosa vuol dire "ma che ne so"? Non ti importa più sapere se ci sono vite su altri pianeti, come respirano gli alberi, o perché gli squali non dormono mai?
- Ma cosa fai ora, "Quark Speciale"?
- Bravo, hai anche imparato a fare l'ironico. Chi te l'ha insegnato? Tua madre?
[Credo che ora senta il desiderio sessuale, che lo senta forte, e lui vuol fare pratica, sperimentare. Mi ricordo quando è successo a me. Le donne non vanno a letto con i bambini. Lui, anche se è ancora un bambino, deve far finta di non esserlo, deve fare il duro insomma, deve inventarsi un personaggio che sia in grado di attirare le ragazze.]
- Allora babbo, questi contanti?
- No, non ce li ho. Chiedi a tua madre di passare in banca domani mattina per cambiare l'assegno.
- Va bene.
- Ma lasciano entrare anche te nelle discoteche di Riccione?
- In qualcuna sì. Quando fanno i concorsi lasciano entrare tutti.
- Concorsi? Che concorsi?
- Eh… Tipo Miss Maglietta Bagnata.
- Ah sì? E chi sono le "aspiranti"?
- Boh, che ne so? Vengono da tutte le parti, anche dall'estero.
- Ma cosa sono, puttane?
- No. Sono delle ragazze.
- Girerà anche la droga…
- Può darsi.
- Stai attento, eh!
[Non vorrà mica sperimentare anche la droga, oltre al sesso? Mio Dio, come si fa a saperlo? Oggi ci sono in giro anche quelle… come si chiamano?… L'ho letto in un articolo su quelle specie di "party"…Delle pasticche che fanno un effetto tremendo… non mi ricordo il nome…]
- Mi hai sentito? Stai attento alla droga, eh!
- Okay. Babbo…
- Sì?
- Niente. Lascia perdere.
- No, dimmi.
- Mi presti una cravatta?
- Sì, certo.
- Posso prenderne una?
- Sì. Sono nell'armadio, sulla destra.
- Però non so farmi il nodo.
- Scegline una e portamela qui. Lo faccio io il nodo, così quando vuoi basta che te la infili, la tieni ferma così e poi tiri. Dai, vai a prenderla che ti faccio vedere.
[Capisco. Con la cravatta si sente più grande, più distinto. O così pensa… Però forse con le ragazze funziona davvero. Con Miss Maglietta Bagnata… Può darsi… Meno male! Così mi sento più tranquillo. Perché poi? Non saprei… Forse penso che la cravatta terrà lontani gli spacciatori. Ma lo so che non è vero. Non necessariamente…]
- Questa va bene.
- Ma questa è scura, è triste.
- No, va bene questa.
- Guarda, ce n'è un'altra, una rossa con dei disegnini dorati…
- No, babbo. Voglio questa.
- Va bene. Dammela. Guarda come si fa il nodo: per prima cosa la parte larga dev'essere più giù dell'altra, così. Vedi? Poi si passa questa parte sotto l'altra, una volta, e poi un'altra, così. E ora arriva il più difficile. Guarda: questa parte la infili nel cerchio, entrando in questo buco qui. Poi la tiri giù con cura, e dopo basta sistemare bene il nodo. Ecco fatto. Sai farlo?
- Penso di sì.
- Vuoi provare a farlo da solo?
- Ora no, esco.
- Aspetta, ti faccio l'assegno.
- Grazie.
- Quando torni?
- Fra una settimana, più o meno.
- Mi raccomando! 
- Ciao, babbo.
- Ciao.


"In questo modo ne approfittiamo pure noi, diamo un'occhiata e una volta a casa anche noi lo raccontiamo ai nostri familiari. Così avranno l'impressione che abbiamo esperienza del mondo…"
[Miss Maglietta Bagnata…Ma cosa ne sa lui di queste cose? Questi concorsi li fanno apposta, per svegliare gli istinti dei ragazzini in vacanza, e poi se ne approfittano… Ci sono addirittura delle straniere! Straniere come? Africane? Sudamericane? Ci saranno anche dei travestiti, dei viados, che ne so… Com'è rischioso vivere… Neanche ieri era così contento di accarezzare i suoi coniglietti in quell'albergo dove noi… Quindi… vuol dire che sono già passati più di dieci anni… Ma no, non è possibile…]
"A quel punto la ragazza coricata sulla cuccetta mediana si girò un po' senza interrompere la lettura.
- Puoi parlare a voce più bassa? - si affrettò a dire il soldato dell'Henan. - In questa cuccetta si studia la cultura. Stai disturbando."




BACIO

Appunto perché il mio amico Paco è sempre stato un buon musicista, onesto verso la sua arte, leale alla Musica e di conseguenza povero, stamani ha avuto diritto soltanto ad un loculo di cemento invece della solita sepoltura sette palmi sotto terra. 
Mi sono sempre domandato perché hanno stabilito che i palmi di terra debbano essere proprio sette. Magari perché è più di quanto cani e uccellacci riescano a scavare. Da questo punto di vista il loculo di cemento messo in alto almeno è più sicuro.
Sono stanco. Mi fanno male tutti i muscoli. Non so se volevo davvero questa tazza di caffè. Forse avevo solo bisogno di ascoltare il rumore del caffè che passa nella moka, chiedendo di essere bevuto. Sono viziato da questo rumorino. Credo che tutti gli italiani lo siano.
Mi mancherà la musica di Paco, tanto, quasi quanto Paco stesso. Ha lasciato registrato così poco… Quello che ha suonato l'ha portato via il vento. Se sto più attento al vento, magari riesco a risentire qualche sua nota…
Mi ha fatto bene il caffè, però. Ora m'impegno e telefono a Barbara, per sapere come sta. Certo che è difficile… diavolo… 
È che per me lei è ancora la ragazza che in macchina si sporcava il vestito di gelato al bacio prima di baciarmi con quelle labbra fredde… Poi ha conosciuto Paco e si sono sposati subito… Adesso come faccio a trattarla da "vedova"?
Zero cinque otto quattro cinque otto zero tre tre zero.
"Ciao, sono Paco! Hai già capito che non siamo a casa ora, vero? Allora… Se mi vuoi lasciare il tuo numero ti richiamo appena posso. Ah, e tante grazie per aver chiamato. A presto!"
A presto, Paco.
"Pronto, Barbara… Sono io. Senti, sono già a casa. Non esco più stasera. Di qualunque cosa hai bisogno, chiamami, va bene? E se vuoi restare qui da me per la notte, io dormo benissimo sul sofà. Aspetto una tua chiamata. Se te la senti, è chiaro… Ciao, cara. Un bacio."



Incontro con Julio Monteiro Martins



Silvia Sansonetti
(Liceo Classico "L.Ariosto" - Ferrara)


L'esperienza che il Convegno organizzato dal CIES sul tema della migrazione mi ha permesso di fare insieme ai ragazzi di una classe III è stata sicuramente positiva. Le tre giornate del Convegno sono state per tutti noi che vi abbiamo preso parte un momento preziosissimo di ascolto, di riflessione e di condivisione di idee ma, ancor più, di vissuti. Le parole degli scrittori e degli esperti hanno saputo offrirsi con tanta semplicità e tanta intensità da annullare le distanze tra esse e gli uditori e creare subito un ponte di dialogo tra le diverse esperienze. 
Se le giornate del Convegno sono state il fulcro, il momento intensissimo in cui i ragazzi hanno potuto anche essere i protagonisti di un loro piccolo contributo, certamente molto importante è stato anche il lavoro, condotto nei mesi precedenti, di accostamento ai testi degli scrittori.
Il lavoro che io ho condotto con gli allievi della III Y del Liceo "Ariosto" - classe nella quale ero docente di Storia - si è ampliato rispetto al mio progetto iniziale, a motivo dell'interesse che vedevo prodursi nei ragazzi. Quale docente di Storia, avevo inizialmente escluso di occuparmi dell'aspetto letterario, quindi dell'analisi dei testi degli scrittori, per accogliere invece la proposta del CIES di una riflessione sul fenomeno migratorio attraverso un taglio di tipo storico. L'intenzione era quindi quella di contribuire, piuttosto lateralmente, al lavoro degli altri docenti coinvolti nel progetto, trattando dei principali movimenti migratori della storia e mostrando, con motivazioni diverse, che essi si sono verificati in tutte le età e in tutte le aree geografiche, che perciò non sono affatto un fenomeno solo attuale, né unicamente orientato verso l'Europa. Dovendo occuparmi dell'età moderna, avevo pensato di mettere a fuoco essenzialmente questi punti:
- le migrazioni mongoliche del XIII e XIV secolo
- la migrazione degli Ottomani dal centro dell'Asia alle regioni balcaniche
- la migrazione coatta di arabi ed ebrei dalla penisola iberica al tempo di Ferdinando II e Isabella
- il movimento degli europei verso le Americhe a seguito della conquista spagnola
- la tratta degli schiavi africani verso l'Europa e l'America.
Sotto lo stimolo del Convegno ho perciò organizzato un'unità didattica sulle migrazioni, importante a mio avviso anche dal punto di vista metodologico, perché insegna a osservare le interconnessioni tra ciò che accade nelle diverse aree del mondo e ad allargare lo sguardo oltre i confini dell'Europa. 
In un secondo momento, iniziando a leggere gli scrittori che avremmo incontrato nelle giornate del Convegno, mi sono accorta che Julio Monteiro Martins, scrittore d'origine brasiliana, da anni residente a Lucca ove ha fondato un'importante scuola di scrittura, utilizza spesso personaggi o momenti storici come materiale per i suoi racconti. Da qui è nata l'idea di provare a utilizzare il suo racconto Le due città per introdurre gli allievi in una delle vicende storiche che si dovevano studiare: le rivolte sociali e religiose scoppiate in Europa alla fine del '300, in particolare quella degli hussiti. Nel racconto di Martins si vede come i taboriti, l'ala più radicale degli hussiti, compatti nella risoluzione di combattere fino all'ultimo l'Impero, alleato della Chiesa cattolica, non reggono tuttavia a un lacerante conflitto interno, una volta venuto meno il nemico comune. 
Esposto in prima persona da un giovane soldato che narra la propria esperienza, il racconto permette di penetrare nelle aspirazioni e nelle forti motivazioni ideali, oltreché materiali, con le quali i seguaci di Jan Hus combatterono la Chiesa e l'Impero. Il sanguinoso scontro fratricida, che oppose i seguaci del generale Zizka e di Procopio il Grande, mostra come, una volta venuto meno il nemico, sia stato impossibile conservare l'accordo e l'unità. 
L'insospettato coinvolgimento che questo racconto, forse un po' crudo e truculento in alcune descrizioni, ha prodotto nei ragazzi, mi ha permesso poi di approfondire dal punto di vista storico l'importante fenomeno delle rivolte sociali e religiose del '300 e '400, in particolare quella che fecero capo in Inghilterra a Wycliffe e in Boemia a Hus. Il fatto che uno scrittore brasiliano contemporaneo avesse scelto di riproporre fatti apparentemente così lontani, come quelli accaduti in Boemia nel primo '400, imponeva un interrogativo che gli studenti hanno chiaramente avvertito: questi conflitti, sorti da ideali religiosi, da squilibri sociali e rivendicazioni nazionalistiche, possono forse essere liquidati semplicemente come 'acqua passata'? Alcune delle loro dinamiche non continuano a riproporsi nella storia di oggi?
Sicuramente l'accostamento di queste vicende storiche, dopo la lettura di Le due città di J. Monteiro Martins, ha potuto avvalersi di un aumento della motivazione e dell'interesse degli allievi.

A questo punto ci eravamo affezionati allo scrittore e, avendo già in testa molte domande da porgli quando l'avremmo incontrato, è nato il desiderio di leggere qualche altro suo scritto. Il volumetto di Racconti italiani è stato affidato ai ragazzi come lettura durante le vacanze pasquali, con il compito di individuare i racconti preferiti e i motivi della scelta. Quando ci siamo ritrovati a parlarne, i ragazzi erano molto coinvolti. I racconti non parlavano, come si sarebbero aspettati, dei problemi dei migranti, ma di questioni essenziali per ogni uomo che rifletta sulla propria esistenza. Il tema centrale è costituito dall'incontro con l'altro, altro che a volte è il diverso, a volte l'amico, a volte il nostro stesso io, mutato inavvertitamente con il passare del tempo.
Pieni di suggestioni, i ragazzi hanno infine scelto tre racconti che volevano rappresentare in occasione del Convegno: Bacio, Desperada, Miss Maglietta Bagnata. Data la spontaneità con cui le rappresentazioni sono nate dal loro entusiasmo, come insegnante ho avuto l'impressione che si sia trattato di un momento forte, autentico di apprendimento.


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