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Sentenze Corte di Cassazione

 

MURI CONDOMINIALI

MURI PERIMETRALI

A differenza dalle innovazioni - configurate dalle nuove opere, le quali immutano la sostanza o alterano la destinazione delle parti comuni, in quanto rendono impossibile la utilizzazione secondo la funzione originaria, e che debbono essere deliberate dall'assemblea (art. 1120, comma 1, c.c.) nell'interesse di tutti i partecipanti - le modifiche alle parti comuni dell'edificio, contemplate dall'art. 1102 c.c., possono essere apportate dal singolo condomino, nel proprio interesse ed a proprie spese, al fine di conseguire un uso più intenso, sempre che non alterino la destinazione e non impediscano l'altrui pari uso. Pertanto, è legittima l'apertura di vetrine da esposizione nel muro perimetrale comune, che per sua ordinaria funzione è destinato all'apertura di porte e di finestre, realizzata dal singolo condomino mediante la demolizione della parte di muro corrispondente alla sua proprietà esclusiva. Alla eventuale autorizzazione ad apportare tale modifica concessa dall'assemblea può attribuirsi il valore di mero riconoscimento dell'inesistenza di interesse e di concrete pretese degli altri condomini a questo tipo di utilizzazione del muro comune. Cass. Civ. 20/02/97 - 1554

In tema di utilizzazione del muro perimetrale da parte del singolo condomino, costituisce uso indebito della cosa comune, alla stregua dei criteri di cui agli articoli 1102 e 1122 del Cc, l’apertura praticata dal condomino nel detto muro per mettere in comunicazione locali di sua esclusiva proprietà, esistenti nell’edificio condominiale, con altro suo immobile estraneo al condominio, in quanto tali aperture alterano la destinazione del muro, incidendo sulla sua funzione di recinzione, e possono dar luogo all’acquisto di una servitù di passaggio a carico della proprietà condominiale. Sezione II, sentenza 19 aprile 1996 n. 3719

RESPONSABILITA' CIVILE

L'umidità conseguente a inadeguata coibentazione delle strutture perimetrali di un edificio, può integrare, ove sia compromessa l'abitabilità e il godimento del bene, grave difetto dell'edificio ai fini della responsabilità del costruttore ex art. 1669 cod. civ.; tuttavia, qualora il fenomeno sia causa di danni a singoli condomini, nei confronti di costoro è responsabile in via autonoma ex art. 2051 cod. civ. il condominio, che è tenuto, quale custode, a eliminare le caratteristiche lesive insite nella cosa propria.

Cass. civ., Sent. n. 3753, 15 aprile 1999, Sez. II

 

APERTURA DI LUCI TRA UN VANO E L'ALTRO DELL'EDIFICIO

All'apertura tra due vani di un medesimo edificio, realizzata allo scopo di dare aria e luce ad uno di essi attraverso l'altro, non è applicabile la disciplina dettata dagli articoli 901 - 904, Codice di procedura civile, giacché tale apertura non costituisce estrinsecazione del diritto di proprietà, ossia manifestazione di una facultas del diritto di dominio, ma ponendo in essere una vera e propria incursione sulla sfera di godimento della proprietà altrui, ha sostanza, struttura e funzioni di uno ius in re aliena, acquisibile perciò mediante usucapione o destinazione del padre di famiglia, sempre che l'apertura si concreti in opere visibili e parametri, strutturalmente destinate ad un inequivoco e stabile assoggettamento del vano, sì da rilevare all'esterno l'imposizione di un peso a suo carico per l'utilità dell'altro.

Cass. civ., sez. II, 10 settembre 1999, n. 9637

PORTE E VEDUTE

Nel caso di edifici in condominio, i proprietari dei singoli piani possono utilizzare i muri comuni, nella parte corrispondente agli appartamenti di proprietà esclusiva, aprendovi nuove porte o vedute preesistenti o trasformando finestre in balconi o in pensili, a condizione che l'esercizio della indicata facoltà, disciplinata dagli artt. 1102 e 1122 c.c., non pregiudichi la stabilità e il decoro architettonico dell'edificio e non menomi o diminuisca sensibilmente la fruizione di aria e luce per i proprietari dei piani inferiori. Nella specie il giudice di merito, con la sentenza confermata dalla Suprema Corte, aveva ritenuto sussistente una sensibile diminuzione di aria e luce in danno dell'appartamento sito al piano terra, in conseguenza della costruzione di balconi da parte dei proprietari degli appartamenti siti al primo e al secondo piano, in relazione anche alla giacitura particolare dell'edificio condominiale, il cui piano terra si trovava di circa due metri al di sotto della latistante via pubblica. Cass. 14 dicembre 1994 - n. 10704

ABBATTIMENTO

L’abbattimento di muro perimetrale di edificio condominiale in cemento armato ad opera di un condomino - ravvisabile anche nel caso in cui venga rimossa la muratura (di tompagnamento) facente parte di detto muro - incidendo sulla sostanza essenziale della cosa, non rientra nell’ambito dell’art. 1102 cod. civ., che, nel regolare i diritti dei partecipanti alla comunione al fine di salvaguardare l’interesse comune e quello dei singoli consente solo modificazioni delle cose comuni nei limiti indicati, bensì costituisce innovazione, soggetta, come tale, alle regole dettate dall’art. 1120 cod. civ. Cass. civ., sez. II, 18 giugno 1982, n. 3741

 

La norma contenuta nell’art. 1102 c.c., nel sancire il diritto di ogni partecipante alla comunione di servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne uso secondo il loro diritto, gli attribuisce la facoltà di apportarvi, a tal fine, le modificazioni necessarie al suo miglioramento ma non certamente quella di eliminarla, sia pure per sostituirla poi con altra di diversa consistenza e struttura. Ne consegue che l’abbattimento di un muro portante di un edificio in condominio - sia pur sostituito, come nella specie, da travi in ferro - incidendo sulla struttura essenziale della cosa comune e sulla precipua funzione, non può farsi rientrare nell’ambito delle facoltà concesse al singolo partecipante alla comunione dal citato art. 1102 c.c., ma costituisce vera e propria innovazione, soggetta, come tale, alle regole dettate dall’art. 1120 c.c. Cass. civ., sez. II, 11 novembre 1994, n. 9497

APERTURE DI VEDUTE

La competenza sulla domanda di sostituzione della griglia di aerazione della centrale comune di riscaldamento, posta nella soglia di ingresso dell'edificio condominiale, al fine di evitare inconvenienti nel transito, va determinata in base al valore perché non si configura una controversia sulle modalità di uso del servizio condominiale (art. 8 n. 4 c.p.c.), né una controversia sulla misura dei servizi del condominio (art. 7 comma secondo c.p.c.). Cass. civ. 11 gennaio 1994, n. 223

In tema di utilizzazione del muro perimetrale dell’edificio condominiale da parte del singolo condomino, costituiscono uso indebito della cosa comune, alla stregua dei criteri indicati negli artt. 1102 e 1122 del cod. civ., le aperture praticate dal condomino nel detto muro per mettere in collegamento locali di sua esclusiva proprietà, esistenti nell’edificio condominiale, con altro immobile estraneo al condominio, in quanto tali aperture alterano la destinazione del muro, incidendo sulla sua funzione di recinzione, e possono dar luogo all’acquisto di una servitù (di passaggio) a carico della proprietà condominiale. Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 1988, n. 5780

 

Qualora l’apertura del muro perimetrale comune di un edificio condominiale sia eseguita dal singolo condomino per mettere in comunicazione una unità immobiliare di sua esclusiva proprietà con un’altra unità compresa in un diverso fabbricato, l’uso del muro comune non può ritenersi consentito a norma dell’art. 1102 c.c. in quanto non si risolve in un semplice maggiore suo godimento, ma integra una anormale e diversa utilizzazione diretta a sopperire ai bisogni di un bene al quale non è legato da alcun rapporto, venendo inoltre il muro e, quindi, le parti comuni del fabbricato, quali le fondazioni ed il suolo di cui esso fa parte, ad essere gravate da una vera e propria servitù a favore di un bene estraneo al condominio, per la cui legittima costituzione, vertendosi in tema di diritti reali immobiliari, è richiesta a pena di nullità la manifestazione del consenso in forma scritta di tutti i partecipi. Cass. civ., sez. II, 7 marzo 1992, n. 2773

 

Costituisce uso indebito della cosa comune, non consentito, quindi, dalla norma dell’art. 1102 cod. civ., l’apertura praticata da un condomino nel muro comune per mettere in collegamento un vano dell’edificio condominiale con altro suo immobile estraneo a detto edificio, in quanto tale apertura viene a creare una servitù a carico del condominio, per la cui costituzione è richiesto il consenso di tutti i partecipanti alla comunione risultante da atto scritto a pena di nullità. Cass. civ., sez. II, 11 giugno 1986, n. 3867

 

L’apertura di una porta o di una finestra da parte di un condomino o la trasformazione di una finestra che prospetta il cortile comune in una porta di accesso al medesimo mediante l’abbattimento del corrispondente tratto di muro perimetrale che delimita la proprietà del singolo appartamento non costituisce di per sé abuso della cosa comune idoneo a ledere il compossesso del muro comune che fa capo come ius possidendi a tutti i condomini. Cass. civ., sez. II, 4 febbraio 1988, n. 1112

 

Il condomino può aprire nel muro comune dell’edificio nuove porte o finestre o ingrandire quelle esistenti solo se queste opere, di per sé non incidenti sulla destinazione della cosa, non pregiudichino il decoro architettonico dell’edificio.
Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1994, n. 4996

 

Il comproprietario o compossessore non può servirsi di un’area comune per accedere, attraverso un’apertura appositamente creata in un muro divisorio comune, ad un immobile di sua esclusiva proprietà o di suo esclusivo possesso, diverso dal fondo al cui servizio l’area venne originariamente creata, perché ciò si risolverebbe nella costituzione di una vera e propria servitù di passaggio su tale area, ovvero in una molestia del compossesso altrui. Cass. civ., sez. II, 27 marzo 1987, n. 2973

 

L’apertura di varchi e l’installazione di porte o cancellate in un muro ricadente fra le parti comuni dell’edificio condominiale eseguiti da uno dei condomini per creare un nuovo ingresso all’unità immobiliare di sua proprietà esclusiva, di massima non integrano abuso della cosa comune suscettibile di ledere i diritti degli altri condomini, non comportando per costoro una qualche impossibilità di far parimenti uso del muro stesso ai sensi dell’art. 1102, primo comma, c.c., e rimanendo irrilevante la circostanza che tale utilizzazione del muro si correli non già alla necessità di ovviare ad una interclusione dell’unità immobiliare al cui servizio il detto accesso è stato creato, ma all’intento di conseguire una più comoda fruizione di tale unità immobiliare da parte del suo proprietario.
Cass. civ., sez. II, 29aprile 1994, n. 4155

 

I muri che delimitano il complesso condominiale, costituendone quindi il perimetro, non tollerano - abbiano essi natura di muri portanti o meramente divisori - aperture, da parte di un condomino, ove realizzando un passaggio con un immobile di appartenenza dello stesso condomino ma estraneo al condominio, possano dar luogo, attraverso il prolungato possesso, ad acquisto di servitù a carico dell’entità condominiale che circoscrivono. Cass. civ., sez. II, 16 novembre 1985, n. 5628

 

Nell’applicazione delle regole di cui all’art. 1102 cod. civ. il giudice non può limitarsi ad esaminare se le modificazioni apportate dal condominio alla cosa comune per il migliore godimento di questa o della sua proprietà singola siano o meno suscettibili di compromettere la stabilità e l’estetica dell’edificio in base all’assetto attuale; ma deve invece accertare, in base all’esame della destinazione attualmente impressa in concreto alla cosa comune, nonché in base alle ragionevoli prospettive offerte dall’oggettiva struttura, ubicazione e destinazione delle proprietà individuali e tenendo conto, altresì, delle aspettative desumibili dall’uso che ciascun condomino faccia della sua proprietà o da allegati apprezzabili mutamenti, se siano prevedibili modificazioni uguali o analoghe da parte degli altri condomini e se queste sarebbero pregiudicate dalle modifiche già attuate o in via di attuazione. (Nella specie, in applicazione del principio di cui alla massima, è stata ritenuta corretta la decisione di merito che ha ritenuto legittima l’apertura nel muro perimetrale comune di un accesso dal cortile comune alla proprietà esclusiva del condomino non risultando impedito l’uso da parte degli altri condomini né del muro perimetrale né del cortile). Cass. civ., sez. II, 4 marzo 1983, n. 1637

 

Il condomino di un edificio, essendo comproprietario dell’intero muro perimetrale comune e non della sola parte di esso corrispondente alla sua esclusiva proprietà, può apportare a tale muro, senza bisogno del consenso degli altri partecipanti alla comunione, tutte le modifiche che consentono di trarre dal bene comune una particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini e, quindi, procedere anche all’apertura nel muro di un varco di accesso dal cortile condominiale ai locali di proprietà esclusiva, purché non impedisca agli altri condomini di continuare nell’esercizio dell’uso del muro o di ampliarlo in modo e misura analoghi e non alteri la normale destinazione del muro medesimo. Cass. civ., sez. II, 4 marzo 1983, n. 1637

 

In presenza di aperture nel muro comune di un edificio in condominio eseguite da un condomino in corrispondenza della propria proprietà individuale, il terzo estraneo al condominio che da tali aperture subisca lesione nei propri diritti può chiederne la modificazione o l’eliminazione nei confronti del singolo condomino che l’apertura ha eseguito, ma non può, neppure citando in giudizio l’intero condominio, invocare a fondamento del proprio diritto la violazione del decoro architettonico dell’edificio condominiale a cui è estraneo, in quanto il decoro architettonico rappresenta solo un limite fissato alla facoltà, individuale e collettiva, di apportare modificazioni all’edificio condominiale per il miglioramento, l’uso più comodo o il maggior rendimento delle sue parti, di proprietà comune o di proprietà singola e che opera nei soli confronti dei partecipanti al condominio e non è opponibile dai terzi. Cass. civ.. sez. II, 13 gennaio 1983, n. 255

 

L’apertura di nuove finestre o la trasformazione di quelle esistenti nel muro comune verso gli spazi condominiali (nella specie, un pozzo di luce destinato ad arieggiare e illuminare i locali interni che vi prospettano), in corrispondenza della proprietà del singolo, costituisce esercizio del diritto di proprietà e non di quello di servitù, per cui non trovano applicazione le norme che disciplinano le vedute su fondo altrui (artt. 900. 907, cod. civ.), bensì quelle che consentono al condomino di servirsi delle parti comuni per il miglior godimento della cosa, senz’altro limite che l’obbligo di rispettare la destinazione, di non alterare la stabilità e il decoro architettonico dell’edificio e di non ledere i diritti degli altri condomini (artt. 1102, 1139 cod. civ.). Cass. civ., sez. II, 15 dicembre 1982, n. 6929

 

L’apertura di un arco nel muro perimetrale di edificio condominiale, eseguita dal singolo condomino per accedere in altra sua proprietà esclusiva, estranea al condominio, costituisce un indebito uso di tale muro, in quanto ne altera la destinazione e la funzione di recinzione del fabbricato condominiale, assoggettandolo a quel passaggio in favore di un bene non compreso in detto fabbricato, suscettibile di tradursi nel corrispondente diritto reale a carico dell’immobile condominiale. Cass. civ.. sez. II, 8 aprile 1982, n. 2175

 

Il proprietario di un edificio e del pertinente cortile, che sia comproprietario, insieme con il proprietario di un edificio latistante, del muro di recinzione del cortile del quale occasionalmente beneficia quest’ultimo edificio, non abbisogna a norma dell’art. 1120 cod. civ. del consenso del partecipante alla comunione del muro per aprire in esso un varco al fine di soddisfare il proprio particolare interesse di accedere dal proprio stabile alla strada, ricorrendo l’applicazione della norma dell’art. 1102 cod. civ. sull’uso della cosa comune.
Cass. civ., sez. II, 5 febbraio 1982, n. 674

 

Salva l’opposizione, per motivi di sicurezza o di estetica, degli altri partecipanti alla comunione, al condominio è consentito di aprire nel muro comune, sia esso maestro oppure no, luci sulla strada o sul cortile; tuttavia, qualora il muro comune assolva anche la funzione di isolare e dividere la proprietà individuale di un condominio dalla proprietà individuale di altro condominio, ricorrono anche gli estremi per l’applicabilità dell’art. 903, secondo comma, cod. civ., con la conseguenza che, in tal caso, l’apertura della luce resta subordinata sia alle condizioni ed alle limitazioni previste dalle norme in materia di condominio (con riguardo agli interessi riconosciuti a tutti i partecipanti alla comunione e alle regole stabilite circa l’uso delle cose comuni da parte dei singoli condomini) sia, alla stregua del secondo comma del citato art. 903 cod. civ., al consenso del condominio vicino, in considerazione dell’interesse del medesimo alla riservatezza della sua proprietà individuale. Cass. civ., sez. II, 12 giugno 1981, n. 3819

 

L’apertura di un vano nel muro perimetrale di edificio condominiale, eseguita dal singolo condomino in corrispondenza dell’androne comune per accedere in altra sua proprietà contigua, estranea al condominio, costituisce un indebito uso del muro medesimo, in quanto ne altera la destinazione e la funzione di recinzione del fabbricato condominiale, assoggettandolo a passaggio in favore di bene non compreso in detto fabbricato. Cass. civ., sez. II, 21 aprile 1981, n. 2339

 

L’apertura di finestre lucifere da parte del proprietario di un piano o porzione di piano nel muro perimetrale comune dell’edificio condominiale non comporta mutamento dell’essenza strutturale e funzionale del muro stesso e deve perciò ritenersi operata legittimamente anche senza il consenso degli altri condomini, sempreché non sia vietata da convenzioni speciali o da norme del regolamento di condominio, non pregiudichi il decoro, l’estetica o la stabilità dell’edificio e non ostacoli l’esercizio del concorrente diritto degli altri condomini. Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 1980, n. 597

 

La realizzazione di un’apertura nel muro perimetrale dell’edificio condominiale, che metta in comunicazione - senza pregiudizio per la stabilità e il decoro architettonico dell’edificio - l’appartamento di proprietà esclusiva con il giardino "annesso", attuando un collegamento tra entità principale ed entità accessoria costituenti un’unica entità condominiale, si configura come atto di godimento rivolto ad una maggiore e più intensa utilizzazione della cosa comune. Cass. civ., sez. II, 13 ottobre 1978, n. 4592

 

Il condomino di un edificio non può, eseguendo una costruzione in aderenza al muro perimetrale comune, chiudere un’apertura destinata a dare luce ad un vano di proprietà di altro condomino, giacché l’art. 1102 c.c. gli vieta di attrarre nella sua sfera esclusiva un elemento comune dell’edificio, con correlativo impedimento per un altro condomino di continuare a farne uso in conformità alla sua destinazione.
Cass. civ., sez. II, 22 aprile 1975, n. 1560

 

Le modificazioni di un bene condominiale per iniziativa del singolo sono lecite nelle sole ipotesi in cui esse, oltre a non compromettere la stabilità, la sicurezza ed il decoro architettonico, ed a non alterare la destinazione del bene, non siano lesive dei diritti degli altri condomini relativi al godimento sia delle parti comuni interessate alla modificazione, sia delle parti di loro proprietà. Più in particolare, il condomino, nel caso in cui il cortile comune sia munito di recinzione che lo separi dalla sua proprietà esclusiva, può apportare a tale recinzione, pur essa condominiale, senza bisogno di consenso da parte degli altri partecipanti alla comunione, tutte le modifiche che gli consentono di trarre dal bene comune una particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini e, quindi, procedere anche all'apertura di un varco d'accesso dal cortile condominiale alla sua proprietà esclusiva, purché tale varco non impedisca agli altri condomini di continuare ad utilizzare il cortile, come in precedenza. Cass. civ., sez. II, 5 gennaio 2000, n. 42

 

Nella controversia concernente la legittimità di un’apertura praticata nel muro perimetrale di un edificio condominiale da uno dei condomini, per mettere in comunicazione il proprio appartamento con altro, di sua proprietà, posto in un edificio attiguo, oggetto di diverso condominio, non è necessario integrare il contraddittorio nei confronti di quest’ultimo. Cass. civ., sez. II, 29 ottobre 1974, n. 3274

 

Non è consentito ad un condomino, senza il consenso degli altri condomini, praticare nel muro perimetrale un’apertura in modo tale da mettere in comunicazione due edifici completamente distinti fra di loro. Trib. civ. Piacenza, 3 luglio 1987, n. 314

 

Ciascun condomino, purché nel rispetto dei limiti di cui all’art. 1102 cod. civ., può, senza necessità di preventiva autorizzazione condominiale, aprire una porta nel muro comune. Trib. civ. Genova, sez. III, 18 luglio 1990, n. 2263

 

A differenza dalle innovazioni - configurate dalle nuove opere, le quali immutano la sostanza o alterano la destinazione delle parti comuni, in quanto rendono impossibile la utilizzazione secondo la funzione originaria, e che debbono essere deliberate dall’assemblea (art. 1120, comma 1, c.c.) nell’interesse di tutti i partecipanti - le modifiche alle parti comuni dell’edificio, contemplate dall’art. 1102 c.c., possono essere apportate dal singolo condomino, nel proprio interesse ed a proprie spese, al fine di conseguire un uso più intenso, sempre che non alterino la destinazione e non impediscano l’altrui pari uso. Pertanto, è legittima l’apertura di vetrine da esposizione nel muro perimetrale comune, che per sua ordinaria funzione è destinato all’apertura di porte e di finestre, realizzata dal singolo condomino mediante la demolizione della parte di muro corrispondente alla sua proprietà esclusiva. Alla eventuale autorizzazione ad apportare tale modifica concessa dall’assemblea può attribuirsi il valore di mero riconoscimento dell’inesistenza di interesse e di concrete pretese degli altri condomini a questo tipo di utilizzazione del muro comune. Cass. civ., sez. II, 20 febbraio 1997, n. 1554

 

La disposizione dell'art. 905, Codice civile, secondo cui, per l'apertura di vedute dirette verso il fondo del vicino si deve osservare la distanza di un metro e mezzo, va posta in relazione con l'art. 873 dello stesso codice che prescrive una distanza non minore di tre metri ( o quella maggiore stabilita dai regolamenti edilizi locali ) per le costruzioni su fondi finitimi. Da ciò consegue, pertanto, che, ove nel compiere la costruzione non sia stata rispettata la distanza dal fondo del vicino fissata dal Codice civile, non possa aprirsi in detta costruzione una veduta iure proprietatis. Cass. civ., sez. II, 22 marzo 2000, n. 3421

 

Le norme sulle distanze delle costruzioni dalle vedute si osservano anche nei rapporti tra condomini di un edificio in quanto l’art.1102, Codice civile, non deroga al disposto dell’art.907, Codice civile . Cass. civ., sez. II, 5 aprile 2000, n. 4190

 

ATTRAVERSAMENTO DI CONDUTTURE, CAVI E TUBATURE

Il comportamento della società di distribuzione del gas che inserisce arbitrariamente e senza alcuna necessità la diramazione per la fornitura del gas ad un utente condominiale anziché nella "presa" già predisposta sulla montante di distribuzione condominiale, in quella realizzata per l’utenza di un singolo condomino, presenta i caratteri della turbativa e molestia del godimento cui ha diritto quest’ultimo sulla parte dei muri perimetrali dell’immobile attraversati dalle condutture del gas. Pret. civ. Molfetta, 23 luglio 1988, n. 31

 

L’esecuzione nei muri comuni di tracce e canali per l’incasso degli impianti elettrici dei servizi di interesse comune configura l’ipotesi di cui all’art. 1102 c.c. Trib. civ. Milano, 24 giugno 1991

 

Le opere di canalizzazione murata comprendenti gli impianti elettrici, gli impianti del telefono e quelli dell’antenna televisiva non possono considerarsi delle innovazioni. Trib. civ. Milano, 17 giugno 1991

 

Costituisce uso legittimo della cosa comune, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1102 e 1139 c.c., l’utilizzazione dei muri comuni da parte del singolo condomino per installarvi tubature per lo scarico di acque o per il passaggio del gas. nonché sfiatatoi per evitare il ristagno di odori. Trib. civ. Trani. 19 gennaio 1991, n. 104

COSTRUZIONI IN APPOGGIO

L’illegittima costruzione in appoggio al muro perimetrale dell’edificio condominiale, eseguita dal condomino che sia anche proprietario esclusivo del suolo adiacente a detto muro, può dar luogo alla costituzione per usucapione di una servitù a favore del fondo di proprietà esclusiva ed a carico di quello di proprietà condominiale e, comportando un uso della cosa comune in violazione dell’art. 1102 cod. civ., costituisce una lesione del diritto di proprietà degli altri condomini, la quale, salvi gli effetti dell’usucapione, è perseguibile senza limiti temporali quanto al diritto di ottenere la rimozione dell’opera illegittima, mentre il diritto al risarcimento del danno, conseguendo ad un illecito permanente, dato dall’iniziale comportamento lesivo e dalla successiva omessa eliminazione della situazione illegittima, soggiace a prescrizione pro rata temporis. Cass. civ., sez. II, 13 agosto 1985, n. 4427

 

Non può essere ravvisata una costruzione in appoggio, qualora tra i due muri vicini esista un’intercapedine di cinque centimetri, ricoperta con lamiera per evitare le infiltrazioni di acqua piovana, salvo che sia accertata l’interdipendenza delle due strutture murarie per l’eventuale "ammorsamento" dei solai di copertura ed il ridotto spessore del nuovo muro in corrispondenza della più consistente struttura preesistente. Cass. civ., sez. II, 25 novembre 1977, n. 5152

In tema di appoggio di costruzione al muro comune, l’art. 884 c.c. riguarda la comunione del muro che risulti instaurata ovvero si presuma sussistere tra proprietari, in quanto tali, di fondi finitimi, laddove non rientra nella sua fattispecie quella particolare forma di comunione costituita dal condominio degli edifici, grazie alla quale si trovi ad essere compartecipe della proprietà del muro maestro di un fabbricato il proprietario esclusivo di un fondo confinante. Costui, dato che i muri maestri dell’edificio condominiale sono destinati essenzialmente e soltanto al servizio dell’edificio stesso, può utilizzarli, per il miglior godimento del piano, o della porzione di piano, a lui appartenente, ma non può avvalersene, senza il consenso degli altri condomini, per l’utilità dell’altro, distinto immobile di cui egli solo, e non anche gli altri condomini, vanta la proprietà; ciò comporterebbe, infatti, la costituzione di una servitù a favore di un bene estraneo al condominio, costituzione che non può legittimamente avvenire senza il consenso di tutti i comproprietari. Cass. civ., sez. II, 2 agosto 1977, n. 3378

 

Il diritto di comproprietà dei condomini sulle parti comuni di un edificio deve ritenersi leso ove uno dei condomini, in violazione delle regole sui rapporti di vicinato abbia volto l’utilità che può dare la cosa comune a vantaggio di altra diversa e distinta sua proprietà contigua. (Nella specie uno dei condomini aveva costruito in un cortile di sua esclusiva proprietà un manufatto in appoggio al muro perimetrale comune). Cass. civ., sez. II, 24agosto 1981, n. 4985

 

La nuova costruzione, che risulti in appoggio (o in aderenza) non al muro in cui si apre la preesistente veduta del vicino bensì ad un muro - a questo addossato - dello stesso proprietario della costruzione, non è soggetta all’osservanza della distanza verticale di tre metri dalla soglia della veduta prescritta dal terzo comma dell’art. 907 c.c., che trova applicazione solo nel caso di appoggio della costruzione al muro nel quale si trova la veduta, bensì deve rispettare da questa la distanza di tre metri in linea orizzontale misurata a norma dell’art. 905 c.c., come disposto dal primo comma dell’art. 907 c.c., ove la nuova costruzione, anche se non raggiunga in altezza il livello della veduta, si elevi in linea verticale oltre la distanza di tre metri dalla soglia della veduta stessa.
Cass. civ., sez. II, 23 ottobre 1991, n. 11217

 

È in appoggio la costruzione che scarica sul muro del vicino il peso degli elementi strutturali costitutivi di essa, mentre è in aderenza quella che è posta in semplice e totale combaciamento con il muro del vicino, rispetto al quale ha piena autonomia, strutturale e funzionale, con la conseguenza dell’indipendenza del regime giuridico delle due proprietà contigue, si che il perimento o la demolizione dell’una possano verificarsi senza che l’integrità dell’altra ne sia compromessa. Ciò premesso, deve ritenersi in appoggio anche la costruzione che gravi col suo peso sulle fondazioni della fabbrica del vicino. Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 1974, n. 3177

DISTANZE LEGALI

L’art. 884 c.c., è una norma speciale di stretta interpretazione, che per la fattispecie da esso disciplinata, deroga alle norme generali sulla comunione fra cui l’art. 1102 c.c., che regola l’uso della cosa comune. Cass. civ., sez. II, 5 marzo 1970, n. 538

 

Nelle zone soggette alla legge 25 novembre 1962 n. 1684 (cosiddetta legge sismica) non possono trovare applicazione le disposizioni dell’art. 884 cod. civ. che consentono al comproprietario del muro comune di immettervi travi, nonché di attraversare il muro "con chiavi e catene di rinforzo", trattandosi di disciplina inoperante nelle zone sismiche per la prevalenza della relativa specifica legislazione.
Cass. civ., sez. II, 13 gennaio 1983, n. 252

 

A norma dell’ art. 884 c.c. - che va applicato per intero, non per parti separate, in quanto l’ultimo comma stabilisce le condizioni di illiceità, richieste, fra l’altro, per le aperture di incavi nel muro comune previste nel primo comma - il comproprietario, senza l’adempimento di alcuna preventiva formalità, può legittimamente praticare nel muro comune gli incavi che non riescano di danno o di pericolo per essi. Cass. civ., sez. II, 5 marzo 1970, n. 538

 

Il comproprietario del muro comune non può praticare incavi che oltrepassino la metà dello spessore del muro.
Cass. civ., sez. II, 11 novembre 1970, n. 2362

La facoltà di innalzamento del muro comune, prevista dall’art. 885 c.c., non può essere esercitata in violazione delle distanze legali stabilite specificamente per le vedute, dall’art. 907 dello stesso codice. Pertanto l’innalzamento del muro comune che delimiti un terrazzo o un lastrico solare con opere, quali un parapetto, destinate permanentemente ed inequivocamente all’esercizio della servitù di veduta, non può essere consentito, risolvendosi in un impedimento all’esercizio del corrispondente diritto da parte del proprietario del fondo dominante. Cass. civ., sez. II, 17 novembre 1990, n. 11125

FACCIATA

La facciata e il relativo decoro architettonico di un edificio costituiscono un modo di essere dell’immobile e così un elemento del modo di godimento da parte del suo possessore; di conseguenza la modifica della facciata, comportando una interferenza nel godimento medesimo, può integrare una indebita turbativa suscettibile di tutela possessoria.Cass. civ., sez. II, 22 giugno 1995, n. 7069

 

La facciata di prospetto di un edificio - abbia o meno valore architettonico o decorativo - rientra nella categoria dei muri maestri, dei quali è cenno espresso nel n. 1 dell’art. 1117 c.c., e forma, conseguentemente, oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzione di piani riuniti in condominio; a carico di tutti costoro, conseguentemente, deve porsi, in proporzione, la spesa di rifacimento dell’intonaco.Cass. civ., sez. II, 20 gennaio 1977, n. 298

 

Ai fini della validità della deliberazione dell’assemblea dei condomini che abbia disposto la esecuzione dei lavori di rifacimento della facciata dell’edificio condominiale, è necessario che il relativo argomento sia stato specificamente inserito nell’avviso di convocazione dell’assemblea, in quanto, riguardando la materia della amministrazione straordinaria del bene comune, non può ritenersi compreso nella dizione "varie".Cass. civ., sez. II, 28 giugno 1986, n. 4316

 

Il criterio di ripartizione delle spese di cui all’art. 1123 c.c., con riguardo all’ipotesi di cui al comma secondo, può trovare applicazione in concrete circostanze, con riguardo a qualunque parte comune dell’edificio e quindi anche alla facciata, in guisa che i condomini siano obbligati a contribuire alle spese di manutenzione e riparazione, non in base ai valori millesimali, ma in ragione dell’utilità che la cosa comune sia obiettivamente destinata ad arrecare a ciascuna delle proprietà esclusive, laddove la spesa potrebbe gravare indistintamente su tutti i partecipanti alla comunione secondo il criterio generale di cui all’art. 1104 c.c. solo se la cosa comune in relazione alla sua consistenza ed alla sua funzione fosse destinata a servire ugualmente ed indiscriminatamente i diversi piani o le singole proprietà. (Nella specie la S.C. ha ritenuto correttamente applicato il principio surriportato con riguardo alla ripartizione delle spese di riparazione della pannellatura della facciata di un edificio, sul rilievo che essa assolve ad una duplice funzione, l’una di protezione verso l’esterno dei balconi di proprietà esclusiva dei singoli condomini e di riparo dagli agenti atmosferici, l’altra di abbellimento della facciata del fabbricato).Cass. civ., sez. II, 23 dicembre 1992, n. 13655

 

La domanda proposta da un condomino nei confronti di altro condomino per ottenere la riduzione in pristino della facciata dell’edificio condominiale, ove comporti l’accertamento del diritto del condomino convenuto di modificare sostanzialmente la facciata dell’edificio in forza del proprio titolo d’acquisto, essendo destinata ad incidere sui diritti su un bene comune degli altri condomini, deve essere decisa nei confronti di tutti, perché investe un rapporto giuridico unico ed indivisibile, con la conseguenza che deve disporsi l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei condomini pretermessi a norma dell’art. 102 c.p.c.Cass. civ., sez. II, 21 ottobre 1992, n. 11509

 

Non costituisce innovazione gravosa o voluttuaria, ai sensi dell’art. 1121 cod. civ., il rivestimento in travertino della facciata dello stabile condominiale fino all’altezza di m. 2,65; a maggior ragione non costituisce innovazione gravosa o voluttuaria il rifacimento del rivestimento in marmo già esistente.Pret. civ. Taranto, 27 maggio 1986

 

Qualora un condominio sia formato da parti edificali distinte, le spese per la imbiancatura delle facciate non possono essere ripartite fra tutti i condomini in base ai millesimi di proprietà.Trib. civ. Milano, 21 marzo 1991

 

Deve considerarsi valida la delibera assembleare che ha conferito all’amministratore l’incarico di direttore dei lavori da eseguirsi sulle facciate condominiali.Trib. civ. Milano, 23 aprile 1990

 

In materia di condominio i proprietari dei boxes, situati in corpo di fabbrica separato e retrostante, sono tenuti a contribuire alle spese di conservazione e di manutenzione della facciata, indipendentemente dal fatto che essi debbano o meno passare all’interno dell’edificio di cui essa faccia parte.Trib. civ. Milano 18 novembre 1991

MURI IN COMPROPRIETA'

Qualora un muro sia in parte in proprietà comune ed in parte in proprietà esclusiva, il comproprietario non può effettuare opere sulla parte di sua proprietà esclusiva, che pregiudichino la stabilità della parte comune.
Cass. civ., sez. II, 18 ottobre 1978, n. 4688

INTERCAPEDINI

A meno che non risulti diversamente dal titolo, l’intercapedine creata dal costruttore tra il muro di contenimento del terreno che circonda i piani interrati o seminterrati dell’edificio ed il muro che delimita questi piani deve considerarsi comune ai proprietari delle unità immobiliari dell’intero edificio quando sia in concreto accertato che è destinata a fare circolare l’aria e ad evitare umidità ed infiltrazioni d’acqua sia a vantaggio dei piani interrati o seminterrati sia a vantaggio delle fondamenta e dei pilastri, che sono parti necessarie per l’esistenza di tutto il fabbricato.
Cass. civ., sez. II, 10 maggio 1996, n. 4391

LUCI

Ogni trasformazione che rende interna una luce che prima era esterna, ne riduce, di regola, l’utilità perché impedisce di ricevere luce ed aria direttamente dall’esterno, sicché, quando la trasformazione riguarda il muro comune nel quale il condomino ha diritto di mantenere la luce, illecitamente eccede l’ambito dei poteri di utilizzazione della cosa comune, che l’art. 1102 c.c. riconosce ad ogni condomino solo nei limiti in cui non sia alterata la destinazione della cosa o impedito agli altri condomini di fare uso di tale cosa secondo il loro diritto.
Cass. civ., sez. II, 6 maggio 1993, n. 5223

MURO DI SOSTEGNO DEL GIARDINO

In tema di condominio negli edifici, la circostanza che un "muro di sostegno" di un giardino di proprietà esclusiva sovrasti un sottostante terreno di proprietà condominiale, adibito a passaggio, non è di per sé sufficiente all’inclusione del muro medesimo fra le parti comuni, ai sensi dell’art. 1117 cod. civ., con le relative conseguenze in ordine all’onere delle spese di riparazione, atteso che la suddetta opera, per sua natura destinata a svolgere funzione di contenimento di quel giardino, e quindi a tutelare gli interessi del suo proprietario, può essere compresa fra le indicate cose comuni solo ove ne risulti obiettivamente la diversa destinazione a servizio di tutti i condomini, in quanto necessaria a consentire detto passaggio.Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 1985, n. 145

MURO DIVISORIO

In tema di condominio negli edifici, debbono comprendersi tra le parti dell’edificio necessarie all’uso comune, di cui all’art. 1117 n. 1 cod. civ. – la destinazione delle quali, a norma del precedente art. 1102, non può essere alterata dal singolo condomino - le parti definite come tali dal titolo o aventi un’oggettiva attitudine al servizio ed al godimento collettivo. Tra esse non rientra un muro, di ridotte dimensioni, delimitante un terreno di proprietà esclusiva di un condomino, ove risulti inidoneo a tutelare la sicurezza del condominio quale muro di cinta, e idoneo soltanto a delimitare la detta proprietà esclusiva come muro divisorio.Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 1981, n. 577

 

Nell’ordinamento vigente non esiste il principio della indivisibilità funzionale del muro divisorio: questo «si presume» comune ma, per ciò stesso, può anche essere oggetto, per convenzione o altro titolo, di proprietà divisa, in senso verticale od orizzontale.
Cass. civ., sez. II, 20 febbraio 1977, n. 2590

 

La presunzione del muro divisorio tra due edifici non viene meno per la demolizione di uno di essi.
Cass. civ., sez. II, 8 settembre 1977, n. 3915

 

La comunione del muro divisorio non va intesa nel senso che ciascuno dei comproprietari abbia la proprietà assoluta della metà del muro (e del suolo) secondo una linea mediana ideale, da considerarsi come linea di confine delle proprietà esclusive da esso delimitate bensì nel senso che ciascuno di essi è proprietario, sia pure pro quota, dell’intero muro, e del suolo ad esso sottostante, in ogni sua parte (identificandosi la linea di confine delle proprietà esclusive con il muro ed il suolo comune); né la demolizione di uno dei due edifici confinanti fa venire meno (in assenza di titolo o di giustificazione) la comunione, che può essere utilmente invocata ad ogni effetto da ciascuno dei partecipanti, con la conseguenza che il comproprietario del muro comune abbattuto arbitrariamente dall’altro comproprietario ha diritto alla costruzione del manufatto secondo le primitive sue caratteristiche, nonché al risarcimento del danno ed alla restituzione della parte di suolo comune indebitamente attratta nella sfera della signoria esclusiva dell’altro condomino, restando esclusa l’applicabilità dell’art. 938 cod. civ., in tema di accessione invertita, che è configurabile in relazione ad una porzione di fondo di proprietà esclusiva.Cass. civ., sez. II, 7 maggio 1988, n. 3393

 

La fatiscenza delle strutture interne portanti di un edificio non può far sì che, per ciò solo, i muri divisori o di "tamponatura" sottostanti a dette strutture, per il fatto di assumere una funzione temporanea di sostegno delle medesime, diventino comuni. Una tale situazione, priva di carattere di definitività e di pertinenza, e che riproduce semplicemente uno stato anormale, di usura, o di pericolo nella statica dell’edificio, impone semplicemente, a carico dei condomini, l’obbligo di riparare le strutture originariamente portanti, e divenute fatiscenti, senza incidere — in assenza di adeguati negozi o atti giuridici — sulla condizione originaria dei diritti sulle strutture stesse o su quelle adiacenti.Cass. civ., 20aprile 1971, n. 1135

 

I muri divisori tra le unità immobiliari di proprietà esclusiva e quelle di proprietà comune negli edifici in condominio non sono equiparabili né specificamente ai muri maestri né genericamente alle parti dell’edificio necessarie per l’uso comune ai sensi dell’art. 1117, n. 1, c.c.; i muri divisori suddetti sono soggetti, in applicazione del criterio analogico, alla disciplina prevista dall’art. 880, c.c., secondo cui si presume comune il muro di separazione tra entità fondiarie finitime. (Nella specie, il condomino proprietario di un locale del piano cantinato destinato a ripostiglio aveva abbattuto il muro di separazione tra l’androne coperto di proprietà condominiale e il detto locale per adibire quest’ultimo a garage. I giudici del merito avevano accolto la domanda di rimessione in pristino e la Corte di cassazione, rigettando il ricorso, ha enunciato il principio di cui in massima).Cass. civ., 11 marzo 1975, n. 903

NOZIONE DI MURI MAESTRI

In tema di parti comuni dell’edificio condominiale, nella nozione di muri maestri di cui all’art. 1117 c.c. rientrano i pannelli esterni di riempimento fra pilastri in cemento armato, i quali — ancorché la funzione portante sia assolta principalmente da pilastri ed architravi — sono anch’essi eretti a difesa degli agenti atmosferici e fanno parte della struttura e della linea architettonica dell’edificio. Né siffatta condominialità viene esclusa dall’essere addossato ad essi il muro di altro fabbricato costruito in aderenza, restando ciascuno degli edifici delimitato, difeso e strutturalmente delineato dal proprio muro, con la conseguente autonomia giuridica della disponibilità che su ciascuno hanno i diversi nuclei di condomini, senza alcun ingerenza dell’ uno sul muro dell’altro.

Cass. civ., sez. II, 9 febbraio 1982, n. 776

Nel caso di costruzione in cemento armato, l’espressione «muro maestro» contenuta nell’art. 1117, c.c., non va riferita solamente all’intelaiatura di pilastri e di architravi che costituisce l’ossatura dell’edificio, ma anche ai pannelli in muratura di mattoni o di altro materiale che riempiono all’esterno i vani e compongono insieme il primo edificio, che senza di essi sarebbe un vuoto scheletro privo di funzionalità pratica.Cass. civ., 23aprile 1971, n. 1186

NOZIONE DI MURI PERIMETRALI

I muri perimetrali di un edificio condominiale sono destinati al servizio esclusivo dell’edificio stesso di cui costituiscono parte organica. Per tale loro funzione e destinazione possono essere usati dal singolo condomino solo per il miglior godimento della parte di edificio di sua proprietà esclusiva, ma non possono essere utilizzati, senza il consenso di tutti i condomini, per l’utilità di altro immobile di sua esclusiva proprietà non facente parte del condominio, in quanto ciò implicherebbe la costituzione dì una servitù in favore di un bene estraneo al condominio. Ne consegue che il condomino il quale voglia appoggiare al muro condominiale una costruzione realizzata su suolo contiguo di sua proprietà esclusiva non può farlo senza il consenso degli altri condomini, non essendo applicabile la disciplina dell’art. 884 c.c. (costruzione in appoggio al muro comune).Cass. civ. 26 marzo 1994. n. 2953

 

I muri perimetrali dell’edificio in condominio, pur non avendo funzione di muri portanti, vanno intesi come muri maestri al fine della presunzione di comunione di cui all’art. 1117 cod. civ., in quanto determinano la consistenza volumetrica dell’edificio unitariamente considerato proteggendolo dagli agenti atmosferici e termici, delimitano la superficie coperta e delineano la sagoma architettonica dell’edificio stesso. Pertanto, nell’ambito dei muri comuni dell’edificio rientrano anche i muri collocati in posizione avanzata o arretrata rispetto alle principali linee verticali dell’immobile.Cass. civ., sez. II, 11 giugno 1986, n. 3867

Poiché le moderne tecniche costruttive in cemento armato hanno profondamente modificato la funzione dei muri perimetrali che non è più quella di assicurare la stabilità dell’edificio bensì soltanto quella di delimitarlo esternamente, mentre la funzione portante è esercitata dai pilastri e dalle architravi in conglomerato cementizio, l’abbattimento da parte di un condominio di un tratto del muro perimetrale di tamponamento per sostituirlo con porte scorrevoli non comporta, di regola, un alterazione della sua normale destinazione, vietata dall’art. 1102, c.c., ma costituisce uso normale lecito della cosa comune e solo in particolari circostanze, da dimostrarsi di volta in volta può assumere aspetti lesivi dell’integrità dell’edificio quando ne comprometta la sicurezza o il decoro o altri essenziali caratteristiche.
Cass. civ., sez. II, 25 settembre 1991, n. 10008

 

I muri perimetrali di un edificio, anche se relativi a chiostrine o cortili su cui affaccino solo una parte dei condomini, sono comuni a tutti i proprietari di unità immobiliari dello stabile, in quanto, costituendo l’ossatura della costruzione, svolgono una funzione di utilità comune, anche se, ovviamente, più intensa per coloro che hanno appartamenti prospicenti su dette chiostrine o cortili. Pertanto, alle assemblee condominiali che devono deliberare su argomenti interessanti i muri perimetrali hanno diritto di partecipare tutti i condomini dello stabile e non solo quelli che, per la particolare posizione delle loro unità immobiliari, traggono da detti muri un vantaggio particolare rispetto al vantaggio generale e comune derivante dalla naturale funzione degli stessi.Cass. civ., sez. II, 12 dicembre 1986, n. 7402

 

I muri perimetrali dell’edificio in condominio — i quali, anche se non hanno natura e funzioni di muri maestri portanti, delimitano la superficie coperta, determinando la consistenza volumetrica dell’edificio unitariamente considerato, proteggendolo dagli agenti termici e atmosferici, e ne delineano la sagoma architettonica — sono da considerare comuni a tutti i condomini anche nelle parti che si trovano in corrispondenza dei piani di proprietà singola ed esclusiva e quando sono collocati in posizione, avanzata o arretrata, non coincidente con il perimetro esterno dei muri perimetrali esistenti in corrispondenza degli altri piani, come normalmente si verifica per i piani attici.
Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 1978, n. 839

 

I muri perimetrali degli edifici in cemento armato (cosiddetti pannelli di rivestimento o di riempimento) sono compresi fra i muri maestri definiti comuni dal n. 1 dell’art. 1117 c.c., giacché, pur non avendo funzione portante, la quale negli edifici anzidetti è assolta principalmente dai pilastri e dagli architravi, costituiscono parte organica ed essenziale dell’intero immobile che, senza la delimitazione da essi operata sarebbe uno «scheletro vuoto» privo di qualsiasi utilità.Cass. civ., sez. II, 7 marzo 1992, n. 2773

PARAPETTI ALLA SOMMITA' DELL'EDIFICIO

Rientrano nell’ambito dei muri condominiali, ex art. 1117 n. 3 cod. civ., anche i parapetti posti alla sommità dell’edificio, svolgendo funzione di coronamento dell’intero stabile, le cui spese di riparazione debbono essere ripartite fra i condomini ex art. 1123 cod. civ.; pertanto, la determinazione della maggioranza dei condomini partecipanti all’assemblea di esonerare alcuni condomini dall’onere di spesa, con pregiudizio per i proprietari gravati, costituisce una tipica violazione dei diritti individuali sindacabili sotto il profilo della nullità.Corte app. civ. Milano, 15 settembre 1989

PARETI ESTERNE

Se possono presumersi oggetto di proprietà comune anche i muri perimetrali di un edificio in condominio, in quanto essi appaiono necessari all’esistenza ed alla statica dell’immobile, sono escluse, invece, da tale presunzione le pareti esterne, le quali abbiano, non già la funzione di sorreggere l’edificio, ma solamente quella di chiuderne gli ambienti, rispetto a costruzioni nelle quali l’ossatura dell’edificio sia costituita, anziché mediante muri, mediante altri sistemi costruttivi (intelaiature in cemento armato o in altri materiali, colonnati, pilastri ecc.). I muri di un edificio in condominio, che non esercitano alcuna funzione statica, ma sono soltanto divisori di contigui fabbricati, hanno un’utilità limitata a determinate parti dell’edificio e, interessando in sostanza solo i titolari delle proprietà che delimitano, possono bensì dare eventualmente luogo ad uno stato di comunione parziale tra i proprietari degli appartamenti limitrofi, che vengono a trovarsi da essi divisi, ma non possono essere considerati (salvo che il contrario non risulti dal titolo) oggetto di proprietà comune di tutti i proprietari delle diverse porzioni dell’edificio.Cass. civ., 8 novembre 1958, n. 3654

SPESE

In tema di condominio di edifici, nel caso in cui un muro portante appartenga in proprietà esclusiva ad uno solo dei partecipanti al condominio, essendo esso comunque indispensabile per l’esistenza dell’edificio, con la proprietà esclusiva del singolo concorre una comunione di godimento in favore di tutti coloro i quali, nell’edificio, sono titolari della proprietà solitaria dei piani o delle porzioni di piano, con la conseguenza che tutti i condomini — i quali ricavano una utilità dalla cosa, necessaria per l’esistenza e per la protezione dei loro immobili — sono tenuti a contribuire alle spese per la con- con-servazione del muro in questione in proporzione alle rispettive quote, secondo il principio generale enunciato dall’art. 1123 primo comma c.c.Cass. civ., sez. II, 15 febbraio 1996, n. 1154

 

Mentre l’onere delle spese di riparazione e ricostruzione del muro comune per quelle cause di deterioramento dipendenti dal suo uso normale è, ai sensi dell’art. 882 c.c., a carico di tutti i comproprietari, in proporzione del diritto di ciascuno, e si trasferisce, perciò, in capo a chiunque sia proprietario della cosa nel momento in cui si presenta la necessità della riparazione o della ricostruzione, l’onere delle spese provocate dal fatto di uno dei partecipanti, essendo connesso alla responsabilità personale di questo, grava esclusivamente sul soggetto che vi ha dato causa e non si trasferisce, quindi, solo a causa del trasferimento del diritto reale, al condomino che gli è succeduto.Cass. civ. 30 marzo 1994, n. 3089

 

Le spese per il rifacimento o la riparazione dei muri, che delimitino i giardini di singoli condomini con i fondi confinanti, devono ritenersi a carico proporzionale di tutti i partecipanti, in applicazione dell’art. 1123 primo comma c.c., qualora il regolamento condominiale, di natura contrattuale, consideri detti manufatti di proprietà comune, così convenzionalmente assimilandoli ai muri di cinta.
Cass. civ., sez. II, 11 agosto 1990, n. 8198

 

In un edificio in condominio, le scale — oggetto di proprietà comune a norma dell’art. 1117 n. 1 c.c., se il contrario non risulta dal titolo — comprendono l’intera relativa «cassa», di cui costituiscono componenti essenziali ed inscindibili le murature che la delimitano, assolvano o meno le stesse, in tutto o in parte, anche la funzione di pareti delle unità immobiliari di proprietà esclusiva cui si accede tramite le scale stesse. Ne consegue che, anche quando i lavori di manutenzione o ricostruzione delle scale importino il rafforzamento delle murature svolgenti anche tale ultima funzione, con indiretto vantaggio dei proprietari specificamente interessati, la ripartizione delle spese deve avvenire in base alla regola posta dall’art. 1124, primo comma, c.c., salvo che (diversamente che nella specie pervenuta al giudizio della S.C.) oggetto dei lavori siano non il vano scale nel suo complesso ma solo le murature costituenti le pareti perimetrali delle unità immobiliari prospicienti il vano scale (e quest’ultimo in tutto o parte delimitanti), poiché in tale ultimo caso la ripartizione delle spese va effettuata mediante l’applicazione, opportunamente coordinata, dei criteri fissati dagli artt. 1123, secondo comma, e 1124, primo comma, c.c.Cass. civ.. sez. II, 7 maggio 1997, n. 3968

UTILIZZO

L’utilizzazione, da parte del singolo condomino, del muro perimetrale dell’edificio per le sue particolari esigenze è legittima purché non alteri la natura e la destinazione del bene, non impedisca agli altri condomini di farne uso analogo e non arrechi danno alle proprietà individuali dei medesimi altri condomini.Cass. civ., sez. II, 20 marzo 1974, n. 776

 

I muri perimetrali di un edificio in condominio sono destinati all’esclusivo servizio dell’edificio condominiale, del quale costituiscono parte organica, e non possono, per loro natura, essere asserviti, se non nei modi consentiti dalla legge (atto scritto e consenso di tutti i condomini), ad altro immobile di proprietà esclusiva di uno dei condomini, costituente entità economica distinta rispetto all’edificio condominiale.Cass. civ., sez. II, 20 maggio 1978, n. 2504

 

Con riguardo al muro perimetrale di un edificio condominiale, il quale è oggetto di comunione per tutta la sua estensione, ivi comprese le parti corrispondenti a piani e ad appartamenti di proprietà individuale, l’utilizzazione del singolo partecipante deve ritenersi preclusa non solo quando ne alteri la destinazione od impedisca agli altri condomini un pari uso (art. 1102 cod. civ.), ma anche quando implichi una lesione del diritto di altro partecipante sul bene di sua proprietà esclusiva (nella specie, trattandosi di una scala esterna che toglieva luce ed aria ad un sottostante appartamento).Cass. civ., sez. II, 4maggio 1982. n. 2751

 

Il principio secondo cui l’utilizzazione di parti comuni e anche di muri divisori dell’edificio condominiale per la realizzazione di impianti al servizio esclusivo dell’appartamento del singolo condomino esige il rispetto sia dell’art. 1102 cod. civ., sia delle norme del codice civile sulle distanze per evitare la violazione dei diritti degli altri condomini sugli immobili di loro esclusiva proprietà, non è applicabile nell’ipotesi di installazione degli impianti che sono indispensabili per una effettiva abitabilità dell’appartamento secondo la evoluzione delle esigenze generali dei cittadini e le moderne concezioni in tema di igiene.Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 1985, n. 139

 

I muri perimetrali di un edificio in condominio costituiscono oggetto di comunione pro indiviso per tutta la loro estensione. Pertanto, il proprietario di ciascun piano può utilizzarli anche nella parte corrispondente ai piani o porzioni di piano di proprietà esclusiva di altri condomini, sia pure con il rispetto dei limiti posti dall’art. 1102, c.c.Cass. civ., 8 luglio 1969, n. 2514

 

Nel caso di edifici in condominio, i proprietari dei singoli piani possono utilizzare i muri comuni, nella parte corrispondente agli appartamenti di proprietà esclusiva, aprendovi nuove porte o vedute preesistenti o trasformando finestre in balconi o in pensili, a condizione che l’esercizio della indicata facoltà, disciplinata dagli artt. 1102 e 1122 c.c., non pregiudichi la stabilità e il decoro architettonico dell’edificio e non menomi o diminuisca sensibilmente la fruizione di aria e luce per i proprietari dei piani inferiori. (Nella specie il giudice di merito, con la sentenza confermata dalla Suprema Corte, aveva ritenuto sussistente una sensibile diminuzione di aria e luce in danno dell’appartamento sito al piano terra, in conseguenza della costruzione di balconi da parte dei proprietari degli appartamenti siti al primo e al se condo piano, in relazione anche alla giacitura particolare dell’edificio condominiale, il cui piano terra si trovava di circa due metri al di sotto della latistante via pubblica).Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 1994, n. 10704

 

E' consentita al condomino dall’ art. 1102 c.c. un’ampia utilizzazione della parte del muro perimetrale corrispondente alla proprietà parziaria, come l’apertura di una finestra o di una porta, oppure l’applicazione di un’insegna o targa pubblicitaria, assoggettandola al duplice limite di non alterare la destinazione della cosa comune e di non impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.Corte app. civ. Milano, 20 settembre 1989, n. 1467

 

Negli edifici i cui piani appartengono a proprietari diversi, i muri perimetrali, salvo che il contrario risulti dal titolo, sono comuni pro indiviso per tutta la loro estensione: né consegue che, ai sensi dell’art. 1102 c.c., ciascun proprietario dei diversi piani può servirsi, nel suo interesse, del muro comune anche nella parte rispondente al piano di altro proprietario, purché tale utilizzo, conformemente alla disposizione citata, non sia contrario agli interessi della comunione e non impedisca l’esercizio degli altri partecipanti.
Corte app. civ. Firenze, 21 novembre 1990, n. 1181

 

In tema di condominio di edifici costituisce innovazione ex art. 1120 c.c., non qualsiasi modificazione della cosa comune, ma solamente quella che alteri l’entità materiale del bene operandone la trasformazione, ovvero determini la trasformazione della sua destinazione, nel senso che detto bene presenti, a seguito delle opere eseguite una diversa consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti l’esecuzione delle opere. Ove invece, la modificazione della cosa comune non assuma tale rilievo, ma risponda allo scopo di un uso del bene più intenso e proficuo, si versa nell’ambito dell’art. 1102 c.c., che pur dettato in materia di comunione in generale, è applicabile in materia di condominio degli edifici per il richiamo contenuto nell’art. 1139 c.c. (Nella specie la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito la quale aveva affermato che l’apertura di una porta da parte di un condomino nel muro comune dell’andito di ingresso dell’edificio condominiale, non alterava l’entità materiale del bene né modificava la sua destinazione, ma integrava una consentita modificazione della cosa comune a norma dell’art. 1102 c.c.). Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 1997, n. 240

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