Oralità: dalla tradizione orale  alla scrittura
Kossi Komla-Ebri  

C’era una volta l’oralità…

La storia potrebbe iniziare così una sera di chiaro di luna attorno al fuoco e il più sveglio dei bambini chiederebbe:
L’oralità cos’è?
   L’oralità è “l’insieme di tutti i tipi di testimonianza trasmessi verbalmente da un popolo sul suo passato”. L’oralità è, semplicemente, l’arte del narrare. Spesso si tratta di favole, canzoni, proverbi raccontati oppure cantati dal griot o dagli adulti di una comunità.
Cos’è un Griot?
  
Un griot o una griotte è colui che si specializza nell’arte del narrare: i modi di raccontare, con i gesti e i toni della voce umana. Le sue performance sono abitualmente interattive col pubblico per suscitare emozioni ed insegnare qualche cosa o trasmettere delle storie.
A cosa serve l’oralità?
   L’oralità serve, sia per divertire, sia come veicolo per trasmettere delle storie. L’oralità insegna lezioni di moralità, permette di fare commenti sulla società e ciò che succede in essa.
  
Nella cultura orale, la storia, il sapere, gli usi e costumi, le tradizioni, le regole sociali, tutto si tramandava da bocca ad orecchio, ossia con la parola. Quindi chi sopravviveva più a lungo, più cose sapeva e più esperienza di vita aveva. Più anziano diventava, più saggio diventava, perché era forgiato dall’esperienza della vita. Allora, gli storici del villaggio erano i griot. I nonni tramandavano le regole della società e le storie del villaggio tramite favole, parabole ed indovinelli.
   Gli anziani sono la memoria storica dei nostri villaggi, ed è ciò che fatto dire quella famosa frase allo scrittore maliano Amadou Hampaté Bâ: “In Africa quando muore un anziano è una biblioteca che brucia.”
Di che cosa trattava questa Oralità? Quali temi?
  
Nella cultura orale, si celebravano molteplici temi. In particolare i cosiddetti cinque grandi avvenimenti della vita (nascita - iniziazione -   matrimonio - proprietà della terra e morte) e  i cinque grandi temi della tradizione quali l’amore, l’elogio (al capo, per enumerare una genealogia) la critica con rimprovero, la guerra e la morte. Altri temi ricorrenti: la genesi del mondo, il destino dell’uomo, le qualità richiesti per essere forti e coraggiosi.
  
Le qualità messi in luce per i bambini erano: la prudenza indispensabile alla sopravvivenza, la generosità, la furbizia contro le forze malefiche, la dignità, la comprensione della società per inserirsi.
  
Queste storie erano raccontate di notte, in genere in riunioni di famiglia intorno al fuoco. In genere si tratta di storie già note a cui bastano delle allusioni per richiamarle alla memoria e che finiscono sempre con un messaggio finale: una vera pedagogia orale.
  
I generi variano dal fantastico al divertente, passando a quelle che servono d’introduzione a temi più vasti di discussione morale. Non raramente si inserivano dei canti o ritornelli che spezzavano il ritmo del racconto.
   In ogni modo il valore intrinseco alla tradizione orale è quello della “trasmissione”:
“Un racconto o un proverbio è il messaggio di ieri trasmesso a domani attraverso oggi”

 (Amadou Hampaté Bâ)

  Quindi c’era una volta l’oralità…
  
Chi dice oralità, dice “parole” o meglio La Parola, Il Verbo: In principio era il Verbo.
  
Nadine Gordimer dice: “La parola si materializzò, si organizzò da suono a scrittura. La codificazione della parola passò dall’incisione sulla tavola di pietra al tracciato sul papiro, dalla pergamena fino al libro di Gutemberg.”
  
La parola da noi è e rimane una cosa “sacra”. Non ci si può parlare il mattino senza essersi lavati la bocca, perché essa è il tempio della parola. Per chiedere la mano di una ragazza, ci si sveglia di buon mattino, senza scambiare “parola” con nessuno, per portare le primizie della bocca all’amata. La parola e il saluto sono cose sacre. La parola ha potere taumaturgico: può sconfiggere la morte ma può anche darla. Quando un figlio si ammala si afferma che sono le brutte parole scambiate dai genitori che si sono incarnate come malattia nel suo corpo. Per guarire il bambino bisogno lavare il tempio della parola, lavarsi la bocca per purificarla dalle cattiverie dette.
  
L’oralità si arricchisce col tono della voce, l’intonazione, la creatività spontanea ma implica un fattore essenziale che è l’ascolto e la partecipazione.
   Si ricorda che “la verità dipende sia da chi la dice come da chi lo ascolta”

  C’era una volta l’Oralità... poi venne la Scrittura e poi …“l’Oralitura”.
  
L’Africa era ed è essenzialmente di tradizione orale. Per lasciare tracce della sua letteratura, l'Africa è stata obbligata a passare dallo stadio orale a quello scritto. Oggi il dibattito incessante, fra oralità e scrittura, dimostra che le cose stanno cambiando. Adesso la letteratura africana tende verso “l’Oralitura” di una letteratura scritta ma a carattere orale.
  
Tuttavia, fondamentalmente non riusciamo a fare a meno dell’oralità: perché l’essere umano è innanzi tutto un animale parlante. Il linguaggio compare con l’uomo e quindi la inclinazione a parlare è iscritta nei nostri geni. Si può benissimo togliere la scrittura all’uomo, ma privarlo del linguaggio lo snaturerebbe completamente. Ancora oggi, l’oralità è alla base del nostro modo di vita, e il linguaggio che usiamo per comunicare per scritto è fondato sull’orale.
  
Per aver, nelle nostre tradizioni, privilegiato l’oralità, siamo stati definiti come popoli “senza scrittura”. Nonostante tutto ciò come diceva sempre Amadou Hampaté Bâ:
  
“ Il fatto di non aver avuto scritture, non ha mai impedito l’Africa di avere un passato, una storia e una cultura.”
   Nella produzione letteraria coloniale, lo scrittore africano di lingua francese (e ciò vale anche per quelli di lingua inglese o portoghese) ha cercato di rispettare le norme della lingua del colonizzatore per scriverlo correttamente. Forse, per dimostrare la sua padronanza della lingua e pretendere una certa “legittimità”.
  
È con la pubblicazione del libro “Soleils des Indépendances” nel ’68 dell’ivoriano Ahmadou Kourouma che il rapporto fra scrittore africano e lingua francese si è radicalmente cambiato. Kourouma ha introdotto degli “africanismi” che hanno generato una scrittura tipicamente africana. Egli ha miscelato i reperi linguistici al profitto di uno stile contrassegnato dalla biculturalità. In pratica il francese e la lingua malinké vengono usati per una scrittura particolare: l’invenzione di una lingua basata su un codice che si fonda sull’oralità. Così la scrittura di Kourouma diventa un gioco fra le due lingue e le sue tradizioni culturali africane. Lo stesso discorso vale per il  nigeriano Amos Tutuola con la lingua inglese .
  
Oggi in Africa c’è la ricerca di esprimere un’oralità, necessariamente e irrimediabilmente persa nello spazio della scrittura. Vi è un maggior sviluppo d’opere teatrali, partendo dalle favole drammatizzate, spettacoli di favole-canti e danze tradizionali, fino a prove di teatro totale (danza, musica, pittura). Vi è una rinascita di creazioni collettive, di teatro tradizionale e popolare (cantates populaires) intrecciato al folklore e improvvisazioni con dialogo fra attori e pubblico.
  
Personalmente, cerco di conservare il valore dell’oralità nella mia scrittura, anche se la parola implica l’ascolto, la partecipazione ed è assai difficile trasmettere in scrittura il tono della voce, l’intonazione o la creatività spontanea.
  
Credo che in Italia, la scrittura migrante d’origine africana, nel gioco d’identità e memoria tramite una “oralitura” in lingua italiana possa davvero dare un contributo originale a questa narrativa nascente.
  
La tradizione orale è “ tessitura della memoria”, lavoro di voce. Essa si trasmette nella singolarità della performance. La ripetitività qui non è il contrario della variazione ma la condizione della sua essenza.
  
Nel confrontare scrittura e oralità, ci accorgiamo che la scrittura riesce solo a mimare la funzione di conservazione che esiste nell’oralità. Inoltre l’ambivalenza del rapporto con l’oralità è quello d'oscillare perennemente fra collettivo e individuale. Nel senso che l’oralità implica il pubblico, il collettivo, il gruppo, la comunità, mentre la scrittura riguarda l’individuo. Sappiamo tutti che le culture occidentali ruotano attorno all’individuo. La cultura africana avvolge tutti, generando una percezione d’identità di gruppo nel confronto di un’identità individuale. La cultura orale inoltre è olistica nella misura che coinvolge l’uomo in tutte le sue dimensioni anche quella corporea.
  
L’oralitura cerca di ripristinare anche la caratteristica fondamentale dell’anonimato del soggetto che scompare nella sua individualità nella totalità dell’indifferenziazione propria alla cultura orale che attinge per esempio a detti e proverbi: un patrimonio collettivo.
  
Quindi la funzione della letteratura orale, nonostante la sua dimensione epica, non è quella di creare dell’eroismo. Non avendo un valore individualizzante, essa rinserra i legami di gruppo in cui lo scrittore diventa soltanto una maglia non un’eccezione.
  
Il limite dell’oralitura è di riuscire ad esprimere la dimensione corporea cioè la fisicità dell’oralità (movimento, gesti, mimica facciale, voce). La scrittura è dominio della mente. L’oralità, il suono è dominio del corpo.
   Nelle sue “Contes et Lavanes”, il senegalese Birago Diop fa dire all’asino che:
“Aveva imparato che ciò che entrava nell’orecchio rimaneva sicuramente nella testa e nella memoria rispetto a ciò che l’occhio credeva di vedere e che spesso non era che illusione...”
Si pretende che solo i pigri di spirito, i poveri in cervello affidano allo scritto la guardia di ciò che la loro memoria doveva solo selezionare, setacciare e conservare come una buona massaia.
In sostanza ciò che l’occhio vede è un elemento minore, spesso incompleto ed ingannevole. È la visione di uno solo allorché l’orecchio registra e sintetizza ciò che generazioni hanno visto. L’orecchio vuole dire tradizione, ricordi e accumulo di saggezza. E qui riaffiora l’eterno tema dell’identità e della memoria.

  C’era una volta l’Oralità e oggi …ritorna…

L’oralità ritorna con i media, non solo quella del telefono che vive di toni e suoni (da qualcuno definita vera e propria scrittura acustica) ma anche l’oralità del cinema, della televisione, del computer multimediale, di internet (sistemi audiovisuali, dove la dimensione suono sta alla pari, gioca assieme, si intreccia a quella alfabetico-visiva). Vi è una netta riduzione della scrittura che si condensa in SMS, Chat ed E-mail.
C’è chi asserisce a giusta ragione che siamo passati da uomini monomediali (uomo-libro) ad esseri multimediali (Uomini-Tv/Telefono/Computer/Radio/Libro, ecc…) reincorporando così i riti delle civiltà orali. Sembra quindi che oggi a dire dei studiosi che stiamo celebrando dentro i territori acustici dei media, dentro gli spazi dell’elettronica, il ritorno dell’oralità. Di fatto, vedendo l’uomo politico che ci parla dalla TV, ci si accorge oggi che la sua forza e autorevolezza stanno sempre di più meno in quello che dice. Si tende oggi a concentrarsi di più su come lo dice, su come si presenta, in poche parole sull’immagine di persona (corpo, movimento, indumento) con cui si presenta a noi.
  
Ma si tratta del ritorno ad un’oralità ben diversa...
   Se la lettura implica un’attività del pensiero, la passività in cui ci mantengono questi  mezzi audiovisuali ci relega ad una nuova oralità preistorica per la sua freddezza ed individualità.      

 


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