Un ponte tra culture
Elisabetta Melandri  

Ringrazio moltissimo per  l'opportunità che mi è stata data di venirvi a trovare oggi. Siamo un’estesa flotta, noi del Cies: questa di Ferrara è affiancata da altre navicelle, come quelle dei gruppi di  Roma,  Firenze, Napoli. Siamo molto contenti di verificare come le nostre iniziative cerchino di realizzare quel vecchio detto "per fare globalmente, agire localmente" che ormai sembra  un po’ trito e che però, è sempre bene ricordarlo, esprime la  capacità di declinare nella propria realtà locale dei valori che  devono sempre di più diventare globali.
Oggi l'espressione globalizzazione è spesso associata all'idea di una globalizzazione dei poteri forti, alla globalizzazione dell’economia dello sfruttamento, alla globalizzazione della negazione dei diritti umani.
Provare tutti insieme a partire dal nostro local, dalla nostra realtà circoscritta e quotidiana, per  ridare un valore a questa parola significa invece lavorare alla costruzione della cittadinanza mondiale, perché il condominio Terra è piccolo, è stretto. Ciò che fa uno a un piano ha delle riverberazioni sull'altro,  quello che si fa al primo piano si riverbera sull’attico e così via.
Ridare un significato positivo all'espressione globalizzazione è, credo, molto importante soprattutto per voi ragazzi. 
Il movimento "no global"  sta muovendo le coscienze dei giovani in tutto il mondo, Questa definizione   "no global" rischia però di  non porre abbastanza l'accento sulla importanza di creare un  contatto, al di là dei propri confini, tra valori buoni. Io preferisco parlare di "new global", che mi sembra indicare meglio una globalizzazione della solidarietà.
Un esempio in questa direzione è il  discorso che voi state elaborando così bene con questa bellissima iniziativa che dà un significato concreto all’intercultura.
Intercultura  non vuol dire soltanto tollerare il diverso, o anche  apprezzarlo per la sua esoticità,  incuriosirsi ogni tanto per qualcosa che sta fuori dal raggio della nostra quotidianità. Vuol dire intraprendere un cammino di parte con chi rappresenta culture diverse.  La cosa più importante è sicuramente riconoscere le culture altre, riconoscerle e con esse mettersi in contatto e essere disponibili anche alla creazione di una terza cosa. Quando l’altro diventa un elemento da riconoscere, con cui intraprendere un cammino insieme, si costruisce sempre una terza cosa, si è disponibili ad aprire la propria identità all’identità dell’altro, ma per confondersi, non per cadere in un senso di mancanza di identità. E meglio si parla con un’altra identità e meglio si costruisce una terza identità, arricchita dagli elementi dell’uno e dell’altro.
Io credo che iniziative come queste diano  un protagonismo vero alle culture altre, protagonismo, ripeto, che non è solo interesse e curiosità per l'insolito.
Io sono veramente entusiasta all’idea che testi di autori di culture altre nel nostro paese, dei nostri nuovi cittadini, siano materia di studio scolastico, e  non rappresentino soltanto un incontro episodico,   perché studiare questi testi e costruirci sopra un'esperienza curricolare vuol dire incorporare nel nostro bagaglio culturale questi apporti interessantissimi e nuovi.    
Come CIES ci occupiamo di tante cose: c’è un versante del Cies che opera all’estero in progetti di cooperazione rivolti alle fasce  più deboli delle popolazioni, come le donne ed i bambini, con le quali noi lavoriamo.
I nostri progetti di cooperazione noi li facciamo per cercare di portare un apporto  là dove mancano delle risorse, e dare risorse in più consente alla realtà locale di decollare da sola. Noi non crediamo nella carità e nella beneficenza: questo non è il nostro approccio. Noi crediamo nel parternariato, cioè ci piace molto stabilire anche con controparti della società civile di questi paesi, che poi sono i paesi di origine  dell’immigrazione, un rapporto di patnership, di amicizia vera, di scambio e cerchiamo di realizzare  dei progetti che possiamo poi riportare a casa come simboli di comunicazione, progetti che aprono piste nuove, per esempio rispetto al disagio minorile.
In Italia, invece, da tanti anni lavoriamo con i ragazzi, con le scuole, per sostenere gli insegnanti che vogliono sviluppare progetti di intercultura e da un po’ di tempo in qua lavoriamo molto in quell’ambito che è la mediazione culturale. Di mediazione culturale c’è molto bisogno nel nostro paese  perché l’incontro tra culture ha bisogno di un ponte, ha bisogno di qualcuno che agevoli la comunicazione tra le due parti e stiamo cercando di ritagliare, in questo ambito, un protagonismo, che sia molto forte, dei nuovi cittadini, dei migranti, perché essi stessi diventino i veri mediatori: coloro che aiutino, per esempio, i genitori dei bambini stranieri nelle scuole a dialogare con gli insegnanti, coloro che aiutino nelle questure i poliziotti ad  avere un dialogo decente e fruttuoso con gli utenti immigrati, coloro che aiutino  nei presìdi sanitari gli immigrati a poter usufruire e avere accesso ai nostri servizi pubblici, e via discorrendo.
Un'ultima annotazione per quanto riguarda i ragazzi e le scuole. Noi da un po’ di tempo, coltiviamo una metodica per approcciarci a questi temi: non le prediche, non le conferenze, ma l’ingresso, nel curricolo scolastico, il più possibile, del gioco di ruolo, perché per capire l’altro la cosa principale è immedesimarsi nell’altro e allora cerchiamo di organizzare degli eventi, delle situazioni, in cui per un’ora almeno, per un giorno, gli italiani siano gli immigrati e gli immigrati gli italiani. Tra le iniziative di questo tipo, abbiamo realizzato una mostra che ripercorreva il viaggio del migrante. Lungo l'itinerario da percorrere c’erano degli animatori,  tutti migranti veri, che  facevano il questore, il datore di lavoro… e chi entrava diventava, per un attimo, per una mezzoretta, un migrante, magari un curdo sbarcato  a Otranto, oppure una filippina  impiegata in una casa, etc. In questo modo si consentiva a ciascuno di immedesimarsi con una persona immigrata per vivere i suoi problemi e le sue ansie.
Io credo che, in maniera analoga, studiare prodotti letterari sia un modo per immedesimarsi nei sogni, nelle aspettative, nelle aspirazioni di un’altra persona in maniera molto efficace.       

 


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