Mio nonno
di Giuseppe Marino


   

Devo questo aneddoto sul mio nonno   Peppino Marino che conobbi per pochi anni e che ricordo con affetto e nostalgia,  ad  un racconto orale del mio amico Peppino Sperlì che ringrazio per avermelo tramandato.

   Peppino era un cacciatore diciottenne esuberante come può esserlo un ragazzo che si affaccia alla vita, che si bea della sua gioventù, della sua forza, del suo ottimismo, dei suoi sogni, delle sue abilità; che si sente padrone del mondo. E Peppino, a dire la verità, era un giovane in gamba, sveglio, capace,  un bravo tiratore anche, considerata l’età e la scarsa esperienza.
   Un giorno d’autunno si recò a San Biagio in compagnia di zu Peppino Marino, un vecchio oramai ultra settantenne, dal passo malfermo che camminava a fatica sulla strada di Furnia, pipa in bocca e fucile in spalla. Peppino, che le gambe le aveva buone, saltellava di qua e di là ai lati del sentiero precedendo il vecchio e sparando ai tordi che si alzavano in volo appena sentivano i passi dei due uomini che si avvicinavano. Ogni tanto colpiva un animale e allora lo andava a raccattare e  lo metteva in uno zainetto  di vimini che portava a tracolla. Poi estraeva dalla cartucciera due cartucce e ricaricava il fucile.
   Zu Peppino sembrava non seguire le prodezze del giovane e continuava a camminare badando ai fatti suoi. In vita sua non aveva mai sparato ad un tordo, non lo considerava dignitoso; le sue prede ambite erano le beccacce, le pernici, le quaglie, le lepri. Una volta aveva ucciso anche un lupo, ma era stato un episodio isolato, un qualcosa di cui il vecchio cacciatore di “pinna” quasi si vergognava. Zu Peppino era contento quando vedeva Grassi, il suo fedele setter, in punta. Allora lanciava il cane che faceva alzare la beccaccia o la quaglia ed egli con la sua proverbiale abilità, immancabilmente l’abbatteva con un colpo solo. 
   Peppino, intanto, continuava a sparare a destra e a manca, a volte colpendo la preda, a volte mancandola. Quando oramai avevano iniziato la discesa su San Biagio, un tordo volò saettando dal ciglio del burrone che sovrasta i Campanelli. Peppino, lestamente, mirò; un tiro abbastanza difficile, tuttavia abbatté la bestiola, poi, con fare beffardo si rivolse al vecchio cacciatore: “Zu Peppì, ha vistu cu’ se sparari?”
   Zu Peppino a prima vista non sembrò raccogliere la provocazione. Aspirò lentamente dalla pipa di creta con la cannella di canna che sembrava incollata alla bocca l’ennesima boccata di fumo, si gustò voluttuosamente il non proprio profumato effluvio, con lentezza esasperante sganciò dalla spalla la cinghia del ribotte, prese l’arma in mano, tolse dalla cartucciera due cartucce e la caricò. Poi rivolto a Peppino, con tono che non ammetteva repliche, gli intimo: “Jetta ‘na petra ‘ntra chillu scinu!”. Il giovane, confuso e intimorito, eseguì l’ordine, Appena il sasso cadde nel cespuglio di lentischio, due tordi s’alzarono lestamente in volo, uno in direzione dei Corvi, l’altro dalla parte opposta, verso San Biagio. Il vecchio cacciatore, serafico, pipa ancora in bocca, sparò con calma al primo che cadde fulminato, poi ruotò lentamente l’arma di cent’ottanta gradi ed abbatté anche il secondo volatile, quindi rivolto al giovane ancora a bocca aperta per la sorpresa disse: “Guagliò, va ricogliali e fattìcce ‘u broru.”

      
Nonno Peppino a Rittusa 

 
   
   Antonio Fazio - Partita a scopa (Nonno Peppino è il personaggio a sinistra)

                                                                                                                                      

 

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