‘A LIVELLA

dalle poesie di Totò

Sceneggiatura di Giuseppe Marino

 

Personaggi

Arturo, l’avvocato

Nicolino, il fruttivendolo

Nennella, una donna povera

Assunta, una donna ricca

         Don Pasquale il prete

Sagrestano

Concetta

Rosina

Filumena

Annina

Schiattamuorto

Totò

Marchese

Gennaro

Presentazione

 

Presentatore

 Che cosa strana la vita! Gli uomini sono tutti uguali: una testa con dentro un cervello, due occhi per vedere, un cuore per contenere i sentimenti, due braccia, due gambe, la stessa capacità di gioire, di soffrire, di percepire il dolore, il caldo, il freddo, le stesse esigenze,  gli stessi bisogni. Ogni uomo è figlio di Dio. Apparentemente siamo tutti uguali. Ma è davvero così? Purtroppo no! Purtroppo esistono i ricchi e i poveri, i privilegiati e gli emarginati, quelli che nuotano nell’abbondanza e quelli che non hanno niente,  i carnefici e le vittime, gli oppressi e gli oppressori,  i miti e i violenti, i superbi e gli umili, i signori e i cafoni, gli uomini liberi e quelli che non hanno dignità.

Per fortuna c’è una giustizia che rende tutti uguali; una livella che mette tutti gli uomini sullo stesso piano: il ricco e il povero, il privilegiato e l’emarginato, il potente e il poveraccio periranno. Quando arriverà la morte ognuno dovrà lasciare questo mondo di lacrime. La morte non si fa corrompere, non è possibile comprarne la compiacenza, è inflessibile, inesorabile, spietata, indipendentemente dal censo, dalla professione, dal gradino occupato nella scala sociale, dal prestigio di ciascun uomo. Il ricco muore come il poveraccio, il prepotente perisce come perisce l’umile, il barone fa la stessa fine del netturbino. La morte ci rende tutti uguali. Ma è davvero così? Vediamo se è vero.

 

                                                                Si alza il sipario

 

Atto 1°

 

Scena 1^

 

          Scenografia

 

Una bottega di fruttivendolo. Sul bancone una vecchia bilancia. Dietro il,bancone il fruttivendolo Nicolino. Nel locale si vedono casse di frutta e verdura. Nicolino sta servendo un distinto signore, mentre una popolana attende il suo turno

 

Arturo                            Allora. Nicolì, avete scelto le migliori pere? Mi raccomando, scartate quelle ‘nfracite, avite ‘a scegliere le migliori, le più succose.

 

Nicolino                        E come, no? Non  vi percopate, eccellenza, ve dongo ‘e mieglie pira ca se trovano ‘int’ a Napule.  Voi sieto una persona assale distinta e io vi servo commo ‘o rre!

 

Arturo                            E l’uove, Nicolì, l’uove hanna ‘a essere frische!

 

Nicolino                        State tranquillo, on Artù, quella, ‘a gallina, l’ha deposte un’ora fa, so’ ancora caude, caude.

 

Arturo                            Voi lo sapete, io ci tengo a mangiare bene. Io songo ‘n avvocato di grido e debbo mangiare come si conviene alla mia casta.

 

Nicolino                        E io perciò vi serbo bene. Tutta rrobba ‘e primma qualità! Ecco tutte chille c’avito ordinate, scellenza, so’ 50 lire.

 

Arturo                            Eccovi le 50 lire, staciteve bono. (Esce)

 

Nicolino                        Buona giornata, onna Artù, possiate campare cient’anne!

 

Nennella                       Buona giornata, don Artù! (Dopo che esce) seeeeeeee!

 

Scena 2^

 

Nennella                       Ihiiiii, quante arie! Deve manciare bene, l’avvocato! Ehm si, lui deve manciare bene, e nuie c’avimm’ e accuntentà d’a fietenzia!

 Nicolino                        Statte zitta, Nennè, tu nun capisce niente, chille è ‘n avvocate!

 Nennella                       E pecchì è n’avvucate ha da magnà bene e e muorte ‘e famme hanno ‘a magnà fietenzie?

 Nicolino                        E si capisce! Chill’ è nu signore, tiene ‘e sorde e chi tiene ‘e sorde è ‘na persona distinta e ha da magnà bene!

 Nennella                      Ma famme ‘o piacere! E che tiene, a vocca d’oro? Nun tiene pur’isso a vocca comma ‘a mia?    O Pateterno c’ha fatto n’ata vocca?      Ma famme o piacere!

 Nicolino                        Ohe, Nennè, tu ‘sti ccose     ‘un ne può capì, ti si gnoranti!

 Nennella                       E va buono, e simme gnorante! Beh, damme quattre pummarole e duje puparuole!

 Nicolino                        Va buono, quattre pummarole de duje puparuole.

 

Scena 3^

 Mentre Nicolino si appresta a servirla, entra una donna ben vestita. Il fruttivendolo si disinteressa completamente di Nennella e si profonde in una serie di inchini e smancerie nei confronti della nuova arrivata.

 

             Assunta                   Buon giorno, Nicolì, servitemi ambressa, ambressa. Oggi debbo preparare il ragout  e tengo ‘nu poco ‘e prescia. All’una in punto                                                 torna mio marito e vuole trovare pronto. Non mi ha raccomandato altro: “Assuntì, oggi al giorno voglio mangiare il ragout come lo                                                prepari tu, ma mi raccomando, all’una puntuale debbo mangiare.” Eh, quello tiene i minuti contati, il giorno lavora assaie!

 Nicolino                        ‘Onna Assù, faccio in un lampo, dicetemi in che posso servirvi e vi servo subitamente!

 Nennella                       Ohe, Nicolì, ma vuje vulite pazzià? Tu devi servire prima  a me, io sono entrata per primo e pur’io tengo ‘nu pocu ‘e prescia!

 Assunta                      Eh, e che volete? ‘Nu poco di educazione! Non vedete che sono una signora? Vi ho detto che tengo fretta. Devo cucinare per mio marito che torna all’una in punto. Mio marito è una persona importante: fa ‘o guardaportone ‘into ‘o palazzo dell’onorevole Ficosecco. Quell’è un posto di grande responsabilità. Nicolì, un chilo di pomodori di quelli buoni, doje cipolle rosse e ‘nu tantille ‘e petrusino.

 Nicolino                        Subbeto,  non vi preoccupate, ‘onna Assù, vi servo in un attimo.

 Nennella                       (Spazientita) Nicolì, quattre pummarole e doje puparuole… e fa ‘mbressa!

 Nicolino                        Ohè, ohè, ohè! Non alziamo la voce! ‘Nu pocu è pazienza, nun ‘o vide che stoje servendo  donna Assunta?

 Nennella                       E invece devi servire me, songo arrivata per primo io.

 Assunta                        Uhè, manteniamo le distanze! Come ti permetti? Io songo donna Assunta, a mogliera ‘e don Raffaele, ‘o guardaportone dell’onorevole Ficosecco e devo essere servita per primo.

 Nennella                       Ohhhh, ‘a mogliera d’o guardaportone! Tièèèè!…. Faciteme o piacere!… ‘A mogliera d’o guardaportone!…. E io songo donna Filomena, ‘a mogliera ‘e don Gennaro ‘o scupatore!

 Assunta                        (Ridendo in modo provocatorio) Ihhhi, a mogliera d’o scupatore!

 Nennella                   (Si avventa su Assunta) ‘Sta spaccime ‘e femmina! T’aggiu ‘a levà l’uocchjie, don Gennaro ‘o scupatore è una persona onorata e ‘o guardaporta s’ha da levà ‘o cappiello!

 Assunta                        Spaccimme a me?, ‘sta muorte ‘e famme, ‘sta femmina ‘e niente!

 Nicolino                     (Accorrendo a dividerle) Scusate, ‘onna Assù. Nennè, Nennè, ma si’ asciuta pazza?  Statte ferma! Comme te viene ‘n capa di maltrattare donna Assunta? Tu si pazza! (Rivolto ad Assunta) Donna Assù, perdonatela, chista tiene ‘a capa molle! Mo sistemo tutte cose. (Porge ad Assunta i cartocci)  Ecco, ‘onna Assù, pummarole, cipolle e pretusino, comme avite ordinato; so venticinque lire.

 Assunta                        Grazie, Nicolì, voi si che sieto una persona gentile. (Paga) Per fortuna ‘nce sta gente cumm’a te mmiezzu a tutta ‘sta mondezza! (Esce)

 Nennella                    (Fa per avventarsi ancora una volta, a Nicolino la trattiene) Munnezza si’ tu e tutta ‘a razza toja, si’ ‘na fietenzia, ‘na femmina ‘e niente! Pozza jettà ‘o sangu! Vuo’ fa’ ‘a signora pecchè tiene quattre sorde, ma si’ ‘na schifezzaa! Te cride ‘na potenza, ma pure tu haie ‘a murì. Pure tu aie ‘a murì comme muoro io a allora simme ‘guale, finalmente!

 

Cala il sipario

 

Presentatore

 

Si, la vita è davvero strana. Troppe sono ancora le ingiustizie che siamo costretti a sopportare. Rimane almeno la consolazione che nell’aldilà, saremo tutti uguali. Ma è davvero così? Lo vedremo fra poco.

 

Atto 2°

 Scenografia

 

Interno di un cimitero. Parte la musica (Aria 1 di Luigi Quintieri)  In primo piano due tombe: una grande con molti addobbi (Lumini, candele, mazzi di fiori) e una a lato con solo una piccola croce ed una scritta illeggibile. In secondo piano altre due tombe piccole addobbate senza eccessivo sfarzo. Quattro donne in gramaglie stanno in raccoglimento davanti le due tombe in secondo piano: si inginocchiano e pregano, cambiano i fiori, accendono lumini etc.  Entra il prete seguito dal sagrestano vestito per l’occasione.

La musica sfuma

 

Scena 1^

 

Il prete e il sagrestano entrando.

 

Don Pasquale              Liber scriptus proferetur in quo totum continetur, unde mundus iudicetur

 

Sagrestano                   Requien aeternum dona eis, Domine.

 

Don Pasquale              Quid sum miser tunc dicturus. Quem patronum rogaturus

 

Sagrestano                   Amen

 

Il prete si avvicina alla prima tomba. Ha in mano il breviario. Si ferma alla prima tomba di destra. Le donne si avvicinano.

 

Concetta                       Bon giorno’ ‘on Pasquà, m’avite ‘a dì nu requiem p’’a buonanima di mio marito, don Peppino ‘o cappellaro Don Pasquà, v’arracumanne, ca chill’è ncoppa o Purgatorio, don Pasqua, facite ambressa.

 

Rosina                           Ambressa, ambressa!

 

Filomena                     (dall’altra tomba) Ihh, don Pasquà, i’ ve l’avevo detto ieri, ma vue v’avito scurdato, ‘a buonanima do marito mio, puru issu sta ‘nguaaito assaje! Quello era un tipo spacenziato, nun teneva pacienza, ‘un nu facite aspettà assaie.

                                     

 Annina                           Aspettà assaie, don Pasquaà

 

 

Concetta                       Eh, eh, eh, ccà s’ha de rispettà il turno! Ora è il momento di Peppino mio,  ca chillo è sempre indaffarato: quello ha da preparà i cappelli a tutte ‘e santi, figuriamoci se po’ aspettà!

 

Rosina                          Figuriamoci, don Pasquà!

 

Filomena                      Già, avimm’à a servì primma ‘o cappellaro! E si, e sbrigammo ‘o principe! Prima il principe! E serviamo il principe!

 

Annina                          O principe, seeeeeeeeeee!

 

Concetta                       Ohè, ohè, ohè, onna Concè, vue volite pazzià? E si, vò pazzià ‘a mugliere e don Vincenzo, ‘o guardaporte:  quello era un tipo spacenziato, nun teneva pacienza. Ma faciteme o piacere!

 

Rosina                          O piacere!

 

          Le due donne vengono alle mani

   

Sagrestano                (Accorrendo a dividerle) Ohè, ohè, a vulete fernì ambressa?  Qui si lavora, stamm’à faticà, onna Cuncè! E voi, onna Filumè, avit’aspettà nu pocu. Eh…, pè vostro marito ci vuole nu poco ‘e tiempo! Eh, quell’era un po’ birbante ‘a bonanema d’u marito vostro!

 

Filomena                      Ma vuje state a pazzià? Quello era ‘nu santo, Vincienzo mio era veramente ‘nu santo!

 

Annina                          ‘Nu santo, don Pasquaà, ‘nu santu era ‘a buonanima e don Vicienzo

 

Concetta                       E già, quello teneva tutte le virtù! Don Pasquà, jamme, jamme, facimme   ambressa!                                                                                                  

 

Don Pasquale             Un momento, un momento, nu pocu ‘e pacienza e facciamo

                                       tutt’ e cose. Un po’ di contegno, signore mie! E che?, qui       

                                       siamo in un luoco sacro. Donna Conce, donna Caterì, un      

                                        poco di pazienza e sarete accontentate. San Gennaro mio,     

                                       che tempi, san Gennà!                                                                     

                                      

Si avvicina alla tomba di don Peppino il cappellaio, apre il breviario e si mette a recitare.

 

Don Pasquale              Requiem aeternam dona eis, Domine

 

Sagrestano                   et lux perpetua luceat eis.

 

Don Pasquale              Lux aeterna luceat eis. Domine

 

Sagrestano                   Cum sanctis tuis in aeternum

 

Don Pasquale              Requiescat in pace

 

Sagrestano                   Amen

 

Don Pasquale benedice la tomba con l’aspersorio.

 

Don Pasquale              Ecco, onna Concè, il requiem è stato recitato, ora don                 

                                        Peppino sta che è un biojoux. Staciteve bona.

 

Concetta                       (Pagando) State servito, don Pasquà, e buona giornata.

 

Rosina                           Buona giornata, Don Pasquà

 

          Il prete seguito dal sagrestano si porta presso l’altra tomba.

 Filomena                      Don Pasquà, vi raccomando, facite tutt’e cose comm’hann’a esse fatte! Vicienzo mio ha da i 'mparadiso ambressa,  ambressa. Facite                                          ‘e ccose comm’hanna ‘a essere fatte!

 Annina                           Comm’hanna ‘a essere fatte!

Don Pasquale              Onna Filumè, ma che dicite? Vulite pazzià? E che, so’ mariuolo io?  I songo ‘nu prievite onorato! Modestamente conosco il mio mestiere! Un poco di contegno, un poco di contegno, simme in un luoco sacro! Cose ‘e pazzi!  (Inizia la recitazione) 
Requiem aeternam dona eis, Domine

 Sagrestano                   et lux perpetua luceat ad eis

 Don Pasquale              Lux aeternam luceat eis, Domine

 Sagrestano                   Cum sanctis tuis in aeternum

 Don Pasquale              Requiescat in pace

 Sagrestano                   Amen

 Filomena si avvicina e paga.

           Don Pasquale              Ecco, avimme adempiuto al sacro rito. Dominus vobiscum . Buona giornata a tutti. (Esce mentre gli altri salutano e s’inchinano).

 Tutti                                Buona giornata a voi.

 

Scena 2^

 

Parte la musica (Lacrimosa dal Requiem  di Mozart)

 Entra da destra lo Schiattamuorto.

 

Schiattamuorto             I’ faccio ‘o schiattamuorto ‘e professione

                                       Modestamente songo conosciuto

                                       Pe’ tutte ‘e ccase e dinto a stu rione

                                       Pecchè quanno maneo ‘nu tavuto

                                       Songo ‘nu specialista ‘e qualità.

 

                                       I’ tengo modo, garbo e gentilezza,

                                       ‘o morto nmano a me po’ stà sicuro

                                       ca nun ave ‘nu sgarbo, ‘na schifezza.

                                       Io ho tratto comme fosse ‘nu criaturo

                                       Che dice a ‘o patre : “Me vogl’li a cuccà”

 

                                       E io lo cocco stiso ‘int’o spurtone

                                       Pure si è vecchio pare ‘n’angiulillo.

                                       O morto nun’ha età, è ‘nu guaglione

                                       Ca s’è addurmuto placido e tranquillo

                                       ‘nu suonno doce pe’ l’eternità.

 

                                       E ‘o suonno eterno tiene stu vantaggio,

                                       ca si t’adduorme nun te scite maie.

                                       Capisco, pe’ murì nce vo’ coraggio;

                                       ma quanno chella vene tu che ffaje?

                                       Nn’a manne n’ata vota all’al di là?

 

                                       Chella nun fa ‘o viaggio inutilmente

                                       Chella nun se ne va mai avvacante

                                       Sì povero, sì ricco, sì putente

                                       ‘nfaccia a sti ccose chella fa ‘a giurante

                                       comm’a nu sbirro che t’ha d’arrrestà.

 

                                       E si t’arresta nun ‘nce stanno sante,

                                       nun nce stanno raggione ‘a fa presente;

                                       te ll’aggio ditto, chella fa ‘a gnurante….

                                       ‘A chesta recchia, dice, io nun ‘nce sento;

                                       e sin nun sente, tu, ch’allucche a ffà?

 

                                       E quante nn’aggiu visto cose brutte:

                                       nu morto ancora vivo dint’o lietto,

                                       ‘na mugliera ca già teneva ‘o llutto

                                       appriparato dint’a ‘nu cassetto

                                       aspettann’ ‘o momento ‘e s’o ‘ngignà.

 

                                       Ormai per me il trapasso è ‘na pazziella

                                       È un passaggio dal sonoro al muto

                                       E quannu s’è stutata ‘a lampetella

                                       Significa ca ll’opera è fernuta

                                       E ‘o primm’attore s’è ghiutu a cuccà.

 

   

Parte l’aria “Adagio in sol min”

 

Entra lentamente Totò. Sempre lentamente escono le due donne a sinistra. La musica sfuma

 

Totò                               Ogni anno il due novembre c’è l’usanza

                                       Per i defunti andare al cimitero.

                                       Ognuno ll’ha da fa chesta creanza;

                                       ognuno add’à tenè chistu penziero.

 

                                       Ogni anno puntualmente in questo giorno,

                                       di questa triste e mesta ricorrenza,

                                       anch’io ci vado e, con dei fiori, adorno

                                       il loculo marmoreo ‘e zi Vincenza.

 

                                       Stanno m’è ccapitata ‘n’avventura….

                                       Dopo di aver compiuto il triste omaggio

                                       Madonna!, si ce pienzo, e che paura!,

                                       Ma po’ faccette ‘un’anema e coraggio.

 

                                       Le donne escono lentamente

 

                                       ‘O fatto è chisto, statemi a sentire:

                                       s’avvecenava ll’ora d’ ‘a chiusura

                                       io tomo, tomo, stavo per uscire

                                       buttando un occhio a qualche sepoltura.

 

                                       “Qui dorme in pace il nobile marchese,

                                       signore di Rovigo e di Belluno,

                                       ardimentoso eroe di mille imprese

                                       morto l’11 maggio del 31”

 

                                       O stemma cu ‘a curona ‘ncoppa a tutto

                                       Sotto ‘na croce fatta ’e lamapadine;

                                       tre mazze ‘ e rose cu ‘na lista e lutto

                                       Cannele, cannelotte e sei lumine.

 

                                       Proprio azzeccata ‘a tomba’e ‘stu signore

                                       Nce steva n’ata tomba piccerella

                                       Abbandonata, senza manco un fiore;

                                       ppe’ segno solamente ‘na crucella.

 

                                       E ‘ncoppa ‘a croce appena se liggeva:

                                       “Esposito Gennaro, netturbino”;

                                       guardandola chi pena me faceva

                                       ‘stu muortu senza mancu ‘nu lumino!

 

                                       Questa è la vita, ncapo a me pensavo…..

                                       Chi ha avuto tanto e chi nun ave niente!

                                       ‘Stu povero, madonna, s’aspettava

                                       Ca puru all’atu munnu era pezzente?

                                      

                                       Mentre fantasticavo ‘stu penziero

                                       S’era già fatta quasi mezzanotte

                                       E ‘i rummanette ‘nchiusu, priggiuniero

                                       Muorte ‘e paura nnanze ‘e cannelotte.

 

                                       Tutto a ‘nu tratto, che veco ‘a luntanu?

                                       Ddoje ombre avvecenarse ‘a parte mia…

                                       Penzaje: stu fatto a me me pare strano

                                       Stongo scetato …. Dormo o è fantasia?

 

                                       Ate che fantasia!, era ‘o Marchese

                                       C’o tubbo, a caramella e c’o pastrano;

                                       chill’ato appresso a isso un brutto arnese;

                                       tutto fetente e cu ‘na scopa n’mano.

 

                                       E chilo è certamente don Gennaro…..

                                       ‘o morto puvariello ….. ‘o scupatore

                                       ‘Int’a stu fatto ‘nun ce veco chiaro:

                                       so’ muorte e se retireno a chest’ora?

 

                                       Putevano sta’ ‘a me quase nu palmo

                                       Quando ‘o Marchese se fermaje ‘e botto,

                                       s’avota e, tomo tomo, calmo, calmo.

                                       Diciette a don Gennaro…………….

 

 

Scena 3^

 

Marchese                      Giovanotto,

                                       da voi vorrei saper, vile carogna,

                                       con quale ardire e come avete osato

                                       di farvi seppellir, per mia vergogna,

                                       accanto a  me che sono un blasonato!

                                      

                                       La casta è casta e va, si, rispettata,

                                       ma voi perdeste il senso e la misura;

                                       la vostra salma andava, si inumata,

                                       ma seppellita nella spazzatura.

 

                                       Ancora oltre sopportar non posso

                                       La vostra vicinanza puzzolente,

                                       fa d’uopo, quindi, che cerchiate un fosso

                                       tra i vostri pari, tra la vostra gente.

 

                                      

Gennaro                        Signor Marchese, nun è colpa mia

                                       I’ nun v’avesse fattu chistu tuorto;

                                       mia moglie è stata a ffà ‘sta fesssaria,

                                       i’ che putevo fa si ero muorto?

 

                                       Si fossi vivo ve farria cuntentu,

                                       pigliasse ‘a casciulella cu ‘e quatt’ossa

                                       e proprio mo, obbj,  ‘nta ‘stu mumento

                                       me ne trasisse dinto a n’ata fossa.

 

Marchese                      E cosa aspetti, o turpe malcreato,

                                       che l’ira mia raggiunga l’eccedenza?

                                       Se io non fossi stato un titolato

                                       Avrei già dato piglio alla violenza!

 

Gennaro                        Famme vedè……. Piglia ‘sta violenza….

                                       ‘A verità, Marchè, mme so’ scucciato

                                       ‘e te sentì e se perdo ‘a pacienza

                                       me scuordu ca’ so’ muortu e so’ mazzate!

 

                                       Ma chi te cride d’essere…….. ‘nu ddio?

                                       Cca dinto, o vvuò capì ca simmo euguale?

                                       Muorto si tu e muorto so’ pur’io;

                                                ognuno è comme a n’ato, tale e quale!

 

       Marchese                        Lurido porco, come ti permetti

                                                Paragonarti a me ch’ebbi natali

                                                Illustri, nobilissimi, perfetti,

                                                da fare invidia a Principi Reali?

 

       Gennaro                        Tu qua’ Natale, Pasca e Ppifania!!!

                                                T’ ‘o vuo mettere ‘ncapo, ‘nta cervella

                                                Che staje malato ancora ‘e fantasia?

                                                ‘A morte ‘o ssaje ched’è?…. è una livella.

 

                                                ‘Nu rre, ‘nu magistrato, ‘nu grand’ommo

                                                trasienno ‘stu cancello ha fatt’ ‘o punto

                                                c’ha pierso tutto, ‘ a vita e pure ‘o nomme:                                

                                                tu nun t’he fatto ancora chistu cunto?

 

                                                Perciò, stamme a sentì, nin fa’  ‘o restivo,

                                                suppuorteme vicino, che te ‘mporta?

                                                Sti pagliacciate ‘e ffannu sulo ‘e vive:

                                                Nuje simme serie…….appartenimmo ‘a morte!

 

Sipario

 

                                                                                                                            HOME