OBBLIGHI DEL CONDUTTORE
L’art.
1587 n. 1 c.c. — che impone al conduttore di osservare, nell’usare la cosa
per l’uso determinato, la diligenza del buon padre di famiglia, è sempre
operante nel corso del rapporto, indipendentemente dall’obbligo di restituire
la cosa, al termine del rapporto, nello stesso stato in cui l’ha ricevuta.
Conseguentemente, il mutamento di destinazione della res locata, specie ove
alteri gli elementi strutturali del bene in modo da renderlo diverso da quello
originario, può costituire causa legittima di risoluzione del contratto, ove il
giudice del merito — cui è riservato il relativo apprezzamento —reputi che
le modifiche apportate sostanzino un abuso del bene locato.
Il
mutamento, anche parziale, della destinazione della cosa locata costituisce
inadempimento di una delle obbligazioni principali del conduttore, che ha
carattere di gravità e può comportare la risoluzione del contratto, allorché
si traduca in una rilevante violazione del contratto medesimo, in riferimento
alla volontà manifestata dai contraenti, alla natura ed alle finalità del
rapporto nonché all’interesse del locatore.Cass.
civ., sez. III, 5 gennaio 1980, n. 49
L’art.
1590 c.c., imponendo al conduttore l’obbligo di "restituire la cosa al
locatore nello stato medesimo in cui l’ha ricevuta", non altera la
portata dell’obbligo imposto al conduttore stesso dal precedente art. 1587 n.
1 di "osservare la diligenza del buon padre di famiglia" nel servirsi
della cosa "per l’uso determinato nel contratto o per l’uso che può
altrimenti presumersi dalle circostanze", sicché la violazione di
quest’ultimo obbligo, consumata nel corso del rapporto, costituisce
inadempimento valutabile senza attendere la scadenza del contratto, presupposta
dall’art. 1590 citato con la conseguente legittimità della pronunzia di
risoluzione del contratto medesimo, invocata dal locatore, ove sia accertata una
tale violazione, ravvisabile nel caso di alterazione unilaterale dello stato
dell’immobile, la quale importa un uso anormale della cosa locata con
riferimento alla volontà contrattuale, secondo le regole di buona fede, e,
quindi, un’inosservanza dell’indicato art. 1587, n. 1.
In
tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, il
non uso della cosa locata non equivale a mutamento di destinazione d’uso, ai
sensi dell’art. 80 della L. 27 luglio 1978, n. 392, che riguarda
esclusivamente il mutamento di destinazione comportante un mutamento del regime
giuridico del contratto, ma deve essere valutato alla stregua dei criteri
generali in tema di inadempimento contrattuale, secondo i disposti dell’art.
1455 in relazione all’art. 1587 c.c., tenendo presente che il conduttore di
immobile destinato ad uso non abitativo non ha generalmente l’obbligo di usare
l’immobile, tranne nelle ipotesi in cui il contratto abbia ad oggetto una cosa
produttiva o un bene per cui l’uso sia necessario alla sua conservazione o,
ancora, nell’ipotesi in cui un determinato uso della cosa sia stato
specificamente assunto come obbligatorio dalle parti nel sinallagma
contrattuale.
La
mancata richiesta di autorizzazione per l’esecuzione dei lavori
all’amministratore non può di per sé rappresentare esito in ogni caso
preclusivo della facoltà del condomino di procedere a variazioni di
destinazione della propria unità, la mancata autorizzazione (in via
amministrativa e assembleare) potendo rappresentare non già un discrezionale
divieto all’esercizio di facoltà d’uso della cosa privata ma solo una
ricognizione della non corrispondenza di tale esercizio a vincoli normativi o
convenzionali e come tale rimanendo sempre soggetta a valutazione di liceità in
sede contenziosa.
La
costruzione, senza il consenso del locatore, di un manufatto sul terreno
condotto in locazione integra violazione dell’obbligo del conduttore di usare
la cosa con la diligenza del buon padre di famiglia, per l’uso determinato nel
contratto o altrimenti da pre-sumere secondo le circostanze (art. 1587 n. i
c.c.) solo ove, oltre a porsi in contrasto con la volontà contrattuale
(espressa o presunta), incida sulla struttura fondamentale della cosa locata,
sulla sua organizzazione funzionale e sulla destinazione sua propria. (Nel caso
concreto, trattavasi di un ampio capannone e di boxes in lamiera, costruiti su
nudo terreno locato per esercizio di attività commerciali).
In
caso di abuso nel godimento della cosa locata, perpetrato mediante alterazione,
sia pure parziale, dell’immobile, spetta al giudice di merito apprezzare
l’importanza dell’inadempimento ai fini dell’eventuale pronuncia di
risoluzione del contratto, considerando sia se l’alterazione abbia inciso su
elementi strutturali dell’immobile, sull’interesse del locatore alla sua
conservazione e sull’uso concordato, sia se l’alterazione contrasti con
eventuali interdizioni pattizie, posto che le facoltà di godimento del
conduttore devono essere valutate con riguardo alla espressa volontà delle
parti.Cass.
civ., sez. III, 4 ottobre 1990, n. 9821
E'
facoltà del conduttore apportare alla cosa locata quelle migliorie od
innovazioni che non ne mutino la natura e la destinazione pattuita. Non trova
applicazione, in questo caso, la norma di cui all’art. 1587 n. 1 c.c., ma solo
la disciplina delle migliorie e delle addizioni, di cui agli artt. 1592 e 1593
c.c.
L’obbligo
del conduttore di osservare nell’uso della cosa locata la diligenza del buon
padre di famiglia, a norma dell’art. 1587 n. 1 c.c., è sempre operante nel
corso della locazione, indipendentemente dall’altro obbligo, sancito
dall’art. 1590, di restituire, al termine del rapporto, la cosa locata nello
stesso stato in cui è stata consegnata, sicché il locatore ha diritto di
esigere in ogni tempo l’osservanza dell’obbligazione di cui all’art. 1587
n. 1 (nella specie, si trattava dell’osservanza dell’obbligo di manutenzione
nei termini contrattuali) e di agire nei confronti del conduttore inadempiente
sia per la risoluzione del contratto, sia per la riduzione in pristino o
l’esecuzione delle necessarie opere di manutenzione, ed in ogni caso per il
risarcimento dei danni.
Il
mancato pagamento del canone di locazione convenzionalmente fissato, non è
giustificato se non quando sia stato giudizialmente accertato, in via
definitiva, che le somme pretese non sono dovute o sono dovute nel minore
ammontare corrisposto, creandosi altrimenti la violazione del sinallagma
contrattuale ed uno squilibrio tra le prestazioni delle parti sulla base di un
inammissibile comportamento di ragion fattasi con la conseguenza che se tale
comportamento assume il carattere della gravità in relazione alla volontà
espressa dalle parti, alla natura e alle finalità del rapporto, soprattutto in
relazione all’interesse dell’altro contraente, si giustifica la risoluzione
dei rapporto.
La
colpa dell’inadempiente, quale presupposto per la risolu-zione dei contratto,
è presunta sino a prova contraria e tale presunzione è destinata a cadere solo
a fronte di risultanze positivamente apprezzabili, dedotte e provate dal
debitore, le quali dimostrino che quest’ultimo, nonostante l’uso della
normale diligenza, non sia stato in grado di eseguire tempestivamente le
prestazioni dovute per cause a lui non imputabili. (Principio enunciato in tema
di inadempimento del pagamento del canone locatizio).
Cass.
civ., sez. III, 14 maggio 1983, n. 3328
In
caso di fallimento del conduttore di un immobile, fin quando il curatore non
esercita il recesso ex art. 80 legge fall., il locatore conserva il proprio
diritto al pagamento dei canoni nei termini pattuiti e la correlativa
obbligazione del curatore non si sottrae all’applicazione delle norme generali
sull’adempimento.
Nell’ipotesi
di vendita dell’immobile locato, il conduttore deve corrispondere il canone
all’acquirente dal momento in cui ne sia venuto comunque a conoscenza, anche
in mancanza di una formale comunicazione; infatti, la vendita del bene locato
non comporta una cessione del contratto di locazione inquadrabile nella norma di
cui all’art. 1406 c.c. ma soltanto una successione a titolo particolare del
compratore nel rapporto di locazione per la quale, contrariamente a ciò che
avviene per la cessione del contratto per la quale si richiede il consenso del
contraente ceduto, non è necessario il consenso del conduttore.
Il
pagamento del canone effettuato successivamente alla data della domanda di
risoluzione del contratto di locazione non è idoneo ad impedire la chiesta
risoluzione perché, a norma dell’art. 1453, ultimo comma, c.c., da tale data
l’inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione.
Le
cause di risoluzione di un contratto di locazione per inadempimento dei
conduttore debbono preesistere al momento in cui la controparte propone la
domanda giudiziale, cosicché il giudice del merito non può prescindere
dall’indagine primaria sulla sussistenza dell’inadempimento del conduttore
al momento della domanda, che vale a giustificare la risoluzione del contratto
di locazione, ancorché soggetto alla normativa vincolistica, ove si concreti
nella reiterazione della colpevole inadempienza nel ritardo nel pagamento dei
danni, quando abbia carattere di rilevante importanza e gravità essendosi
protratta anche al di là dei termini previsti dalla legislazione vincolistica
(art. 3 L. ti. 841 del 1973) pure di fronte alle diffide intimate — dopo
un’iniziale tolleranza — dal locatore.
Cass.
civ., sez. III, 28 gennaio 1987, n. 805
L’uso
che, in materia di locazione, regoli il termine per il pagamento del canone non
può essere considerato, giusta l’art. 8 disp. prel. cod. civ., un uso
normativo, non essendo richiamato dall’art. 1587, ti. 2, cod. civ., ma va
considerato come uso negoziale, operante in base all’art. 1340 cod. civ. in
quanto non escluso dalle parti, sicché la prova della sua esistenza va data dal
locatore che sulla sua base pretenda l’anticipata corresponsione del canone. L’invio di un assegno di conto corrente per effettuare il pagamento del canone di locazione non ha efficacia liberatoria se non venga accettato dal creditore locatore. Tuttavia, l’efficacia liberatoria può ravvisarsi qualora la pregressa e prolungata accettazione dei canoni nella forma suddetta manifesti tacitamente il consenso del creditore ai sensi dell’art. 1197 c.c. alla prestazione diversa da quella dovuta e tale comportamento del creditore può essere idoneo anche ad escludere lo stato soggettivo di colpa del debitore inadempiente e, quindi, la mora idonea a permettere la risoluzione del contratto.Cass. civ., sez. III, 3 febbraio 1995, n. 1326
La
tolleranza del locatore, in ordine al pagamento del canone, anziché presso il
proprio domicilio in moneta avente corso legale, a mezzo bonifico od accredito
in conto corrente bancario, non implica, salvo prova contraria a carico del
conduttore, anche la tolleranza circa la disponibilità della somma dovutagli
oltre il termine pattuito per il versamento del canone, di modo che, in difetto
di quella prova, il conduttore assume i rischi di eventuali ritardi o disguidi
derivanti dai ricorso al servizio bancario.
Cass.
civ., Sezioni Unite, 28 dicembre 1990, n. 12210
Il
pagamento del canone di locazione, salva diversa previsio-ne del contratto, deve
essere effettuato dal conduttore al domicilio del locatore con moneta avente
corso legale. La scelta di un diverso modo di pagamento (nella specie: vaglia
postale) comporta inadem-pimento di un’obbligazione gravante sul conduttore,
che in tanto può dar luogo alla risoluzione del contratto, in quanto possa
consi-derarsi colpevole, e cioè provocato dalla deliberata volontà di
sot-trarsi ingiustamente alla prestazione dovuta, e di non scarsa impor-tanza,
avuto riguardo all’interesse del locatore.
L’offerta
irrituale delle pigioni scadute da parte del conduttore, pur potendosi, in
particolari circostanze, ritenere elemento sufficiente per escludere
l’inadempienza, di regola non può importare liberazione del conduttore che può
verificarsi solo per effetto del deposito eseguito ai sensi dell’art. 1212
c.c. e il relativo accertamento dell’efficacia liberatoria dell’offerta e,
correlativamente, della legittimità o meno del rifiuto di essa da parte del
creditore, postula un’indagine che rientra nei poteri del giudice di merito.
Cass.
civ., sez. III, 26 gennaio 1980, n. 649
Se
nel corso di un rapporto di locazione decede uno dei locatori, gli eredi di
esso, per pretendere il pagamento del canone, hanno l’onere di dimostrare la
loro legittimazione, perché la modifica soggettiva del contratto, innovando
sulle modalità di adempimento (art. 1362, comma 2, c.c.), determina uno stato
di incertezza per il conduttore che il creditore ha l’onere di rimuovere, onde
rendere possibile la prestazione, in attuazione del principio di buona fede
nell’esecuzione del contratto; in mancanza dell’assolvimento di tale onere
di collaborazione è giustificato il rifiuto del conduttore di pagare il
corrispettivo ai nuovi contitolari del diritto, ed è invece idonea a costituire
la mora accipiendi l’offerta del canone all’originario contitolare del
relativo diritto.
L’invio
di un titolo di credito improprio, quale un vaglia postale, per effettuare il
pagamento del canone di locazione non ha efficacia liberatoria se non venga
accettato dal creditore-locatore, sia perché, a norma dell’art. 1277 c.c., i
debiti pecuniari si estinguono solo con moneta avente corso legale nello Stato,
sia perché, a norma dell’art. 1182 c.c., essi debiti vanno adempiuti nel
domicilio del creditore al tempo della scadenza, e l’invio del vaglia comporta
la sostituzione di questo domicilio con la sede dell’ufficio postale presso
cui il titolo è riscuotibile. Tuttavia l’efficacia liberatoria può
ravvisarsi qualora la pregressa e prolungata accettazione dei canoni nella forma
suddetta manifesti tacitamente il consenso del creditore, di cui ail’art. 1197
c.c., alla prestazione diversa da quella dovuta. Il detto comportamento del
creditore può essere idoneo anche ad escludere lo stato soggettivo di colpa del
debitore inadempiente, e quindi la sua mora, idonea a permettere la risoluzione
del contratto.Cass.
civ., sez. III, 5 gennaio 1981, n. 24
Il
rifiuto del conduttore di pagare il canone di locazione, giustificato
dall’avere il locatore omesso di consegnare le ricevute a canoni già pagati
(eccezione d’inadempimento), deve ritenersi contrario a buona fede — ed è
perciò causa di risoluzione del contratto di locazione ex art. 1453 c.c. — se
il conduttore stesso non si sia trovato nelle necessità di servirsi delle
ricevute per non avere il locatore mai negato gli avvenuti pagamenti.Cass.
civ., sez. III, 6 luglio 1977, n. 2987
Gli
interessi sui canoni locatizi non corrisposti dal conduttore hanno natura
moratoria in quanto ancorati alla mora ex art. 1282, secondo comma, c.c. e
quindi possono essere attribuiti soltanto se la parte li domanda, e non pure
d’ufficio.
Cass.
civ., sez. III, 20 gennaio 1983, n. 564
E’
in mora il conduttore che sospende la corresponsione del canone concordato in
attesa dell’esito del giudizio instaurato per la determinazione di esso nella
misura legale e per il conseguente rimborso, previa compensazione fino alla
concorrenza, con le somme pagate in più, perché l’eventuale credito non è
ancora né liquido né esigibile.
Cass.
civ., sez. III, 3 marzo 1997, n. 1870
E’
illegittima l’autoriduzione del canone di locazione prima della instaurazione
del giudizio per la sua determinazione, ferma la necessità di valutare con
particolare riguardo all’interesse del locatore a riceverlo mensilmente, fino
alla moratoria ex lege, nella misura pattuita la gravità di tale inadempimento,
da parte del giudice del merito, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1455
c.c. Cass. civ., sez. III, 3 marzo 1997, n. 1870
In
tema di locazione di immobili urbani, la cosiddetta autoriduzione del canone,
cioè il suo pagamento in misura inferiore a quella convenzionalmente stabilita,
in relazione alla dedotta esorbitanza ditale ultima misura rispetto
all’importo inderogabilmente fissato dalla legge, costituisce un fatto
arbitrario ed illegittimo del conduttore provocando il venir meno
dell’equilibrio sinallagmatico convenzionale, restando nei poteri del giudice,
ai fini dell’accertamento di un inadempimento tanto grave da giustificare la
risoluzione del rapporto, la valutazione dell’importanza dello squilibrio
sinallagmatico avuto riguardo all’interesse del locatore in relazione al suo
diritto di ricevere il canone in misura legale.
In
tema di locazione di immobili urbani ed in relazione a controversie instaurate
dopo l’entrata in vigore della L. n. 392 del 1978, il conduttore convenuto per
la risoluzione del contratto per morosità non può opporre di avere versato il
canone nella misura legale né può il giudice accertare ex officio in via
incidentale la effettiva misura del canone legale, essendo il relativo
accertamento riservato alla cognizione del pretore a seguito di regolare azione
del conduttore nelle forme e nei termini di cui agli artt. 44 e 45 di detta
legge, di guisa che, sin quando in questo ultimo giudizio non sia stata
accertata con sentenza passata in giudicato l’esatta misura del canone legale
che venga a sostituire quella convenzionale, è illegittima
"l’autoriduzione" del canone, che provoca il venir meno
dell’equilibrio sinallagmatico convenzionale, fermo restando il potere del
giudice di merito di accertare ex art. 1455 cod. civ. se l’inadempimento sia
talmente grave da giustificare la risoluzione del rapporto, avuto riguardo
all’interesse del locatore a ricevere il canone nella misura dovuta.
Cass.
civ., sez. III, 28 ottobre 1989, n. 4520
Nel
giudizio di sfratto per la morosità del conduttore, la determinazione
dell’esatto ammontare del canone di locazione — che venga da quello
contestato al fine di escludere l’imputatogli inadempimento — non può
essere compiuta ex officio dal giudice, do-vendo il conduttore proporre
specifica azione, a norma della previgente legislazione vincolistica, ovvero
secondo la nuova disciplina di cui alla L. n. 392 del 1978. Pertanto, l’omesso
previo accertamento in via definitiva dei precedenti indebiti a seguito di quel
giudizio, comporta che la mancata corresponsione (anche in parte) dei canoni
pattuiti attuata unilateralmente dal conduttore concreta un’ipotesi di ragion
fattasi, dando luogo ad un vero e proprio inadempimento colpevole, in relazione
a quel dovere dell’esatto e puntuale adempimento del contratto stipulato e
della principale obbligazione con esso prevista, da cui il conduttore stesso può
venire esentato non dalla mera pendenza del giudizio di adeguamento del canone,
bensì solo dalla definitiva soluzione in suo favore ditale giudizio.
Cass.
civ., sez. III, 9 marzo 1983, n. 1777
In
tema di risoluzione del contratto di locazione di immobile urbano per morosità,
la questione se il conduttore sia incorso o meno in una inadempienza
autoriducendo il canone, dipende dall’accertamento del quantum del suo debito
solo quando il conduttore medesimo si sia limitato a non corrispondere le parti
di canone da lui ritenute espressione di un’indebita maggiorazione, e non
an-che quando la mancata corresponsione si sia estesa alle quote non contestate.
In
tema di locazione di immobili urbani la mancata corresponsione (anche in parte)
dei canoni pattuiti attuata unilateralmente dal conduttore concreta un’ipotesi
di ragion fattasi, dando luogo ad un vero e proprio inadempimento colpevole, in
relazione a quel dovere dell’esatto e puntuale adempimento del contratto
stipulato e della principale obbligazione con esso prevista, da cui il
conduttore stesso può venire esentato non dalla mera pendenza del giudizio di
adeguamento del canone, bensì solo dalla definitiva soluzione in suo favore di
tale giudizio.
Il
pagamento del canone di locazione costituisce la principale e fondamentale
obbligazione del conduttore, al quale non è consentito di astenersi dal versare
il corrispettivo e di determinare unilateralmente il canone da corrispondere nel
caso in cui si verifichi una riduzione o diminuzione del godimento del bene,
ancorché tale evento sia assunto come ricollegabile al fatto del locatore,
legittimando l’art. 1460 c.c. la sospensione totale o parziale
dell’adempimento dell’obbligazione soltanto allorché manchi completamente
la prestazione della controparte: con la conseguenza che, pena la risoluzione
del contratto, per il conduttore si pone l’obbligo di previamente esperire
l’apposito giudizio per l’esatta determinazione del canone.
Alla
stregua della disciplina della L. n. 392 del 1978, l’esame delle domande
relative alla determinazione del canone nella sua misura legale ed alla
ripetizione delle somme che il conduttore assume di aver corrisposto in
eccedenza rispetto alla misura dovuta non costituisce sempre un momento
pregiudiziale, in senso logico e giuridico, per la decisione della domanda di
risoluzione del contratto per morosità. Infatti — atteso, in particolare, il
contenuto dell’ultimo comma dell’art. 45 della legge (secondo cui, fino al
termine del giudizio sulla determinazione del canone, il locatario è obbligato
a corrispondere, salvo conguaglio, l’importo non contestato) — la questione
se il conduttore sia incorso o meno in un inadempienza autoriducendo il canone
dipende dalla questione relativa all’accertamento del quantum del suo debito
(con la conseguente necessità, ex art. 295 c.p.c., della sospensione del
giudizio per la risoluzione del contratto sino alla definizione del giudizio
sulla determinazione del canone) solo quando il conduttore medesimo si sia
limitato a non corrispondere le parti di canone da lui ritenute espressione di
un’indebita maggiorazione e non anche quando la mancata corresponsione si sia
estesa alle quote non contestate, specialmente se l’importo di queste ultime
sia notevolmente superiore all’importo delle prime, poiché, in tal caso,
l’esito (qualunque esso sia) del separato giudizio relativo all’accertamento
del debito per le parti contestate quali indebite maggiorazioni non potrà
eliminare il mancato adempimento di cui si fa questione ai fini della
risoluzione del contratto.
Cass.
civ., sez. III, 25 giugno 1983, n. 4371
Nel
caso di pagamenti da effettuare dalla pubblica amministrazione in esecuzione di
contratti stipulati iure privatorum, sono applicabili i principi generali e le
norme stabilite dalla legge comune, con particolare riguardo a quelle relative
all’accertamento dell’inadempimento, ai fini della risoluzione del
contratto, non potendosi desumere una diversa disciplina dalle norme contenute
nel regolamento per la contabilità dello Stato (r.d. 23 maggio 1924, n. 827),
ed in particolare dall’art. 270 di tale regolamento. Pertanto, il ritardo
nell’adempimento da parte della pubblica amministrazione (nella specie:
pagamento del canone di locazione), dovuto al mancato esaurimento dei vari stadi
cui è soggetta la spesa, lungi dal liberare l’amministrazione della
responsabilità per inadempimento, costituisce, invece, non equivoco elemento di
colpa nel comportamento della stessa che, pur consapevole del tempo necessario
per i vari incombenti, non si è curata di iniziare le pratiche e di seguirle
diligentemente nel loro iter, sì da poter adempiere esattamente alle
obbligazioni assunte.
Cass.
civ., sez. III, 13 maggio 1983, n. 3271
La
pubblica amministrazione che non assolva l’obbligo del pagamento del canone di
un contratto di locazione alle scadenze pattuite, per escludere la colposità
del proprio inadempimento, e, quindi, per evitare la risoluzione del contratto e
la corresponsione degli interessi moratori, non può limitarsi ad invocare la
mancata formazione del titolo di spesa, secondo le norme della contabilità
dello Stato, ma deve dedurre e dimostrare che il ritardo nella formazione di
detto titolo dipenda da giustificate ragioni attinenti al relativo procedimento,
e non dalla propria inerzia. Fra tali ragioni non può annoverarsi il mancato
adempimento, da parte del privato locatore, all’obbligo del versamento
dell’imposta di registro, trattandosi di circostanza non ostativa al
procedimento contabile di liquidazione della spesa.
Cass.
civ., sez. I, 18 ottobre 1982, n. 5406
Nel
caso di morosità del conduttore per più canoni mensili della locazione, spetta
al locatore stabilire a quali dei canoni, scaduti e non corrisposti, debbano
essere imputate le somme ricevute dal conduttore, indipendentemente dalle
contrarie indicazioni di quest’ultimo.
Cass.
civ., sez. III, 6 luglio 1983, n. 4559
Gli
interessi sui canoni locatizi non corrisposti dal conduttore hanno natura
moratoria in quanto ancorati alla mora ex art. 1282, secondo comma, c.c. e
quindi possono essere attribuiti soltanto se la parte li domanda, e non pure
d’ufficio.
Cass.
civ., sez. III, 20 gennaio 1983, n. 564
Il
conduttore richiesto del pagamento degli oneri condominiali deve considerarsi
automaticamente in mora alla scadenza del termine di due mesi se in tale termine
non abbia chiesto l’indicazione specifica delle spese e dei criteri di
ripartizione o di prendere visione dei documenti giustificativi non essendovi
per il locatore, in mancanza della richiesta del conduttore, alcun onere di
indicazione specifica delle predette spese e dei predetti criteri.
Nella
disciplina ordinaria del c.c., rientra nell’autonomia negoziale dei contraenti
stabilire se il conduttore debba corrispondere al locatore, oltre il canone
pattuito, anche l’importo delle spese condominiali, ovvero se tale prestazione
debba rimanere, in tutto o in parte, a carico del locatore.
In
tema di locazione di immobili, qualora il servizio condominiale (nella specie,
servizio di pulizia), venga prestato in maniera inadeguata, il conduttore
dell’appartamento sito nello stabile al quale detto servizio si riferisce può
eccepire nei confronti del proprietario-locatore la sua inadempienza e chiedere
giudizialmente di essere esonerato dal pagamento delle relative spese.
Cass.
civ., sez. III, 17 novembre 1997, n. 11388
A
seguito dell’entrata in vigore della nuova disciplina della locazione degli
immobili urbani, di cui alla L. n. 392 del 1978, l’obbligazione del
conduttore, concernente il pagamento degli oneri accessori — considerata
autonoma rispetto all’altra attinente al pagamento del canone — è divenuta
parte integrante della struttura sinallagmatica del contratto, con la
conseguenza che il suo inadempimento, solo se superiore a due mensilità del
canone, dà al locatore il diritto di ottenere la risoluzione del contratto di
locazione, salvo per il conduttore il potere di paralizzare tale domanda con
l’eccezione di inadempimento per non avere ottenuto dal locatore
l’indicazione specifica delle spese condominiali e non aver potuto esercitare
la facoltà di prendere visione dei relativi documenti giustificativi.
Cass.
civ., sez. II, 10 agosto 1982, n. 4490
A
giustificare la risoluzione di un contratto di locazione, sia esso soggetto o
meno a proroga legale, e quindi anche alla luce della normativa vincolistica,
non è necessario che l’inadempimento del conduttore si sia concretato nella
mancata corresponsione del canone, ma è sufficiente anche la reiterata e
colpevole inadempienza, da parte del conduttore medesimo, nel pagamento delle
spese relative ai servizi accessori della locazione, qualora abbia carattere di
rilevante importanza e gravità.
Cass.
civ., sez. III, 25 febbraio 1983, n. 1463
Qualora
la locazione riguardi un immobile appartenente in comproprietà a più soggetti,
ciascuno di essi è creditore in solido, con gli altri, del canone locatizio e
può, pertanto, agire da solo per ottenere il pagamento, senza necessità di
integrare il contraddittorio nei confronti degli altri comproprietari.
La
domanda di risoluzione per morosità di un unico contratto di locazione con più
conduttori deve essere proposta nei confronti di tutti in quanto, attesa la
natura costitutiva dell’azione, si verte in ipotesi di litisconsorzio
necessario.
Il
locatore, nonostante il silenzio del titolo, può visitare e far visitare la
cosa locata, con le modalità di cui agli usi, al fine di poter stipulare altro
contratto di locazione, allo scadere di quello in corso, di vendere la cosa,
ecc. Il conduttore, che opponga ingiustificati rifiuti all’effettuazione
ditali visite, incorre in inadempimento, che può costituire causa di
risoluzione del contratto.
Cass.
civ., sez. III, 17 settembre 1981, n. 5147
Quella
prevista dall'art. 10 della legge 27 luglio 1978 n. 392 è un'assemblea
condominiale allargata alla partecipazione, per determinate materie (spese e
modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e condizionamento dell'aria),
dei conduttori, i quali, su queste, deliberano in luogo dei condomini. Trattasi
di un'ipotesi di sostituzione legale del conduttore al locatore, ispirata dal
principio che, poiché le spese di riscaldamento gravano su di lui (art. 9 della
legge n. 392 del 1978), il conduttore è maggiormente interessato alle relative
deliberazioni. Ne consegue che le predette disposizioni si riferiscono solo ai
rapporti tra locatore e conduttore, mentre il condominio, essendo privo di
un'azione diretta nei confronti del conduttore - tant'è che l'art. 5 della
legge stessa prevede la risoluzione del contratto di locazione, a favore del
solo locatore, se il conduttore non gli rifonde gli oneri accessori a suo carico
- può rivolgersi solo ai condomini per il rimborso delle spese condominiali.
L'art.
10 della L. 27 luglio 1978 n. 392 non ha previsto che i conduttori possano
sostituirsi al locatore nella gestione dei servizi condominiali ed, in
particolare, in quello della fornitura del riscaldamento, bensì ha introdotto
un meccanismo volto a consentire la partecipazione dei conduttori stessi alle
assemblee condominiali con riguardo alle decisioni dei proprietari locatori,
senza che, nel caso di edifici non in condominio, ne derivi un obbligo del
proprietario dell'edificio di convocare in assemblea i conduttori. Ne consegue
che non è configurabile in capo al proprietario locatore né un inadempimento,
né un obbligo di conseguente risarcimento dei danni in confronto del conduttore
per non averne convocato l'assemblea ed il conduttore non può invocare il
principio di cui all'art. 1460 c.c. per esimersi dal concorrere alle spese di
riscaldamento.
Cass.
Civ., 03 agosto 1995, n. 8484
Il
requisito della continuità, necessario per la configurabilità del possesso ad
usucapionem, ex art. 1158 c.c., si fonda sulla necessità che il possessore
esplichi costantemente il potere di fatto corrispondente al diritto reale
posseduto e lo manifesti con il compimento puntuale di atti di possesso conformi
alla qualità ed alla destinazione della cosa e tali da rivelare, anche
esternamente, una indiscussa e piena signoria di fatto sulla cosa stessa
contrapposta all'inerzia del titolare del diritto. La continuità si distingue,
pertanto, dall'interruzione del possesso, giacché la prima si riferisce al
comportamento del possessore, mentre la seconda deriva dal fatto del terzo che
privi il possessore del possesso (interruzione naturale) o dall'attività del
titolare del diritto reale che compia un atto di esercizio del diritto medesimo.
Nella specie, il possessore di una servitù di veduta ne aveva dismesso per un
certo periodo l'esercizio, eliminando con la schermatura di una terrazza ogni
possibilità di inspectio e di prospectio sul fondo limitrofo. La distanza di
almeno un metro dal confine che l'art. 889, comma 2, c.c. prescrive per
l'installazione dei tubi dell'acqua, del gas e simili, si riferisce alle
condutture che abbiano un flusso costante di sostanze liquide o gassose e,
conseguentemente, comportino un permanente pericolo per il fondo vicino, in
relazione alla naturale possibilità di trasudamento e di infiltrazioni. Detta
norma, pertanto, non è applicabile con riguardo alle canne fumarie per la
dispersione dei fumi delle caldaie le quali, avendo una funzione identica a
quella del camino, vanno soggette alla regolamentazione di cui all'art. 890 c.c.
e, quindi, poste alla distanza fissata dai regolamenti locali.
L'art.
70 att. c.c., in base al quale il regolamento di condominio può prevedere delle
sanzioni pecuniarie a carico dei trasgressori delle sue disposizioni, ha
carattere di norma eccezionale in quanto contempla una cosiddetta "pena
privata" che ha come destinatari i condomini. Essa, pertanto non può
ritenersi applicabile ai conduttori degli alloggi condominiali, i quali, ancorché
si trovino a godere delle parti comuni dell'edificio in base ad un rapporto
obbligatorio, rimangono estranei all'organizzazione condominiale.
Cass.
Civ., 17 ottobre 1995, n. 10837
Sugli
immobili oggetto di comunione concorrono, in difetto di prova contraria, pari
poteri gestorii da parte di tutti i comproprietari, in virtù della presunzione
che ognuno di essi operi con il consenso degli altri. Ne consegue che il singolo
condomino può stipulare il contratto di locazione avente ad oggetto l'immobile
in comunione e che un condomino diverso da quello che ha assunto la veste di
locatore è legittimato ad agire per il rilascio del bene stesso (senza che sia
necessaria l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri
condomini), purché non risulti l'espressa ed insuperabile volontà contraria
degli altri comproprietari, la quale fa venire meno il presunto consenso della
maggioranza.
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