Circolarità migrante
Clementina Sandra Ammendola

 

“Così questo paese,dove non son nato,
ho creduto per molto tempo che foss
e
tutto il mondo…
un paese ci vuole,
non fosse che per il gusto di andarsene via”.

                Cesare Pavese  

Il Convegno “si pone l’obiettivo di dare voce agli scrittori migranti, … in quanto si esprimono direttamente nella nostra lingua, intrecciando le culture e le esperienze letterarie di provenienza con quelle del paese ospitante”. E pensavo, qual è il significato di:
“nostra lingua” : ci vuole un titolo di proprietà per esprimersi in italiano?
Si può dire “paese ospitante” o, in realtà, è solo  “paese di destinazione”?
E “intrecciando” è sinonimo di incontrando?

-       Chi è l’immigrante? E’ qualcuno che deve dare spiegazioni in continuazione; deve giustificarsi, per integrarsi?

-         Che aspirazione ha il migrante? Essere persone, persone che girano in macchina o in autobus, che prendono l’acqua quando piove, d’essere cittadini con diritti e doveri, d’essere individui che si fermano per la strada per chiedergli l’ora e nient’altro.

-         L’immigrazione come fenomeno totale tocca in profondità e totalmente tutti gli ambiti della società di partenza e della società d’arrivo.

-         L’immigrazione come fenomeno che attraversa e scuote i saperi. Si discuteva su questo l’anno scorso, a Lucca, al I seminario italiano degli scrittori migranti.

-         Resistenza ad accogliere la migrazione. Resistenza ad esprimersi nella lingua d’arrivo, c’è qualche relazione?

-         Mediatore culturale: figura socialmente prodotta: si etnicizza il campo dell’immigrazione, si rendono incomunicabili i soggetti e poi si chiede l’intervento degli specialisti. Il problema è che non sì verifica mai l’incontro diretto tra i soggetti.

-         Si cercano parole nuove, parole che siano in grado di dare un corpo e un' anima alle definizioni dell’ ”altro” per renderlo visibile.

-         La non visibilità degli immigranti ha molti volti: oggi vorrei aggiungerne uno “nuovo”, gli italiani  di ritorno. Quanti sono questi italiani, nati in Argentina, di ritorno? Perché arrivano? Dove vivono? Come vivono? Che cosa fanno? Che lingua parlano? Che lingua usano per scrivere? Come comunicano?

-         A tutte queste domande è ancora molto difficile rispondere in termini statistici. Sono pochi gli studi che le riguardano. A volte sembra che l’immigrazione sia neutra e non di persone con proprie specificità.

 

L’inserimento nel “nuovo” paese diventa:

-         Inserimento velato: velato dai documenti, dalle storie, dai nomi… 

-         Inserimento limitato: l’esperienza del “ritorno” in generale è forzata, non scelta. Esuli politici, economici, sociali. La memoria, il vissuto passato, è il punto fermo del nuovo percorso nel paese d’arrivo e c’è sempre la speranza del ritorno al paese d’origine, già vissuta dai propri genitori, nonni. Limitato dal tempo (tempo dell’attesa). 

-         Inserimento ridotto: al lavoro. E l’immigrato, si ripete tanto in questi tempi, non fa solo il lavatore… Si possono creare, in questo contesto, storie d’appartenenza?

 

La scrittura, nel mio caso, è uno strumento/elemento di continuità tra i due contesti: quello che ho lasciato e quello che ho trovato, il prima e l' adesso.
Una voce di ricerca nella memoria che vuole portare alla luce ciò di cui siamo spesso inconsapevoli portatori. Storie scomposte che evocano più lingue.
Un lasciare e un trovare ripetuto, circolare direi.
Il mito del paese d’origine, sradicamento, influenza la lingua, sia quella “argentina” sia quella “italiana”. Disagio/frustrazione nell’incontro: in Argentina ci crediamo i più europei, poi ci accorgiamo delle “differenze” e delle distanze.
Perché di fronte alla nuova esperienza e alla ripetuta frustrazione dell’oggi, cosa c’inventiamo?
Mi sono inventata una voce per “riabilitare” (utilizzo un termine dello scrittore Carmine Abate), riabilitare il passato, la memoria, lo sradicamento.
Di fronte alla diversità, quale scegliamo?
Scelgo quella della finzione con strategie meticce.
Scelgo un inserimento esplicito, non velato (opacità di certi vissuti è resa esplicita attraverso la scrittura); un inserimento circolare, non limitato (il passato  che torna e che accompagna l’oggi); un inserimento espressivo, non ridotto (espressione artistica).
Per esprimere, attraverso la scrittura, una condizione: figlia d’emigrato, esiliata, emigrata ancora;  e avere la possibilità di renderla “pubblica”. Questo per me è stato un percorso di cittadinanza, di costruzione d’identità.
E m’identifico con la parola migrazione perché è un termine che allarga gli orizzonti e produce l’idea di movimento, di circolarità; al contrario della parola immigrazione che suppone sempre una centralità come punto di partenza. Ogni processo migratorio coinvolge sempre tre soggetti:  chi emigra; chi resta; chi ospita.
Leggevo il sociologo Douglas Massey, sostiene che le migrazioni moderne hanno una caratteristica peculiare: la circolarità. Esiste un continuo movimento di persone avanti e indietro tra il paese di partenza e quello d’arrivo.
Riflettendo su questo concetto, e non è questa la sede per approfondirlo, posso dire che apparentemente il migrante si muove su un raggio che si allontana dal centro e va verso l’ignoto. Apparentemente. Il distanziamento con le origini rimane parziale: permane l’attaccamento affettivo, emotivo, che induce nostalgia. Il ritorno concreto e/o immaginario crea un movimento continuo, circolare, perdurabile. Ritorno al proprio paese, alle radici, il desiderio di tornare spesso auspicato ma sempre rimandato. Il ritorno-mito mai messo in atto: residenza fisica nel paese d’accoglimento, ma cristallizzazione psicologica dei valori, modelli, ecc. del paese d’origine.
E questa circolarità si manifesta anche nella lingua che adottiamo. Scrivo, finalmente, in un italiano contaminato dalla circolarità tra la mia lingua madre (già influenzata dall’italiano) e la lingua d’arrivo (che accoglie) che si arricchisce dai vissuti quotidiani. La grande storia della migrazione raccontata dal quotidiano, dagli incontri con i vicini, con la pasticcera, con il radiologo. Poesie e racconti che giocano la nostalgia, non la subiscono. 
Si possono sviluppare forme di parità, in integrazione, di “inclusione”. Vorrei ancora insistere sul concetto di circolarità: sviluppare forme/spazi di circolarità che consentano ad ogni individuo di partecipare come compagni di viaggi, “viaggiatori provenienti dai punti più distanti della terra s’incontrano e, raccontandosi le loro storie, ciascuno scambia con l’altro la propria memoria” (Progetto Eufemia, Torino)

 


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