MURI CONDOMINIALI
A
differenza dalle innovazioni - configurate dalle nuove opere, le quali immutano
la sostanza o alterano la destinazione delle parti comuni, in quanto rendono
impossibile la utilizzazione secondo la funzione originaria, e che debbono
essere deliberate dall'assemblea (art. 1120, comma 1, c.c.) nell'interesse di
tutti i partecipanti - le modifiche alle parti comuni dell'edificio, contemplate
dall'art. 1102 c.c., possono essere apportate dal singolo condomino, nel proprio
interesse ed a proprie spese, al fine di conseguire un uso più intenso, sempre
che non alterino la destinazione e non impediscano l'altrui pari uso. Pertanto,
è legittima l'apertura di vetrine da esposizione nel muro perimetrale comune,
che per sua ordinaria funzione è destinato all'apertura di porte e di finestre,
realizzata dal singolo condomino mediante la demolizione della parte di muro
corrispondente alla sua proprietà esclusiva. Alla eventuale autorizzazione ad
apportare tale modifica concessa dall'assemblea può attribuirsi il valore di
mero riconoscimento dell'inesistenza di interesse e di concrete pretese degli
altri condomini a questo tipo di utilizzazione del muro comune.
In
tema di utilizzazione del muro perimetrale da parte del singolo condomino,
costituisce uso indebito della cosa comune, alla stregua dei criteri di cui agli
articoli 1102 e 1122 del Cc, l’apertura praticata dal condomino nel detto muro
per mettere in comunicazione locali di sua esclusiva proprietà, esistenti
nell’edificio condominiale, con altro suo immobile estraneo al condominio, in
quanto tali aperture alterano la destinazione del muro, incidendo sulla sua
funzione di recinzione, e possono dar luogo all’acquisto di una servitù di
passaggio a carico della proprietà condominiale.
L'umidità
conseguente a inadeguata coibentazione delle strutture perimetrali di un
edificio, può integrare, ove sia compromessa l'abitabilità e il godimento del
bene, grave difetto dell'edificio ai fini della responsabilità del costruttore
ex art. 1669 cod. civ.; tuttavia, qualora il fenomeno sia causa di danni a
singoli condomini, nei confronti di costoro è responsabile in via autonoma ex
art. 2051 cod. civ. il condominio, che è tenuto, quale custode, a eliminare le
caratteristiche lesive insite nella cosa propria.
Cass.
civ., Sent. n. 3753, 15 aprile 1999, Sez. II
All'apertura
tra due vani di un medesimo edificio, realizzata allo scopo di dare aria e luce
ad uno di essi attraverso l'altro, non è applicabile la disciplina dettata
dagli articoli 901 - 904, Codice di procedura civile, giacché tale apertura non
costituisce estrinsecazione del diritto di proprietà, ossia manifestazione di
una facultas del diritto di dominio, ma ponendo in essere una vera e propria
incursione sulla sfera di godimento della proprietà altrui, ha sostanza,
struttura e funzioni di uno ius in re aliena, acquisibile perciò mediante
usucapione o destinazione del padre di famiglia, sempre che l'apertura si
concreti in opere visibili e parametri, strutturalmente destinate ad un
inequivoco e stabile assoggettamento del vano, sì da rilevare all'esterno
l'imposizione di un peso a suo carico per l'utilità dell'altro.
Cass.
civ., sez. II, 10 settembre 1999, n. 9637
Nel
caso di edifici in condominio, i proprietari dei singoli piani possono
utilizzare i muri comuni, nella parte corrispondente agli appartamenti di
proprietà esclusiva, aprendovi nuove porte o vedute preesistenti o trasformando
finestre in balconi o in pensili, a condizione che l'esercizio della indicata
facoltà, disciplinata dagli artt. 1102 e 1122 c.c., non pregiudichi la stabilità
e il decoro architettonico dell'edificio e non menomi o diminuisca sensibilmente
la fruizione di aria e luce per i proprietari dei piani inferiori. Nella specie
il giudice di merito, con la sentenza confermata dalla Suprema Corte, aveva
ritenuto sussistente una sensibile diminuzione di aria e luce in danno
dell'appartamento sito al piano terra, in conseguenza della costruzione di
balconi da parte dei proprietari degli appartamenti siti al primo e al secondo
piano, in relazione anche alla giacitura particolare dell'edificio condominiale,
il cui piano terra si trovava di circa due metri al di sotto della latistante
via pubblica.
L’abbattimento
di muro perimetrale di edificio condominiale in cemento armato ad opera di un
condomino - ravvisabile anche nel caso in cui venga rimossa la muratura (di
tompagnamento) facente parte di detto muro - incidendo sulla sostanza essenziale
della cosa, non rientra nell’ambito dell’art. 1102 cod. civ., che, nel
regolare i diritti dei partecipanti alla comunione al fine di salvaguardare
l’interesse comune e quello dei singoli consente solo modificazioni delle cose
comuni nei limiti indicati, bensì costituisce innovazione, soggetta, come tale,
alle regole dettate dall’art. 1120 cod. civ.
Cass.
civ., sez. II, 18 giugno 1982, n. 3741
La
norma contenuta nell’art. 1102 c.c., nel sancire il diritto di ogni
partecipante alla comunione di servirsi della cosa comune, purché non ne alteri
la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne uso secondo il
loro diritto, gli attribuisce la facoltà di apportarvi, a tal fine, le
modificazioni necessarie al suo miglioramento ma non certamente quella di
eliminarla, sia pure per sostituirla poi con altra di diversa consistenza e
struttura. Ne consegue che l’abbattimento di un muro portante di un edificio
in condominio - sia pur sostituito, come nella specie, da travi in ferro -
incidendo sulla struttura essenziale della cosa comune e sulla precipua
funzione, non può farsi rientrare nell’ambito delle facoltà concesse al
singolo partecipante alla comunione dal citato art. 1102 c.c., ma costituisce
vera e propria innovazione, soggetta, come tale, alle regole dettate dall’art.
1120 c.c.
Cass.
civ., sez. II, 11 novembre 1994, n. 9497
La competenza sulla domanda di sostituzione della griglia di aerazione della centrale comune di riscaldamento, posta nella soglia di ingresso dell'edificio condominiale, al fine di evitare inconvenienti nel transito, va determinata in base al valore perché non si configura una controversia sulle modalità di uso del servizio condominiale (art. 8 n. 4 c.p.c.), né una controversia sulla misura dei servizi del condominio (art. 7 comma secondo c.p.c.). Cass. civ. 11 gennaio 1994, n. 223
In
tema di utilizzazione del muro perimetrale dell’edificio condominiale da parte
del singolo condomino, costituiscono uso indebito della cosa comune, alla
stregua dei criteri indicati negli artt. 1102 e 1122 del cod. civ., le aperture
praticate dal condomino nel detto muro per mettere in collegamento locali di sua
esclusiva proprietà, esistenti nell’edificio condominiale, con altro immobile
estraneo al condominio, in quanto tali aperture alterano la destinazione del
muro, incidendo sulla sua funzione di recinzione, e possono dar luogo
all’acquisto di una servitù (di passaggio) a carico della proprietà
condominiale.
Cass.
civ., sez. II, 25 ottobre 1988, n. 5780
Qualora
l’apertura del muro perimetrale comune di un edificio condominiale sia
eseguita dal singolo condomino per mettere in comunicazione una unità
immobiliare di sua esclusiva proprietà con un’altra unità compresa in un
diverso fabbricato, l’uso del muro comune non può ritenersi consentito a
norma dell’art. 1102 c.c. in quanto non si risolve in un semplice maggiore suo
godimento, ma integra una anormale e diversa utilizzazione diretta a sopperire
ai bisogni di un bene al quale non è legato da alcun rapporto, venendo inoltre
il muro e, quindi, le parti comuni del fabbricato, quali le fondazioni ed il
suolo di cui esso fa parte, ad essere gravate da una vera e propria servitù a
favore di un bene estraneo al condominio, per la cui legittima costituzione,
vertendosi in tema di diritti reali immobiliari, è richiesta a pena di nullità
la manifestazione del consenso in forma scritta di tutti i partecipi. Cass.
civ., sez. II, 7 marzo 1992, n. 2773
Costituisce
uso indebito della cosa comune, non consentito, quindi, dalla norma dell’art.
1102 cod. civ., l’apertura praticata da un condomino nel muro comune per
mettere in collegamento un vano dell’edificio condominiale con altro suo
immobile estraneo a detto edificio, in quanto tale apertura viene a creare una
servitù a carico del condominio, per la cui costituzione è richiesto il
consenso di tutti i partecipanti alla comunione risultante da atto scritto a
pena di nullità.
Cass.
civ., sez. II, 11 giugno 1986, n. 3867
L’apertura
di una porta o di una finestra da parte di un condomino o la trasformazione di
una finestra che prospetta il cortile comune in una porta di accesso al medesimo
mediante l’abbattimento del corrispondente tratto di muro perimetrale che
delimita la proprietà del singolo appartamento non costituisce di per sé abuso
della cosa comune idoneo a ledere il compossesso del muro comune che fa capo
come ius possidendi a tutti i condomini.
Cass.
civ., sez. II, 4 febbraio 1988, n. 1112
Il
condomino può aprire nel muro comune dell’edificio nuove porte o finestre o
ingrandire quelle esistenti solo se queste opere, di per sé non incidenti sulla
destinazione della cosa, non pregiudichino il decoro architettonico
dell’edificio.
Il
comproprietario o compossessore non può servirsi di un’area comune per
accedere, attraverso un’apertura appositamente creata in un muro divisorio
comune, ad un immobile di sua esclusiva proprietà o di suo esclusivo possesso,
diverso dal fondo al cui servizio l’area venne originariamente creata, perché
ciò si risolverebbe nella costituzione di una vera e propria servitù di
passaggio su tale area, ovvero in una molestia del compossesso altrui. Cass.
civ., sez. II, 27 marzo 1987, n. 2973
L’apertura
di varchi e l’installazione di porte o cancellate in un muro ricadente fra le
parti comuni dell’edificio condominiale eseguiti da uno dei condomini per
creare un nuovo ingresso all’unità immobiliare di sua proprietà esclusiva,
di massima non integrano abuso della cosa comune suscettibile di ledere i
diritti degli altri condomini, non comportando per costoro una qualche
impossibilità di far parimenti uso del muro stesso ai sensi dell’art. 1102,
primo comma, c.c., e rimanendo irrilevante la circostanza che tale utilizzazione
del muro si correli non già alla necessità di ovviare ad una interclusione
dell’unità immobiliare al cui servizio il detto accesso è stato creato, ma
all’intento di conseguire una più comoda fruizione di tale unità immobiliare
da parte del suo proprietario.
I
muri che delimitano il complesso condominiale, costituendone quindi il
perimetro, non tollerano - abbiano essi natura di muri portanti o meramente
divisori - aperture, da parte di un condomino, ove realizzando un passaggio con
un immobile di appartenenza dello stesso condomino ma estraneo al condominio,
possano dar luogo, attraverso il prolungato possesso, ad acquisto di servitù a
carico dell’entità condominiale che circoscrivono. Cass.
civ., sez. II, 16 novembre 1985, n. 5628
Nell’applicazione
delle regole di cui all’art. 1102 cod. civ. il giudice non può limitarsi ad
esaminare se le modificazioni apportate dal condominio alla cosa comune per il
migliore godimento di questa o della sua proprietà singola siano o meno
suscettibili di compromettere la stabilità e l’estetica dell’edificio in
base all’assetto attuale; ma deve invece accertare, in base all’esame della
destinazione attualmente impressa in concreto alla cosa comune, nonché in base
alle ragionevoli prospettive offerte dall’oggettiva struttura, ubicazione e
destinazione delle proprietà individuali e tenendo conto, altresì, delle
aspettative desumibili dall’uso che ciascun condomino faccia della sua
proprietà o da allegati apprezzabili mutamenti, se siano prevedibili
modificazioni uguali o analoghe da parte degli altri condomini e se queste
sarebbero pregiudicate dalle modifiche già attuate o in via di attuazione.
(Nella specie, in applicazione del principio di cui alla massima, è stata
ritenuta corretta la decisione di merito che ha ritenuto legittima l’apertura
nel muro perimetrale comune di un accesso dal cortile comune alla proprietà
esclusiva del condomino non risultando impedito l’uso da parte degli altri
condomini né del muro perimetrale né del cortile). Cass.
civ., sez. II, 4 marzo 1983, n. 1637
Il
condomino di un edificio, essendo comproprietario dell’intero muro perimetrale
comune e non della sola parte di esso corrispondente alla sua esclusiva proprietà,
può apportare a tale muro, senza bisogno del consenso degli altri partecipanti
alla comunione, tutte le modifiche che consentono di trarre dal bene comune una
particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini
e, quindi, procedere anche all’apertura nel muro di un varco di accesso dal
cortile condominiale ai locali di proprietà esclusiva, purché non impedisca
agli altri condomini di continuare nell’esercizio dell’uso del muro o di
ampliarlo in modo e misura analoghi e non alteri la normale destinazione del
muro medesimo. Cass.
civ., sez. II, 4 marzo 1983, n. 1637
In
presenza di aperture nel muro comune di un edificio in condominio eseguite da un
condomino in corrispondenza della propria proprietà individuale, il terzo
estraneo al condominio che da tali aperture subisca lesione nei propri diritti
può chiederne la modificazione o l’eliminazione nei confronti del singolo
condomino che l’apertura ha eseguito, ma non può, neppure citando in giudizio
l’intero condominio, invocare a fondamento del proprio diritto la violazione
del decoro architettonico dell’edificio condominiale a cui è estraneo, in
quanto il decoro architettonico rappresenta solo un limite fissato alla facoltà,
individuale e collettiva, di apportare modificazioni all’edificio condominiale
per il miglioramento, l’uso più comodo o il maggior rendimento delle sue
parti, di proprietà comune o di proprietà singola e che opera nei soli
confronti dei partecipanti al condominio e non è opponibile dai terzi.
Cass.
civ.. sez. II, 13 gennaio 1983, n. 255
L’apertura
di nuove finestre o la trasformazione di quelle esistenti nel muro comune verso
gli spazi condominiali (nella specie, un pozzo di luce destinato ad arieggiare e
illuminare i locali interni che vi prospettano), in corrispondenza della
proprietà del singolo, costituisce esercizio del diritto di proprietà e non di
quello di servitù, per cui non trovano applicazione le norme che disciplinano
le vedute su fondo altrui (artt. 900. 907, cod. civ.), bensì quelle che
consentono al condomino di servirsi delle parti comuni per il miglior godimento
della cosa, senz’altro limite che l’obbligo di rispettare la destinazione,
di non alterare la stabilità e il decoro architettonico dell’edificio e di
non ledere i diritti degli altri condomini (artt. 1102,
1139 cod. civ.). Cass. civ., sez. II, 15 dicembre 1982, n. 6929
L’apertura
di un arco nel muro perimetrale di edificio condominiale, eseguita dal singolo
condomino per accedere in altra sua proprietà esclusiva, estranea al
condominio, costituisce un indebito uso di tale muro, in quanto ne altera la
destinazione e la funzione di recinzione del fabbricato condominiale,
assoggettandolo a quel passaggio in favore di un bene non compreso in detto
fabbricato, suscettibile di tradursi nel corrispondente diritto reale a carico
dell’immobile condominiale.
Cass.
civ.. sez. II, 8 aprile 1982, n. 2175
Il
proprietario di un edificio e del pertinente cortile, che sia comproprietario,
insieme con il proprietario di un edificio latistante, del muro di recinzione
del cortile del quale occasionalmente beneficia quest’ultimo edificio, non
abbisogna a norma dell’art. 1120 cod. civ. del consenso del partecipante alla
comunione del muro per aprire in esso un varco al fine di soddisfare il proprio
particolare interesse di accedere dal proprio stabile alla strada, ricorrendo
l’applicazione della norma dell’art. 1102 cod. civ. sull’uso della cosa
comune.
Salva
l’opposizione, per motivi di sicurezza o di estetica, degli altri partecipanti
alla comunione, al condominio è consentito di aprire nel muro comune, sia esso
maestro oppure no, luci sulla strada o sul cortile; tuttavia, qualora il muro
comune assolva anche la funzione di isolare e dividere la proprietà individuale
di un condominio dalla proprietà individuale di altro condominio, ricorrono
anche gli estremi per l’applicabilità dell’art. 903, secondo comma, cod.
civ., con la conseguenza che, in tal caso, l’apertura della luce resta
subordinata sia alle condizioni ed alle limitazioni previste dalle norme in
materia di condominio (con riguardo agli interessi riconosciuti a tutti i
partecipanti alla comunione e alle regole stabilite circa l’uso delle cose
comuni da parte dei singoli condomini) sia, alla stregua del secondo comma del
citato art. 903 cod. civ., al consenso del condominio vicino, in considerazione
dell’interesse del medesimo alla riservatezza della sua proprietà
individuale.
Cass.
civ., sez. II, 12 giugno 1981, n. 3819
L’apertura
di un vano nel muro perimetrale di edificio condominiale, eseguita dal singolo
condomino in corrispondenza dell’androne comune per accedere in altra sua
proprietà contigua, estranea al condominio, costituisce un indebito uso del
muro medesimo, in quanto ne altera la destinazione e la funzione di recinzione
del fabbricato condominiale, assoggettandolo a passaggio in favore di bene non
compreso in detto fabbricato.
Cass.
civ., sez. II, 21 aprile 1981, n. 2339
L’apertura
di finestre lucifere da parte del proprietario di un piano o porzione di piano
nel muro perimetrale comune dell’edificio condominiale non comporta mutamento
dell’essenza strutturale e funzionale del muro stesso e deve perciò ritenersi
operata legittimamente anche senza il consenso degli altri condomini, sempreché
non sia vietata da convenzioni speciali o da norme del regolamento di
condominio, non pregiudichi il decoro, l’estetica o la stabilità
dell’edificio e non ostacoli l’esercizio del concorrente diritto degli altri
condomini.
Cass.
civ., sez. II, 24 gennaio 1980, n. 597
La
realizzazione di un’apertura nel muro perimetrale dell’edificio
condominiale, che metta in comunicazione - senza pregiudizio per la stabilità e
il decoro architettonico dell’edificio - l’appartamento di proprietà
esclusiva con il giardino "annesso", attuando un collegamento tra
entità principale ed entità accessoria costituenti un’unica entità
condominiale, si configura come atto di godimento rivolto ad una maggiore e più
intensa utilizzazione della cosa comune.
Cass.
civ., sez. II, 13 ottobre 1978, n. 4592
Il
condomino di un edificio non può, eseguendo una costruzione in aderenza al muro
perimetrale comune, chiudere un’apertura destinata a dare luce ad un vano di
proprietà di altro condomino, giacché l’art. 1102 c.c. gli vieta di attrarre
nella sua sfera esclusiva un elemento comune dell’edificio, con correlativo
impedimento per un altro condomino di continuare a farne uso in conformità alla
sua destinazione.
Le
modificazioni di un bene condominiale per iniziativa del singolo sono lecite
nelle sole ipotesi in cui esse, oltre a non compromettere la stabilità, la
sicurezza ed il decoro architettonico, ed a non alterare la destinazione del
bene, non siano lesive dei diritti degli altri condomini relativi al godimento
sia delle parti comuni interessate alla modificazione, sia delle parti di loro
proprietà. Più in particolare, il condomino, nel caso in cui il cortile comune
sia munito di recinzione che lo separi dalla sua proprietà esclusiva, può
apportare a tale recinzione, pur essa condominiale, senza bisogno di consenso da
parte degli altri partecipanti alla comunione, tutte le modifiche che gli
consentono di trarre dal bene comune una particolare utilità aggiuntiva
rispetto a quella goduta dagli altri condomini e, quindi, procedere anche
all'apertura di un varco d'accesso dal cortile condominiale alla sua proprietà
esclusiva, purché tale varco non impedisca agli altri condomini di continuare
ad utilizzare il cortile, come in precedenza.
Nella
controversia concernente la legittimità di un’apertura praticata nel muro
perimetrale di un edificio condominiale da uno dei condomini, per mettere in
comunicazione il proprio appartamento con altro, di sua proprietà, posto in un
edificio attiguo, oggetto di diverso condominio, non è necessario integrare il
contraddittorio nei confronti di quest’ultimo.
Cass.
civ., sez. II, 29 ottobre 1974, n. 3274
Non
è consentito ad un condomino, senza il consenso degli altri condomini,
praticare nel muro perimetrale un’apertura in modo tale da mettere in
comunicazione due edifici completamente distinti fra di loro.
Trib.
civ. Piacenza, 3 luglio 1987, n. 314
Ciascun
condomino, purché nel rispetto dei limiti di cui all’art. 1102 cod. civ., può,
senza necessità di preventiva autorizzazione condominiale, aprire una porta nel
muro comune.
Trib.
civ. Genova, sez. III, 18 luglio 1990, n. 2263
A
differenza dalle innovazioni - configurate dalle nuove opere, le quali immutano
la sostanza o alterano la destinazione delle parti comuni, in quanto rendono
impossibile la utilizzazione secondo la funzione originaria, e che debbono
essere deliberate dall’assemblea (art. 1120, comma 1, c.c.) nell’interesse
di tutti i partecipanti - le modifiche alle parti comuni dell’edificio,
contemplate dall’art. 1102 c.c., possono essere apportate dal singolo
condomino, nel proprio interesse ed a proprie spese, al fine di conseguire un
uso più intenso, sempre che non alterino la destinazione e non impediscano
l’altrui pari uso. Pertanto, è legittima l’apertura di vetrine da
esposizione nel muro perimetrale comune, che per sua ordinaria funzione è
destinato all’apertura di porte e di finestre, realizzata dal singolo
condomino mediante la demolizione della parte di muro corrispondente alla sua
proprietà esclusiva. Alla eventuale autorizzazione ad apportare tale modifica
concessa dall’assemblea può attribuirsi il valore di mero riconoscimento
dell’inesistenza di interesse e di concrete pretese degli altri condomini a
questo tipo di utilizzazione del muro comune.
Cass.
civ., sez. II, 20 febbraio 1997, n. 1554
La
disposizione dell'art. 905, Codice civile, secondo cui, per l'apertura di vedute
dirette verso il fondo del vicino si deve osservare la distanza di un metro e
mezzo, va posta in relazione con l'art. 873 dello stesso codice che prescrive
una distanza non minore di tre metri ( o quella maggiore stabilita dai
regolamenti edilizi locali ) per le costruzioni su fondi finitimi. Da ciò
consegue, pertanto, che, ove nel compiere la costruzione non sia stata
rispettata la distanza dal fondo del vicino fissata dal Codice civile, non possa
aprirsi in detta costruzione una veduta iure proprietatis.
Le
norme sulle distanze delle costruzioni dalle vedute si osservano anche nei
rapporti tra condomini di un edificio in quanto l’art.1102, Codice civile, non
deroga al disposto dell’art.907, Codice civile
Il
comportamento della società di distribuzione del gas che inserisce
arbitrariamente e senza alcuna necessità la diramazione per la fornitura del
gas ad un utente condominiale anziché nella "presa" già predisposta
sulla montante di distribuzione condominiale, in quella realizzata per
l’utenza di un singolo condomino, presenta i caratteri della turbativa e
molestia del godimento cui ha diritto quest’ultimo sulla parte dei muri
perimetrali dell’immobile attraversati dalle condutture del gas.
Pret.
civ. Molfetta, 23 luglio 1988, n. 31
L’esecuzione
nei muri comuni di tracce e canali per l’incasso degli impianti elettrici dei
servizi di interesse comune configura l’ipotesi di cui all’art. 1102 c.c. Trib.
civ. Milano, 24 giugno 1991
Le
opere di canalizzazione murata comprendenti gli impianti elettrici, gli impianti
del telefono e quelli dell’antenna televisiva non possono considerarsi delle
innovazioni.
Trib.
civ. Milano, 17 giugno 1991
Costituisce
uso legittimo della cosa comune, ai sensi del combinato disposto degli artt.
1102 e 1139 c.c., l’utilizzazione dei muri comuni da parte del singolo
condomino per installarvi tubature per lo scarico di acque o per il passaggio
del gas. nonché sfiatatoi per evitare il ristagno di odori.
Trib.
civ. Trani. 19 gennaio 1991, n. 104
L’illegittima
costruzione in appoggio al muro perimetrale dell’edificio condominiale,
eseguita dal condomino che sia anche proprietario esclusivo del suolo adiacente
a detto muro, può dar luogo alla costituzione per usucapione di una servitù a
favore del fondo di proprietà esclusiva ed a carico di quello di proprietà
condominiale e, comportando un uso della cosa comune in violazione dell’art.
1102 cod. civ., costituisce una lesione del diritto di proprietà degli altri
condomini, la quale, salvi gli effetti dell’usucapione, è perseguibile senza
limiti temporali quanto al diritto di ottenere la rimozione dell’opera
illegittima, mentre il diritto al risarcimento del danno, conseguendo ad un
illecito permanente, dato dall’iniziale comportamento lesivo e dalla
successiva omessa eliminazione della situazione illegittima, soggiace a
prescrizione pro rata temporis. Cass.
civ., sez. II, 13 agosto 1985, n. 4427
Non
può essere ravvisata una costruzione in appoggio, qualora tra i due muri vicini
esista un’intercapedine di cinque centimetri, ricoperta con lamiera per
evitare le infiltrazioni di acqua piovana, salvo che sia accertata
l’interdipendenza delle due strutture murarie per l’eventuale "ammorsamento"
dei solai di copertura ed il ridotto spessore del nuovo muro in corrispondenza
della più consistente struttura preesistente. Cass.
civ., sez. II, 25 novembre 1977, n. 5152
In
tema di appoggio di costruzione al muro comune, l’art. 884 c.c. riguarda la
comunione del muro che risulti instaurata ovvero si presuma sussistere tra
proprietari, in quanto tali, di fondi finitimi, laddove non rientra nella sua
fattispecie quella particolare forma di comunione costituita dal condominio
degli edifici, grazie alla quale si trovi ad essere compartecipe della proprietà
del muro maestro di un fabbricato il proprietario esclusivo di un fondo
confinante. Costui, dato che i muri maestri dell’edificio condominiale sono
destinati essenzialmente e soltanto al servizio dell’edificio stesso, può
utilizzarli, per il miglior godimento del piano, o della porzione di piano, a
lui appartenente, ma non può avvalersene, senza il consenso degli altri
condomini, per l’utilità dell’altro, distinto immobile di cui egli solo, e
non anche gli altri condomini, vanta la proprietà; ciò comporterebbe, infatti,
la costituzione di una servitù a favore di un bene estraneo al condominio,
costituzione che non può legittimamente avvenire senza il consenso di tutti i
comproprietari. Cass.
civ., sez. II, 2 agosto 1977, n. 3378
Il
diritto di comproprietà dei condomini sulle parti comuni di un edificio deve
ritenersi leso ove uno dei condomini, in violazione delle regole sui rapporti di
vicinato abbia volto l’utilità che può dare la cosa comune a vantaggio di
altra diversa e distinta sua proprietà contigua. (Nella specie uno dei
condomini aveva costruito in un cortile di sua esclusiva proprietà un manufatto
in appoggio al muro perimetrale comune). Cass.
civ., sez. II, 24agosto 1981, n. 4985
La
nuova costruzione, che risulti in appoggio (o in aderenza) non al muro in cui si
apre la preesistente veduta del vicino bensì ad un muro - a questo addossato -
dello stesso proprietario della costruzione, non è soggetta all’osservanza
della distanza verticale di tre metri dalla soglia della veduta prescritta dal
terzo comma dell’art. 907 c.c., che trova applicazione solo nel caso di
appoggio della costruzione al muro nel quale si trova la veduta, bensì deve
rispettare da questa la distanza di tre metri in linea orizzontale misurata a
norma dell’art. 905 c.c., come disposto dal primo comma dell’art. 907 c.c.,
ove la nuova costruzione, anche se non raggiunga in altezza il livello della
veduta, si elevi in linea verticale oltre la distanza di tre metri dalla soglia
della veduta stessa.
È
in appoggio la costruzione che scarica sul muro del vicino il peso degli
elementi strutturali costitutivi di essa, mentre è in aderenza quella che è
posta in semplice e totale combaciamento con il muro del vicino, rispetto al
quale ha piena autonomia, strutturale e funzionale, con la conseguenza
dell’indipendenza del regime giuridico delle due proprietà contigue, si che
il perimento o la demolizione dell’una possano verificarsi senza che
l’integrità dell’altra ne sia compromessa. Ciò premesso, deve ritenersi in
appoggio anche la costruzione che gravi col suo peso sulle fondazioni della
fabbrica del vicino.
Cass.
civ., sez. II, 26 ottobre 1974, n. 3177
L’art.
884 c.c., è una norma speciale di stretta interpretazione, che per la
fattispecie da esso disciplinata, deroga alle norme generali sulla comunione fra
cui l’art. 1102 c.c., che regola l’uso della cosa comune. Cass.
civ., sez. II, 5 marzo 1970, n. 538
Nelle
zone soggette alla legge 25 novembre 1962 n. 1684 (cosiddetta legge sismica) non
possono trovare applicazione le disposizioni dell’art. 884 cod. civ. che
consentono al comproprietario del muro comune di immettervi travi, nonché di
attraversare il muro "con chiavi e catene di rinforzo", trattandosi di
disciplina inoperante nelle zone sismiche per la prevalenza della relativa
specifica legislazione.
A
norma dell’ art. 884 c.c. - che va applicato per intero, non per parti
separate, in quanto l’ultimo comma stabilisce le condizioni di illiceità,
richieste, fra l’altro, per le aperture di incavi nel muro comune previste nel
primo comma - il comproprietario, senza l’adempimento di alcuna preventiva
formalità, può legittimamente praticare nel muro comune gli incavi che non
riescano di danno o di pericolo per essi. Cass.
civ., sez. II, 5 marzo 1970, n. 538
Il
comproprietario del muro comune non può praticare incavi che oltrepassino la
metà dello spessore del muro. La facoltà di innalzamento del muro comune, prevista dall’art. 885 c.c., non può essere esercitata in violazione delle distanze legali stabilite specificamente per le vedute, dall’art. 907 dello stesso codice. Pertanto l’innalzamento del muro comune che delimiti un terrazzo o un lastrico solare con opere, quali un parapetto, destinate permanentemente ed inequivocamente all’esercizio della servitù di veduta, non può essere consentito, risolvendosi in un impedimento all’esercizio del corrispondente diritto da parte del proprietario del fondo dominante. Cass. civ., sez. II, 17 novembre 1990, n. 11125
La
facciata e il relativo decoro architettonico di un edificio costituiscono un
modo di essere dell’immobile e così un elemento del modo di godimento da
parte del suo possessore; di conseguenza la modifica della facciata, comportando
una interferenza nel godimento medesimo, può integrare una indebita turbativa
suscettibile di tutela possessoria.Cass.
civ., sez. II, 22 giugno 1995, n. 7069
La
facciata di prospetto di un edificio - abbia o meno valore architettonico o
decorativo - rientra nella categoria dei muri maestri, dei quali è cenno
espresso nel n. 1 dell’art. 1117 c.c., e forma, conseguentemente, oggetto di
proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzione di piani riuniti
in condominio; a carico di tutti costoro, conseguentemente, deve porsi, in
proporzione, la spesa di rifacimento dell’intonaco.Cass.
civ., sez. II, 20 gennaio 1977, n. 298
Ai
fini della validità della deliberazione dell’assemblea dei condomini che
abbia disposto la esecuzione dei lavori di rifacimento della facciata
dell’edificio condominiale, è necessario che il relativo argomento sia stato
specificamente inserito nell’avviso di convocazione dell’assemblea, in
quanto, riguardando la materia della amministrazione straordinaria del bene
comune, non può ritenersi compreso nella dizione "varie".Cass.
civ., sez. II, 28 giugno 1986, n. 4316
Il
criterio di ripartizione delle spese di cui all’art. 1123 c.c., con riguardo
all’ipotesi di cui al comma secondo, può trovare applicazione in concrete
circostanze, con riguardo a qualunque parte comune dell’edificio e quindi
anche alla facciata, in guisa che i condomini siano obbligati a contribuire alle
spese di manutenzione e riparazione, non in base ai valori millesimali, ma in
ragione dell’utilità che la cosa comune sia obiettivamente destinata ad
arrecare a ciascuna delle proprietà esclusive, laddove la spesa potrebbe
gravare indistintamente su tutti i partecipanti alla comunione secondo il
criterio generale di cui all’art. 1104 c.c. solo se la cosa comune in
relazione alla sua consistenza ed alla sua funzione fosse destinata a servire
ugualmente ed indiscriminatamente i diversi piani o le singole proprietà.
(Nella specie la S.C. ha ritenuto correttamente applicato il principio
surriportato con riguardo alla ripartizione delle spese di riparazione della
pannellatura della facciata di un edificio, sul rilievo che essa assolve ad una
duplice funzione, l’una di protezione verso l’esterno dei balconi di
proprietà esclusiva dei singoli condomini e di riparo dagli agenti atmosferici,
l’altra di abbellimento della facciata del fabbricato).Cass.
civ., sez. II, 23 dicembre 1992, n. 13655
La
domanda proposta da un condomino nei confronti di altro condomino per ottenere
la riduzione in pristino della facciata dell’edificio condominiale, ove
comporti l’accertamento del diritto del condomino convenuto di modificare
sostanzialmente la facciata dell’edificio in forza del proprio titolo
d’acquisto, essendo destinata ad incidere sui diritti su un bene comune degli
altri condomini, deve essere decisa nei confronti di tutti, perché investe un
rapporto giuridico unico ed indivisibile, con la conseguenza che deve disporsi
l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei condomini pretermessi a
norma dell’art. 102 c.p.c.Cass.
civ., sez. II, 21 ottobre 1992, n. 11509
Non
costituisce innovazione gravosa o voluttuaria, ai sensi dell’art. 1121 cod.
civ., il rivestimento in travertino della facciata dello stabile condominiale
fino all’altezza di m. 2,65; a maggior ragione non costituisce innovazione
gravosa o voluttuaria il rifacimento del rivestimento in marmo già esistente.Pret.
civ. Taranto, 27 maggio 1986
Qualora
un condominio sia formato da parti edificali distinte, le spese per la
imbiancatura delle facciate non possono essere ripartite fra tutti i condomini
in base ai millesimi di proprietà.Trib.
civ. Milano, 21 marzo 1991
Deve
considerarsi valida la delibera assembleare che ha conferito
all’amministratore l’incarico di direttore dei lavori da eseguirsi sulle
facciate condominiali.Trib.
civ. Milano, 23 aprile 1990
In
materia di condominio i proprietari dei boxes, situati in corpo di fabbrica
separato e retrostante, sono tenuti a contribuire alle spese di conservazione e
di manutenzione della facciata, indipendentemente dal fatto che essi debbano o
meno passare all’interno dell’edificio di cui essa faccia parte.Trib.
civ. Milano 18 novembre 1991
Qualora
un muro sia in parte in proprietà comune ed in parte in proprietà esclusiva,
il comproprietario non può effettuare opere sulla parte di sua proprietà
esclusiva, che pregiudichino la stabilità della parte comune.
A
meno che non risulti diversamente dal titolo, l’intercapedine creata dal
costruttore tra il muro di contenimento del terreno che circonda i piani
interrati o seminterrati dell’edificio ed il muro che delimita questi piani
deve considerarsi comune ai proprietari delle unità immobiliari dell’intero
edificio quando sia in concreto accertato che è destinata a fare circolare
l’aria e ad evitare umidità ed infiltrazioni d’acqua sia a vantaggio dei
piani interrati o seminterrati sia a vantaggio delle fondamenta e dei pilastri,
che sono parti necessarie per l’esistenza di tutto il fabbricato.
Ogni
trasformazione che rende interna una luce che prima era esterna, ne riduce, di
regola, l’utilità perché impedisce di ricevere luce ed aria direttamente
dall’esterno, sicché, quando la trasformazione riguarda il muro comune nel
quale il condomino ha diritto di mantenere la luce, illecitamente eccede
l’ambito dei poteri di utilizzazione della cosa comune, che l’art. 1102 c.c.
riconosce ad ogni condomino solo nei limiti in cui non sia alterata la
destinazione della cosa o impedito agli altri condomini di fare uso di tale cosa
secondo il loro diritto.
In tema di condominio negli edifici, la circostanza che un "muro di sostegno" di un giardino di proprietà esclusiva sovrasti un sottostante terreno di proprietà condominiale, adibito a passaggio, non è di per sé sufficiente all’inclusione del muro medesimo fra le parti comuni, ai sensi dell’art. 1117 cod. civ., con le relative conseguenze in ordine all’onere delle spese di riparazione, atteso che la suddetta opera, per sua natura destinata a svolgere funzione di contenimento di quel giardino, e quindi a tutelare gli interessi del suo proprietario, può essere compresa fra le indicate cose comuni solo ove ne risulti obiettivamente la diversa destinazione a servizio di tutti i condomini, in quanto necessaria a consentire detto passaggio.Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 1985, n. 145
In
tema di condominio negli edifici, debbono comprendersi tra le parti
dell’edificio necessarie all’uso comune, di cui all’art. 1117 n. 1 cod.
civ. – la destinazione delle quali, a norma del precedente art. 1102, non può
essere alterata dal singolo condomino - le parti definite come tali dal titolo o
aventi un’oggettiva attitudine al servizio ed al godimento collettivo. Tra
esse non rientra un muro, di ridotte dimensioni, delimitante un terreno di
proprietà esclusiva di un condomino, ove risulti inidoneo a tutelare la
sicurezza del condominio quale muro di cinta, e idoneo soltanto a delimitare la
detta proprietà esclusiva come muro divisorio.Cass.
civ., sez. II, 26 gennaio 1981, n. 577
Nell’ordinamento
vigente non esiste il principio della indivisibilità funzionale del muro
divisorio: questo «si presume» comune ma, per ciò stesso, può anche essere
oggetto, per convenzione o altro titolo, di proprietà divisa, in senso
verticale od orizzontale.
La
presunzione del muro divisorio tra due edifici non viene meno per la demolizione
di uno di essi.
La
comunione del muro divisorio non va intesa nel senso che ciascuno dei
comproprietari abbia la proprietà assoluta della metà del muro (e del suolo)
secondo una linea mediana ideale, da considerarsi come linea di confine delle
proprietà esclusive da esso delimitate bensì nel senso che ciascuno di essi è
proprietario, sia pure pro quota, dell’intero muro, e del suolo ad esso
sottostante, in ogni sua parte (identificandosi la linea di confine delle
proprietà esclusive con il muro ed il suolo comune); né la demolizione di uno
dei due edifici confinanti fa venire meno (in assenza di titolo o di
giustificazione) la comunione, che può essere utilmente invocata ad ogni
effetto da ciascuno dei partecipanti, con la conseguenza che il comproprietario
del muro comune abbattuto arbitrariamente dall’altro comproprietario ha
diritto alla costruzione del manufatto secondo le primitive sue caratteristiche,
nonché al risarcimento del danno ed alla restituzione della parte di suolo
comune indebitamente attratta nella sfera della signoria esclusiva dell’altro
condomino, restando esclusa l’applicabilità dell’art. 938 cod. civ., in
tema di accessione invertita, che è configurabile in relazione ad una porzione
di fondo di proprietà esclusiva.Cass.
civ., sez. II, 7 maggio 1988, n. 3393
La
fatiscenza delle strutture interne portanti di un edificio non può far sì che,
per ciò solo, i muri divisori o di "tamponatura" sottostanti a dette
strutture, per il fatto di assumere una funzione temporanea di sostegno delle
medesime, diventino comuni. Una tale situazione, priva di carattere di
definitività e di pertinenza, e che riproduce semplicemente uno stato anormale,
di usura, o di pericolo nella statica dell’edificio, impone semplicemente, a
carico dei condomini, l’obbligo di riparare le strutture originariamente
portanti, e divenute fatiscenti, senza incidere — in assenza di adeguati
negozi o atti giuridici — sulla condizione originaria dei diritti sulle
strutture stesse o su quelle adiacenti.Cass.
civ., 20aprile 1971, n. 1135
I
muri divisori tra le unità immobiliari di proprietà esclusiva e quelle di
proprietà comune negli edifici in condominio non sono equiparabili né
specificamente ai muri maestri né genericamente alle parti dell’edificio
necessarie per l’uso comune ai sensi dell’art. 1117, n. 1, c.c.; i muri
divisori suddetti sono soggetti, in applicazione del criterio analogico, alla
disciplina prevista dall’art. 880, c.c., secondo cui si presume comune il muro
di separazione tra entità fondiarie finitime. (Nella specie, il condomino
proprietario di un locale del piano cantinato destinato a ripostiglio aveva
abbattuto il muro di separazione tra l’androne coperto di proprietà
condominiale e il detto locale per adibire quest’ultimo a garage. I giudici
del merito avevano accolto la domanda di rimessione in pristino e la Corte di
cassazione, rigettando il ricorso, ha enunciato il principio di cui in massima).Cass.
civ., 11 marzo 1975, n. 903
In tema di parti comuni dell’edificio condominiale, nella nozione di muri maestri di cui all’art. 1117 c.c. rientrano i pannelli esterni di riempimento fra pilastri in cemento armato, i quali — ancorché la funzione portante sia assolta principalmente da pilastri ed architravi — sono anch’essi eretti a difesa degli agenti atmosferici e fanno parte della struttura e della linea architettonica dell’edificio. Né siffatta condominialità viene esclusa dall’essere addossato ad essi il muro di altro fabbricato costruito in aderenza, restando ciascuno degli edifici delimitato, difeso e strutturalmente delineato dal proprio muro, con la conseguente autonomia giuridica della disponibilità che su ciascuno hanno i diversi nuclei di condomini, senza alcun ingerenza dell’ uno sul muro dell’altro.
Cass.
civ., sez. II, 9 febbraio 1982, n. 776 Nel caso di costruzione in cemento armato, l’espressione «muro maestro» contenuta nell’art. 1117, c.c., non va riferita solamente all’intelaiatura di pilastri e di architravi che costituisce l’ossatura dell’edificio, ma anche ai pannelli in muratura di mattoni o di altro materiale che riempiono all’esterno i vani e compongono insieme il primo edificio, che senza di essi sarebbe un vuoto scheletro privo di funzionalità pratica.Cass. civ., 23aprile 1971, n. 1186
I
muri perimetrali di un edificio condominiale sono destinati al servizio
esclusivo dell’edificio stesso di cui costituiscono parte organica. Per tale
loro funzione e destinazione possono essere usati dal singolo condomino solo per
il miglior godimento della parte di edificio di sua proprietà esclusiva, ma non
possono essere utilizzati, senza il consenso di tutti i condomini, per
l’utilità di altro immobile di sua esclusiva proprietà non facente parte del
condominio, in quanto ciò implicherebbe la costituzione dì una servitù in
favore di un bene estraneo al condominio. Ne consegue che il condomino il quale
voglia appoggiare al muro condominiale una costruzione realizzata su suolo
contiguo di sua proprietà esclusiva non può farlo senza il consenso degli
altri condomini, non essendo applicabile la disciplina dell’art. 884 c.c.
(costruzione in appoggio al muro comune).Cass.
civ. 26 marzo 1994. n. 2953
I
muri perimetrali dell’edificio in condominio, pur non avendo funzione di muri
portanti, vanno intesi come muri maestri al fine della presunzione di comunione
di cui all’art. 1117 cod. civ., in quanto determinano la consistenza
volumetrica dell’edificio unitariamente considerato proteggendolo dagli agenti
atmosferici e termici, delimitano la superficie coperta e delineano la sagoma
architettonica dell’edificio stesso. Pertanto, nell’ambito dei muri comuni
dell’edificio rientrano anche i muri collocati in posizione avanzata o
arretrata rispetto alle principali linee verticali dell’immobile.Cass.
civ., sez. II, 11 giugno 1986, n. 3867
Poiché
le moderne tecniche costruttive in cemento armato hanno profondamente modificato
la funzione dei muri perimetrali che non è più quella di assicurare la
stabilità dell’edificio bensì soltanto quella di delimitarlo esternamente,
mentre la funzione portante è esercitata dai pilastri e dalle architravi in
conglomerato cementizio, l’abbattimento da parte di un condominio di un tratto
del muro perimetrale di tamponamento per sostituirlo con porte scorrevoli non
comporta, di regola, un alterazione della sua normale destinazione, vietata
dall’art. 1102, c.c., ma costituisce uso normale lecito della cosa comune e
solo in particolari circostanze, da dimostrarsi di volta in volta può assumere
aspetti lesivi dell’integrità dell’edificio quando ne comprometta la
sicurezza o il decoro o altri essenziali caratteristiche.
I
muri perimetrali di un edificio, anche se relativi a chiostrine o cortili su cui
affaccino solo una parte dei condomini, sono comuni a tutti i proprietari di
unità immobiliari dello stabile, in quanto, costituendo l’ossatura della
costruzione, svolgono una funzione di utilità comune, anche se, ovviamente, più
intensa per coloro che hanno appartamenti prospicenti su dette chiostrine o
cortili. Pertanto, alle assemblee condominiali che devono deliberare su
argomenti interessanti i muri perimetrali hanno diritto di partecipare tutti i
condomini dello stabile e non solo quelli che, per la particolare posizione
delle loro unità immobiliari, traggono da detti muri un vantaggio particolare
rispetto al vantaggio generale e comune derivante dalla naturale funzione degli
stessi.Cass.
civ., sez. II, 12 dicembre 1986, n. 7402
I
muri perimetrali dell’edificio in condominio — i quali, anche se non hanno
natura e funzioni di muri maestri portanti, delimitano la superficie coperta,
determinando la consistenza volumetrica dell’edificio unitariamente
considerato, proteggendolo dagli agenti termici e atmosferici, e ne delineano la
sagoma architettonica — sono da considerare comuni a tutti i condomini anche
nelle parti che si trovano in corrispondenza dei piani di proprietà singola ed
esclusiva e quando sono collocati in posizione, avanzata o arretrata, non
coincidente con il perimetro esterno dei muri perimetrali esistenti in
corrispondenza degli altri piani, come normalmente si verifica per i piani
attici.
I
muri perimetrali degli edifici in cemento armato (cosiddetti pannelli di
rivestimento o di riempimento) sono compresi fra i muri maestri definiti comuni
dal n. 1 dell’art. 1117 c.c., giacché, pur non avendo funzione portante, la
quale negli edifici anzidetti è assolta principalmente dai pilastri e dagli
architravi, costituiscono parte organica ed essenziale dell’intero immobile
che, senza la delimitazione da essi operata sarebbe uno «scheletro vuoto»
privo di qualsiasi utilità.Cass.
civ., sez. II, 7 marzo 1992, n. 2773
Rientrano
nell’ambito dei muri condominiali, ex art. 1117 n. 3 cod. civ., anche i
parapetti posti alla sommità dell’edificio, svolgendo funzione di coronamento
dell’intero stabile, le cui spese di riparazione debbono essere ripartite fra
i condomini ex art. 1123 cod. civ.; pertanto, la determinazione della
maggioranza dei condomini partecipanti all’assemblea di esonerare alcuni
condomini dall’onere di spesa, con pregiudizio per i proprietari gravati,
costituisce una tipica violazione dei diritti individuali sindacabili sotto il
profilo della nullità.Corte app. civ. Milano, 15 settembre 1989
Se
possono presumersi oggetto di proprietà comune anche i muri perimetrali di un
edificio in condominio, in quanto essi appaiono necessari all’esistenza ed
alla statica dell’immobile, sono escluse, invece, da tale presunzione le
pareti esterne, le quali abbiano, non già la funzione di sorreggere
l’edificio, ma solamente quella di chiuderne gli ambienti, rispetto a
costruzioni nelle quali l’ossatura dell’edificio sia costituita, anziché
mediante muri, mediante altri sistemi costruttivi (intelaiature in cemento
armato o in altri materiali, colonnati, pilastri ecc.). I muri di un edificio in
condominio, che non esercitano alcuna funzione statica, ma sono soltanto
divisori di contigui fabbricati, hanno un’utilità limitata a determinate
parti dell’edificio e, interessando in sostanza solo i titolari delle proprietà
che delimitano, possono bensì dare eventualmente luogo ad uno stato di
comunione parziale tra i proprietari degli appartamenti limitrofi, che vengono a
trovarsi da essi divisi, ma non possono essere considerati (salvo che il
contrario non risulti dal titolo) oggetto di proprietà comune di tutti i
proprietari delle diverse porzioni dell’edificio.Cass.
civ., 8 novembre 1958, n. 3654
In
tema di condominio di edifici, nel caso in cui un muro portante appartenga in
proprietà esclusiva ad uno solo dei partecipanti al condominio, essendo esso
comunque indispensabile per l’esistenza dell’edificio, con la proprietà
esclusiva del singolo concorre una comunione di godimento in favore di tutti
coloro i quali, nell’edificio, sono titolari della proprietà solitaria dei
piani o delle porzioni di piano, con la conseguenza che tutti i condomini — i
quali ricavano una utilità dalla cosa, necessaria per l’esistenza e per la
protezione dei loro immobili — sono tenuti a contribuire alle spese per la
con- con-servazione del muro in questione in proporzione alle rispettive quote,
secondo il principio generale enunciato dall’art. 1123 primo comma c.c.Cass.
civ., sez. II, 15 febbraio 1996, n. 1154
Mentre
l’onere delle spese di riparazione e ricostruzione del muro comune per quelle
cause di deterioramento dipendenti dal suo uso normale è, ai sensi dell’art.
882 c.c., a carico di tutti i comproprietari, in proporzione del diritto di
ciascuno, e si trasferisce, perciò, in capo a chiunque sia proprietario della
cosa nel momento in cui si presenta la necessità della riparazione o della
ricostruzione, l’onere delle spese provocate dal fatto di uno dei
partecipanti, essendo connesso alla responsabilità personale di questo, grava
esclusivamente sul soggetto che vi ha dato causa e non si trasferisce, quindi,
solo a causa del trasferimento del diritto reale, al condomino che gli è
succeduto.Cass.
civ. 30 marzo 1994, n. 3089
Le
spese per il rifacimento o la riparazione dei muri, che delimitino i giardini di
singoli condomini con i fondi confinanti, devono ritenersi a carico
proporzionale di tutti i partecipanti, in applicazione dell’art. 1123 primo
comma c.c., qualora il regolamento condominiale, di natura contrattuale,
consideri detti manufatti di proprietà comune, così convenzionalmente
assimilandoli ai muri di cinta.
In
un edificio in condominio, le scale — oggetto di proprietà comune a norma
dell’art. 1117 n. 1 c.c., se il contrario non risulta dal titolo —
comprendono l’intera relativa «cassa», di cui costituiscono componenti
essenziali ed inscindibili le murature che la delimitano, assolvano o meno le
stesse, in tutto o in parte, anche la funzione di pareti delle unità
immobiliari di proprietà esclusiva cui si accede tramite le scale stesse. Ne
consegue che, anche quando i lavori di manutenzione o ricostruzione delle scale
importino il rafforzamento delle murature svolgenti anche tale ultima funzione,
con indiretto vantaggio dei proprietari specificamente interessati, la
ripartizione delle spese deve avvenire in base alla regola posta dall’art.
1124, primo comma, c.c., salvo che (diversamente che nella specie pervenuta al
giudizio della S.C.) oggetto dei lavori siano non il vano scale nel suo
complesso ma solo le murature costituenti le pareti perimetrali delle unità
immobiliari prospicienti il vano scale (e quest’ultimo in tutto o parte
delimitanti), poiché in tale ultimo caso la ripartizione delle spese va
effettuata mediante l’applicazione, opportunamente coordinata, dei criteri
fissati dagli artt. 1123, secondo comma, e 1124, primo comma, c.c.Cass.
civ.. sez. II, 7 maggio 1997, n. 3968
L’utilizzazione,
da parte del singolo condomino, del muro perimetrale dell’edificio per le sue
particolari esigenze è legittima purché non alteri la natura e la destinazione
del bene, non impedisca agli altri condomini di farne uso analogo e non arrechi
danno alle proprietà individuali dei medesimi altri condomini.Cass.
civ., sez. II, 20 marzo 1974, n. 776
I
muri perimetrali di un edificio in condominio sono destinati all’esclusivo
servizio dell’edificio condominiale, del quale costituiscono parte organica, e
non possono, per loro natura, essere asserviti, se non nei modi consentiti dalla
legge (atto scritto e consenso di tutti i condomini), ad altro immobile di
proprietà esclusiva di uno dei condomini, costituente entità economica
distinta rispetto all’edificio condominiale.Cass.
civ., sez. II, 20 maggio 1978, n. 2504
Con
riguardo al muro perimetrale di un edificio condominiale, il quale è oggetto di
comunione per tutta la sua estensione, ivi comprese le parti corrispondenti a
piani e ad appartamenti di proprietà individuale, l’utilizzazione del singolo
partecipante deve ritenersi preclusa non solo quando ne alteri la destinazione
od impedisca agli altri condomini un pari uso (art. 1102 cod. civ.), ma anche
quando implichi una lesione del diritto di altro partecipante sul bene di sua
proprietà esclusiva (nella specie, trattandosi di una scala esterna che
toglieva luce ed aria ad un sottostante appartamento).Cass.
civ., sez. II, 4maggio 1982. n. 2751
Il
principio secondo cui l’utilizzazione di parti comuni e anche di muri divisori
dell’edificio condominiale per la realizzazione di impianti al servizio
esclusivo dell’appartamento del singolo condomino esige il rispetto sia
dell’art. 1102 cod. civ., sia delle norme del codice civile sulle distanze per
evitare la violazione dei diritti degli altri condomini sugli immobili di loro
esclusiva proprietà, non è applicabile nell’ipotesi di installazione degli
impianti che sono indispensabili per una effettiva abitabilità
dell’appartamento secondo la evoluzione delle esigenze generali dei cittadini
e le moderne concezioni in tema di igiene.Cass.
civ., sez. II, 19 gennaio 1985, n. 139
I
muri perimetrali di un edificio in condominio costituiscono oggetto di comunione
pro indiviso per tutta la loro estensione. Pertanto, il proprietario di ciascun
piano può utilizzarli anche nella parte corrispondente ai piani o porzioni di
piano di proprietà esclusiva di altri condomini, sia pure con il rispetto dei
limiti posti dall’art. 1102, c.c.Cass.
civ., 8 luglio 1969, n. 2514
Nel
caso di edifici in condominio, i proprietari dei singoli piani possono
utilizzare i muri comuni, nella parte corrispondente agli appartamenti di
proprietà esclusiva, aprendovi nuove porte o vedute preesistenti o trasformando
finestre in balconi o in pensili, a condizione che l’esercizio della indicata
facoltà, disciplinata dagli artt. 1102 e 1122 c.c., non pregiudichi la stabilità
e il decoro architettonico dell’edificio e non menomi o diminuisca
sensibilmente la fruizione di aria e luce per i proprietari dei piani inferiori.
(Nella specie il giudice di merito, con la sentenza confermata dalla Suprema
Corte, aveva ritenuto sussistente una sensibile diminuzione di aria e luce in
danno dell’appartamento sito al piano terra, in conseguenza della costruzione
di balconi da parte dei proprietari degli appartamenti siti al primo e al se
condo piano, in relazione anche alla giacitura particolare dell’edificio
condominiale, il cui piano terra si trovava di circa due metri al di sotto della
latistante via pubblica).Cass.
civ., sez. II, 14 dicembre 1994, n. 10704
E'
consentita al condomino dall’ art. 1102 c.c. un’ampia utilizzazione della
parte del muro perimetrale corrispondente alla proprietà parziaria, come
l’apertura di una finestra o di una porta, oppure l’applicazione di
un’insegna o targa pubblicitaria, assoggettandola al duplice limite di non
alterare la destinazione della cosa comune e di non impedire agli altri
partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.Corte
app. civ. Milano, 20 settembre 1989, n. 1467
Negli
edifici i cui piani appartengono a proprietari diversi, i muri perimetrali,
salvo che il contrario risulti dal titolo, sono comuni pro indiviso per tutta la
loro estensione: né consegue che, ai sensi dell’art. 1102 c.c., ciascun
proprietario dei diversi piani può servirsi, nel suo interesse, del muro comune
anche nella parte rispondente al piano di altro proprietario, purché tale
utilizzo, conformemente alla disposizione citata, non sia contrario agli
interessi della comunione e non impedisca l’esercizio degli altri
partecipanti.
In
tema di condominio di edifici costituisce innovazione ex art. 1120 c.c., non
qualsiasi modificazione della cosa comune, ma solamente quella che alteri
l’entità materiale del bene operandone la trasformazione, ovvero determini la
trasformazione della sua destinazione, nel senso che detto bene presenti, a
seguito delle opere eseguite una diversa consistenza materiale ovvero sia
utilizzato per fini diversi da quelli precedenti l’esecuzione delle opere. Ove
invece, la modificazione della cosa comune non assuma tale rilievo, ma risponda
allo scopo di un uso del bene più intenso e proficuo, si versa nell’ambito
dell’art. 1102 c.c., che pur dettato in materia di comunione in generale, è
applicabile in materia di condominio degli edifici per il richiamo contenuto
nell’art. 1139 c.c. (Nella specie la Suprema Corte ha confermato la decisione
di merito la quale aveva affermato che l’apertura di una porta da parte di un
condomino nel muro comune dell’andito di ingresso dell’edificio
condominiale, non alterava l’entità materiale del bene né modificava la sua
destinazione, ma integrava una consentita modificazione della cosa comune a
norma dell’art. 1102 c.c.).
Cass.
civ., sez. II, 11 gennaio 1997, n. 240 |
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