Condanna
e morte di Cicco Simonetta
Atto
1° Scena
1^ Cortile
della Cancelleria.
Cicco e Piero Guicciardini, ambasciatore di Forense, passeggiano discutendo,
mentre il narratore racconta la vita del cancelliere ducale, dalla nascita al
rientro del Moro a Milano. “Messer
Cecco, uomo per prudenza e per lunga pratica eccellentissimo”, come ebbe a
dire Niccolò Machiavelli nelle Istorie fiorentine, nacque a Caccuri, minuscolo,
ma nobile e degno borgo di Calabria nel 1410. Il padre era Antonio di Gentile
Simonetta e la madre Margherita da Policastro. Cecco visse la sua infanzia a
Caccuri prima di trasferirsi a
Rossano, presso i padri basiliani
ove studiò e si laureò in diritto canonico e imparò il latino, il greco e
l’ebraico. Quando Francesco Sforza sposò la nobile Polissena Ruffo che aveva
il dominio anche sulle terre di Caccuri, il figlio di Muzio Attendolo conobbe lo
zio di Cecco, Angelo Simonetta, uomo eccellente e di grande ingegno.
Tutta la famiglia dei Simonetta, tra i quali lo stesso Angelo e
i nipoti Cecco, Giovanni e Andrea si trasferirono con il condottiero,
prima ad Ancona, poi a Milano quando lo Sforza ne divenne duca. Il duca
nominò Cecco cavaliere “aurato” e lo mandò a Napoli ad imparare
l’arte di organizzare lo stato. Qui il re lo nominò Presidente della Regia
Camera Sommaria. Piero
Mio
caro Guicciardini, nessun consiglio, nessun saggio monito trova orecchie attente
se la persona alla quale è rivolto ha la mente offuscata da una insana follia.
La duchessa è donna debole ed insipiente ed è soggiogata da un drudo perverso
che la spinge verso il baratro. Più volte ho tentato di farla ragionare, ma
ella si mostra assai ritrosa a seguire i miei consigli. Anche a me sono giunte
voci sulla sua propensione a perdonare i cognati e farli tornare a Milano. Temo
che finirà per cedere. Si preparano tempi infausti, amico mio! Piero Ma
allora, messer Cecco, se è così voi siete minacciato da un pericolo mortale. I
vostri nemici vorranno vendicarsi di voi, non lasceranno certamente al potere il
loro più accanito avversario. Vi destituiranno, vi toglieranno il potere
vi…… Cecco No,
non è la mia sorte che mi preoccupa. Il pericolo che sovrasta la mia persona è
ben poca cosa di fronte a quello che incombe sul duchino, su Milano,
sull’Italia intera. La situazione è brutta, amico mio, molto, molto brutta! Piero Ma
se il Moro si impadronirà di Milano, Firenze perderà il suo più fedele
alleato, il papa e il re di Napoli avranno le mani libere e anche per il mio
signore sarà la fine, anche Firenze perderà la sua libertà. E’ vero, messer
Cecco, nuvole di tempesta si addensano nei cieli d’Italia! Ma ora vi saluto,
devo tornare a Firenze dove mi ha richiamato il mio signore. Possa Iddio
impedire che questi progetti scellerati vadano a buon fine. Addio, amico mio e
lunga vita a voi. Cecco Addio,
messer Piero, che Iddio vi assista durante il viaggio. Vi prego di
testimoniare tutta la mia stima e la mia gratitudine a messer
Lorenzo, Magnifico signore di
Firenze. Fate buon viaggio, addio! Messer
Cecco, messer Cecco, non abbiatene a male, illustre cancelliere, ma vi porto una
cattiva notizia: madonna Bona ha perdonato messer Ludovico. Egli ieri, di
nascosto, ha fatto ritorno in Milano. Ora
ha preso alloggio in un appartamento del castello e il popolo lo acclama duca. Cicco Ma
che accidenti è preso a madonna Bona? Quel che temevo è accaduto! Ormai la
duchessa è fuori di senno, quel maledetto Tassino l’ ha convinta
a fari rimpatriare gli Sforzeschi felloni. Tutto è perduto oramai! I
disegni del re di Napoli e del papa stanno per giungere a compimento e un grave
pericolo minaccia Milano. La
malvagità e la perfidia di questi
nostri nemici si sfogheranno contro di noi e contro lo Stato; possa Dio impedire
che quest’odio accechi i traditori
di Milano! Scena 2^ Mentre
Cicco parla col messo, si sente un vociare e un suono di trombe. Poi voci più
nette: “Madonna Bona, arriva madonna Bona!” Entra
il corteo; Bona di Savoia passeggia accompagnata da due dame, e alcune comparse.
Incontra Cicco che si avvicina corrucciato. Lunga
vita, madonna Bona. Che iddio possa sempre vegliare sulla sua augusta persona e
sullo Stato. Bona Buona
giornata, eccellente ministro. Oggi vi vedo corrucciato, cos’è che angustia
il mio fido e valente cancelliere? Cicco Signora,
una grave e terribile notizia mi è stata portata or, ora da un messo. Io non
vorrei crederla vera, se così fosse lo Stato correrebbe un grave e
mortale pericolo. Bona Di
che vi allarmate, Cecco? Cos’è che vi rende così incerto e smarrito? Nessun
grave pericolo minaccia lo stato, statene certo. Cicco Voi
consentiste a messer Ludovico di far ritorno a Milano. Credete, madonna, che
l’uomo muti in modo così repentino i suoi costumi e rinunci ai suoi
propositi? No, mia duchessa, la
vostra decisione sarà foriera di grave danno per lo
stato e per voi stessa. Bona
Cecco, il perdono dei miei
cognati porterà pace e sicurezza ai Milanesi
e porrà fine alle gravi dispute tra le diverse fazioni. Ora forse ritroveremo,
finalmente, un po’ di pace. Cicco
Mia duchessa, davvero sperate che
ciò sia vero? Che da oggi lo Stato non corra più alcun pericolo? Credete
davvero che i vostri congiunti che tanto hanno tramato contro di voi, contro il
Duchino e contro il popolo milanese
abbiano messo da parte i loro propositi? Credete
che il papa e il re di Napoli rinunceranno ai loro progetti, alle loro mire su
Firenze e poi si Milano? Credete davvero che consentiranno al Moro di lasciarvi
libera di opporvi ai loro progetti? Così non sarà e voi ve ne accorgerete
quando sarà oramai troppo tardi. No, mia signora, “voi
prendeste un partito che toglierà a voi lo Stato e a me la testa.” Bona
Vedo che oggi l’animo vostro è assai turbato
e ciò vi fa vedere pericoli e congiure ad ogni canto. Se io avessi
negato il perdono ai miei cognati, essi oggi sarebbero ancora
a tramar contro lo Stato, contro di me,
contro voi e l’odio avrebbe
richiamato altro odio e la vendetta altra vendetta
e il Ducato non avrebbe mai avuto pace. Sono sicura che il perdono li
renderà riconoscenti e fedeli e nulla avremo da temere in futuro. Cicco Mia
amata duchessa, non sarà così e voi avrete da pentirvene. La storia è ricca
di esempi illuminanti. Ludovico è uomo avido; egli di una sola cosa ha sete: di
potere; un potere che gli consenta di arricchirsi sempre più, un potere che lo
metta al riparo delle leggi che lo liberi da qualsiasi lacciolo, che gli
consenta di manipolare le coscienze, di piegare tutto e tutti ai suoi interessi.
Per far ciò diffonde notizie false, fa credere che si possano eliminare i
balzelli, far ricchi i poveri, far vivere tutti felici. In quest’orgia di
potere non ci sarà posto per Cecco, ma non ci sarà posto nemmeno per la
duchessa Bona. Ogni voce critica sarà costretta a tacere; solo
cortigiani sciocchi, incapaci e ciarlieri troveranno posto nel nuovo
stato. No, duchessa, non ci sarà posto per noi alla corte del tiranno. Io
perderò la testa e voi non conserverete il governo dello stato. No
Cecco, vi sbagliate . Oggi inizia
per Milano un ‘epoca di pace, di serenità
e di nuovo splendore. Assieme a Ludovico riformeremo lo Stato, lo faremo più
grande, più ricco, più prospero. Ludovico è una preziosa risorsa e, in
collaborazione con lui faremo grandi Milano e l’Itala. E ora addio, mio fido
cancelliere, vi aspetto domani per le cure dello Stato, buona giornata. Cicco Mia
Duchessa, volesse il cielo che
domani possa ancora occuparmi dello Stato, ma ne dubito fortemente. Il mio
destino è oramai compiuto. Comunque buona giornata a voi e lunga vita. Bona
e il suo seguito escono, Rientra
discretamente il narratore Narratore Madonna
Bona continuò la sua passeggiata mentre messer Cecco pensava ancor a ciò che
l’insana opera della sua signora avrebbe prodotto in danno dello stato e dei
Milanesi. Mentre così turbato pensava a tutto questo, irruppero le guardie
mandate dal Sanseverino e da Ludovico che lo arrestarono e lo ridussero in
catene.
(Esce) Entrano le
guardie (Inchinandosi) Salute a voi, messer Cecco, vengo a invitarvi, così come
decisero messer Ludovico e i suoi consiglieri, a seguirmi in un luogo sicuro
poiché oggi sono scoppiati gravi tumulti e molte persone hanno inveito contro
di voi. La vostra persona corre un
grave pericolo. Cicco Ringraziate da parte mia messer Ludovico, ma credo di non aver bisogno
della sua protezione. Niente ho da temere dal popolo milanese che ho sempre
servito fedelmente, così come ho servito con umiltà e zelo il mio duca. Resterò
ad aspettare il verdetto di un popolo che ho sempre amato e che mi ha sempre
amato, serenamente, nella certezza che il giusto, il degno, l’uomo leale e
fedele al suo popolo e al suo Signore nulla debba temere. Il capo Messer Cecco, a questo punto sono
costretto a imporvi Cicco
(Mentre le guardie gli si scherano al
fianco) Ahimè, fui (Le
guardi lo conducono via) (Rientra il narratore) Narratore E
mentre Cicco viene condotto prigioniero nel castello, il capo delle guardie si
precipita dal Moro a comunicargli l’arresto del cancelliere. La duchessa Bona,
intanto, beata nel suo stato, ignora l’arresto del potente ministro e,
accecata dalla insipienza, non riesce a prevedere la sciagura che sta per
abbattersi anche sulla sua casa. Il messo li segue a distanza.
(Esce) Scena 3^ Dalla
sinistra rientra in scena Bona di Savoia accompagnata da due dame di compagnia.
Entra trafelato il Messo. Messo Duchessa Bona, duchessa Bona, perdonatemi vengo a darvi una terribile
notizia: messer Cecco, arrestato per ordine di messer Ludovico è tradotto in
catene nel castello di Pavia. Il popolo esulta alla notizia istigato dal Moro e
dal Sanseverino, invoca il vostro arresto e acclama Ludovico nuovo duca di
Milano. Bona
(Sbiancando in viso) Cecco tradotto in catene? L’uomo che seppe
dare a Milano pace, prosperità, benessere e sicurezza incarcerato come un
volgare malfattore? E Ludovico fellone? E il popolo milanese in tumulto contro
la sua signora? Come è possibile tutto questo? Come può, Ludovico, l’uomo al
quale perdonai tanti misfatti,
mostrarsi così ingrato e crudele, così perfido contro il figlioletto
del proprio fratello, il sangue del suo sangue? Dio, fa
che ciò non sia vero, fa che il traditore si ravveda e il popolo
rinsavisca. O giorno infausto per Milano e per i Milanesi; meglio sarebbe stato
se quest’alba non fosse mai sorta! Irrompe
Roberto Sanseverino seguito dalle guardie e si rivolge a Bona. Sanseverino
Salute a voi, madonna Bona, vengo a invitarvi, così come decisero messer
Ludovico e i consiglieri, a seguirmi in un luogo sicuro poiché oggi scoppiarono
gravi tumulti e il popolo inveisce contro di voi. La vostra persona non è al
sicuro e vostro cognato intende adottare ogni misura opportuna per garantire la
vostra incolumità. Bona
Vi prego di ringraziare Ludovico per le sue premure, ma la duchessa di
Milano non ha bisogno della sua
protezione. Giammai il popolo milanese oserà far del male alla sua signora, a
colei che tanto lo ha amato e servito. I tumulti, se mai ci sono stati,
cesseranno al mio apparire in pubblico e messer Cecco,
fedele e valente ministro, saprà riportare la pace e la serenità nel
ducato. Vi ordino di impartire immediatamente le opportune disposizioni affinché
egli sia liberato. Sanseverino Madonna Bona, allora mi costringete a
imporvi di seguirmi. Forse non lo avete ancora capito; gli ordini di messer
Ludovico non si discutono: messer Ludovico ha deciso così; a lui, solo a lui
spetta decidere il bene e il male, cosa sia utile e cosa sia dannoso per le
sorti del Ducato. Da questo istante consideratevi agli arresti e sperate nella
clemenza di vostro cognato. Deponete il vostro stupido orgoglio e la vostra
alterigia; le vostre prepotenze sono finite. Bona Voi parlate di prepotenze? Voi che tradiste più volte il vostro signore,
voi che tramaste contro il vostro benefattore e contro il ducato? Come vi
permettete di usare un tono così arrogante contro la duchessa di Milano? Vi farò
pentire amaramente della vostra insolenza. Sanseverino
Le vostre minacce mi lasciano indifferente. Il popolo ha emesso il suo
verdetto; messer Ludovico è il nuovo signore di Milano e voi finirete i vostri
giorni in prigione. Bona Ludovico traditore è signore di Milano? Mio Dio, che ne sarà del
Ducato? Che ne sarà del duchino, di me stessa? Dio, Dio, com’è possibile
tutto ciò? Ma allora è la fine di tutto? Maledetto
Tassino, che consiglio perverso mi desti! Ahimé, sciagurata, che caddi in un
così vile tranello! Ah, Cecco, Cecco, come fosti facile profeta! Perché non
ascoltai i tuo consigli, perché, perché …… perché?……. Iddio maledica
i traditori di Milano e maledica te, Sanseverino, il più odioso tra i
traditori! Sanseverino
La vostra lingua è ancora
tagliente, il vostro veleno sempre pronto a colpire come faceste con Sforza
Maria, ma oramai le vostre unghie sono spuntate. Avrete tempo in cella di
meditare sulla vostra arroganza e sulla vostra insipienza. Bona Siete ancora la serpe di sempre, il traditore, la vipera malefica che da
anni infesta il territorio del ducato: possa Dio maledirvi in eterno. Le
guardie prendono in consegna Bona e la portano via mentre il messo
Atto
2° Scena 1 La
scena rappresenta un’aula di
tribunale Narratore Nell’ottobre
del 1480 inizia il processo contro il potente ministro caccurese. Davanti ai
giudici Cecco si difende con coraggio e dignità dalle accuse e dalle calunnie
che gli vengono riversate addosso dal Sanseverino e dai giudici istigati dal
Moro. Il grande cancelliere che aveva tenuto in pugno il Ducato di Milano
facendone uno stato moderno, l’unico vero stato italiano in grado di competere
con il Regno di Napoli, avrebbe potuto salvare la vita accettando la proposta
del Moro di rinunciare a tutti i suoi averi, a tutte le sue ricchezze accumulate
in lunghi anni di duro lavoro e di fedele servizio alle dipendenze del suo
Signore, ma egli rifiutò con sdegno il
ricatto del traditore e preferì affrontare serenamente il processo e la morte,
con la forza dei grandi. Entrano
i giudici e il Sanseverino accompagnati dalle guardie e siedono su alcuni
scranni. 1°
Giudice
(Rivolto
alle guardie)
Guardie, conducete in nostra presenza il prigioniero! Le
guardie escono e rientrano poco dopo conducendo Cicco in catene. 2° Giudice (Rivolto
a Cicco) Messer Cecco, siete accusato di tradimento nei confronti del Ducato di
Milano, di aver tramato per conquistare il potere perseguitando i figli del
nostro defunto signore, l’eccellentissimo Francesco Sforza ed aver fatto
avvelenare Sforza Maria, di esservi alleato con Firenze, con messer Lorenzo dei
Medici e con altri principi italiani
in danno del Ducato, di nepotismo per aver collocato nei posti chiave dello
Stato i vostri parenti e i vostri compaesani calabresi, di aver preso dimora
illegalmente nel castello di proprietà del duca. Vi si accusa ancora di usura e
sodomia e di altre scellerate nefandezze. Sono queste tutte accuse gravissime
che, se provate, comporteranno la pena della decapitazione. Spero, nel vostro
interesse, che riusciate a mostrare la vostra innocenza a questo tribunale che
l’autorità e la clemenza dell’eccellentissimo duca messer Ludovico Sforza
ha voluto istituire per giudicare il vostro comportamento. Cicco
E’ impresa disperata, signor giudice, difendersi da accuse completamente inventate, mostrare ciò che è a tutti evidente a gente che non vuol vedere l’evidenza. Mai mi Messer
Cecco, vi ricordo che siete imputato di gravi reati; non vi è consentito
infangare l’onore e la dignità del vostro signore, l’eccellentissimo duca
Ludovico e dei suoi ministri. Moderate il vostro linguaggio o questo tribunale
dovrà rinunciare alla clemenza. Cicco Signor giudice, mi è difficile difendermi dalle accuse se mi è impedito
di dire la verità. La verità è uno strumento devastante, è un macigno che si
abbatte sui miei accusatori; è un grido represso che prorompe dalla bocca e dai
cuori dei Milanesi oppressi dalla tirannide, un grido che spaventa i nemici di
Milano, il Re di Napoli, il Papa, i principi e i re stranieri da sempre nemici
di Milano e che oggi vedono in chi governa Milano il cavallo di Troia per
impadronirsi del Ducato e dell’Italia intera. E io vi dico voi non vedrete il
volgere di questo secolo prima che il tallone straniero calpesti il vostro
collo; a questo condurrà la politica sciagurata che avete intrapreso e che io
combattei con tutte le mie forze. Giudice
Imputato Simonetta, vi ricordo che vi trovata davanti al giudice, un
giudice chiamato a giudicare i vostri misfatti e di questo solo dovete
rispondere. Non v’è concesso contestare il potere dello Stato, di quello
stato contro il quale tramaste. I giudizi politici non interessano a questa
Corte. Cicco Strano, molto strano, signor giudice. Strano perché questo è un
processo politico. Un processo politico rovesciato, Qui non si processa il
potere , un potere che si è instaurato con l’arbitrio e l’inganno; qui,
questo potere illegale processa i difensori della legalità; è successo molte
volte nel passato, succederà ancora nel futuro. Un potere frutto di violenza,
prevaricazione, inganno, demagogia populistica distrugge ogni potere legale, ne
ricostruisce uno simulacro ed utilizza la sua forza reale, la sua violenza
contro chi si opponeva a questo disegno. Questo
tribunale, signor giudice, non ha autorevolezza, è un tribunale speciale. Giudice
Non compete a voi, imputato di reati gravissimi, attestare o meno
l’autorità di questo tribunale, soprattutto a voi che perseguitaste con
accuse infamanti, servendovi di una magistratura al vostro servizio, chi oggi,
per volere del popolo sovrano è duca di Milano. Voi sì faceste un uso politico
della giustizia! Cicco Sanserverino Signor Giudice, questo reo malvagio continua ad
offendere il Signore di
Milano e chi lo serve devotamente. Non sono già questi gravi reati meritevoli
di una condanna a morte? Io credo che il processo possa finire qui. Cicco Questa è la dimostrazione lampante che il mio è un processo politico.
Non una sola prova è stata portata in questo tribunale a suffragare le accuse
che mi sono state mosse se non quelle di essermi opposto al tiranno. Ma se
questa è una colpa, se l’aver difeso la legalità è un reato, ebbene, si,
sono colpevole. Colpevole di essermi opposto alla conquista fraudolenta dello
Stato, alla sua spoliazione, al suo asservimento ai potentati stranieri, ad una
politica estera fatta da servi sciocchi e compiacenti, ciarlatani incapaci,
trasformisti interessati. Questi sono i miei cosiddetti reati: reati di lealtà
e fedeltà allo Stato; il resto sono solo maldicenze frutto dell’invidia dei
miei nemici. Sanseverino
Ebbene, signori, l’imputato è reo confesso. Egli ha tramato contro il
nostro Signore, contro messer Ludovico che il popolo ha voluto Duca di Milano
e che costui perseguitò a lungo con un accanimento feroce. Anche in
questa sede ha offeso il nostro amato Duca, un uomo mandato dalla Provvidenza
che si è accollato la responsabilità del governo dello Stato per il bene dei
cittadini ed opporsi alla nefasta dittatura di costui. Cicco
Sanserverino Giudice, a che serve oramai continuare il processo? Messer Cecco è reo
confesso; vedete con quanta audacia e alterigia si rivolge a Codesta spettabile
Corte? Non rinnega alcuno dei suoi atti scellerati! Egli perseguitò a lungo i
figli di Francesco Sforza, li combatté, li processò, li esiliò al solo fine
di impadronirsi del potere e di arricchirsi smodatamente. Cacciò dallo stato i
milanesi sostituendoli con il suo parentato, i suoi conterranei che occuparono i
posti migliori per brama di potere e di ricchezza. Fu lui, in combutta con la
duchessa Bona ad avvelenare Sforza
Maria. E ancora oggi, nonostante ridotto in catene, continua a tramare con gli
Estensi, con il Duca d’Austria e con i Guelfi contro il nostro amato signore
Ludovico Sforza. Non sono già
sufficienti queste accuse per decretarne la condanna morte? Ma se ciò non
bastasse, pensate all’enorme ricchezza che quest’uomo malvagio ha
accumulato: 200.000 ducati, frutto dei sui intrighi delle sue ruberie,
dell’usura che ha praticato senza alcun ritegno. Costui, signori, rappresenta
un pericolo mortale per il nostro signore, per il Ducato, per la pace e la
prosperità dei Milanesi. Quest’uomo deve essere mandato prestamente a morte. Cicco
Roberto Sanseverino, come
sempre non ti smentisci! Sei la serpe, il fellone di sempre, colui che tradì
ripetutamente la munificenza e la generosità del duca Francesco passando al
nemico e marciando in armi contro Milano. E ancora una volta trami contro lo
Stato. Fingendoti amico del duca, con i tuoi cattivi consigli lo spingi verso il
baratro per poi passare -al nemico come facesti un tempo.
Fingi di servirlo, ma, in realtà, servi i suoi nemici che vogliono
distruggerlo ed estendere il loro dominio a tutta l’Italia. Quando questo
accadrà Milano sarà costretta a chiedere aiuto allo straniero e per l’Italia
sarà la fine. Possano un giorno i milanesi rinsavire e liberarsi di un essere
viscido e maligno come te! 1° Giudice A
questo punto è evidente l’inutilità di cercare altre prove ed altri
riscontri. Messer Cecco, le vostre colpe sono più che evidenti. Voi stesso le
ammettete con la vostra superbia e la vostra arroganza e ve ne vantate. Voi vi
macchiaste di tradimento nei confronti del Ducato. Siete colpevole di aver
perseguitato ed esiliato i figli di Francesco Sforza, di avere assassinato
Sforza Maria, di esservi alleato con i Medici e con altri principi italiani
contro la nostra patria, di aver estromesso dalle cariche pubbliche cittadini
milanesi per favorire i vostri conterranei, di esservi arricchito illecitamente
e di altri reati minori per i quali, tutti quanti minuti e
provati vi condanniamo alla pena di morte per decapitazione da eseguirsi
domani mattina all’alba nel rivellino del castello di Pavia. Vi informo che,
come condannato a morte, avete la possibilità di esprimere un vostro ultimo
desiderio che questa Corte avrà
premura di esaudire. Cicco
1° Giudice Il
colloquio è concesso. Domattina all’alba, prima che il boia ponga fine alla
vostra scellerata vita, vi sarà concesso incontrare vostro fratello secondo il
desiderio da voi espresso. Scena 2^ Rientrano le guardie con Cicco in catene: poco dopo arrivano altre guardie che conducono Giovanni anch’egli in catene. Capo guardie Messer Cecco, la
beneficenza di messer Ludovico, nostro grande duca, vi concede il colloquio con
vostro fratello. Parlerete alla presenza delle guardie. Subito dopo riceverete i
conforti religiosi, prima che vi
conducano al patibolo. Giovanni (Si
lancia verso Cicco con un gesto di affetto) Fratello amato, quale sorte malvagia
si è abbattuta su di noi, su di te che fosti sempre leale e fedele al duca, al
popolo, che facesti grande, temuto e rispettato lo Stato. Perché?, perché
accanirsi contro di te? Può, mio caro Cicco, la brama di potere rendere gli
uomini così crudeli, ciechi, ottusi, bramosi di vendetta? Quale immane sciagura
sta per abbattersi si di noi, quale tremenda ingiustizia patirai e patiremo,
com’è doloroso questo momento! Cicco Giovanni, non lasciarti abbattere. Era fatale che ciò accadesse, fa
parte delle regole del gioco. Il tiranno non può lasciare in vita chi sempre si
oppose alle sue insane mire. Oggi trionfa e, ebbro della vittoria, si libera del
suo nemico, ma la sua cecità lo porterà ben presto alla rovina. Già i suoi
alleati affilano le armi contro il Ducato di Milano che un tempo temevano.
Vorranno eliminare questo ostacolo alle loro mire e Ludovico dovrà cercarsi
nuovi alleati, pagare nuovi prezzi. In Italia oramai ha solo nemici e allora
dovrà vendere Milano agli stranieri e il suolo italico sarà calpestato dagli
stivali francesi. A me una sorte, tutto sommato benigna,
concede di non vedere la fine di tutto; muoio con questa consolazione
almeno. Ma ho voluto chiamarti, adorato fratello, per affidarti un compito:
l’ultimo incarico che affido nella mia vita è per te, Giovanni. Il Moro non
oserà mandare a morte colui che celebrò le gesta dell’augusto suo genitore;
non passerà molto e tornerai libero. Tu rivedrai il tuo feudo di Rocca di Neto,
i nostri parenti, la nostra amata
Caccuri, i Caccuresi. Racconta loro la mia triste fine; dì loro che di nessuna
colpa mi sono mai macchiato, se non di quella di avere amato troppo il mio
signore, il mio Stato, il mio popolo, l’Italia tutta. Caccuri, amata patria,
potrà vantarsi di avermi annoverato tra i suoi figli, che i Caccuresi non
abbiano mai a vergognarsi di Cicco. E dico ancora che ella sarà illustre nei
secoli e lodata dai suoi vicini. Quanto a te, Giovanni carissimo, avrai ancora
grandi soddisfazioni: i tuoi rampolli saranno celebrati tra le nuove generazioni
e rinverdiranno i fasti della nostra famiglia. Va’, fratello mio e che il
cielo ti accompagni, la mia vita volge alla fine, addio! Giovanni
Cicco, fratello mio, farò quanto tu mi chiedi. Voglia il cielo che possa davvero farlo! Com’è doloroso questo distacco, com’è cattiva l’umana sorte! No, non è possibile che si mandi a morte un uomo giusto e pio come te, sorte crudele, duca infame, traditori maledetti! Possano un giorno pagare duramente l’orrenda colpa di cui si macchiano. (Abbraccia il fratello) Addio, fratello mio, luce e gloria di Milano e della nostra stirpe, addio, addio per sempre! Le
guardie conducono via Giovanni. Si affaccia il boia con la scure pronto alla
decapitazione. Entrano cortigiani e soldati. Scena 3^ Messer Cecco, la tua ora è giunta! Eccomi pronto ad affrontare la morte con dignità e limpida coscienza.
Andiamo. Sanseverino Giustizia è fatta! La testa che tanto male fece ai miei signori ed
all’Italia tutta è stata finalmente staccata dal collo. Ora inizia un’era
nuova, finalmente si respira! Atto
3° Scena 1 Caccuri
1482 – Via Misericordia – Casa De Gaeta,
ex casa Simonetta.: Ettore De Gaeta e Cesare Protospataro, insieme agli altri
parenti, attendono l’arrivo di Giovanni Simonetta Cesare
(rivolto al cugino Giovanni De Gaeta) Allora, Non temere, Cesare, all’alba è giunto al galoppo
un messo inviatomi dallo zio attardato dalla rottura di una ruota della
sua carrozza per dirmi che oggi il nostro congiunto sarà sicuramente qui.
Anch’io, come te, e come tutti i
Caccuresi, desidero ardentemente il suo arrivo per apprendere della fine del
nostro amato zio Cicco, un uomo che tanto bene ha fatto al suo signore, al
Ducato e a tutti i Milanesi Cesare Si, Ettore, grande è il bene che Cicco ha fatto a Ettore Caro cugino, Cicco è morto, ma il suo spirito aleggia su Milano,
sull’Italia e sulla sua Caccuri. Sono
d’accordo con te, i suoi nemici, coloro che lo hanno mandato a morte,
rimpiangeranno la sua abilità, il suo equilibrio, la sua intelligenza politica
che ne fecero uno degli uomini più illustri del secolo. Cieco fu il Moro e, i
frutti della sua politica nefasta già si intravedono: Sanseverino ha tradito ed
è passato al servizio di Venezia, i nemici che tramavano contro Firenze e che
per questo vollero sbarazzarsi di lui sono stati sconfitti e Lorenzo, caro amico
di Cicco è ancora signore di Firenze. Il Moro è sempre più solo, e deve
difendersi dai tanti nemici che si è procurato. Il suo stato ha i giorni
contati oramai! Cesare Certo è una fortuna che il nostro feudatario non risieda a Caccuri e non
sia oggi presente. Sarebbe stato davvero imbarazzante per il nipote di Sisto IV,
uno dei carnefici dello zio, assistere al ritorno di un Simonetta nella sua
patria. Ettore Si, certo, imbarazzante per lui, ma non credo avrebbe fatto villania allo
zio Giovanni che il Moro non ebbe il coraggio di condannare per la sua grandezza
e le sue virtù, soprattutto ora che il papa e il Moro, per la loro politica
sciagurata, si trovano in gravi difficoltà. Cesare
Questo è vero, comunque meglio così, meglio che Geronimo Riario non sia
a Caccuri e che ci venga risparmiata l’odiosa presenza, nella nostra casa, in
questo giorno di gioia, di un nemico dei Simonetta. Ma ora la mia impazienza
cresce: è quasi mezzogiorno e lo zio non si vede. Ettore Cesare, ti prego di calmarti, oramai dovrebbe arrivare da un momento
all’altro. Capisco la tua ansia, ma ti prego di pazientare. Scena 2^ Dall’
esterno giunge un vociare confuso.
Dopo un po’ le voci sfanno Voci Viva Giovanni Simonetta, viva
il signore di Rocca di Neto e nostro concittadino! Viva Cicco, viva Caccuri! Ettore
e Cesare si precipitano verso la finestra. Entra un messo e annuncia l’arrivo
di Giovanni. Messo
Signori, l’eccellentissimo signore Giovanni Simonetta chiede udienza
alle Signorie vostre. Egli è giunto poco fa con il suo seguito e chiede di
essere ricevuto. Ettore
Fatelo entrare senza alcun indugio nella sua casa. Lo aspettavamo con
ansia. Esce
e rientra poco dopo precedendo Giovanni Messo
L’eccellentissimo signore Giovanni Simonetta Ettore Benvenuto, illustre zio, nella tua casa. Grande è la gioia e l’onore
che ci fai tornando al tuo paese, fra la tua gente. Si
odono voci dall’esterno Voci Lunga vita a Giovanni Simonetta, cancelliere e signore di Rocca di Neto.
Viva Giovanni, viva Cicco! Giovanni
(Abbracciando i nipoti) Lunga vita a voi, nipoti carissimi! La sorte mi
è stata amica. Mi è stato concesso di rivedere voi, diletti parenti, e la casa
di Antonio di Gentile che mi diede i natali. M’è caro questo luogo, questo
palazzo, questa mia gente. La mia gioia è grande anche per l’accoglienza dei
Caccuresi; il loro affetto mi riempie il cuore di orgoglio. Ed io sono qui per
portarvi l’ultimo saluto di Cicco, il suo testamento spirituale. Son qui per
riportare Cicco nella sua casa, fra le mura amiche, fra la sua gente. Cesare Raccontaci, zio, gli orrendi avvenimenti che tanto ci hanno tubato e di
cui sei stato testimone. Siamo ansiosi di sapere
come Cicco affrontò la morte, quali furono i suoi ultimi pensieri, le
sue ultime angosce, qual è il testamento che oggi ci affida. Giovanni Certo, nipoti cari, vi racconterò anche questo. Ma prima che arrivino i
maggiorenti del paese voglio raccontarvi anche qualcos’altro, qualcosa che
solo voi potete capire, qualcosa che dovrete pazientemente far capire ai
Caccuresi, ai Calabresi: la vera ragione della morte di Cicco, del perché mio
fratello fu odiato dai nemici già molto prima di inimicarsi il Moro, sin dai
tempi del duca Francesco. Solo a voi voglio confidare tutto ciò perché solo
voi potete capire, gli altri non capirebbero: gli sciocchi, gli stolti, gli
individui servili non capirebbero e noi potremmo ancora soffrirne.
Il vero motivo, nipoti cari, che portò Cecco alla morte fu un grande
sogno, chiamatelo pure utopia, un sogno che si realizzerà, forse, nei secoli
futuri e che costerà lacrime e sangue. Cicco,
nipoti cari, dopo aver costruito il primo stato davvero moderno ed efficiente,
voleva costruire l’Italia; una grande Italia, una nazione unita dalla Calabria
alla Lombardia; uno stato forte come la Francia, come la Spagna. Per far ciò,
per fare l’Italia, si dovevano fare prima gli Italiani: questa fu la grande
intuizione di Cicco Simonetta. Per questo egli tentò di favorire
l’integrazione tra Calabresi e Milanesi e questo suo disegno, questo tentativo
di eliminare diffidenze, luoghi comuni, di far convivere due popoli per farne
uno solo fu scambiato per nepotismo, per prevaricazione; il tentativo di
superare le divisioni, di far lavorare insieme calabresi e milanesi fu visto
come il tentativo dei calabresi di appropriarsi del ducato, di soggiogare i
milanesi e sostituirsi a loro, da qui l’odio per mio fratello. Questo suo
sottile disegno, che se portato a
compimento, avrebbe fatto di Milano la guida politica ed economica del nuovo
stato, gli procurò l’inimicizia del papa e del re di Napoli e della stessa
borghesia milanese che, stranamente, non lo capì e lo accusò a più riprese di
aver favorito i calabresi e di aver affidato loro le più prestigiose cariche
pubbliche. Per questo Cicco fu
osteggiato prima e poi mandato a morte. Ettore Ma se allora questo era il disegno dello zio i Milanesi furono ciechi? Se il progetto di Cicco un giorno si fosse realizzato si sarebbe unificata l’Italia e l’Italia sarebbe stata milanese, Milano ne sarebbe diventata la capitale. Giovanni Si, Ettore, per questo i Milanesi si mostrarono stolti. Non capirono ciò
che capì benissimo il papa, ciò che capì il re di Napoli che in questo
disegno grandioso e recondito di costruire l’Italia, Milano avrebbe avuto un
ruolo di primo piano e fecero fallire proprio servendosi dello stesso duca di
Milano. Morto Cicco il sogno svanisce. Forse qualcuno lo realizzerà ma ci
vorranno secoli e Milano avrà comunque un ruolo marginale; non c’è Italia
nel futuro della Penisola! Cesare Ma se allora questo era il disegno dello zio non era forse un sogno
irrealizzabile, un’utopia? Giovanni Si, forse lo era, così come utopia fu quella del figlio di un contadino che diventa duca e fonda uno stato moderno, ma di questa utopia saranno impregnati i secoli futuri. Non sarà facile costruire l’Italia, farne una grande nazione, creare gli Italiani, farne un solo popolo superando diffidenze, incomprensioni, pregiudizi, ma un giorno questo bellissimo sogno, il sogno di Cicco, sarà realtà. Ettore Si, passerà certamente tanto tempo e, forse anche quando l’Italia sarà
unita ci sarà sempre chi si opporrà all’integrazione tra i popoli, chi
tenterà di seminare l’odio, la diffidenza, di alimentare egoismi, di creare
nuove barriere e nuovi pregiudizi. Giovanni Si, Ettore, è fatale, ma il cammino della storia non lo si può
arrestare; la storia è un fiume in piena che travolge le cose come fuscelli. Un
giorno l’Italia, ma anche l’Europa saranno unite. Scena 3^ Entra
un messo Messo Chiedo perdono alle Signorie vostre, ma podestà e i maggiorenti del
paese chiedono udienza. Ettore Fateli entrare, li aspettavamo per riceverli con tutti gli onori. Entrano
Podestà Lunga vita all’eccellentissimo Giovanni Simonetta e ben tornato nella
sua casa, tra la sua gente. Grande è l’onore per tutti noi, nell’
incontrare il valente storico nostro concittadino e fratello del grande Cicco. Giovanni Signor podestà, signori consiglieri, sono io a sentirmi onorato per
l’accoglienza calda e il grande onore che i miei amati paesani e le Signorie
Vostre mi hanno voluto tributare. Al mio arrivo alla Porta grande, ho ricevuto
un’accoglienza trionfale e l’affetto dei Caccuresi. In quel momento il
pensiero è andato a Cicco al quale una sorte avversa ha voluto togliere una
gioia così grande. Ed io sono tornato a Caccuri per riportare Cicco nella sua
casa, fra la sua gente, fra le mura amiche perché Caccuri e i Caccuresi mai
dimentichino. Podestà
Eccellentissimo signore, messer Cicco rimarrà sempre nei nostri cuori e
nella nostra mente. Ardiamo dal desiderio di conoscere la sua triste fine,
l’atroce destino che lo ha strappato all’Italia, alla Calabria, a Caccuri. Cesare Si, zio, raccontaci come è morto, quali sono stati i suoi ultimi
pensieri, le sue angosce, le sue speranze, il messaggio che ci affida Podestà Si, Signore, raccontaci di lui, dicci qual è il testamento spirituale che il grande cancelliere ci ha lasciato. Giovanni
Amici, anche nella morte Cicco ha saputo essere grande. L’usurpatore,
dopo averlo accusato delle peggiori nefandezze, voleva infliggergli l’ultima
umiliazione e appropriarsi dei suoi beni. Gli promise salva la vita se avesse
rinunciato a tutti i suoi beni. Ma avrebbe significato ammettere colpe di cui
egli mai si macchiò, avere salva la vita in cambio dell’onore, riscattare una
vita limpida e specchiata col vile danaro. Il Moro, tentò di rubargli l’onore
e i beni, ma Cicco sdegnosamente rifiutò l’odioso ricatto e fece salvi onore
e beni. E io oggi vengo a dirvi altro. Vengo
a dirvi che egli vi amava come amava la sua terra, questo orgoglioso popolo
caccurese , la Calabria che egli difese dal Papa Paolo II°, ma anche da altri
marrani. Caccuri il suo popolo, la
Calabria tutta siano fieri di Cicco, ora che il suo spirito aleggia sulla sua
terra. Sappiate, Caccuresi, anche nei
secoli futuri, esser degni del più illustre dei vostri concittadini talchè la
luce di quest’umile borgo sia sempre faro di civiltà alle altre genti: questo
è quanto Cicco vi dice attraverso le mie parole. Podestà Si, mio Signore, terremo ben
a mente la lezione di Cicco, un uomo che ci ha insegnato la coerenza, la lealtà,
lo spirito di sacrificio per ideali nobili e grandi; no, non lo dimenticheremo
mai; Cicco Simonetta rimarrà sempre con noi. Ettore Si, così sarà! Cicco rimarrà nei cuori e nelle menti dei Caccuresi.
Egli è l’essenza stessa di Caccuri; il suo operato, la sua grandezza, il suo
testamento politico e spirituale sono la
vita del nostro paese. Caccuri e Cicco vivranno ancora insieme per secoli e
quando la saggezza, l’acume, l’esempio di coerenza e di fedeltà ai principi
che Cicco ci ha insegnato non ispireranno più i Caccuresi, Caccuri morrà e
morrà per sempre. Cesare
Infelice quella generazione che dovesse vivere quei tempi quando la
solitudine e la morte regneranno nelle strade di questo borgo: le case
rimarranno chiuse, gli usci sbarrati, i rovi e le erbacce copriranno ogni cosa e
la vita fuggirà da Caccuri. Allora
l’oblio coprirà ogni cosa e sarà la fine di tutto. Allora anche Cicco morirà
e morirà per sempre insieme alla sua patria. Ma fino a quando una fiammella,
anche tenue, della sua saggezza resisterà al soffio perverso di chi vuol
spegnerla e brillerà nelle tenebre caccuresi, la speranza non morrà.! Fine |