L’artista metaforicamente intraprende
un viaggio con la sua carovana (Romano Drom). Non un cammino nomadistico in senso tradizionale, che è
stato più che altro il risultato delle politiche del rifiuto attuate
in Europa contro gli zingari, piuttosto un nomadismo interiore, un
percorso a ritroso attraverso i meandri profondi della propria anima, quale specchio fedele di un’identità prismatica. É
l’identità del popolo Rom e più precisamente
dei Rom Abruzzesi, a cui l’artista orgogliosamente appartiene e di cui è un riconosciuto ambasciatore
(musicista compositore, poeta, scrittore,
titolare della cattedra di Lingua e Cultura Zingara all’Università di
Trieste, collaboratore del Centro di Ricerche Zingare della
Sorbonne di Parigi, membro della Romani Union Internazionale), che
dall’India del Nord, attraverso la Persia, l’Armenia e l’Impero Bizantino
si è insediato in Europa e da qui in tutto il mondo. Dieci lunghi secoli di storia.
É un viaggio cosciente, ad occhi aperti, che ci
permette di cogliere le diverse stratificazioni dell’identità romaní
cristallizzate a seconda delle aree geografiche attraversate. L’artista li ripercorre
senza tentennamenti per ricomporre il complesso puzzle di un’identità
culturale paradigmatica orientale e occidentale allo stesso tempo che gli
appartiene. Scavando nella propria anima come fosse un archeologo, ritrova i
resti di espressioni musicali sopite, ma grazie al bagaglio
culturale e musicale in possesso (unico Rom con due lauree, una in
lingue e l’altra, imminente, in Musicologia, un percorso di
studi musicali professionali e numerosi concerti in Italia e
all’estero) riesce a rintracciare il cammino perduto e a completare il
mosaico che a poco a poco nel fondo dell’io si ricompone. Quasi un’antologia di esperienze musicali differenti, di stili accomunati e tenuti uniti da un’unica
sensibilità e da un’unica inalienabile identità.
Queste multiple espressioni giacenti nel suo profondo
inconscio, opportunamente sollecitate, si svegliano come una lingua dimenticata che si eleva e giunge al cuore prima che
alla mente per comunicare, per rivelarsi. Un viaggio, allora, ricco di sensazioni, di ricordi, di
immagini, di situazioni, un’avventura fantastica di grande
suggestione, una narrazione sonora lunga e complessa, piena d’amore
e di dolore, di facili entusiasmi e repentini sbalzi d’umore che si incuneano
nel vissuto emozionale.
Non uno sterile virtuosismo, piuttosto una ricerca
attenta e una divulgazione colta del “terzo livello” di musica zingara, quella
che i Rom non suonano per gli altri, ma per se stessi, per
“liberarsi”, per mantenersi uniti, per tramandarsi. Il canto nel dialetto dei Rom Abruzzesi
(cittadini Italiani, appartenenti al più antico
insediamento in Italia Meridionale, secolo XV) è un’espressione artistica fra le meno
conosciute in Europa e ancor meno conosciuta in Italia dove si
pensa che i “veri zingari” siano quelli provenienti dai
territori della ex Jugoslavia e dalla Romania. Un grave ritardo e uno smacco per gli
etnomusicologi o presunti tali. Un canto dalle forti e trasgressive
sonorità che esprime amore, dolore e speranza, un canto poetico che
sottolinea l’incomisurabile valore della famiglia, un canto
poetico intenso, un canto “impegnato” pieno di denunce e di
rivendicazioni a difesa della propria integrità culturale e soprattutto a
difesa dei più deboli.
Un percorso canoro e musicale, quindi, originalissimo e
profondissimo di grande spessore artistico. Una carovana ricca di umanità
precisa e puntuale, che ricompone e attualizza col suo viaggio un’antica e
tanto nobile quanto sconosciuta identità culturale: l’identità
del popolo Rom.
Agli ascoltatori non resta che augurare, alla maniera
zingara, un sereno
Lachó drom!
Buon Viaggio!
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