Il mio intervento verte essenzialmente sul ruolo della scuola italiana nella politica dell'integrazione.
Questa politica deve portare all'individuazione dei criteri che consacrano la vera integrazione degli immigrati nella società italiana. Non esiste alcun automatismo che porta direttamente all'integrazione.
Per questo, credo che la scuola debba giocare un ruolo essenziale nel processo d'integrazione.
Da una parte si assiste ad una continua trasformazione della stessa scuola, all'interno della quale la presenza dei figli d'immigrati sembra orientata verso una crescita esponenziale dei prossimi anni.
Dall'altra, si denota l'esigenza degli studenti italiani di capire alcuni fenomeni che sono alla base di questi cambiamenti.
Di fronte a nuove realtà conosciute come multiculturale e multietnica, la scuola deve proporsi come soggetto, non solo formativo, ma anche come punto ideale per orientare questa trasformazione che avrà come culmine, l'integrazione dei "nuovi" cittadini
nella società italiana. Tutto questo servirà a prevenire anche le ingiustizie dal punto di vista sociale, evitando così di creare delle disparità di trattamento tra i cittadini.
La parola integrazione è vista oggi come un iter a sé stante, dove dominerebbero due fattori fondamentali nella vita dell'immigrato: il lavoro e la casa! Credo
che la scuola debba assumere un ruolo fondamentale nel nuovo contesto culturale; essa deve indirizzare tutta la trasformazione su binari di convenienza per evitare
conflitti sociali. La scuola è chiamata ad orientare lo studente nel suo nuovo percorso formativo ed intellettuale attraverso la conoscenza di nuovi temi come
globalizzazione, cooperazione, multietnicità, cioè, termini che ormai fanno parte della nostra esistenza. E così, la scuola potrà indirizzare i ragazzi a comprendere i veri significati di parole, spesso usate per creare confusioni intorno al tema dell'immigrazione, come per esempio nel caso della parola "diversità". La diversità, non è una conquista in sé, ma è "l'essere".
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