RISCALDAMENTO E RISPARMIO ENERGETICO
Il riscaldamento deve essere pagato anche da chi abbia in affitto un locale ad uso non abitativo, qualora sia dimostrato che, nonostante la mancanza dei radiatori, tuttavia l'immobile benefici in una certa misura dell'esistenza dell'impianto di riscaldamento esistente nel fabbricato, in quanto, essendo tutti i piani riscaldati, l'appartamento riceve calore per la presenza nei muri delle tubazioni del riscaldamento. Sentenza Cassazione n. 680 del 8/3/2005
Il
distacco delle diramazioni relative ad una o più unità immobiliari
dell'edificio condominiale dall'impianto centrale di riscaldamento è consentito
quando il condomino interessato provi che da questo deriverà un'effettiva
proporzionale riduzione delle spese di esercizio e non si verificherà uno
squilibrio in pregiudizio del regolare funzionamento dell'impianto centrale
stesso.
Cass.
Civ. 1597 - 14/02/95
L’avvenuta “sostituzione della caldaia per vetustà e lo spostamento della centrale per adeguarla alle nuove normative antincendio costituiscono atto di straordinaria manutenzione, in quanto diretto semplicemente a ripristinare la funzionalità dell’impianto e non a creare una modificazione sostanziale o funzionale della cosa comune. Cass. civ., Sentenza 14 Novembre 2008 , n. 27287
Fa
capo all'amministratore del condominio l'obbligo, sanzionato penalmente, di
denunciare al comando provinciale dei vigili del fuoco l'installazione
dell'impianto di riscaldamento al fine di consentire il collaudo dell'impianto
stesso. Il reato di omessa denuncia al comando provinciale dei vigili del fuoco
dell'installazione dell'impianto di riscaldamento è di natura omissiva ed a
carattere permanente.
Le
disposizioni in materia di combustibili contenute negli artt. 11, 12. 13 e 14
della L. n. 615/1966, sono applicabili sia agli impianti termici per uso
riscaldamento sia agli impianti termici industriali.
Cass.
pen., sez. III, 5 aprile 1990, n. 5187
La
modifica del tipo di alimentazione dell'impianto di riscaldamento centralizzato
da gasolio a metano non costituisce un'innovazione ma, se l'impianto
preesistente è obsoleto o guasto, rappresenta una manutenzione straordinaria,
mentre se il preesistente bruciatore è ancora funzionante, la sua sostituzione
rientra nelle semplici modifiche migliorative dell'impianto, ove diretta a
utilizzare una fonte di energia più redditizia e meno inquinante. A ciò
consegue che per l'approvazione della relativa delibera non è richiesta la
maggioranza prevista dall'art. 1136, comma 5, del c.c.
Corte
app. civ. Roma, 7 maggio 1997, n. 1517
Nel
caso di attraversamento da parte dei tubi dell'impianto termico condominiale di
un vano di proprietà esclusiva non fruente di detto impianto si deve ravvisare
l'esistenza di una servitù prediale di conduttura di liquidi a carico di tale
vano ed a vantaggio delle altre parti dell'edificio e non la semplice
configurazione di opere, installazioni e manufatti di uso e godimento comune ai
sensi dell'art. 1117, n. 3 del codice civile, la quale presuppone gli estremi
del reciproco vantaggio con la conseguenza che per la sua costituzione non è
sufficiente il mero consenso verbale del proprietario del vano e la mancata
opposizione alle relative delibere condominiali, essendo richiesto per detto
consenso la prescritta forma scritta.
Cass.
civ., sez. II, 12 febbraio 1988, n. 1523
Nel
caso di attraversamento, da parte dei tubi dell'impianto di riscaldamento
condominiale, di un vano in proprietà esclusiva sprovvisto di radiatori e
quindi non fruente di detto impianto, va ravvisata una servitù prediale di
conduttura di liquidi, a carico ditale vano ed a vantaggio delle altre parti
dell'edificio, e non la situazione prevista dall'art. 1117, n. 3, cod. civ..
postulante l'estremo del reciproco vantaggio.
Cass.
civ., sez. II, 20 gennaio 1982, n. 369
Per
quanto si presumano di proprietà esclusiva del condomino le condutture che si
addentrano nei singoli appartamenti, la trasformazione o la modificazione di
tali condutture non può essere liberamente effettuata dal condomino, quando
essa si traduca in un pregiudizio per gli altri partecipanti alla comunione
modificandone i diritti. Pertanto, il condomino non può variare, aumentandola,
la superficie radiante del proprio impianto di termosifone, collegato con
l'impianto centrale.
Cass.
civ., 17 maggio 1960, n. 1216
In
tema di condominio di edifici, i poteri dell'assemblea, i quali sono fissati
tassativamente dal codice (art. 1135 c.c.), non possono invadere la sfera di
proprietà dei singoli condomini, sia in ordine alle cose comuni che a quelle
esclusive, tranne che una siffatta invasione sia stata da loro specificamente
accettata o nei singoli atti di acquisto o mediante approvazione del regolamento
di condominio che la preveda. Pertanto non è consentito alla maggioranza dei
condomini deliberare una diversa collocazione delle tubazioni comuni
dell'impianto di riscaldamento in un locale di proprietà esclusiva, con
pregiudizio di tale proprietà. senza il consenso del proprietario del locale
stesso. Cass.
civ., sez. II, 27 agosto 1991, n. 9157
La
collocazione in un vano (o altro ambiente o spazio) compreso nel perimetro del
condominio delle tubazioni (o parte di esse) dell'impianto termico
centralizzato, o di altro servizio comune, non rende di per sé quel vano
insuscettibile di autonomo ed esclusivo diritto di proprietà, salve le
limitazioni di tale diritto - contraenti corrispondenti servitù - correlata
all'obbligo di consentire e conservare la destinazione di tali tubazioni al
servizio ed a vantaggio dell'intero edificio condominiale.
Cass.
civ., sez. II, 19 maggio 1992, n. 5978
Per
gli impianti che servono all'uso e al godimento comune, quali quelli per il
riscaldamento, la presunzione di comunione opera soltanto per tutta quella parte
dell'impianto che può ritenersi centrale, e non anche per le condutture
derivanti che, staccandosi dall'impianto centrale, si addentrano nei singoli
appartamenti, in ordine alle quali vale, invece, la presunzione di proprietà
esclusiva. La trasformazione o la modificazione ditali condutture può essere
liberamente effettuata dal condomino soltanto se non si traduca in un
pregiudizio degli altri partecipanti alla comunione, il quale pregiudizio
ricorre nell'ipotesi in cui uno dei condomini aumenti la superficie radiante del
proprio impianto di termosifone. collegato con l'impianto centrale di
riscaldamento, oltre la misura prevista dal regolamento. In tal caso,
trattandosi di un innovazione, che importa una modificazione dei diritti dei
condomini, il consenso alla trasformazione delle condutture non può essere
provato che mediante scrittura.
Cass.
civ., 31luglio 1958, n. 2812
La semplice esistenza di una servitù di conduzione di tubi nelle strutture murarie di appartamento. a favore del condominio, non costituisce di per sé obbligo del singolo condomino di contribuzione alle spese per il riscaldamento centrale.
Pret.
civ. Firenze, 17 giugno 1986
In
conformità al disposto dell'art. 1117. n. 3, cod. civ., la presunzione di
comproprietà dell'impianto per il riscaldamento opera soltanto per quella parte
che può ritenersi centrale e non pure per le condutture che, staccandosi
dall'impianto centrale, si addentrano nei singoli appartamenti e soddisfano,
quindi, unicamente le esigenze individuali di ciascun condomino; ne consegue
che, per le suddette condutture, vale la presunzione di proprietà esclusiva da
parte del condominio medesimo.
La
presunzione di comproprietà ex art. 1117 c.c. dell'impianto centrale di
riscaldamento fino al punto di diramazione ai locali di proprietà esclusiva dei
singoli condomini non può essere esclusa per il fatto che alcune unità
immobiliari siano sprovviste di diramazioni, giacché ciò che rivela al fine di
escludere il concorso nelle spese è l'obiettiva configurazione dei luoghi, tale
da escludere di per se stessa la potenzialità d'uso della cosa comune.Trib.
civ. Milano, 2 marzo 1992
Integra
gli estremi dello spoglio (e non della semplice molestia) e legittima
l'esercizio dell'azione di reintegra nel possesso da parte del conduttore di
appartamento sito in edificio munito di impianto centralizzato di riscaldamento
il distacco da siffatto impianto delle tubazioni sottostanti il citato
appartamento operato dall'amministratore del condominio, con conseguente
interruzione dell'erogazione di energia termica, solo allorquando l'intervento
spogliativo, consistito nella manomissione dell'impianto, sia stato effettuato
su una parte dell'impianto medesimo di proprietà esclusiva del singolo
condomino (e, quindi, di pertinenza del conduttore istante).
Qualora
alcuni condomini decidano, unilateralmente, di distaccare le proprie unità
immobiliari dall'impianto centralizzato di riscaldamento, i medesimi non possono
sottrarsi al contributo per le spese di conservazione del predetto impianto, non
essendo configurabile una rinuncia alla comproprietà dello stesso, ma, ove i
loro appartamenti non siano più riscaldati, non sono tenuti a sostenere le
spese per l'uso (nella specie, quelle per l'acquisto del gasolio), in quanto il
contributo per queste ultime è adeguato al godimento che i condomini possono
ricavare dalla cosa comune. Cass.
civ., sez. II, 20 novembre 1996, n. 10214
Il
distacco delle diramazioni relative ad una o più unità immobiliari
dell'edificio condominiale dall'impianto di riscaldamento è consentito quando
il condominio interessato provi che da questo deriverà un effettiva
proporzionale riduzione delle spese di esercizio e non si verificherà uno
squilibrio in pregiudizio del regolare funzionamento dell'impianto centrale
stesso.
L'impianto
centrale di riscaldamento è normalmente progettato, dimensionato e costruito in
funzione dei complessivi volumi interni dell'edificio cui deve assicurare un
equilibrio termico di base, prevenendo e distribuendo le dispersioni di calore
attraverso i solai e conferendo un apporto calorico alle parti comuni
dell'immobile. Conseguentemente, il distacco delle diramazioni relative a uno o
più appartamenti dall'impianto centrale deve ritenersi vietato in quanto incide
negativamente sulla destinazione obiettiva della cosa comune determinando uno
squilibrio termico che può essere eliminato solo con un aggravio delle spese di
esercizio e conservazione per i condomini che continuano a servirsi
dell'impianto centralizzato. Il distacco è, invece, consentito quando è
autorizzato da una norma del regolamento contrattuale di condominio o dalla
unanimità dei partecipanti alla comunione, ovvero anche quando, da parte dei
condomini interessati al distacco, venga fornita la prova che da questo non
possa derivare alcuno dei suddetti inconvenienti.
Posto
che un impianto centrale di riscaldamento destinato a riscaldare i vari
appartamenti di uno stabile è proporzionato nei suoi organi fondamentali
(caldaia, bruciatore e tubazioni) alla quantità di calorie necessarie a
riscaldare l'intero stabile, il distacco di una parte dell'impianto dalla
centrale termica, così come la creazione di un impianto autonomo di
riscaldamento. concretano una alterazione della destinazione della cosa comune e
non già una delle modifiche consentite dall'art. 1102 c.c., poiché in tal caso
si altera la destinazione della cosa comune, snaturandola o impedendone o
compromettendone la funzione che le è propria.
In
tema di condominio degli edifici, il singolo condomino non può sottrarsi
all'obbligo di concorrere, secondo la ripartizione risultante dalle tabelle
millesimali - suscettibili di modificazione anche per fatti concludenti - alle
spese di erogazione del servizio centralizzato di riscaldamento distaccando la
propria porzione immobiliare dal relativo impianto, senza che rilevino in
contrario né la L. 29 maggio 1982, n. 308, sul contenimento dei consumi
energetici, né la circostanza che il condominio stesso consti di più edifici
Il
singolo condomino non può, di regola, mediante unilaterale rinunzia al servizio
di riscaldamento, sottrarsi all'obbligo di contribuire al pagamento delle spese
di funzionamento di impianto centralizzato di termosifone, sito in stabile
condominiale: resta salva l'eccezionale ipotesi in cui il condomino rinunziante
dimostri che l'esclusione dal riscaldamento di alcuni locali si risolva in una
proporzionale riduzione delle spese generali di esercizio. Corte
app. civ. Milano, sez. I, 12 giugno 1981, n. 889
Il
condomino non può distaccarsi dall'impianto di riscaldamento centralizzato
senza il consenso di tutti gli altri condomini, né a seguito di ciò esimersi
dall'obbligo di contribuire alle spese per la prestazione di tale servizio.
Il
distacco delle diramazioni di uno o più appartamenti dall'impianto di
riscaldamento centralizzato, con conseguente esclusione dalle spese di gestione
comuni, necessita del voto favorevole di tutti indistintamente gli interessati
al funzionamento dell'impianto, e quindi non solo dei condomini, ma anche dei
conduttori di alloggi siti nel condominio. Trib.
civ. Napoli, 24settembre 1987, n. 8791
In
caso di illegittimo distacco dall'impianto centralizzato di riscaldamento, il
condomino che ha operato il distacco non è tenuto al riallaccio del nuovo
impianto a quello centralizzato se il suo comportamento è stato causato dalle
omissioni del condominio (nella specie il condominio non aveva provveduto per
anni a mettere l'impianto centralizzato in condizioni di fornire un sufficiente
riscaldamento al convenuto). Trib.
civ. Milano, 23 gennaio 1992
Il
distacco delle diramazioni relative a uno o più appartamenti dall'impianto
centrale è generalmente vietato perché incide negativamente sulla destinazione
obiettiva della cosa comune, determinando uno squilibrio termico che può essere
eliminato solo con aggravio delle spese di esercizio e conservazione per i
condomini che continuassero a servirsi dell'impianto centralizzato; il distacco
è consentito, quindi, solamente se venga fornita la prova che dal medesimo non
derivino i suddetti inconvenienti.
Il
distacco delle diramazioni dall'impianto termocentralizzato incide negativamente
sulla destinazione obiettiva della cosa comune, determinando uno squilibrio
termico che può essere eliminato solo con una maggiore spesa di esercizio e
conservazione per i condomini che continuano a usare dell'impianto, per cui è
da ritenersi consentito solo quando è previsto dal regolamento contrattuale
ovvero quando avvenga col voto unanime dei partecipanti, oppure nel caso in cui
l'interessato al distacco dimostri che da questo non possa derivare alcun
inconveniente. Trib.
civ. Napoli, sez. X, 25 giugno 1986, n. 6703
Il
distacco delle diramazioni relative ad uno o più appartamenti dall'impianto
centrale di riscaldamento, qualora non venga provata l'assenza di inconvenienti
per effetto di tale distacco, deve ritenersi vietato in quanto incide
negativamente sulla destinazione obiettiva della cosa comune, determinando uno
squilibrio termico che può essere eliminato solo con un aggravio delle spese di
esercizio e conservazione per i condomini che continuano a servirsi
dell'impianto centralizzato.
In
caso di installazione di un impianto autonomo di riscaldamento con distacco da
quello centralizzato, la rinuncia al servizio di riscaldamento e l'esonero dalla
relativa spesa non può essere determinata autonomamente ed unilateralmente ma,
al contrario, deve essere autorizzata dall'assemblea (con il quorum ex art. 1120
cod. civ.), una volta verificata l'entità della riduzione di spese derivanti
dal distacco. Trib.
civ. Roma, sez. IV, 24 maggio 1985, n. 6623
Integra
gli estremi dell'atto di molestia e legittima l'esercizio dell'azione di
manutenzione, ex art. 1170 cod. civ., il distacco operato da un condomino
dall'impianto centralizzato di riscaldamento, ciò costituendo alterazione della
cosa comune, con conseguente pericolo di possibili inconvenienti nella sua
utilizzazione. Pret.
civ. Firenze, 24 gennaio 1989
Il
distacco delle diramazioni relative a uno o più appartamenti dall'impianto
centrale di riscaldamento e consentito quando il singolo interessato provi che
il distacco stesso non incida negativamente sulla destinazione obiettiva della
cosa comune, determinando uno squilibrio termico e, al contrario, possa servire
a porre rimedio ad una situazione di inefficienza dell'impianto comune.
Il
distacco delle diramazioni relative ad una o più porzioni immobiliari
dall'impianto centrale di riscaldamento è consentito soltanto quando i singoli
interessati provino che dal distacco derivi una effettiva proporzionale
riduzione delle spese di esercizio, senza che si verifichi uno squilibrio in
pregiudizio del regolare funzionamento dell'impianto. Trib.
civ. Milano, sez. VIII, 11 ottobre 1993
È
ammissibile il distacco dall'impianto centralizzato di riscaldamento
condominiale allorquando, in considerazione delle particolari caratteristiche
tecniche dell'impianto, comporti un'effettiva proporzionale riduzione del
consumo, con esclusione di aggravi di sorta per gli altri partecipanti al
condominio. Trib.
civ. Milano, 7 ottobre 1991
Non
è censurabile l'installazione di un impianto di riscaldamento autonomo
aggiuntivo che non arrechi pregiudizio a quello condominiale ma, qualora dal
distacco derivi anche una minima manomissione dell'impianto centralizzato, ne
consegue la condanna alla riduzione in pristino con collegamento all'impianto
centralizzato nel momento in cui esso venga rimesso in funzione.
Trib.
civ. Roma, 9 luglio 1988
La
competenza sulla domanda di sostituzione della griglia di aerazione della
centrale comune di riscaldamento, posta nella soglia di ingresso dell'edificio
condominiale, al fine di evitare inconvenienti nel transito, va determinata in
base al valore perché non si configura una controversia sulle modalità di uso
del servizio condominiale (art. 8 n. 4 c.p.c.), né una controversia sulla
misura dei servizi del condominio (art. 7 comma secondo c.p.c.). Cass. civ.
11 gennaio 1994, n. 223
Gli
ascensori e gli impianti di riscaldamento, comprese le caldaie ed i bruciatori,
sono parti integranti degli edifici nei quali sono installati, e non semplici
pertinenze; essi, infatti, non hanno una funzione propria, ancorché
complementare e subordinata rispetto a quella degli edifici, ma partecipano alla
funzione complessiva ed unitaria degli edifici medesimi, quali elementi
essenziali alla loro destinazione, da ciò consegue che l'ascensore e l'impianto
di riscaldamento non sono pignorabili, come beni mobili, separatamente
dall'edificio in cui sono installati, e che l'opposizione con la quale il
debitore deduca detta impignorabilità, in quanto tendente a contestare il
diritto del creditore di agire esecutivamente su quei beni, configura, ai sensi
dell' art. 615 c.p.c., opposizione all'esecuzione, e non opposizione agli atti
esecutivi. Cass. civ., sez. III, 27 febbraio 1976, n. 654
La
necessità di dare esecuzione ad una legge imperativa che imponga la adozione di
cautele o accorgimenti per evitare l'inquinamento atmosferico (L. 13 luglio 1966
n. 615) non sottrae le relative delibere dell'assemblea condominiale
all'osservanza delle maggioranze previste dall'art. 1136 c.c. qualora, per
eseguire in concreto il comando della legge, si debba far luogo ad innovazioni
in senso tecnico, sia a causa delle opere che per diretta conseguenza
dell'applicazione di quelle cautele e di quegli accorgimenti si rendono
necessarie, sia a causa dello stato dei luoghi condominiali, che debbono essere
convenientemente modificati per attuare quelle opere.
La
carenza, nell'impianto comune di riscaldamento, dei requisiti tecnici prescritti
dalla legge per la sicurezza delle persone e delle cose e per limitare
l'inquinamento prodotto dalla combustione non impedisce alla assemblea di
deliberare sulle relative spese di esercizio (art. 1135 c.c.) perché tale
deliberazione non attiene alla attivazione dell'impianto, che rientra tra i
compiti propri dell'amministratore (art. 1130 c.c.). Cass.
civ., sez. II, 27 settembre 1996, n. 8531
In
forza dell'art. 1131 cc., l'amministratore di un condominio deve osservare ed
applicare tutte le disposizioni legislative e amministrative che possono
riguardare il condominio stesso; fra l'altro, egli ha il compito, ai sensi
dell'art. 1130, n. 2 c.c., di disciplinare la prestazione dei servizi di
interesse comune, compreso quello del riscaldamento centrale. Di conseguenza la
responsabilità per l'impiego di combustibili proibiti dall'art. 13 L. 13 luglio
1966, n. 615 ricade esclusivamente sull'amministratore e nessun addebito può
venir mosso al singolo condomino, che pur abbia partecipato ad un'assemblea ove
si sia discusso del problema.
Cass.
pen., sez. III, 29 maggio 1972
Le
disposizioni in materia di combustibili contenute negli artt. 11, 12, 13 e 14
della L. n. 615/1966, sono applicabili sia agli impianti termici per uso
riscaldamento sia agli impianti termici industriali.
Cass.
pen., sez. III, 5 aprile 1990, n. 5187
Le
disposizioni di attuazione delle direttive Cee in materia di qualità dell'aria,
contenute nel d.p.r. 24 maggio 1988, n. 203, sono esclusivamente rivolte agli
impianti industriali, e non ai titolari di impianti termici per il riscaldamento
di ambienti civili.
L'installazione
dell'impianto di riscaldamento, avvenuta successivamente alla costituzione del
condominio, fa escludere la presunzione di comproprietà dell'impianto stesso,
di cui all'art. 1117 cod. civ. Pret. civ. Napoli, sez. V, 19 gennaio 1983
Il
locatore ha diritto di accedere all'interno di un immobile locato per provvedere
alla lettura del contatore dell'acqua al fine di ripartire le spese secondo le
diverse unità immobiliari servite. Pret. civ. Roma, sez. I, decr. 26 ottobre
1983
La
dichiarazione dell'assemblea del condominio con la quale viene dato in locazione
ad uno dei condomini il locale condominiale in cui è sistemato l'impianto di
riscaldamento ed affidato allo stesso condomino la gestione del servizio di
riscaldamento richiede, ai fini della sua validità, la maggioranza semplice,
avendo ad oggetto la disciplina di un servizio volto al soddisfacimento
dell'interesse collettivo dei condomini, e non un'innovazione diretta all'uso più
comodo o al maggior rendimento di cosa comune.
Nell'edificio
condominiale, l'impianto di riscaldamento centrale ed i locali ad esso destinati
costituiscono un complesso unitario, indivisibile.
Cass.
civ., 26 giugno 1976, n. 2419
Soltanto
nel caso di installazione di un impianto termico centralizzato posto in edificio
amministrato in condominio l'obbligo di presentare idoneo progetto e di
adempiere alle prescrizioni della legge incombe sull'amministratore (e sarà
necessario predisporre un progetto unitario riguardante l'intero edificio
riscaldato); nel caso, invece, di installazione di impianti termici individuali
tale obbligo grava sul proprietario dell'alloggio e, quindi, dell'impianto.
Qualora
l'installazione del servizio di riscaldamento in un edificio in condominio
risulti, in relazione alle caratteristiche ed alla situazione logistica
dell'immobile, non gravosa né voluttuaria, tale innovazione, se approvata nei
modi prescritti, è vincolante per tutti i condomini, con la conseguenza che,
nell'ipotesi di un locale dato in locazione, come il proprietario-locatore è
tenuto a sostenere pro quota le spese di impianto, parimenti il conduttore non
può sottrarsi (trattandosi di innovazione lecita ex art. 1582 c.c.) al
pagamento delle spese di esercizio fin dal momento dell'attuazione del servizio
stesso, ancorché questo sia stato introdotto nel corso della locazione, essendo
l'aumento degli oneri accessori conseguente all'applicazione dell'art. 9 L. 27
luglio 1978 n. 392, senza alterazione del rapporto sinallagmatico, posto che a
fronte di una maggiore spesa per il conduttore vi è un obiettivo miglioramento
delle condizioni di utilizzabilità del bene.
La
legge n. 392 del 1978 (cosiddetta dell'equo canone) disciplina i rapporti tra
locatore e conduttore, senza innovare in ordine alla normativa generale sul
condominio negli edifici, sicché l'amministratore ha diritto - ai sensi del
combinato disposto degli artt. 1123 c.c. e 63 att. stesso codice - di riscuotere
i contributi e le spese per la manutenzione delle cose comuni ed i servizi
nell'interesse comune direttamente ed esclusivamente da ciascun condomino,
restando esclusa un'azione diretta nei confronti dei conduttori delle singole
unità immobiliari (contro i quali può invece agire in risoluzione il locatore
ex art. 5 della citata legge n. 392 del 1978, per il mancato rimborso degli
oneri accessori), anche con riguardo alle spese del servizio comune di
riscaldamento ancorché questi ultimi abbiano diritto di voto, in luogo del
condomino locatore, nelle delibere assembleari riguardanti la relativa gestione.
Il
conduttore di un immobile ad uso ufficio posto al piano terreno di uno stabile,
ed insufficientemente riscaldato nonostante il regolare funzionamento
dell'impianto centralizzato condominiale di riscaldamento, non può pretendere
dal condominio la realizzazione di modifiche all'impianto esistente o di un
nuovo impianto idoneo ad assicurare nei locali occupati temperature adeguate, né
può vantare analogo diritto nei confronti del locatore. ai sensi dell'art. 1575
cod. civ., qualora la situazione lamentata dipenda dalle stesse caratteristiche
originarie dell'impianto (di tipo a pannelli radianti posati a pavimento), e
debba quindi considerarsi alla stregua di un vizio dell'immobile già esistente
all'inizio della locazione.
Pret.
civ. Milano, ord. 14 giugno 1991
È
ammissibile il provvedimento di urgenza che imponga al locatore di provvedere a
proprie spese all'installazione di un impianto autonomo di riscaldamento se
l'originario servizio è venuto meno per la decisione dell'assemblea dei
condomini di sopprimere l'impianto centralizzato esistente.
Pret.
civ. Roma, ord. 3 marzo 1992
Ogni
condomino ha il diritto di ottenere che l'impianto di riscaldamento sia
strutturato in modo da assicurare, nelle ore di accensione, un uniforme
riscaldamento di tutti gli appartamenti e ciò attraverso opportuni accorgimenti
tecnici, quali una differenziazione delle superfici radianti, in rapporto alla
posizione, struttura, esposizione e volumetria di ogni appartamento. Se peraltro
le caratteristiche di posizione, struttura ed esposizione di un appartamento
(nella specie, attico) siano tali da determinare nelle ore di interruzione del
funzionamento dell'impianto un calo della temperatura più accentuato che negli
altri appartamenti, al di fuori di qualsiasi deficienza nell'organizzazione e
conduzione del servizio, il condominio interessato ha diritto di ottenere una
maggiore fruizione del servizio comune - nei limiti stabiliti dalle norme
generali regolanti il funzionamento degli impianti termici - purché ciò sia
consentito dalle caratteristiche dell'impianto e possa effettuarsi senza
pregiudizio o disagio per gli altri condomini, restando a carico del richiedente
la maggiore spesa derivante dal protratto o più intenso funzionamento
dell'impianto (anche in relazione all'eventuale deterioramento) e quella che
possa rendersi necessaria per la messa in opera di strumenti o l'adozione di
accorgimenti tecnici atti ad evitare un eccesso di calore negli altri
appartamenti.
Qualora
l'accensione anche di notte dell'impianto di riscaldamento, in esito a
controversia fra il condominio ed il singolo condomino, venga prevista quale
mera modalità tecnica per assicurare a detto condomino un'erogazione di calore
pari a quella goduta dagli altri proprietari, il passaggio in giudicato della
relativa sentenza non osta a che l'assemblea successivamente deliberi di
spegnere l'impianto stesso nelle ore notturne, ove i nuovi accorgimenti di
gestione egualmente consentano il raggiungimento dell'indicato obiettivo.
Determinare l'orario di funzionamento del servizio di riscaldamento e stabilire la sua gestione costituiscono modalità d'uso di un servizio condominiale, dal momento che si tratta di stabilire i criteri per l'erogazione ditale servizio e per il suo uso. La competenza relativa alle cause riguardanti tale materia spetta quindi al giudice conciliatore ex art. 1 della L. n.399 /1984.
Pret.
civ. Treviso, 20 luglio 1985, n. 288
Atteso
che i rumori e le vibrazioni prodotte dalle apparecchiature che alimentano la
rete del riscaldamento condominiale impongono l'adozione di particolari
accorgimenti idonei a riportare nei limiti della normale tollerabilità tali
inconvenienti, l'impianto di riscaldamento deve rimanere fermo dalle ore 22 alle
ore 7 ed inoltre, al fine di ridurre la rumorosità per il periodo in cui si
faccia uso ditale impianto, devono essere adottati gli accorgimenti suggeriti
dal consulente tecnico.
Trib.
civ. 5. Maria Capua Vetere, 9 giugno 1986, n. 1142
La
domanda diretta ad invalidare una delibera assembleare nella parte riguardante
l'orario di funzionamento del servizio di riscaldamento e la gestione di esso
non introduce una controversia sulle modalità d'uso dei servizi condominiali di
cui all'art. 1 della L. n. 399/1984, sibbene sulla misura dei servizi del
condominio di case di cui all'art. 2 della citata legge, ed è, pertanto, di
competenza del pretore.
-è
annullabile per eccesso di potere, ai sensi dell'art. 1130 n. 2 cod. civ., la
delibera assembleare che abbia statuito l'accensione dell'impianto centralizzato
di riscaldamento dalle ore 16 alle ore 22, con esclusione delle ore mattutine,
in quanto è regola generale (anche alla luce della L. n. 645/1983) che il
riscaldamento vada erogato soprattutto nelle ore più fredde della giornata, che
sono quelle di prima mattina e di sera, nelle quali v'è maggior pericolo che le
condizioni climatiche possano procurare danni alla salute di coloro che vivono
nell'edificio e quindi all'interesse della comunione.
Giud.
cone. Bari, 10 ottobre 1989, n. 308
In
materia di servizio di riscaldamento organizzato in un edificio in condominio
mediante una centrale termica comune, l'efficienza e la funzionalità
dell'impianto sono direttamente strumentali alla normale abitabilità delle
singole porzioni immobiliari. Ogni condomino, quindi, ha diritto di ottenere che
l'impianto di riscaldamento sia strutturato in modo da assicurare nelle ore di
accensione un uniforme riscaldamento di tutti gli appartamenti, e ciò mediante
opportuni accorgimenti tecnici, e anche per mezzo di una maggiore fruizione del
servizio comune, nei limiti stabiliti dalle norme generali che regolano il
funzionamento degli impianti termici.
In
tema di condominio negli edifici, è legittimo, da parte dei condomini, il
ricorso al procedimento ex art. 700 cod. proc. civ., nel caso in cui il loro
diritto al riscaldamento può subire un danno grave ed irreparabile, sussistendo
pericolo di un concreto nocumento all'integrità psico-fisica dei medesimi in
conseguenza dell'inerzia degli amministratori relativamente alla riattivazione e
al mantenimento in funzione dell'impianto centralizzato di riscaldamento a
gasolio, nonostante la rigida stagione invernale in atto.
L'installazione
di due pompe per lo smaltimento delle acque dell'impianto di riscaldamento di un
condominio costituisce una modifica migliorativa dell'impianto termico
esistente, che non incide sulla cosa comune, mutandone la funzione o la
destinazione: conseguentemente, la relativa deliberazione - come pure la sua
successiva revoca - può essere adottata dall'assemblea dei condomini senza la
maggioranza qualificata prescritta per le innovazioni. Cass. civ., sez. II,
22 maggio 1978, n. 2541.
La
sostituzione del bruciatore dell'impianto di riscaldamento di un edificio
condominiale, nei casi in cui il bruciatore sostituito era guasto o obsoleto,
deve considerarsi atto di straordinaria manutenzione, in quanto diretto a
ripristinare la funzionalità dell'impianto senza alcuna modifica sostanziale e
funzionale dello stesso, mentre deve essere ricondotta alle modifiche
migliorative, e non alle innovazioni, se ha lo scopo di consentire
l'utilizzazione di una fonte di energia più redditizia, più economica o meno
inquinante. (Nella specie, si trattava della sostituzione di un bruciatore
alimentato da gasolio con un bruciatore alimentato da gas metano).
La
spesa per la sostituzione della caldaia ben può essere legittimamente suddivisa
secondo i millesimi della tabella di riscaldamento, essendo evidente che gli
stessi sono proprio deputati al calcolo delle diverse proporzioni di uso tra i
vari utenti.
In
tema di condominio, ai fin della ripartizione delle spese di riscaldamento,
l'unico criterio base che sia conforme al principio generale di cui all'art.
1123, comma 2, c.c. è quello della superficie radiante.
Cass.
civ., sez. II, 26 gennaio 1995, n. 946
In
tema di ripartizione delle spese del servizio condominiale di riscaldamento, i
criteri stabiliti dai commi primo e secondo dell'art. 1123, cc. possono essere
derogati - secondo quanto sancisce la detta norma - soltanto da una convenzione
sottoscritta da tutti i condomini o da una deliberazione presa dagli stessi in
sede assembleare con la unanimità dei consensi dei partecipanti alla comunione;
e pertanto non è consentito all'assemblea condominiale, deliberando a
maggioranza. di porre in via provvisoria le spese di riparazione degli impianti
singoli a carico indistintamente di tutti i condomini. Cass.
civ., sez. II, 16 novembre 1991, n. 12307
Con
riguardo all'impianto di riscaldamento installato in un fabbricato condominiale,
l'indagine diretta a stabilire se il singolo partecipante, che non usufruisca
del servizio di riscaldamento (nella specie. in quanto proprietario esclusivo di
negozi), sia ugualmente comproprietario di detto impianto, e, quindi, in
applicazione dell'art. 1123 cod. civ., sia tenuto a concorrere nelle spese
inerenti alla sua conservazione, va condotta in base ai criteri fissati
dall'art. 1117 cod. civ. sull'individuazione delle parti comuni dell'edificio,
tenendo conto che la comunione di detto impianto, ove debba essere negata in
base alla citata norma, può essere riconosciuta, per effetto di diversa
previsione del regolamento condominiale, solo se esso abbia natura contrattuale,
perché predisposto dall'originario unico proprietario e poi accettato con i
singoli atti di acquisto. ovvero perché adottato con il consenso unanime di
tutti i partecipanti, manifestato nelle dovute forme.
Cass.
civ., sez. II, 6 luglio 1984, n. 3966
L'indagine
diretta a stabilire se il singolo partecipante al condominio (nella specie,
proprietario di un'autorimessa), che non usufruisce del servizio di
riscaldamento, sia ugualmente proprietario di detto impianto e, quindi, in
applicazione dell'art. 1123 c.c., sia tenuto a concorrere alle spese inerenti
alla sua conservazione o al rifacimento, va condotta in base ai criteri fissati
dall'art. 1117 c.c. per l'individuazione delle parti comuni dell'edificio.
Cosicché, limitandosi la proprietà comune dell'impianto di riscaldamento al
punto di diramazione ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini,
qualora manchi detta diramazione, poiché non esiste la possibilità che i
locali medesimi fruiscano del riscaldamento, l'impianto non può considerarsi
destinato alloro servizio.
L'obbligo
del condomino di contribuire alle spese necessarie alla conservazione ed al
godimento delle parti comuni dell'edificio, alla prestazione dei servizi
nell'interesse comune e alle innovazioni deliberate dalla maggioranza trova la
sua fonte nella comproprietà delle parti comuni dell'edificio (art. 1123, primo
comma, c.c.); con la conseguenza che la semplice circostanza che l'impianto
centralizzato di riscaldamento non eroghi sufficiente calore non può
giustificare un esonero dal contributo, neanche per le sole spese di esercizio
dell'impianto, dato che il condomino non è titolare, nei confronti del
condominio, di un diritto di natura contrattuale sinallagmatica e, quindi, non
può sottrarsi dal contribuire alle spese allegando la mancata o insufficiente
erogazione del servizio.
Il
singolo condomino non è titolare di un diritto di natura contrattuale
sinallagmatica nei confronti del condominio relativamente all'utilizzazione dei
servizi comuni e, pertanto, non può sottrarsi dal contribuire alle spese di
gestione del servizio di riscaldamento centralizzato in proporzione ai
millesimi, allegando la mancata o insufficiente erogazione di quel servizio, né
può proporre azione di danno contro il condominio per il mancato promovimento
dell'azione contrattuale nei confronti dell'impresa installatrice dell'impianto,
posto che il condomino conserva il potere di agire a difesa non solo dei suoi
diritti di proprietario esclusivo, ma anche dei suoi diritti di comproprietario
pro quota delle parti comuni, potendo ricorrere all'autorità giudiziaria nel
caso di inerzia dell'amministrazione del condominio a norma dell'art. 1105 c.c.,
dettato in materia di comunione, ma applicabile anche al condominio degli
edifici per il rinvio disposto dall'art. 1139 c.c.
Cass.
civ. 15 dicembre 1993, n. 12420
In
tema di condominio degli edifici, qualora il bene comune, come l'impianto di
riscaldamento, si trovi in situazione di inscindibilità materiale o funzionale
con i manufatti afferenti alle porzioni di proprietà esclusiva dei singoli
condomini (nella specie, trattandosi di impianto realizzato con serpentine
inserite nei solai), il potere del regolamento, e, correlativamente,
dell'assemblea dei condomini nel rispetto del regolamento, di provvedere in
ordine alla gestione di detto bene comune (nella specie, ripartendo fra tutti i
condomini le spese di riparazione delle serpentine dei singoli appartamenti) non
resta escluso a causa della inevitabile incidenza riflessa di tale gestione su
quelle proprietà esclusive.
Cass.
civ., sez. II, 5 febbraio 1983, n. 960
Qualora
un regolamento di condominio - avente natura contrattuale per essere stato
richiamato espressamente, quale parte integrante, negli atti di acquisto delle
singole unità immobiliari facenti parte del condominio - stabilisca che i
condomini sono tenuti a sostenere le spese necessarie per la manutenzione e
l'esercizio dell'impianto di riscaldamento anche nelle diramazioni interne dei
singoli appartamenti prevedendo espressamente anche che tali diramazioni sono di
proprietà comune, non trova applicazione ai sensi dell'art. 1138 ultimo comma
cod. civ. la regola sancita dal secondo comma dell'art. 1123 stesso codice, a
norma della quale le cennate spese vanno commisurate al coefficiente di utilità
derivante a ciascuna unità immobiliare dal servizio di riscaldamento, con la
conseguenza che le spese di manutenzione straordinaria e quelle conseguenziali
di restaurazione dell'immobile non possono far carico per intero al condomino
proprietario dell'appartamento nell'ambito del quale è stato necessario
intervenire, bensì per esse si configura l'obbligo di ripartizione fra tutti i
condomini, secondo la regola generale dettata dal primo comma dell'art. 1123
cod. civ. per le spese di manutenzione delle cose comuni.
La
deliberazione con cui l'assemblea dei condomini approvi la ripartizione delle
spese del servizio di riscaldamento centralizzato senza avere prima accertato il
volume dei singoli cespiti, in violazione della disposizione del regolamento di
condominio che pre-vede il riparto volumetrico della spesa, non è affetta da
nullità bensì soltanto annullabile, ove denunciata dai condomini assenti e
dissenzienti nel termine di decadenza di cui all'art. 1137 c.c., non incidendo
sui criteri generali da adottare nel rispetto dell'art. 1123 c.c.
In
tema di ripartizione delle spese del servizio di riscaldamento in un edificio in
condominio, la qualità dell'uso che un singolo appartamento può fare del
servizio stesso, a norma dell'art. 1123, secondo comma, c.c., va calcolata, ai
fini della determinazione della spesa, in rapporto alla capacità potenziale di
assorbimento, e cioè, in forza del fabbisogno obiettivo dell'appartamento
stesso, secondo uno dei tanti criteri possibili (numero dei radiatori o delle
bocchette, massa o superficie irradiante, superficie irradiata, cubatura degli
ambienti, contatore, ecc.) con la conseguenza che procedutosi a tale
determinazione del fabbisogno, non può apportarsi alcuna diminuzione alla
correlativa spesa proporzionale per effetto di ragioni particolari (nella
specie: temperatura degli appartamenti dell'ultimo piano del fabbricato
inferiore a quella degli altri che determinano quel fabbisogno o che lo
aumentano rispetto ad appartamenti di eguale estensione od eguale cubatura). Cass.
civ., sez. II, 4 agosto 1978, n. 3839
In
tema di ripartizione delle spese condominiali attinenti al servizio
centralizzato di riscaldamento di un edificio adibito ad uso abitativo, che
costituito da due appartamenti sia in comunione pro indiviso tra due
comproprietari, trova applicazione la disciplina dettata per la comunione
dall'art. 1104 c.c., con la conseguenza che ogni comproprietario è obbligato a
sostenere le spese stesse in proporzione al valore della sua quota,
indipendentemente dal concreto vantaggio che tragga dal detto servizio e senza
possibilità di sottrarsi a quest'obbligo rinunciando al servizio medesimo, ove
tale rinuncia possa produrre effetti pregiudizievoli per l'altro
comproprietario.
Le
spese per la conservazione dell'impianto centrale di riscaldamento (nella
specie, determinate dalla necessità di adeguare l'impianto alle nuove
prescrizioni tecniche di cui alla L. n. 615 del 1966) sono a carico di tutti i
condomini che possono fruire del relativo servizio, in rapporto al valore della
proprietà individuale di ciascuno (art. 1123, primo comma, c.c.). a differenza
delle spese di esercizio, che vanno ripartite in proporzione dell'uso e della
utilità che ciascuno può realizzare dal servizio comune, qualora si tratti di
cose destinate a servire i condomini in misura diversa (art. 1123, secondo
comma, c.c.). Ne consegue che anche i condomini, i cui locali siano privi di
radiatori attualmente allacciati all'impianto centrale, sono tenuti a concorrere
nelle spese di manutenzione straordinaria dell'impianto centrale di
riscaldamento, secondo la disciplina contenuta nell'art. 1118 c.c.
Cass.
civ., sez. II, 16 febbraio 1977, n. 693
La
ripartizione delle spese del riscaldamento centralizzato di un edificio in
condominio, deliberata dall'assemblea o disciplinata dal regolamento
condominiale, è in contrasto con l'art. 1123, primo capoverso, c.c. - secondo
cui, per le cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese
vanno ripartite in proporzione all'uso che ciascuno può farne - soltanto se
debba essere effettuata in base al valore della proprietà delle singole quote,
ovvero in base ad un diverso criterio che appaia inidoneo, per la sua evidente
irrazionalità, a fissare un congruo rapporto fra la spesa e l'uso individuale.
Qualora, invece, questo rapporto possa essere attuato con più sistemi pratici
che, come i tre metodi adottati nella prassi edilizia e rispettivamente fondati
sulla estensione della superficie irradiata o sulla cubatura degli appartamenti
o sul numero degli elementi radianti, attuano, in modo più o meno soddisfacente
riguardo alle circostanze del caso, il precetto di legge, la preferenza
accordata, in concreto, ad uno di essi non è viziata da illegittimità e
sfugge, pertanto, al controllo del giudice, cui spetta reprimere una
deliberazione illegale, ma non sostituire alla deliberazione legalmente adottata
una più conveniente. senza invadere la sfera di autonomia degli organi
condominiali. Cass.
civ., sez. II, 10 dicembre 1974, n. 4166
All'assemblea
dei condomini, nell'ambito delle attribuzioni concernenti la gestione delle
cose, degli impianti e dei servizi comuni previste dall'art. 1135 n. 2 c.c.,
deve riconoscersi la competenza a modificare, in via provvisoria, tabelle
millesimali concernenti il servizio di riscaldamento e di riscuotere i relativi
contributi a titolo di acconto e salvo conguaglio, qualora, in seguito alle
modifiche apportate da un condomino all'impianto di riscaldamento all'interno
del proprio appartamento, le tabelle originarie non corrispondano alla nuova
estensione degli elementi radianti.
Cass.
civ., sez. II, 3 ottobre 1996, n. 8657
Con
riguardo al risarcimento del danno dovuto a norma dell'art. 1494 c.c. il credito
dei comproprietari di un bene unico ed indivisibile (nella specie, impianto di
riscaldamento condominiale) per il rimborso delle spese occorrenti alla sua
riparazione, deve considerarsi indivisibile perché, essendo indivisibile, per
finalità e funzione, la prestazione che ne è oggetto, indivisibile è anche il
fatto ed il risultato del ripristino; tale credito può essere pertanto fatto
valere da ciascuno dei comproprietari per l'intero, ai sensi dell'art. 1319 c.c.
(salva la successiva definizione del rapporto all'interno della contitolarità).
Cass.
civ., sez. II, 17 maggio 1994, n. 4804
Il
criterio dell'addebito delle spese di riscaldamento in base alla superficie
radiante non è l'unico idoneo a consentire una razionale e giusta ripartizione
delle medesime, potendo ben applicarsi qualsiasi criterio che con soddisfacente
approssimazione consenta una effettiva distribuzione delle spese in relazione
alle caratteristiche delle singole unità immobiliari e del beneficio
effettivamente goduto.
La
carenza, nell'impianto comune di riscaldamento, dei requisiti tecnici prescritti
dalla legge per la sicurezza delle persone e delle cose e per limitare
l'inquinamento prodotto dalla combustione non impedisce alla assemblea di
deliberare sulle relative spese di esercizio (art. 1135 c.c.) perché tale
deliberazione non attiene alla attivazione dell'impianto, che rientra tra i
compiti propri dell'amministratore (art. 1130 .c.).
Cass.
civ., sez. Il, 27 settembre 1996, n. 8531
Le
spese di riscaldamento non sono dal locatore ripetibili se non deliberate o
comunque approvate dall'apposita assemblea dei conduttori.
Pret.
civ. Piacenza, 19 giugno 1980
Il
criterio di ripartizione delle spese del riscaldamento centralizzato in un
edificio in condominio conforme al criterio legale è, allo stato attuale della
tecnica termica ed edilizia, quello che assume come parametro la superficie
radiante. Conseguentemente, la delibera condominiale che adotti un diverso
criterio (come quello del riparto della spesa in proporzione alla cubatura),
senza che ciò sia reso necessario da peculiari caratteristiche dell'edificio o
dell'impianto, lede il diritto del condomino dissenziente alla intangibilità,
senza il suo consenso, della posizione soggettiva in ordine alle cose e ai
servizi comuni, stabilita dalla legge o dalle pattuizioni risultanti dal titolo
di acquisto.
Cass.
civ., sez. II, 8 maggio 1974, n. 1300
La
domanda con la quale il conduttore di un immobile urbano richieda al locatore il
rimborso delle spese per opere di trasformazione del riscaldamento centralizzato
in impianto autonomo non rientra tra quelle relative alla straordinaria
manutenzione o alla conservazione dell'immobile che, a norma degli artt. 23-45
della L. 27 luglio 1972, n. 392, spettano alla competenza per materia del
pretore, e deve essere, quindi, proposta dinnanzi al giudice competente secondo
il generale criterio del valore della causa.
Obbligato
alla corresponsione delle spese condominiali di riscaldamento è il proprietario
dell'unità immobiliare, e non il conduttore, qualora manchi la prova della
qualità di condomino apparente di quest'ultimo.
Pret.
civ. Roma, 14 novembre 1994, n. 6303
Nelle
locazioni degli immobili urbani, i premi di assicurazione dello stabile, il
compenso dell'amministratore ed il concorso nelle spese di riparazione
dell'impianto di riscaldamento e di revisione dell'impianto antincendio non sono
compresi tra gli oneri accessori che l'art. 9 della legge n. 392 del 1978 pone a
carico del conduttore - salvo patto contrario - da valutarsi alla stregua del
divieto di pattuizioni dirette ad attribuire al locatore vantaggi in contrasto
con le disposizioni della predetta legge (art. 79, primo comma). Del pari deve
ritenersi escluso dalle spese a carico del conduttore l'ammortamento degli
impianti, quale deposito frazionato nel tempo di somme di danaro necessarie per
l'acquisto di nuovi impianti a seguito della vetustà di quelli in uso,
trattandosi di una destinazione patrimoniale nell'esclusivo interesse del
locatore, tenuto a mantenere la cosa locata in istato da servire all'uso
convenuto e, quindi, a prestare i relativi servizi. Cass.
civ., sez. III, 11 novembre 1988
E'
nulla la deliberazione condominiale assunta a maggioranza avente per oggetto la
modifica della disposizione contrattuale del regolamento relativa al criterio di
ripartizione delle spese di riscaldamento, in quanto, in tal caso, la possibilità
di una modificazione presuppone il consenso unanime di tutti i partecipanti al
condominio.
Trib.
civ. Milano, 15 giugno 1989
E'
nulla la deliberazione condominiale che fissi l'applicazione di un criterio di
ripartizione di spese per la sostituzione della caldaia del riscaldamento
centralizzato con riferimento alla tabella delle proprietà, diretta a
determinare i valori in millesimi da servire per la ripartizione di tutte le
spese relative alle parti comuni, che opera soltanto una elencazione di stile
delle parti comuni dell'edificio e "di quant'altro previsto dall'art. 1117
c.c.", invece che fare riferimento alla tabella di ripartizione della spesa
in base all'uso del riscaldamento da ciascun condomino effettuato.
Pret
civ. Bari, 17 marzo 1989
L'adesione
di tutti i condomini all'esonero di quelli autorizzati dall'assemblea
condominiale al distacco dell'impianto di riscaldamento centralizzato
dall'obbligo di contribuire comunque alle spese di manutenzione ordinaria e
straordinaria dell'impianto, non richiede l'atto scritto ad substantiam,
potendosi realizzare anche per facta concludentia.
Tib.
civ. Milano 7 ottobre 1991
In tema di locazione di immobili urbani, appartiene alla competenza per materia del pretore, ai sensi dell'art. 29 della L. 23 maggio 1950, n. 253 e dell'art. 10 della L. 26 novembre 1969, n. 833, la causa, iniziata anteriormente all'entrata in vigore della L. 27 luglio 1978, n. 392, concernente le domande con le quali il locatore, da un lato, chieda accertarsi la sussistenza o meno del suo obbligo di contribuire alle spese di riscaldamento in considerazione del mancato uso del servizio da parte del conduttore e, dall'altro, subordinatamente all'accertamento di detto obbligo, chieda la condanna del conduttore al pagamento delle dette spese direttamente all'amministrazione del condominio ovvero alla restituzione di quanto anticipato dallo stesso locatore. Cass. civ., 20 agosto 1990, n. 8498
La
delibera con la quale l'assemblea dei condomini decide di demolire e asportare
l'impianto di riscaldamento e di ricostruirlo ex novo in luogo diverso e con
caratteristiche del tutto differenti, anche se ispirata dalla necessità di
adeguare l'impianto alle prescrizioni della L. 13 luglio 1966 n. 615, recante
provvedimenti contro l'inquinamento atmosferico, deve pur sempre ritenersi
relativa a vere e proprie innovazioni e non ad opere di manutenzione
straordinaria. (Nella specie il condomino lamentava che l'installazione della
nuova centrale termica comportava una sensibile menomazione dell'uso del cortile
comune, rendendo difficoltosa la manovra di accesso al garage di proprietà
esclusivo dell'attore). Cass. civ., sez. II, 9 aprile 1980, n. 2288
E'
valida la delibera assembleare di trasformazione a gas metano dell'impianto di
riscaldamento, adottata con una maggioranza pari al 51% delle quote millesimali.
Trib. civ. Milano, sez. VIII, 7 gennaio 1993
La
delibera condominiale di trasformazione dell'impianto centralizzato di
riscaldamento in impianti unifamiliari a gas, ai sensi dell'art. 26, comma 2,
della legge 9 gennaio 1991, n. 10, in relazione all'art. 8. comma 1, lett. g)
della stessa legge, assunta a maggioranza delle quote millesimali è valida
anche se non accompagnata dal progetto di opere corredato dalla relazione
tecnica di conformità di cui all'art. 28. comma primo della legge stessa,
attenendo tale progetto alla successiva fase di esecuzione della delibera.
Cass.
civ., sez. II, 1luglio 1997, n. 5843
In
tema di condominio di edifici, la delibera dell'assemblea di eliminazione
dell'impianto di riscaldamento centralizzato per far luogo ad impianti autonomi
di riscaldamento richiede il consenso unanime dei condomini, senza che sia
sufficiente la maggioranza di cui al secondo e quarto comma dell'art. 1136 c.c.,
né quella di cui al quinto comma dello stesso articolo, configurando non una
semplice modifica, ma una radicale alterazione della cosa comune nella sua
destinazione strutturale ed economica, obiettivamente pregiudizievole per tutte
le unità immobiliari già allacciate o suscettibile di allacciamento, che urta
contro il limite invalicabile di cui all'art. 1120, secondo comma, c.c., che
vieta tutte le innovazioni che rendano parti comuni dell'edificio inservibili
all'uso o al godimento anche di un solo condomino dissenziente. In tale ipotesi
non può trovare applicazione l'art. 5, quarto comma. della L. 29 maggio 1982,
n. 308. il quale dispone che, in caso di interventi su punti comuni di edifici
volti al contenimento del consumo energetico termico degli edifici stessi ed
all'utilizzazione delle fonti energetiche rinnovabili, sono valide le relative
decisioni prese a maggioranza delle quote millesimali, atteso che presuppone
l'attuazione di un migliore uso o di un maggiore rendimento della cosa comune,
ma non il suo mutamento ex art. 1120, secondo comma, c.c. e tantomeno la sua
soppressione.
Cass.
civ., 10 giugno 1991, n. 6565
In
tema di condominio di edifici, la delibera di rinuncia all'impianto
centralizzato di riscaldamento nella disciplina previgente alla L. 9 gennaio
1991 n. 10, configurando non una semplice modifica, bensì una radicale
trasformazione della cosa comune nella sua destinazione strutturale ed
economica, obiettivamente pregiudizievole per tutte le unità immobiliari già
allacciate o suscettibili di allacciamento al medesimo, è soggetta all'art.
1120 secondo comma c.c., che vieta tutte le innovazioni che rendano parti comuni
dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino
dissenziente, senza che in contrario rilevi la disposizione dell'art. 5 della L.
29 maggio 1982 n. 308 (abrogata dall'art. 23 della citata L. n. 10 del 1991),
che si riferisce alla diversa ipotesi di interventi su parti comuni di edifici
volti al contenimento di consumo energetico.
Cass.
civ., sez. II, 16 febbraio 1993, n. 1926
L'amministratore
del condominio è passivamente legittimato in ordine alla domanda giudiziale del
condomino volta all'accertamento della invalidità della delibera assembleare
relativa alla trasformazione, secondo le previsioni della legge 9 gennaio 1991,
n. 10, dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti unifamiliari,
trattandosi di controversia riguardante un bene comune; ne deriva che in tale
ipotesi non occorre procedere all'integrazione del contraddittorio nei confronti
degli altri condomini, i quali peraltro restano sempre legittimati ad
intervenire in proprio o a proporre impugnazione.
Cass.
civ., sez. II, l luglio 1997, n. 5843
E'
nulla la deliberazione condominiale di trasformazione dell'impianto
termocentralizzato in impianti termosingoli adottata a maggioranza, qualora non
sia accompagnata dall'approvazione di un progetto delle opere da realizzare,
redatto a cura del proprietario dell'edificio o di chi ne ha titolo (normalmente
l'amministratore del condominio) e corredato dalla relativa relazione tecnica di
conformità, prescritti dalla L. n. 10/1991 in modo "da consentire ai
condomini dissenzienti di verificare che il sacrificio del loro diritto al
mantenimento del servizio comune risponda alle finalità ed alle prescrizioni
della legge stessa".
Trib.
civ. Chiavari, 3 maggio 1995, n. 151
E'
nulla la deliberazione condominiale di trasformazione dell'impianto
centralizzato di riscaldamento adottata a maggioranza dei millesimi qualora non
sia accompagnata dall'approvazione di un progetto e della relativa relazione
tecnica di conformità prescritti dalla L. n. 10/91, in modo da consentire ai
condomini dissenzienti di verificare che il sacrificio del loro diritto al
mantenimento del servizio comune risponda alle finalità ed alle prescrizioni
della legge stessa.Trib.
civ. Roma. sez. III, 3 marzo 1993, n. 3390
E'
nulla
la delibera condominiale di trasformazione dell'impianto centralizzato di
riscaldamento in impianti termoautonomi adottata con la maggioranza delle quote
millesimali senza che ciascun condomino sia stato reso edotto dell'effettivo
contenimento dei consumi energetici tramite la messa a disposizione del progetto
e della relativa relazione tecnica di conformità prescritti dalla L. n.
10/1991.
In
tema di trasformazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti
termoautonomi, l'art. 26, n. 2 della L. n. 10/199 1 (disciplina di chiara
valenza pubblicistica che, come tale, è imperativa e prevalente su quella
privatistica) implicitamente deroga agli artt. 1120 e 1136 c.c., ritenendo
sufficiente e valida una delibera votata dalla sola maggioranza delle quote
millesimali, senza che vi sia alcuna necessità della maggioranza personale: non
è necessario nemmeno che tale delibera faccia riferimento al progetto
esecutivo, alla relazione tecnica e, più in generale, al rispetto della
normativa UNI e CEI.
Trib.
civ. Torino, sez. I, 19 ottobre 1994, n. 7963
Per
poter ritenere legittima ex L. n. 10/1991 la delibera di trasformazione
dell'impianto termocentralizzato si richiede: a) l'acquisizione del relativo
progetto a gas per il riscaldamento e l'acqua calda; b) l'identificazione dei
condomini che - ex art. 1121 c.c. - abbiano dichiarato di non voler beneficiare
della trasformazione; c) la definizione precisa della pratica di trasformazione
per la concessione del contributo (preferibilmente unitaria); d) la ripartizione
degli oneri inerenti alla trasformazione.
Trib.
civ. Napoli, sez. X, 9 luglio 1993, n. 7244
Una
delibera assembleare che - in applicazione della L. n. 10/1991 - approvi la
trasformazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento in singoli impianti
autonomi è legittima solo se viene assunta in presenza di un progetto idoneo a
stabilire sia la concreta attuabilità sia l'effettiva convenienza, sotto il
profilo del risparmio energetico, di tale trasformazione.
-è
valida la delibera assembleare (adottata a maggioranza dei millesimi) la quale,
disponendo lo sgombero del locale contenente la centrale termica al fine della
sua sostituzione con impianti termoautonomi, privi alcuni condomini che ne
abbiano fatto richiesta dell'uso dell'impianto centralizzato, di cui essi siano
disposti ad assumersi tutte le spese di gestione. Ciò in quanto la ratio della
L. n. 10/1991, che è quella di contenere il consumo di energia negli edifici,
sarebbe vanificata, dato che il funzionamento di una caldaia idonea a soddisfare
i bisogni di un intero condominio, ma utilizzata di fatto solo da alcuni
condomini, determinerebbe un consumo di energia molto elevato.
Secondo
il combinato disposto degli artt. 8, lettera g) e 26 della L. n. 10/1991, per
gli interventi in parti comuni degli edifici e consistenti nella trasformazione
di impianti centralizzati di riscaldamento in impianti unifamiliari a gas
metano, sono valide le delibere assembleari prese a maggioranza delle quote
millesimali ed ispirate ad una finalità di risparmio energetico e di riduzione
del tasso d'inquinamento, in sintonia ed in conformità con la ratio della L. n.
10/1991. Tali delibere non sono inficiate da nullità qualora la decisione
dell'assemblea sia stata assunta pur in mancanza di dati tecnici da cui emerga
la convenienza della trasformazione sotto il profilo del risparmio economico, in
quanto trattasi di questione attinente al merito della gestione condominiale.
Trib.
civ. Terni, 18 luglio 1996, n. 422
La
delibera dell'assemblea dei condomini costituisce solo il momento iniziale del
procedimento di trasformazione dell'impianto di riscaldamento da centralizzato a
unifamiliare a gas. la cui validità non è condizionata dal preventivo
approntamento e messa a disposizione dei condomini del progetto e della
relazione tecnica.
Trib.
civ. Avellino, 19 dicembre 1996, n. 1246
In
tema di condominio degli edifici, la delibera di rinuncia non al mero servizio,
ma all'impianto centralizzato di riscaldamento, configurando non una semplice
modifica bensì una radicale alterazione della cosa comune nella sua
destinazione strutturale od economica, obiettivamente pregiudizievole per tutte
le unità immobiliari già allacciate o suscettibili di allacciamento al
medesimo, urta contro il limite invalicabile di cui al secondo comma dell'art.
1120 cod. civ., che vieta tutte "le innovazioni.., che rendano... parti
comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo
condomino" dissenziente, senza che possa rilevare la mancanza di assoluta
irreversibilità dell'adottata decisione, né la particolare onerosità del
mantenimento ed adeguamento degli impianti.
In
tema di condominio la delibera assembleare di eliminazione dell'impianto di
riscaldamento centralizzato per fare luogo ad impianti autonomi di riscaldamento
richiede il consenso unanime dei condomini, senza che sia sufficiente la
maggioranza di cui al secondo e al quarto comma dell'art. 1136 c.c., né quello
di cui al quinto comma dello stesso articolo, configurando non una semplice
modifica, ma una radicale alterazione della cosa comune nella sua destinazione
strutturale o economica.
In
tema di condominio degli edifici, la trasformazione dell'impianto di
riscaldamento centralizzato in impianti autonomi, richiede il consenso di tutti
i condomini, giacché l'abbandono dell'impianto centralizzato, la rinuncia alle
precedenti modalità di riscaldamento, la destinazione a nuovo impianto di
locale idoneo, la necessità di nuove opere e relativi oneri di spesa, non
possono essere imposti al condomino dissenziente, ai sensi dell'art. 1120,
secondo comma.
Cass.
civ., 27 aprile 1991, n. 4652
Il
condominio può deliberare, con la maggioranza qualificata di cui al comma 1
dell'art. 1120 c.c., che il dismesso impianto centralizzato di riscaldamento sia
mantenuto in esercizio solo per il riscaldamento dei locali condominiali,
trattandosi di un'attività che, senza alterarne la consistenza e la
destinazione originaria, attua il potenziamento ed il migliore godimento della
cosa comune.
La
delibera assembleare costituisce solo il momento iniziale del procedimento di
trasformazione dell'impianto di riscaldamento da centralizzato a unifamiliare a
gas, procedimento che prevede anzitutto che, a cura del proprietario
dell'edificio o di chi ne ha titolo, sia redatto un progetto delle opere da
realizzare, corredato da una relazione tecnica, da allegare alla denuncia
dell'inizio dei lavori (art. 28), finalizzato al rilascio della certificazione e
collaudo delle opere (art. .29) e alla certificazione energetica dell'edificio
(art. 30).
In
tema di riscaldamento di condominio degli edifici, la delibera avente ad oggetto
la rinuncia all'impianto centralizzato di riscaldamento e l'installazione di
impianti autonomi è valida se adottata con la maggioranza indicata dal quinto
comma dell'art. 1136 cod. civ. purché l'installazione degli impianti autonomi
non comporti una spesa eccessivamente onerosa.
Trib.
civ. Roma, ord. 11 novembre 1987
La
decisione di procedere all'installazione di impianti di riscaldamento autonomo,
in sostituzione dell'impianto centralizzato a carbone non costituisce
innovazione vietata ex art. 1120 secondo comma c.c., quando l'assemblea
condominiale abbia inteso uniformarsi, con tale delibera, all'ordinanza del
Sindaco che vieta l'utilizzazione di impianti di riscaldamento a carbone e abbia
accertato l'impossibilità di trasformare l'impianto esistente se non a prezzo
di oneri estremamente gravosi.
Trib.
civ. Milano, 18 dicembre 1991. n. 10582
In
tema di innovazioni ex art. 1120 cod. civ., la trasformazione dell'impianto
termico condominiale in impianti termo singoli, comportando la disattivazione
dell'impianto condominiale e la sua inutilizzabilità da parte dei condomini (ad
esempio da parte dei condomini dissenzienti) integra una fattispecie di
innovazione vietata poiché eccede i limiti della conservazione, dell'ordinaria
amministrazione e del godimento delle cose, ed incide sull'interesse di tutti i
condomini, anche se dettata da motivi tecnici.
Gli
assegnatari di alloggi di edilizia pubblica residenziale possono costituire
assemblee gestionali dei servizi comuni, al fine di regolare le modalità della
loro erogazione e del loro uso, nonché della ripartizione delle spese ma non
possono, invece, adottare decisioni destinate ad incidere sulla struttura di un
impianto comune, alterandone l'originaria impostazione e modificandone la
consistenza e l'ambito degli effetti che gli sono propri. (Nella specie,
trasformazione del servizio centralizzato di riscaldamento con impianto
autonomo).
La
delibera assembleare che, avendo constatato lo stato di usura e la non conformità
alle norme di sicurezza antincendi di un impianto di riscaldamento centralizzato
autorizza i singoli condomini a procedere all'installazione di impianti singoli,
non arreca alcun pregiudizio al condomino dissenziente, posto che questi non
potrebbe comunque godere dell'impianto, ma consente soltanto ai condomini di
procurarsi l'utilità resa in precedenza dal bene comune con modalità
differenti, più comode e convenienti.
Trib.
civ. Lecce, 30 aprile 1990
E'
valida la delibera assembleare che, a maggioranza, disponga la sostituzione
dell'impianto centralizzato di riscaldamento a gasolio con impianti autonomi a
metano.
Pret.
civ. Camerino, 5 giugno 1990
La
sostituzione della caldaia dell'impianto autonomo di riscaldamento e produzione
di acqua calda che non comporti una spesa esorbitante è da ritenersi opera di
manutenzione straordinaria poco rilevante finalizzata al solo mantenimento dello
stato di conservazione e manutenzione del bene (art. 21, secondo comma, n. 6, L.
n. 392/1978) e non di riparazione straordinaria di rilevante entità.
Pret.
civ. Matera, 21 maggio 1992
La
sostituzione della caldaia termica (bruciatore), se quella esistente è obsoleta
o guasta, deve considerarsi atto di straordinaria manutenzione, in quanto
diretto semplicemente a ripristinare la funzionalità dell'impianto e non a
creare una modificazione sostanziale o funzionale della cosa comune ( l'impianto
di riscaldamento ). Deve essere ricondotta invece alle modifiche migliorative
dell'impianto, e non alle innovazioni dello stesso, la sostituzione della
caldaia termica, ancora funzionante, se ha lo scopo di consentire
l'utilizzazione di una fonte di energia più redditizia e meno inquinante.
Costituisce
innovazione la disattivazione definitiva dell'impianto centralizzato di
riscaldamento ed acqua calda con conseguente trasformazione in impianti di
riscaldamento autonomo, secondo le scelte da operarsi dai singoli condomini
nell'ambito delle rispettive proprietà esclusive.
Corte
app. civ. Genova, 19 febbraio 1991, n. 53
La
trasformazione di un impianto centralizzato di riscaldamento in impianti a gas
di proprietà singola (avvenuta in virtù di quanto dispone la L. 9 gennaio
1991, n. 10) esclude sia sotto l'aspetto funzionale che sotto quello giuridico
la conservazione attiva del sistema termico trasformato, le cui componenti
materiali rimangono solo come semplici residuati per la opportuna rottamazione,
non potendo la minoranza dissenziente pretendere di lasciare attivo ovvero
riattivare e far funzionare a proprie spese l'impianto trasformato, in quanto ciò
sarebbe contrario alla ratio legis che è chiaramente quella della
razionalizzazione dell'energia sotto il triplice profilo termico, economico ed
ecologico.
Trib.
civ. Napoli, 29 novembre 1991
La
legge n. 10 del 1991 ritiene meritevole di tutela agli effetti della
determinazione della maggioranza dei consensi solo la delibera di trasformazione
dell'impianto, non pure quella che abbia ratificato o autorizzi comunque
distacchi isolati da parte di singoli condomini e che rappresenterebbe
certamente un'incoerente regola-mentazione termoenergetica condominiale
lasciando coesistere in maniera disordinata, con dispersioni calorifiche e
sprechi, due sistemi, quello termocentralizzato e quello singolo, con
conseguente alterazione e squilibrio termico del primo non compensato dal
secondo.
Trib.
civ. Napoli, 29 novembre 1991
La
demolizione e asportazione dell'impianto di riscaldamento e la sua ricostruzione
con caratteristiche diverse, anche se determinate dalla necessità di
adeguamento dell'impianto alle disposizioni che disciplinano la materia in
relazione alle esigenze di risparmio energetico e di tutela ambientale,
costituisce vera e propria innovazione. La relativa delibera non è perciò
adottabile a maggioranza sia pure qualificata (art. 1120 c.c.) ed è quindi
illegittima se non ha ottenuto il consenso di tutti i partecipanti al
condominio.
Sussistono
entrambi i requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora, che ne
legittimano la sospensione, nel caso di delibera di assemblea condominiale che a
maggioranza stabilisca la trasformazione dell'impianto comune di riscaldamento
da centralizzato in autonomo (fattispecie in cui la delibera condominiale era
stata impugnata sotto il duplice profilo formale, per violazione del combinato
disposto degli artt. 1136, sesto comma, c.c. e 67, secondo comma, att., e
sostanziale, per violazione dell'art. 1120. secondo comma, c.c.).
Le disposizioni di cui agli artt. 8, lettera g) e 26 della L. n. 10/1991, che prevedono che per gli interventi in parti comuni degli edifici e consistenti nella trasformazione di impianti di riscaldamento in impianti unifamiliari a gas siano valide le delibere assembleari prese a maggioranza delle quote millesimali, sono da ritenersi applicabili anche nel corso del processo iniziato prima dell'entrata in vigore della stessa. Trib. civ. Milano, 16 dicembre 1991, n. 10582
La
collocazione in un vano (o altro ambiente o spazio) compreso nel perimetro del
condominio delle tubazioni (o parte di esse) dell'impianto termico
centralizzato, o di altro servizio comune, non rende di per sé quel vano
insuscettibile di autonomo ed esclusivo diritto di proprietà, salve le
limitazioni di tale diritto - concretanti corrispondenti servitù - correlate
all'obbligo di consentire e conservare la destinazione di tali tubazioni al
servizio ed a vantaggio dell'intero edificio condominiale.
Cass.
civ., sez. II, 19maggio 1992, n. 5978
Il condomino di un edificio non può operare, ostandovi gli artt. 1102 e 1120 c.c., innovazioni sul tratto di pertinenza del proprio appartamento dell'impianto comune di riscaldamento (nella specie: interrompendo il percorso delle tubature) in guisa da impedire l'utilizzazione dell'impianto da parte degli altri condomini. Cass. civ., sez. II, 2 maggio 1996, n. 4023
A
norma dell'art. 1130. n. 2 cc., spetta all'amministratore disciplinare l'uso
delle cose comuni e la prestazione dei servizi nell'interesse comune in modo che
ne sia assicurato il miglior godimento a tutti i condomini. In tale incombenza
dell'amministratore rientra la vigilanza sulla regolarità dei servizi comuni,
anche per quanto attiene alle interferenze con i singoli appartamenti, e il
dovere di eseguire verifiche e di impartire le necessarie provvidenze intese a
mantenere integra la parità del godimento dei beni comuni da parte di tutti i
condomini; pertanto, ben può essere disposta la sostituzione negli impianti di
termosifone centrale, esistenti nei singoli appartamenti, dei bocchettoni
liberamente manovrabili con detentori fissi, quando tale rimedio sia volto a
disciplinare l'uso del servizio da parte dei singoli condomini.
E' configurabile la responsabilità extracontrat-tuale ex art. 2043 c.c. del collaudatore di una caldaia per i danni che siano derivati a terzi dal difettoso funzionamento dell'impianto, sotto il profilo della inosservanza del dovere di diligenza, nel riscontro della funzionalità dell'impianto stesso, ancorché installato da altri e del consequenziale dovere di segnalare tempestivamente la deficienza riscontrata o comunque riscontrabile. Cass. civ., sez. III, 9 luglio 1996, n. 6235
Poiché
a norma dell'art. 1122 c.c. il limite alla facoltà di ogni condomino di
eseguire opere sul proprio piano (o porzione di piano di sua proprietà) si
identifica in ogni danno consistente nella diminuzione di valore della cosa
comune riferito alla funzione della cosa, considerata nella sua unità,
costituisce danno per le cose comuni anche il pericolo attuale e non meramente
ipotetico connesso con il rischioso funzionamento o con la realizzazione
imperfetta di un impianto autonomo di riscaldamento, quando la tecnica di
realizzazione e la complessità delle operazioni necessarie per l'uso dello
stesso comportino la possibilità di recare danno all'impianto di riscaldamento
centrale.
Cass.
civ., sez. Il, 25 gennaio 1995, n. 870
Nel
caso in cui l'insufficiente riscaldamento di un appartamento dipenda da una
deficienza nell'organizzazione e conduzione dell'impianto di riscaldamento
comune, l'amministrazione condominiale è tenuta ad eliminare ogni vizio o
difetto dell'impianto, risarcendo il singolo partecipante danneggiato.
Trib.
civ. Milano, sez. VIII, 26 gennaio 1989, n. 680
Il
singolo condomino, in quanto detentore dei radiatori, è responsabile del non
perfetto funziona-mento dell'impianto di riscaldamento a causa dell'aria
presente nei radiatori medesimi e nei tratti di tubo che dal pavimento salgono
fino alla valvola di sfogo.
Sono
da ritenere responsabili sia il tecnico installatore che il proprietario
dell'immobile locato in caso di decesso del conduttore dovuto all'imperfetto
funzionamento dell'impianto termico. Pret.
pen. L'Aquila. 5 ottobre 1992
Colui
che installa uno scaldaacqua alimentato a gas metano ha il dovere di predisporre
tutte le opere e i presidi suggeriti dalla buona tecnica, dalla prudenza e
dall'esperienza, al fine di rendere pienamente efficiente il sistema di
smaltimento dei prodotti della combustione e, in ogni caso, di verificare la
funzionalità della canna di esalazione ditali prodotti. L'osservanza di tale
dovere prescinde dall'evenienza che l'impianto di smaltimento sia realizzato al
momento dell'installazione ovvero preesista in quanto, prima di porre in attività
l'apparecchiatura. deve essere accertata l'idoneità funzionale e l'assenza di
condizioni foriere di danno per le persone.
Il
condominio può deliberare, con la maggioranza qualificata di cui al comma 1
dell'art. 1120 c.c., che il dismesso impianto centralizzato di riscaldamento sia
mantenuto in esercizio solo per il riscaldamento dei locali condominiali,
trattandosi di un'attività che, senza alterarne la consistenza e la
destinazione originaria, attua il potenziamento ed il migliore godimento della
cosa comune.
Cass.
Civ. 2329 - 01/03/95
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