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Non vale la pena rischiare di Everalda 23/3/2003

 

Premetto che non sono ancora neanche minimamente una diplomatica, anche se
mi piacerebbe molto diventarlo, un giorno. Sto studiando per entrare in quel
mondo, ma per me rimane ancora un'utopia, un sogno che ha una percentuale
minima di possibilità di realizzarsi. In questi mesi ho avuto modo di
studiare e osservare il comportamento dei miei futuri colleghi, per quanto
si può essere informati leggendo giornali e guardando la televisione. Lo so
che il mondo dei rapporti tra stati è una rete invisibile, che le persone
comuni possono solo illudersi di avere capito, anche se sanno che
probabilmente la realtà è tutta un'altra cosa.
Durante una crisi internazionale tutti diventiamo un po' dei diplomatici,
come durante le partite della nazionale di calcio siamo tutti allenatori.
Nessuno è mai contento delle scelte che si sono fatte, soprattutto in un
momento come questo, in cui la guerra è ormai scoppiata e non si torna più
indietro se non con una soluzione concreta tra le mani.


Bush ha voluto fortissimamente questo conflitto. Fin dall'inizio la sua è
sembrata una posizione impossibile da mediare, il che ha dato adito alle
insinuazioni di tutta la parte politica a lui avversa: lo fa solo per il
petrolio, cosa vogliamo che gli importi della vena umanitaria del problema,
delle migliaia di esseri umani che sotto Saddam vivono col terrore delle
torture, le loro vite scandite dalla follia di un uomo che già nel 1991
aveva spaventato il mondo e che adesso torna a far paura con le sue armi di
distruzione di massa.? Non si può negare che il petrolio abbia la sua
importanza, del resto già nella guerra del Golfo era stato il casus belli:
Saddam aveva reclamato l'annessione del Kuwait per la tradizione che legava
quella regione all'Irak, eppure nessuno ha mai creduto in questa sua vena
patriottica disinteressata. I pozzi di petrolio in Medio Oriente fanno gola
a tutti, eppure, anche petroliferamente parlando, mi fido più degli Stati
Uniti che di Saddam Hussein. Il prezzo della benzina condiziona ormai tutto
il mondo e nessuno sarebbe disposto a lasciarlo nelle mani di pochi paesi
che, accordandosi, potrebbero mettere in ginocchio i trasporti e le
comunicazioni.
La causa ufficiale della guerra che è scoppiata mercoledì notte è la
rinuncia del dittatore iracheno alla richiesta di distruzione delle armi che
i trattati firmati alla fine della guerra del Golfo impedivano espressamente
di possedere. Armi nucleari, armi chimiche. le parole distruzione di massa
fanno paura, soprattutto dopo che il terrorismo internazionale ci ha
dimostrato quello che sa e può fare nonostante le reti di controllo che fino
all'11 settembre ci hanno creato illusioni di sicurezza. Ovviamente anche
questo motivo è stato sviscerato e rivoltato da chi cercava di opporsi a
Bush. Saddam non ha le armi, le ha distrutte, le ispezioni dell'ONU lo
dimostrano, gli Stati Uniti si attaccano a questo solo per non lascaire la
loro posizione di intransigenza: Bush vuole la guerra e non ammetterà che
l'Irak non fa paura veramente. Eppure chi può dirlo?
All'opinione pubblica
probabilmente sono tenute nascoste tante cose: noi i rapporti di Blix ed Al
Baradei non li abbiamo visti con i nostri occhi. Non saremo mai sicuri che
quello che ci dicono corrisponda alla verità, ma non possiamo certo essere
tranquilli pensando l'opposto. Non vale la pena di rischiare. Purtroppo
ormai si sa che Saddam non ha mai avuto scrupoli a violare trattati e a
portare l'Irak in situazioni molto spinose, tanto più che probabilmente lui
ora è malato anche gravemente. A questo punto nessuno lo farà redimere e
pentire dei crimini orrendi che ha compiuto finora, per lui è lo stesso
continuare a mentire dicendo di aver distrutto il suo arsenale, ma per
l'Occidente è un rischio troppo alto credere a queste affermazioni.


In tutto il mondo i pacifisti manifestano contro gli Stati Uniti. Purtroppo
viene facile tornare con il ricordo alla quasi totale indifferenza che ha
pervaso la gente comune in eventi analoghi come la guerra del Kosovo o i
vari fatti di sangue in Cecenia, Nigeria, Sudan, il massacro dei curdi
proprio ad opera di quel Saddam che tanti dipingono come innocuo e redento.
E così non si può non insinuare che questo pacifismo dilagante abbia una
vena politica.
La guerra è il fallimento della diplomazia? Da un certo lato sì, o meglio,
mette in luce i limiti delle azioni di mediazione. Da un altro punto di
vista, citando Carl von Clausewitz è "la prosecuzione della politica con
altri mezzi". Insomma, parlando molto pragmaticamente: il problema c'è e in
un modo o nell'altro va risolto, la guerra non è altro che uno di questi
metodi, magari troopo violento e crudele per essere appogiato da tutta
l'opinione pubblica, ma, in casi come questi, non esagerato.



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