Baro romano drom
di Alexian Santino Spinelli

Alexian Santino Spinelli
Baro romano drom
Meltemi, 2003
pagg. 191, 17 euro

La lunga strada dei rom, sinti, kale, manouches e romanichals

 

Alla memoria dei nostri avi che

hanno pagato con il sangue il

prezzo della nostra libertà

Alexian Santino Spinelli

 

Ricostruire le vicende della popolazione romaní - rom, sinti, manouches, kale e romanichals, con i loro numerosi e diversificati sottogruppi, detti anche comunità romanès - è certo impresa ardua, per le scarse testimonianze scritte e le difficoltà relative alla loro interpretazione. D'altra parte, tale impresa si rivela assolutamente indispensabile per demolire stereotipi negativi e luoghi comuni che ormai associano tale popolazione esclusivamente a situazioni di degrado e illegalità, e per riuscire a confrontarsi senza pregiudizi con una complessa realtà umana e culturale. Il libro si divide in sei parti: la prima riguarda l'aspetto storico, dalla preistoria fino all'azione politica e sociale dei giorni nostri, ed evidenzia le strategie e gli eventi più significativi che hanno coinvolto la popolazione romaní nel lungo percorso dalle regioni a nord-ovest dell'India al mondo occidentale, attraverso la Persia, l'Armenia e l'Impero bizantino; la seconda parte affronta l'analisi della popolazione romaní sotto il profilo demografico e dell'autodeterminazione, descrivendo quel mosaico variegato e ricchissimo formato da diversi gruppi e dalle varie comunità; la terza concerne gli aspetti socio-economici generali; la quarta la lingua romaní; la quinta si occupa della cultura romaní intesa in senso antropologico e l'ultima riguarda l'arte romaní nelle sue principali espressioni. (Dalla quarta di copertina) 
Il suo modo brasiliano di raccontare realtà italiane era finora ignoto alla letteratura italiana.

 

Santino Spinelli: voce autentica della poesia romanì

di Francesco Argento

Con i nostri occhi…

I nostri occhi scuri,

i vostri chiari.

Con i vostri chiari

Voi vedete il mondo

Come noi, e noi,

coi nostri occhi scuri,

lo vediamo come voi.

(Bronislawa Weiss, in arte Papusza)

 

Gli Zingari, pur avendo lasciato tracce consistenti nella letteratura europea - la gitanilla di Cervantes, Carmen di Mérimée, Esmeralda di Hugo, lo Zingaro di Lawrence, i gitani di Garcia Lorca, Melquìades di Marquez, Sindel di Sgorlon sono figure emblematiche di questa presenza - non hanno tuttavia mai avuto, come in generale i popoli nomadi, una letteratura scritta. Tutto ciò che costituisce il loro immaginario letterario è arrivato a noi attraverso la trascrizione di studiosi gagè (non rom), che hanno raccolto canti, storie e poesie, ascoltandoli direttamente dalla voce dei narratori zingari.

Soltanto a partire dal secondo dopoguerra escono alcune opere di autori zingari, che si esprimono sia in romanés che nella lingua del luogo di residenza. Menyhért Lakatos, zingaro ungherese, pubblica Il pane acre, in cui descrive la propria infanzia vissuta in un accampamento ungherese; Matéo Maxinoff, di origine catalana ma francese d'elezione, è autore di diversi romanzi (Le Ursitori, Le prix de la liberté, La septième fille), ispirati alle tradizioni e alle leggende zingare.

Nel campo della poesia si segnala l'esperienza tragica della poetessa polacca Bronislawa Weiss, in arte Papusza, che scrive direttamente in romanés. Analfabeta, impara a leggere a tredici anni, frequentando il negozio di una donna ebrea. Costretta ad abbandonare la vita nomade, in seguito a una ordinanza del governo polacco, ed emarginata dalla sua comunità, Papusza trascorre gli ultimi anni della sua vita in solitudine e isolamento, recuperando nelle sue opere quel mondo cui aveva dovuto rinunciare.

Il dolore, la sofferenza, la famiglia, l'infanzia, il viaggio, l'amore, la gioia di vivere, la natura costituiscono la base poetica degli autori zingari. Queste tematiche si innestano su una ricca simbologia che trova le sue radici nell'immaginario collettivo e nel vissuto del popolo Rom: l'albero, il bosco, la pioggia, le stelle sono immagini ricorrenti nella mitologia zingara, ma anche segni familiari di una natura amica con cui lo zingaro ha convissuto da sempre in un rapporto simbiotico.

Il motivo che ricorre con frequenza nella letteratura romanì è quello dell'identità. Si tratta di una identità che interroga e "scruta la propria collocazione e il proprio destino come se soltanto il riconoscimento del proprio 'io' autentichi l'esistenza romanì, fornendole un appiglio esistenziale di consapevolezza… Il poeta zingaro si affaccia sulla pagina a specchiarsi ed è proprio il netto contrasto tra le immagini negative stereotipate esterne e la propria interiorità che provoca incertezza e sbalordimento, ma al tempo stesso determina una maggiore presa di coscienza della propria identità…Allo specchio della pagina gli stessi poeti chiedono qualcosa di più di un fedele riflesso. Su di essa si affacciano desideri inespressi, preghiere, incantesimi, volontà di partecipazione che trovano realizzazione nella parola."

La parola è - per il Rom - uno strumento di resistenza e di difesa della propria specificità culturale e linguistica, ma anche tentativo di rottura dell'isolamento, volontà di comunicare con gli altri per superare il muro della diffidenza e dell'emarginazione costruito dal mondo esterno.

In Italia, una delle voci più interessanti e più autentiche del panorama letterario romanì è, senza dubbio, quella di Santino Spinelli, poeta e musicista, fortemente impegnato nella difesa dei diritti del suo popolo. Nell'opera di Spinelli si possono rintracciare tutte le tematiche che tradizionalmente hanno caratterizzato la letteratura romanì:

- l'infanzia/nomadismo contrapposta al presente/sedentarietà:

Agonizzante

Da bambino

ero riccamente povero

vedevo lo splendore del sole,

da adulto

sono poveramente ricco

non vedo più il mondo.

Quando le tenebre della morte

verranno a prendermi

lo faranno in assoluto silenzio.

La strada la mia vita

la casa la mia morte

(da Romanipé)

- i riti zingari, come il matrimonio o la serenata che precede e prepara il fidanzamento (Serenata zingara), la nascita (Natalità), gli affetti familiari (Dolce mia madre), la difesa dell'identità zingara (Ricchezza zingara, Ziganità, Cuore zingaro), le discriminazioni (Primo giorno di scuola, Perquisizione) e le persecuzioni:

Maledizione zingara

Gelide mani nere rivolte al cielo,

la palude ricopre la testa

schiacciata, un grido soffocato si eleva,

nessuno ascolta.

Un popolo inerme

al massacro condotto,

nessuno ha visto

nessuno ha parlato.

Cadaveri risorti dalla palude,

orribili visi mostrati al sole,

il dito puntato

verso chi

ha taciuto.

(da Romanipé)

Partendo da questi temi, Spinelli ricostruisce i momenti più significativi della storia romanì (le origini indiane, le peregrinazioni attraverso l'Europa, l'Olocausto - oltre 500.000 zingari trucidati nei campi di sterminio nazista ), ne rimarca le peculiarità culturali, senza tuttavia cedere mai al vittimismo o a forme patetiche di rappresentazione; al contrario, la sua ricerca si colloca in una prospettiva di "comprensione" - da com-prehendere, apprendere insieme - e di dialogo/incontro/confronto con la cultura maggioritaria. "Due culture in me ruggiscono forte - spiega in un breve saggio - sono state due belve feroci che mi hanno azzannato da una parte e dall'altra. Ognuna di loro poteva annientarmi, eppure con tanta pazienza e tanta fatica sono riuscito ad addomesticarle e a conciliare le loro forze. Così oggi di una conservo la testa e dell'altra il cuore."



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