Seduto di fronte al commissario di polizia in una stanza ermeticamente chiusa ed illuminata solo dalla accecante luce di una lampada da tavolo, l'uomo, vestito in tuta e scarpe da ginnastica, maleodorante e stordito, si sentiva tremendamente stanco, ma allo stesso tempo incuriosito. Nonostante le domande di routine che caratterizzano questi freddi ed inconsistenti incontri, sperava sempre di riuscire a farne uno un po' diverso dal solito nel quale, almeno per una volta, raccontare la propria storia o dire la propria opinione e non semplicemente rispondere a tre veloci domande poste con sincero disinteresse e una punta di seccatura.
Non fu poca l'irritazione che lo colse nell'apprendere la prima domanda che, per quanto scontata, era riferita con un tale distacco e con tale freddezza che sembrava essere stata posta da una macchina :
- Come ti chiami?
Decise di non rispondere, risoluto a spingere il funzionario a tentare di instaurare un dialogo vero e proprio, anche a costo di indispettirlo.
- Come ti chiami, forza, tanto ti conosciamo già, devi solo aiutarci a sbrigare questa formalità e poi organizziamo il tuo ritorno a casa… cerca solo di non farmi perdere tempo che è tardi e voglio tornare a casa mia….
Il clandestino non lo ascoltava neppure, stava immobile con lo sguardo sereno ma deciso, fisso su quello nervoso del commissario ormai prossimo ad una sfuriata.
- Insomma, voglio solo sapere come diavolo ti chiami, e vedi di rispondere subito prima che ti faccia sbattere sopra la prima zattera per l'Albania a calci!!.
Il clandestino non si scompose, era avvezzo da tanto tempo ormai a sentirsi trattato in quel modo tanto che aveva perso le speranze di poter imporre il rispetto nei propri confronti.
Rimase molto sorpreso, perciò, nel vedere il funzionario sinceramente pentito per quanto avesse appena detto.
- Siamo tutti molto stanchi, qui le giornate sono tutte uguali e tutte ugualmente difficili, mi dispiace molto, ti prego di scusarmi… - disse.
Si alzò dalla sedia, andò a prendere due tazzine e le riempì di caffè - il quarto che beveva dall'inizio della serata - e ne offrì una al clandestino
- Allora adesso, per favore, posso sapere il tuo nome?
Il clandestino sorrise, sorseggiò un po' del caffè così gentilmente offerto e, assumendo un atteggiamento tra il serio ed il sognante, cominciò a parlare.
Diceva cose che non aveva mai detto, ma che da tanto albergavano nel suo cuore e a lasciarle correre fuori attraverso la voce lasciavano quasi un po' di malinconia nel pronunciarle:
- Chi sono.. chi sono….- continuò a borbottare per alcuni secondi, per poi riprendere con più vigore:
- Chi sono non lo so, non lo ricordo più, caro signore…Ricordo di essere nato in un posto che non esiste più, un posto dove sorgevano tante case e dove oggi c'è solo una triste palazzina, una delle tante illusioni del mio paese. Quando sono partito per la prima volta ho lasciato tanti volti cari, tantissimi che poi sono andato a trovare a casa o al cimitero. Partendo, però, non ho potuto non portarmi dietro le mie speranze, la mia gioia nascosta dalla paura, le mie utopie di una vita migliore, i miei primi timidissimi amori, insomma la mia gioventù. Devo dire che da allora non è cambiato nulla, anche allora dovetti pagare degli aguzzini per farmi portare fino a questo porto in condizioni disumane; anche allora incontrai un uomo vestito come lei che mi fece le stesse domande, che sentivo distante così come sentivo lontano lei fino ad un momento fa; forse l'unica cosa che è cambiata è che non ho più lo stesso entusiasmo né le stesse speranze di prima. Anche allora restai pochi mesi, girando per la strada circondato da vetrine e cartelloni pubblicitari che promettevano anche a me un futuro migliore e felice, semplicemente acquistando un nuovo paio di pantaloni che comunque non potevo permettermi. Da allora ho cominciato ad analizzarvi, a guardarvi per strada vincendo la legge dell'indifferenza che vige per queste strade tanto quanto nelle nostre del cosiddetto terzo mondo. Nell'osservarvi, non ci crederà, mi sono sentito più che mai a casa, circondato da gente che come me cercava di emergere, che urlava a ragione o a torto pur di non passare inosservata, pur di lasciare la propria impronta. Non può immaginare, caro commissario, come sia bello il mondo visto dal basso: è un mondo senza misteri, senza doppi sensi, dove non è necessario urlare, né colpire, né fuggire, neppure essere intelligenti; vedere il mondo al nudo delle sue ipocrisie e delle sue regole, togliere quella fitta nebbia che non ci permette di vederci bene gli uni con gli altri, e perciò neppure di apprezzarci, rende tutto incredibilmente più semplice, rende tutto uniforme, tutto con un unico significato. Il mondo, come ho imparato a vederlo io, è un mondo dove non esiste né lei e neppure io, ma dove, molto più semplicemente, esistiamo noi; noi che cerchiamo una risposta ai mille perché della nostra vita, un segno premonitore del nostro destino, un'ancora di salvezza dal naufragio dei mille problemi quotidiani. Mi creda, commissario, la risposta non è esposta in vetrina, non è stampata sui cartelloni pubblicitari, non la troverà in nessun telefonino, né grattando una patina argentata, non ci si potrà connettere tramite internet…
Il commissario da tempo non ascoltava altro che telegiornali e raramente gli capitava di scambiare opinioni, di aprire la propria mente alle proposte ed alle considerazioni di un altro, volle così partecipare il più attivamente possibile.
Sostanzialmente non poteva non essere d'accordo con quanto sosteneva il suo interlocutore, ma al tempo stesso gli sembrava che i ruoli si stessero invertendo.
Secondo regola, infatti, era l'altro, l'immigrato, quello che veniva da lontano, dal nulla, a cercare una realtà migliore, delle risposte; insomma, lui era quello già realizzato: un lavoro onesto, una famiglia felice, una dignità assicurata dall'essere ammirato da molti e rispettato da tutti, e non riusciva ad accettare di doversi ritrovare nelle stesse condizioni di un povero disgraziato che dalla vita fino ad oggi forse aveva ricevuto in dono solo quella significativa conversazione.
Così ribatté, usando toni pacati e rispettosi della dignità del clandestino, a quelle scioccanti rivelazioni, mentre ormai la notte avvolgeva la città rischiarata solo dalla luce emanata da quella stanza.
- Realizzato? Realizzato in cosa? Nel vedere ogni giorno uguale all'altro, nel dover insegnare a mio figlio a non farsi mai sottomettere da nessuno, pur dovendogli ricordare di essere misericordioso e paziente? Forse uno si sente realizzato a camminare per strada e vedere che nessuno si accorge che c'è, nel parlare e rendersi conto che i suoi discorsi, i suoi sogni, le sue speranza, si perdono nell'immensità dei dubbi e delle paure che la società ha di cambiare, di aprirsi veramente…- e continuò, stavolta in tono molto più confidenziale, preso ormai dalla foga delle parole:
- …Forse ti senti realizzato perché un giorno a settimana non devi lavorare e puoi tentare di supplire a tutte quelle mancanze verso te stesso e gli altri accumulate in sei giorni? Forse ti senti realizzato, perché non senti abbastanza e fino in fondo quanto non conti nulla, quanto sei incapace, nonostante i tuoi sforzi di essere parte della memoria degli altri?
Chieditelo: "Nella vita a quante occasioni hai dovuto rinunciare per paura, quanti amori hai soppresso in te per timore, davanti a quanti hai abbassato lo sguardo perché troppo forti troppo intelligenti o troppo potenti?"
No, amico mio, così come i miei giovani connazionali, che scippano borsette o telefonini cercando in questi oggetti quella dignità di sé che il mondo gli ha negato, neanche tu hai trovato negli stessi oggetti quegli stessi valori…-
Il commissario si tolse gli occhiali a lenti rettangolari e sottili che portava, e restò così, silenzioso, per alcuni interminabili secondi.
Ripassò nella mente tutti gli istanti più significativi della sua esistenza, rivide i volti delle persone amate e di quelle che amava ancora, i volti delle persone odiate e di quelle che ancora non riusciva a sopportare o a capire o da cui non riusciva a farsi capire, e considerando, per la prima volta nella sua vita, il fatto di dover abbandonare un giorno tutto questo e di vederlo sparire assieme a lui come se nulla delle sue gioie e delle sue sofferenze fosse mai esistito, finì per porsi quella domanda così come l'aveva posta inizialmente al suo compagno notturno: "Chi sono?"
Non poteva attendere di darsi una risposta che comunque, sapeva, non sarebbe mai arrivata.
In un attimo realizzò tutto quello che centinaia di campagne pubblicitarie, anni di catechismo, manifestazioni dei centri sociali visti per tv o in giro per la città, non erano riusciti a fargli comprendere.
Fino ad allora, un immigrato era uno sconosciuto che parlava una lingua diversa, veniva da un altro paese a contendersi il posto di lavoro con lui o con suo figlio e, in alcuni casi, a portare nuova criminalità, disordine e paura nella popolazione.
Da quel momento, dalla fine di quella conversazione, non riuscì più a trovare nulla che lo rendesse realmente diverso dal suo interlocutore; provò però una gran voglia di comprensione, di solidarietà, di condivisione del patimento dei suoi limiti così brutalmente scoperti, e fu per questo che quasi istintivamente rivolse di nuovo lo sguardo al suo simile, mentre ormai albeggiava.
In quello sguardo, trovò un senso di fratellanza, una comprensione, un sostegno, una consolazione, che in pochi altri momenti aveva provato con tanta sincerità.
Intravide, soprattutto, molte di quelle risposte e molti di quei profondi significati esistenziali, che cumuli di parole non basterebbero a renderne anche solo l'idea.
Basti perciò al lettore, sapere la cosa più sconvolgente in tutto questo: quelle risposte, o se non risposte, nuovi significativi, elementi su cui magari cominciare a vedere il mondo sotto una prospettiva nuova, il nostro commissario non li trovò in nessun concorso a premi , non li trovò nella fortuna così spesso celebrata dai nostri media come la soluzione a tutti i nostri problemi.
Le trovò nelle parole sincere e dirette e, laddove le parole non potevano arrivare, le trovò negli occhi di un altro.
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