A
partire dagli anni Ottanta l'Italia diventa luogo di approdo di migliaia di
immigrati che abbandonano i cosiddetti “mondisud” alla ricerca di una vita
migliore.
Naturalmente, gli studiosi italiani colgono subito la novità e la rilevanza del
fenomeno, ma si limitano a sottolinearne gli aspetti più comuni, legati per lo
più alla vita e all'esistenza dei nuovi arrivati. Ben presto però, l’indagine
si allarga e investe l’ambito culturale, coinvolgendo direttamente gli stessi
immigrati che cominciano a raccontare le proprie esperienze con l’aiuto di
giornalisti o scrittori italiani. Nasce così la letteratura della migrazione -
definizione mutuata dall'inglese migrant
writers – con cui si indica la produzione letteraria di scrittori
stranieri che vivono in Italia e hanno scelto di esprimersi nella lingua del
paese “ospitante”.
In Italia il fenomeno si afferma in ritardo rispetto ad altri paesi europei,
dove esiste una tradizione consolidata (basti pensare, in Francia, a Tahar Ben
Jelloun, o in Inghilterra, a Rushdie e Kureishi), eredità di un passato
coloniale che se da un lato ha prodotto un processo di acculturazione forzata e
di depauperamento delle culture dei paesi sottomessi, dall'altro ha dato luogo a
forme nuove di aggregazione culturale caratterizzate da un rapporto di
interscambio tra 'differenti identità'. Ma, paradossalmente, è proprio la
mancanza di una significativa storia coloniale che rende particolare e originale
la situazione italiana: "L'inglese - afferma lo scrittore brasiliano Julio
Monteiro Martins - è oggi una lingua letteraria dell'India o dello Sri Lanka,
mentre l'italiano non è lingua letteraria in nessun altro paese se non in
Italia. Ecco che allora le persone che vengono presentano un più ampio
ventaglio di origini, non ci sono regioni privilegiate…trovi sudamericani come
maghrebini, scrittori dell'Africa occidentale, orientale, e sono tutti uomini
che hanno scelto questa cultura e non l'hanno ereditata per 'vie coloniali'.
Ciò fa una grande differenza, perché in questo caso la conoscenza e
l'approccio nei confronti di una lingua nascono da un'empatia, da un elemento
amoroso, da una forte dose di affettività."
La letteratura della migrazione nasce nel 1990 con la pubblicazione di tre
libri, scritti a quattro mani: Chiamatemi Alì del marocchino Mohamed
Bouchane, Immigrato del tunisino Salah Methnani e Io venditore di
elefanti del senegalese Pap Khouma; segue nel 1991 La promessa di Hamadi
del senegalese Saidou Moussa Ba, una sorta di 'viaggio interiore' attraverso
l'Italia dei pregiudizi razziali e del disagio sociale. Si tratta della
cosiddetta letteratura di testimonianza, nata dal bisogno degli intellettuali
migranti di farsi ascoltare, di comunicare, attraverso la scrittura,
direttamente con il pubblico italiano. Sono testi, spesso autobiografici, che
parlano di violenza e di razzismo, di solitudine e integrazione impossibile tra
immigrati e società italiana.
In
un momento successivo, come sostiene Armando Gnisci - docente di Letterature
comparate e creatore, insieme a
Franca Sinopoli, della Banca Dati Basili - "gli scrittori dell'immigrazione
hanno incominciato ad emanciparsi dalla scrittura in collaborazione con adiutori
italiani, mostrando il bisogno di
volersi costituire e presentare come scrittori in senso pieno."
Sono nate così opere, diverse per valore letterario, ma tutte accomunate dalla
necessità di superare l'autobiografismo testimoniale della prima fase. E'
proprio in questo momento che molti autori decidono di scrivere direttamente
nella nostra lingua, come avviene per il tunisino Moshen Melliti che, dopo un
libro (Pantanella. Canto lungo la strada), tradotto in italiano
dall'arabo, scrive direttamente in italiano il romanzo I bambini delle rose.
Siamo dunque al di là della fase autobiografica e di testimonianza, ma le case
editrici non pubblicano più libri di immigrati, perché il mercato impone
scelte diverse, e così la letteratura prodotta da immigrati rimane quasi
"invisibile"; circola soltanto grazie all'impegno di piccole case
editrici (Fara, Sinnos, Sensibile alle foglie, Datanews), di associazioni (La
tenda), di riviste (Mani Tese, Terre
di mezzo), di studiosi, all'interno e all'esterno del mondo universitario
(Armando Gnisci, Matteo Taddeo) o di premi letterari, come Exs&Tra,
organizzato da Roberta Sangiorgi insieme all'editore Fara.
All'inizio del nuovo millennio ritorna l'interesse della grande editoria: la
Fiera del libro di Torino 2000 dedica due eventi alla letteratura della
migrazione; vengono recuperate opere di scrittori migranti (Verrà la vita e
avrà i tuoi occhi, L'essenziale è invisibile agli occhi, Requiem
per tre padri di Jarmila Ockayovà, Il ballo tondo, La moto di
Scanderbeg di Carmine Abate) che avevano avuto un discreto successo
editoriale al momento della pubblicazione e, soprattutto, se ne pubblicano di
nuove: La straniera di Younis Tawfik (1999), Fiamme in paradiso
(2000), Racconti italiani di Julio Monteiro Martins (2000), Il sole
d'inverno (2001) di Muin Madih Masri, Va e torna (2000) e M (2002)
di Ron Kubati, Rometta e Giulieo di Jadelin Gangbo (2001), Neyla
di Kossi Kobla-Ebri (2002), Tra due mari (2002) di Carmine Abate, Stigmate
(2002) del poeta albanese Gëzim
Hajdari, vincitore, nel 1997, del prestigioso premio Montale di poesia.
Sono tutti autori che, pur richiamandosi alla poetica della migrazione - intesa
come migrazione interiore - hanno sviluppato percorsi letterari differenziati,
alcuni con esperienze significative nel paese d'origine (Gëzim
Hajdari, Julio Monteiro). Ma ci sono anche scrittori migranti che sperimentano
forme di comunicazione letteraria e artistica diverse da quella del romanzo o
del racconto classico. E' il caso di Yousif Jaralla, di origine irachena, che
intreccia, nelle sue performance, tradizione mediorientale e siciliana, creando
un linguaggio modellato su quello della narrazione orale sufi; o di Tahar Lamri,
scrittore algerino, che mescola dialetti della pianura padana con il linguaggio
dei meddah maghrebini: o ancora di Santino Spinelli (musicista compositore,
poeta, scrittore, titolare della cattedra di Lingua e Cultura Zingara all’Università
di Trieste, collaboratore del Centro di Ricerche Zingare della Sorbonne di
Parigi, membro della Romani Union Internazionale), che ripercorre il viaggio del
popolo Rom, a cui orgogliosamente appartiene, recuperando espressioni musicali
della tradizione romanì in una prospettiva di cultura cosmopolita e
transnazionale.
Un discorso a parte merita la produzione letteraria di Carmine Abate, scrittore
italiano ma di origine arberësh, figlio di
emigranti e a sua volta con un passato di emigrazione in Germania. L'esperienza
dell'emigrazione costituisce un momento importante e decisivo per la sua
formazione di uomo e di scrittore: "Io
in Germania - spiega nell'intervento al convegno - vivendo a contatto con gli
emigranti, vedendo le condizioni di vita degli emigranti - parlo soprattutto
della prima generazione dei Germanesi, che si può paragonare alla generazione
degli immigrati oggi in Italia - ho sentito la necessità di scrivere. Ecco, la
mia voglia di scrivere mi è venuta lì. Ho cominciato a scrivere in Germania,
proprio per denunciare l’ingiustizia dell’emigrazione. Io l'avevo vissuta
sulla mia pelle, però ho riflettuto - ero giovane, allora - su questa
costrizione: costringere qualcuno a vivere altrove era per me, allora, la più
grave delle ingiustizie. Oggi so che ci sono ingiustizie ancora più gravi,
però in quel periodo mi sembrava la più grave in assoluto e ho cominciato
quindi a scrivere poesie e racconti usando spesso lo stesso linguaggio degli
emigranti, e li ho pubblicati in Germania."
Le sue opere
- romanzi e racconti, ma anche poesie - sono capitoli diversi di una lunga
storia di migrazioni: la migrazione degli albanesi, arrivati in Italia dopo la
morte del mitico condottiero Sanderbeg, e quella degli italiani all'estero, una
esperienza che ha lasciato pochissime tracce nella letteratura italiana, se si
esclude Libera nos a Malo di Meneghello. Eppure, esiste una vasta
produzione di letteratura dell'emigrazione di lingua italiana, o prodotta da
scrittori di origine italiana (John Fante, Jo Pagano, Pascal D'Angelo, Pietro Di
Donato, Nino Ricci, Helen Barolini) che andrebbe recuperata e studiata in
"coppia di comparazione" con quella degli scrittori migranti italiani,
se non altro per verificarne i punti di contatto. Non solo. Potrebbe essere
anche l'occasione per approfondire la storia del passato migratorio italiano,
rimosso troppo in fretta dalla nostra coscienza, perché si tratta di una storia
dolorosa e per molti aspetti non diversa da quella di tanti immigrati
senegalesi, albanesi, nigeriani, cinesi ecc., come ha evidenziato Gian Antonio
Stella nel suo bellissimo libro L'orda, pubblicato recentemente dalla
Casa Editrice Rizzoli.
"Avendo noi alle spalle una lunga storia di emigrazione - sottolinea
Carmine Abate -dovremmo essere più solidali con chi viene da fuori. Ma sta
proprio qui la spina. Chi viene da fuori ci ricorda troppo chi eravamo, chi
erano i nostri padri, i nostri nonni. E noi invece vorremmo dimenticarlo. Forse
se riuscissimo a rivalutare la nostra emigrazione e i nostri emigranti, a
vederne gli aspetti positivi, il nostro atteggiamento nei confronti degli
stranieri in Italia cambierebbe"
Basili,
presentazione a cura di Armando Gnisci
Convegno
"Culture della migrazione e scrittori migranti"
Intervista
Voci
dal silenzio
Da Atti Convegno
"Culture della migrazione e scrittori migranti."
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