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Sentenze
Corte di Cassazione |
USO
DELLA COSA COMUNE
In
tema di condominio negli edifici, non è richiesta, per la legittimità della
delibera assembleare avente a oggetto la chiusura dei cancelli di accesso al
sottosuolo ove sono collocati i posti macchina riservati ai condomini,
l'adozione con la maggioranza qualificata dei due terzi del valore
dell'edificio, non concernendo tale delibera una "innovazione",
secondo il significato attribuito a tale espressione dal codice civile, ma
riguardando solo la regolamentazione dell'uso ordinato della cosa comune
consiste nel non consentire a terzi estranei al condominio l'indiscriminato
accesso al sottosuolo dello stesso.
Cass. civ., sent.
n. 875, 3 febbraio 1999, Sez. II
Gli
ascensori e gli impianti di riscaldamento, comprese le caldaie ed i bruciatori,
sono parti integranti degli edifici nei quali sono installati, e non semplici
pertinenze; essi, infatti, non hanno una funzione propria, ancorché
complementare e subordinata rispetto a quella degli edifici, ma partecipano alla
funzione complessiva ed unitaria degli edifici medesimi, quali elementi
essenziali alla loro destinazione, da ciò consegue che l'ascensore e
l'impianto di riscaldamento non sono pignorabili, come beni mobili,
separatamente dall'edificio in cui sono installati, e che l'opposizione con la
quale il debitore deduca detta impignorabilità, in quanto tendente a contestare
il diritto del creditore di agire esecutivamente su quei beni, configura, ai
sensi dell'art. 615 c.p.c., opposizione all'esecuzione, e non opposizione agli
atti esecutivi.
Cass.
civ., sez. III, 27 febbraio 1976, n. 654; e conf. Cass. 27 febbraio 1976, n.
653.
Ai
fini di stabilire se esista un titolo contrario alla presunzione di comunione
sancita dalla norma dell'art. 1117 c.c. occorre fare riferimento all'atto
costitutivo del condominio, cioè al primo atto di trasferimento di una unità
immobiliare dall'originario proprietario ad altro soggetto.
Cass.
04 novembre 1994, n. 9062
Quando l’assemblea
condominiale decide di appaltare lavori a terzi il controllo sui beni comuni
nell’interesse del condominio deve considerarsi attribuito all'amministratore se
non è diversamente stabilito. Spetta pertanto all’amministratore l’obbligo di
controllo sui beni comuni quando l’assemblea decide di appaltare lavori a terzi
e non stabilisce l’esclusiva responsabilità dell’appaltatore per la custodia
delle cose sulla quali si effettuano il lavori.
Cass. civ., Sez.
III, Sentenza 16 Ottobre 2008 , n. 25251
PLURALITA' DI SERVIZI
COMUNI |
Se
in un unico complesso condominiale esiste una pluralità di servizi di cose
comuni, ciascuna delle quali serve, per obiettiva destinazione, in modo
esclusivo all'uso e al godimento di una parte soltanto dell'immobile, essa cosa
o servizio deve considerarsi comune non già alla totalità dei condomini,
bensì soltanto a quella parte di essi al cui uso comune è funzionalmente e
strutturalmente destinata. (Nella specie, in relazione ad un edificio
condominiale fornito di due scale, ciascuna delle quali destinata a servire
esclusivamente gli appartamenti cui dà accesso, è stato escluso che,
deliberata la installazione dell'ascensore in una delle scale, potesse opporvisi
un condomino proprietario di appartamento servito dall'altra scala).
Cass.
civ., 26 gennaio 1971, n. 196.
TUTELA DELLE PARTI
COMUNI |
Le
azioni reali contro terzi, a difesa dei diritti dei condomini sulle parti comuni
di un edificio, quali quelle volte a denunziare la violazione delle distanze
legali tra costruzioni, essendo dirette a ottenere statuizioni relative alla
titolarità e al contenuto dei diritti medesimi, non rientrano, tra gli atti
meramente conservativi e possono, quindi, promuoversi dall'amministratore del
condominio solo se sia autorizzato dall'assemblea a norma dell'art.1131 comma
primo, cod.civ. (Artt.872, 1130, 1131, 1136 cod.civ.).
Cassazione
del 28/11/1996 n. 10615
Il
comproprietario può usucapire la proprietà esclusiva della cosa comune solo
possedendola, animo domini, per il tempo necessario, in modo inconciliabile con
la possibilità di fatto di un godimento comune, come nel caso in cui la cosa
venga attratta nella sua sfera di materiale ed esclusiva disponibilità mediante
una attività che valga, comunque, ad escludere il concorrente compossesso degli
altri comproprietari.
Cass.
Civ., 23 maggio 1995, n. 5640
AZIONE DEL SINGOLO A
TUTELA DELLE PARTI COMUNI |
Ciascun
comproprietario, in quanto titolare di un diritto che, sia pure nei limiti
segnati dalla concorrenza dei diritti degli altri partecipanti, investe l'intera
cosa comune (e non una frazione della stessa), è legittimato ad agire o
resistere in giudizio, senza il consenso degli altri, per la tutela della cosa
comune, nei confronti dei terzi o di un singolo condomino.(Artt.1102, 1105,
cod.civ. 102 cod. proc. civ.).
Cassazione
del 10//05/1996 n. 4388
Il
potere di ogni condomino di agire per la gestione ordinaria della cosa comune,
traendo origine dal diritto di concorrere all'amministrazione di tale bene (art.
1105 c.c.), incontra il suo limite nell'obbligo di rispettare la volontà della
maggioranza. Pertanto, allorché un immobile locato appartenga ad una
molteplicità di condomini e dagli stessi sia congiuntamente stipulato il
relativo contratto, è la maggioranza dei condomini a stabilire circa
l'amministrazione ed il godimento della cosa comune e quindi, della possibilità
e volontà di disdire e far cessare, alla scadenza contrattuale, il contratto di
locazione, anche in contrasto con la minoranza dissenziente.
Cass.
Civ., 25 luglio 1995, n. 8085
I
presupposti per l'attribuzione della proprietà comune a vantaggio di tutti i
partecipanti vengono meno se le cose, i servizi e gli impianti di uso comune,
per oggettivi caratteri materiali e funzionali, sono necessari per l'esistenza e
per l'uso, ovvero sono destinati all'uso o al servizio, non di tutto l'edificio,
ma di una sola parte, o di alcune parti di esso, ricavandosi dall'art. 1123,
comma 3, che le cose, i servizi, gli impianti, non appartengono necessariamente
a tutti i partecipanti. Ne consegue che dalle situazioni di cosiddetto
"condominio parziale" derivano implicazioni inerenti la gestione e
l'imputazione delle spese, in particolare non sussiste il diritto di partecipare
all'assemblea relativamente alle cose, ai servizi, agli impianti, da parte di
coloro che non ne hanno la titolarità, ragion per cui la composizione del
collegio e delle maggioranze si modificano in relazione alla titolarità delle
parti comuni che della delibera formano oggetto.
Cass.
27 settembre 1994, n. 7885
In
tema di ripartizione delle spese condominiali, è passivamente legittimato,
rispetto all'azione giudiziale per il recupero della quota di competenza, il
vero proprietario della porzione immobiliare e non anche chi possa apparire tale
- come uno dei coniugi che curi personalmente ed attivamente la gestione della
proprietà dell'altro coniuge - difettando, nei rapporti fra il condominio ed i
singoli partecipanti ad esso le condizioni per l'operatività del principio
dell'apparenza del diritto, strumentale essenzialmente ad esigenze di tutela dei
terzi in buona fede.
Cass.
27 giugno 1994, n. 6187
RAPPORTO DI
INSCINDIBILITA' FRA LE CAUSE |
Non
sussiste un rapporto di inscindibilità fra le cause riguardanti i vari
condomini di un edificio in ordine all'uso delle cose comuni sicché non ricorre
la necessità di integrazione del contraddittorio in sede di impugnazione ex
art. 331 c.p.c. nei confronti del condominio pretermesso. La nozione di pari uso
della cosa comune che ogni compartecipe nell'utilizzare la cosa medesima deve
consentire agli altri, a norma dell'art. 1102 c.c., non va intesa nel senso di
uso identico perché l'identità nello spazio o addirittura nel tempo potrebbe
importare il divieto per ogni condomino di fare della cosa comune un uso
particolare o a proprio esclusivo vantaggio. Ne deriva che per stabilire se
l'uso più intenso da parte di un condomino venga ad alterare il rapporto di
equilibrio fra i partecipanti al condominio - e perciò da ritenersi non
consentito a norma dell'art. 1102 - non deve aversi riguardo all'uso fatto in
concreto di detta cosa da altri condomini in un determinato momento, ma di
quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno.
Cass.
Civ., 23/03/95, n. 3368
UTILIZZO DELLA COSA
COMUNE DA PARTE DEL SINGOLO |
Il
limite che l'articolo 1102, Codice civile, pone al potere di utilizzazione della
cosa comune da parte di ciascun condomino è quello del divieto di alterarne la
destinazione e di impedire che altri ne faccia parimenti uso secondo il suo
diritto. Pertanto l'uso particolare della cosa comune da parte del condomino non
deve determinare pregiudizievoli invadenze nell'ambito dei coesistenti diritti
degli altri proprietari, ancorché non ne sia impedito l'uso.
Cass. civ., sez. II, 13 ottobre
1999 n. 11520
Se il fatto
lesivo è stato cagionato esclusivamente dal comportamento della danneggiata non
trova applicazione la responsabilità oggettiva del custode ex art. 2051 c.c. La
responsabilità del custode ex art. 2051 c.c. è esclusa soltanto quando il danno
sia eziologicamente riconducibile non alla cosa, ma al fortuito senza che rilevi
che questo sia costituito da un comportamento umano, nel fatto cioè dello stesso
danneggiato o di un terzo.
Cass. civ., Sez. III, Sentenza
19 Giugno 2008 , n. 16607
L'opera
nuova può dare luogo ad una innovazione anche quando, oltre che la cosa comune
o sue singole parti, interessi beni o parti a questa estranei ma ad essa
funzionalmente collegati. Anche in tal caso, quindi, se l'opera, pur essendo
utilizzabile da tutti i condomini, è stata costruita esclusivamente a spese di
uno solo dei condomini, questo ne rimane proprietario esclusivo solo fino alla
richiesta degli altri di partecipare ai vantaggi della stessa contribuendo, ai
sensi dell'art. 1120 c.c., alle spese per la sua costruzione e manutenzione.
(Nella specie, si trattava di un ascensore per il collegamento dell'androne
dell'edificio condominiale con una strada posta ad un livello notevolmente
inferiore, costruito con opere che interessavano, oltre che l'androne ed il
sottosuolo comuni, anche un terreno in proprietà esclusiva del condomino che le
aveva eseguite).
Cass.
Civ., 01/04/95, n. 3840
LIMITAZIONE DEI DIRITTI
DEI CONDOMINI |
In
materia di condominio di edifici, l'autonomia privata consente alle parti di
stipulare convenzioni che pongano limitazioni, nell'interesse comune, ai diritti
dei condomini, sia relativamente alle parte comuni, sia riguardo al contenuto
del diritto dominicale sulle parti di loro esclusiva proprietà, senza che
rilevi che l'esercizio del diritto individuale su di esse si rifletta o meno
sulle strutture o sulle parti comuni. Ne discende che legittimamente le norme di
un regolamento di condominio - aventi natura contrattuale, in quanto predisposte
dall'unico originario proprietario dell'edificio ed accettate con i singoli atti
d'acquisto dai condomini ovvero adottate in sede assembleare con il consenso
unanime di tutti i condomini - possono derogare ed integrare la disciplina
legale ed in particolare possono dare al concetto di decoro architettonico una
definizione più rigorosa di quella accolta dall'articolo 1120, Codice civile,
estendendo il divieto di mutazione sino ad imporre la conservazione degli
elementi attinenti alla simmetria, all'estetica, all'aspetto generale
dell'edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione od in quello
della manifestazione negoziale successiva.
Cass. civ., sez. II, 6 ottobre
1999, n. 11121
Tenuto
conto che, ai sensi del primo comma dell' art. 1102 cod. civ., l'uso della cosa
comune da parte di ciascun partecipante è legittimo purchè non ne alteri la
destinazione e non impedisca il pari uso da parte degli altri, la compromissione
da parte di un comproprietario dell'uso da parte degli altri configura un atto
illecito.
Ad una tale conclusione non asta la previsione di cui al secondo comma dell'
art. 1102 cod. civ. in quanto essa si limita a prevedere che il mutamento del
compossesso m possesso esclusivo determina una situazione di fatto idonea all'
acquisto per usucapione.
Corte di Cassazione, sez. II, 12 settembre 2003, n.
13424
Anche
nel condominio degli edifici trova applicazione, relativamente ai beni comuni,
il principio, desumibile dall'art. 1102 cod. civ., che consente al singolo
condomino di usare della cosa comune anche per un suo fine particolare, con
conseguente possibilità di ritrarre dal bene una specifica utilità aggiuntiva
rispetto a quelle generali ridondanti a favore degli altri condomini, con il
solo limite che non ne derivi una lesione del pari diritto spettante a questi
ultimi. Da tanto consegue che in difetto di specifiche limitazioni stabilite dal
regolamento di condominio, l'uso dell'ascensore per il trasporto di materiale
edilizio può essere legittimamente inibito al singolo condomino solo qualora
venga concretamente e specificatamente accertato che esso risulti dannoso, sia
compromettendo la buona conservazione delle strutture portanti e del relativo
abitacolo, sia ostacolando la tempestiva e conveniente utilizzazione del
servizio da parte degli altri condomini, in relazione alle frequenze
giornaliere, alla durata e all'eventuale orario di esercizio del suddetto uso
particolare, alle cautele adoperate per la custodia delle cose trasportate,
tenendo conto di ogni altra circostanza rilevante per accertare le eventuali
conseguenze pregiudizievoli che, in ciascun caso concreto, possono derivare dal
suddetto uso particolare dell'ascensore.
Cass. civ., sez. II, 6 aprile l982,
n. 2ll7.
La
cosa comune, ai sensi dell’art. 1102, Codice civile, può essere utilizzata
dal condomino anche in modo particolare e diverso rispetto alla sua normale
destinazione se ciò non alteri l’equilibrio tra le concorrenti utilizzazioni,
attuali o potenziali, degli altri comproprietari, e non determini
pregiudizievoli invadenze dell’ambito dei coesistenti diritti di costoro
(nella specie, utilizzazione, da parte di un condomino, degli scariche
condominiali senza alterarne la destinazione e senza impedirne pari uso, attuale
o potenziali, agli altri condomini).
Nel
condominio degli edifici la comproprietà delle parti comuni indicate dall'art.
1117 del codice civile e, più in generale, che servono per l'esistenza e l'uso
delle singole proprietà immobiliari, alla quale si lega l'obbligo di
partecipazione alle relative spese di manutenzione e conservazione (che il comma
1 dell'art. 1123 c.c. pone a carico dei condomini in proporzione delle
rispettive quote, indipendentemente dalla misura dell'uso) ha il suo fondamento
nel collegamento strumentale, materiale o funzionale ed, in altri termini, nella
relazione di accessorio a principale con le singole unità (piani o porzioni di
piano) in proprietà individuale dell'immobile, per cui le cose, i servizi e gli
impianti necessari per l'esistenza e l'uso delle unità immobiliari di una parte
soltanto dell'edificio appartengono solo ai proprietari di queste (unità) e non
ai proprietari delle unità immobiliari dell'altra parte, rispetto alle quali
manca quel rapporto di pertinenza che è il presupposto necessario del diritto
di comunione. Ne consegue che le spese di manutenzione e conservazione delle
cose e degli impianti che servono solo una parte del fabbricato, formando
oggetto di condominio separato, debbono essere sostenute solo dai proprietari
delle unità immobiliari di questa parte, e non dagli altri, secondo il
principio generale del comma 3 dell'art. 1123 c.c., a norma del quale
"quando un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o
impianti le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di
condomini che ne trae utilità (nel caso specifico, è stato negato che i
proprietari dei box contenuti in un immobile che, benché posto all'interno del
perimetro condominiale delimitato da un muro di cinta, era separato
dall'edificio con le unità abitative, dovessero concorrere alle spese di
manutenzione della facciata di questo edificio). Cass.
Civ. 1255 - 02/02/95
In
materia di condominio negli edifici, al potere dell'assemblea del condominio di
deliberare, nelle forme e con le maggioranze prescritte, l'esecuzione delle
opere necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni e
per l'esercizio dei servizi condominiali, fa riscontro l'obbligo di ciascun
condomino di contribuire alle relative spese, discendente dalla titolarità del
diritto reale sull'immobile ed integrante un'obbligazione propter rem
preesistente all'approvazione, da parte dell'assemblea, dello stato di riparto,
ed in concreto direttamente correlato alla precedente deliberazione, di
esecuzione delle opere. Ne consegue che, quando la contestazione del condomino
investa, prima ancora che il quantum dell'obbligo di contribuzione, il relativo
an, è tale ultima deliberazione che deve essere impugnata nel termine di
decadenza di cui all'art. 1137, comma 3, c.c., ove si assuma essere la
deliberazione affetta da vizi formali, perché presa in violazione di
prescrizioni legali, convenzionali o regolamentari attinenti al procedimento di
convocazione o di informazione dell'assemblea, o da eccesso di potere o da
incompetenza; svincolata da tale termine è invece la delibera radicalmente
nulla perché esorbitante dai limiti delle attribuzioni dell'assemblea o
concernente innovazioni lesive dei diritti di ciascun condomino sulle cose o
servizi comuni o su quelle di proprietà esclusiva di ognuno di essi. Cass.
Civ. 1890 - 21/02/95
La
collocazione di una tubatura di scarico di un servizio, di pertinenza esclusiva
di un condomino, in un muro maestro dell'edificio condominiale, rientra nell'uso
consentito del bene comune, per la funzione accessoria cui esso adempie,
restando impregiudicata la domanda di condanna del risarcimento del danno, anche
in forma specifica, ossia mediante sostituzioni e riparazioni, proponibile per
le infiltrazioni derivatene alla proprietà, o comproprietà, di altro condomino
.Cass. civ.,
sent. n. 1162, 11 febbraio 1999, Sez. II
L'onere
di provare che tutti i condomini siano stati tempestivamente convocati, fa
carico al condominio. Tale prova non può essere offerta con la dimostrazione
della consegna di un avviso a soggetti quali non è stato conferito uno stabile
potere di rappresentanza nei confronti del condominio.
Parcheggio
- Rivendica del diritto reale nei confronti del venditore/costruttore -
litisconsorzio con gli altri condomini.
Qualora
alcuni condomini abbiano convenuto in giudizio il venditore - costruttore
dell'edificio, per rivendicare il diritto reale d'uso sull'area dell'edificio
destinata a parcheggio, non ricorre un'ipotesi di litisconsorzio necessario, nei
confronti degli altri condomini, ai quali pertanto non va notificato l'atto
d'impugnazione per l'integrazione del contraddittorio.
Cass. 25/03/99 - n. 2837
In
tema di condomini ed edifici, la ripartizione delle spese, per la manutenzione,
ricostruzione di soffitti, delle volte e dei solai, secondo i criteri previsti
dall'art. 1125 c. c., riguarda le ipotesi in cui le necessità delle riparazioni
non siano da attribuirsi ad alcuno dei condomini, mentre quando il danno sia
ascrivibile a singoli condomini, trova applicazione il principio generale
secondo cui il risarcimento dei danni è a carico di colui che li ha provocati.
Cass.
12/04/99 - n. 3568
Costituitosi
un rapporto pertinenziale tra beni a seguito della destinazione operata dal
proprietario della cosa principale, che ha piena che ha piena disponibilità
anche della cosa accessoria ( nella specie una veranda a servizio di un
appartamento, realizzata su un'area condominiale, dall'originario proprietario
costruttore dell'intero edificio), gli atti di disposizione aventi ad oggetto la
cosa principale, si estendo a quella accessoria. Ciò sempre che non intervenga
un atto del proprietario di cessazione della destinazione, vale a dire
l'esplicita esclusione della pertinenza in un atto avente in un atto avente ad
ogni oggetto la cosa principale o il compimento di un atto avente ad oggetto la
sola pertinenza.
Cass. 12/04/99 - n. 3574
Il
regolamento di condominio, predisposto dall'originario e unico proprietario
dell'intero edificio, ove accettato dagli iniziali acquirenti dei singoli piani
e regolarmente trascritto presso i registri immobiliari, assume carattere di
convenzionale e vincola tutti i successivi acquirenti, non solo con riferimento
alle clausole che disciplinano l'uso e il godimento dei servizi o delle parti
comuni, ma anche a quelle che restringono i poteri e le facoltà dei singoli
condomini sulle proprietà esclusive, venendo a costruire su queste ultime una
servitù reciproca.Cass. 15/04/99 -
n. 3749
L'umidità
conseguente ad un'inadeguata coibentazione delle strutture perimetrali di un
edificio, può integrare, ove sia promessa l'abitabilità e il godimento del
bene, grave difetto dell'edificio ai fini della responsabilità del costruttore,
ex art. 1669 c. c. Tuttavia qualora il fenomeno sia causa di danni a singoli
condomini, è responsabile in via autonoma, ex art. 2051 c. c., il condominio il
condominio, che è tenuto, quale custode, ad eliminare le caratteristiche lesive
insite nella cosa propria.
Cass. 15/04/99 - n. 3753
In
un condominio il lastrico di copertura di una parte individuata dell'edificio
condominiale, che ha la funzione, oltre che di copertura di tale parte, anche di
raccolta delle acque di scolo di altre parti dell'edificio, deve ritenersi
destinato a scrivere anche queste ultime. Conseguentemente le spese di
manutenzione devono essere ripartite fra tutti i condomini che ne traggono
utilità, tenendo conto della diversa utilità che ciascuna parte può trarne.
Cass. 16/04/99 - n. 3803
Il
sottotetto di un edificio può considerarsi pertinenza dell'appartamento sito
all'ultimo piano, soltanto ove assolva l'esclusiva funzione di isolare e
proteggere l'appartamento stesso dal caldo, dal freddo e dall'umidità, mediante
la creazione di una camera d'aria. Di contro tale principio non si applica
allorché il sottotetto abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da
consentire l'utilizzazione come vano autonomo, nel qual caso deve
presumersi di proprietà condominiale, se esso risulti in concreto, sia pure in
via potenziale, oggettivamente destinato all'uso comune o all'esercizio di un
interesse comune.
Cass. 28/04/99 n. 4266
La
disciplina del codice civile del condominio negli edifici deve essere applicata
ad ogni parte, bene e servizio comune che rientri, per la sua struttura e
destinazione, tra quelli indicati dall'art. 1117 c.c., a nulla rilevando che i
piani o porzioni di piano alla cui utilizzazione o migliore utilizzazione le
cose servono siano compresi in un edificio unico o in edifici autonomi per
effetto di successiva divisione.
Cass.
19 marzo 1994, n. 2609
L'uso
della cosa comune da parte di ciascun partecipante è sottoposto dall'art. 1102
c.c. a due limiti fondamentali, consistenti nel divieto di alterare la
destinazione della cosa comune e nel divieto di impedire agli altri partecipanti
di farne parimenti uso secondo il loro diritto. Pertanto, a rendere illecito
l'uso basta il mancato rispetto dell'una o dell'altra delle due condizioni,
sicché anche l'alterazione della destinazione della cosa comune determinato non
soltanto dal mutamento della funzione, ma anche dal suo scadimento in uno stato
deteriore, ricade sotto il divieto stabilito dall'art. 1102 cod. civ. Negli
edifici condominiali l'utilizzazione delle parti comuni con impianto a servizio
esclusivo di un appartamento esige non solo il rispetto delle regole dettate
dall'art. 1102 c.c., comportanti il divieto di alterare la destinazione della
cosa comune e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo
il loro diritto, ma anche l'osservanza delle norme del codice in tema di
distanze, onde evitare la violazione del diritto degli altri condomini sulle
porzioni immobiliari di loro esclusiva proprietà. Tale disciplina, tuttavia,
non opera nell'ipotesi dell'installazione di impianti che devono considerarsi
indispensabili ai fini di una reale abitabilità dell'appartamento, intesa nel
senso di una condizione abitativa che rispetti l'evoluzione delle esigenze
generali dei cittadini e lo sviluppo delle moderne concezioni in tema di igiene,
salvo l'apprestamento di accorgimenti idonei ad evitare danni alle unità
immobiliari altrui.
Cass.
Civ., 15 luglio 1995, n. 7752
L'unità
sistematica tra la disposizione dell'art. 1118 primo comma c.c., a norma del
quale il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni dell'edificio è
proporzionato al valore del piano o porzione di piano che gli appartiene, e la
disposizione del primo comma dell'art. 1123 c.c., per il quale le spese
necessarie per la conservazione ed il godimento delle parti comuni
dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le
innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura
proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, non impedisce, trattandosi
di norme derogabili, che siano convenzionalmente previste discipline diverse e
differenziate tra loro dei diritti di ciascun condomino sulle parti comuni (che
possono essere attribuiti in proporzione diversa - maggiore o minore - rispetto
a quella della sua quota individuale di piano o porzione di piano) e degli oneri
di gestione del condominio, che possono farsi gravare sui singoli condomini
indipendentemente dalla rispettiva quota di proprietà delle cose comuni o
dall'uso. (Nella specie, è stata riconosciuta la validità dell'accordo che
attribuiva ai condomini, proprietari di unità abitative di diverso valore, un
uguale diritto dominicale sulle parti comuni prevedendo la formazione di tabelle
millesimali solo ai fini della ripartizione delle spese di manutenzione e
pulizia delle stesse).
Cass.
Civ., 08 luglio 1995, n. 7546
L'amministratore
del condominio, che è responsabile dei danni cagionati dalla sua negligenza.
dal cattivo uso dei poteri e in genere di qualsiasi inadempimento degli obblighi
legali o regolamentari. non può essere ritenuto responsabile, ancorché sia
tenuto a far osservare il regolamento condominiale, dei danni cagionati
dall'abuso dei condomini nell'uso della cosa comune, non essendo dotato di
poteri coercitivi e disciplinari nei confronti dei singoli condomini - salvo che
il regolamento di condominio, ai sensi dell'art. 70 att. c.c., preveda la
possibilità di applicazione di sanzioni nei confronti dei condomini che violano
le norme da esso stabilite sull'uso delle cose comuni - né obbligato a
promuovere azione giudiziaria contro i detti condomini in mancanza di una
espressa disposizione condominiale o di una delibera assembleare.Cass.
civ., sez. II, 20 agosto 1993, n. 8804
AMMINISTRAZIONE DELLA
COSA COMUNE E INERZIA DELL'ASSEMBLEA |
Il
ricorso all'Autorità giudiziaria in sede di volontaria giurisdizione, previsto
dall'art. 1105, quarto comma, Codice civile, presuppone l'inerzia dell'assemblea
nell'adottare quei provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa
comune, o provvedimenti dell'amministratore che non esegua le decisioni prese
dall'organo deliberante l'atto. Ne consegue che, ove tale presupposto venga
meno, ancorché l'A.G. sia già intervenuta, per esercitare i poteri di
supplenza conferitale dalla norma in esame, è consentito ai condomini di
provvedere all'amministrazione della cosa comune attraverso i propri organi.
Tribunale
Napoli, sez. X, 10 febbraio 2000, n. 1927
PRESUNZIONE DI COMUNIONE
SULLE PARTI COMUNI |
La
presunzione di comunione, tra i condomini di un edificio condominiale, delle
parti comuni indicate dall'art. 1117, Codice civile, può esser superata
soltanto se il contrario risulta dal titolo, non dalla singola situazione di
fatto ( principio affermato dalla Cassazione in una specie in cui unitamente
all'acquisto del primo piano era stato acquistato, in proprietà esclusiva,
l'accesso ad esso da una scala esterna, mentre era stato murato l'altro accesso
attraverso una scala interna comune, che però costituiva l'unico transito per
accedere ai lastrici solari, comuni anche al proprietario del primo piano ).
Cass.
civ., sez. II, 22 marzo 2000, n. 3409
SUOLO SU CUI SORGE
L'EDIFICIO |
Il
suolo, su cui sorge un edificio condominiale, di proprietà comune, ai sensi
dell’articolo 1117 del Cc, è la porzione di terreno sulla quale viene a
poggiare l’intero edificio e, immediatamente, la parte infima dello stesso e,
per effetto, degli articoli 1117 e 840 del Cc, lo spazio sottostante, che
costituisce il sottosuolo, in mancanza di titolo che ne attribuisca la
proprietà esclusiva a uno dei condomini, deve considerarsi in proprietà
comune, indipendentemente dalla sua destinazione. Deriva, da quanto precede, che
ove i proprietari del piano terreno abbiano eseguito uno sbancamento del terreno
sottostante con un abbassamento del pavimento di circa 50 centimetri, con tale
opera costoro non hanno realizzato un intervento necessario e indispensabile per
la messa in opera dei manufatti, o di rinforzo delle fondazioni, ma hanno
sottratto il sottosuolo comune a vantaggio del singolo comunista, con
conseguente violazione del combinato disposto degli articoli 1117 e 840 del Cc.
Cassazione,
Sezione II, sentenza 19 marzo 1996 n. 2295
Per
il combinato disposto degli artt. 1117 e 840 c.c., il sottosuolo costituito
dalla zona esistente in profondità al di sotto dell'area superficiaria che è
alla base dell'edificio condominiale, ancorché non menzionato espressamente da
detto art. 1117, va considerato di proprietà comune in mancanza di un titolo
che ne attribuisca la proprietà esclusiva a uno dei condomini, e ciò anche con
riguardo alla funzione di sostegno che esso contribuisce a svolgere per la
stabilità del fabbricato. Pertanto, un condomino non può senza il consenso
degli altri partecipanti alla comunione procedere alla escavazione in
profondità del sottosuolo per ricavarne nuovi locali o per ingrandire quelli
preesistenti, giacché con l'attrarre la cosa comune nell'orbita della sua
disponibilità esclusiva, viene a ledere il diritto di proprietà dei condomini
su una parte comune dell'edificio. L'esercizio della facoltà di ogni condomino
di servirsi della cosa comune, nei limiti indicati dall'art. 1102 c.c., deve
esaurirsi nella sfera giuridica e patrimoniale del diritto di comproprietà
sulla cosa medesima e non può essere esteso, quindi, per il vantaggio di altre
e diverse proprietà del medesimo condomino perché in tal caso si verrebbe ad
imporre una servitù sulla cosa comune per la cui costituzione è necessario il
consenso di tutti i condomini.
Cass.
23 dicembre 1994 - n. 11138
La
facciata e il relativo decoro architettonico di un edificio costituiscono un
modo di essere dell'immobile e così un elemento del modo di godimento da parte
del suo possessore; di conseguenza la modifica della facciata, comportando una
interferenza nel godimento medesimo, può integrare una indebita turbativa
suscettibile di tutela possessoria.
Cass.
Civ., 22 giugno 1995, n. 7069
Per
decoro architettonico del fabbricato, ai fini della tutela prevista dall'art.
1120 c.c., deve intendersi l'estetica data dall'insieme delle linee e delle
strutture che ne costituiscono la nota dominante ed imprimono alle varie parti
dell'edificio, nonché all'edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata,
armonica, fisionomia, senza che occorra che si tratti di edificio di particolare
pregio artistico. L'indagine volta a stabilire se, in concreto, un'innovazione
determini o meno alterazione del decoro architettonico, è demandata al giudice
del merito, il cui apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità, se
congruamente motivato. L'art. 1120 c.c., nel richiedere che le innovazioni della
cosa comune siano approvate dai condomini con una determinata maggioranza, mira
essenzialmente a disciplinare l'approvazione di innovazioni che comportino una
spesa da ripartire tra tutti i condomini su base millesimale. Ne consegue che,
quando le spese debbano far carico esclusivamente al gruppo di condomini che ne
trae utilità, trattandosi di innovazioni destinate a servire solo una parte
dell'edificio condominiale (art. 1123), terzo comma, c.c., il computo della
maggioranza prescritta dal primo comma dell'art. 1120 c.c. deve operarsi con
riferimento ai soli condomini interessati, ossia a quelli facenti parte di detto
gruppo.
Cass.
Civ., 8 giugno 1995, n. 6496
L'atto
costitutivo del condominio può senz'altro sottrarre al regime della
condominialità, di cui all'art. 1117 c.c., i pianerottoli di accesso dalle
scale ai singoli appartamenti e riservarli, in tutto o in parte, al dominio
personale esclusivo dei proprietari di questi.
Cass.
23 febbraio 1994, n. 1776
La
trasformazione in tutto o in parte nell'ambito di un condominio di un bene
comune in bene esclusivo di uno dei condomini può essere validamente deliberata
soltanto all'unanimità, ossia mediante una decisione che abbia valore
contrattuale. Nella specie la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito
la quale aveva dichiarato la nullità della deliberazione dell'assemblea presa a
maggioranza con cui un condomino era stato autorizzato ad aprire un varco nel
tetto, trasformandolo in terrazza a livello per il proprio uso esclusivo.
Cass.
26 ottobre 1994, n. 8777
In
tema di edifici in condominio, affinché una terrazza a livello, che esplichi
anche funzioni di copertura dei piani sottostanti, possa ritenersi di proprietà
esclusiva del proprietario dell'appartamento da cui si accede alla terrazza
stessa, ove tale appartenenza non risulti dal titolo, è necessario che essa
faccia parte integrante da un punto di vista strutturale e funzionale del piano
cui è annessa, di guisa che la funzione di copertura dei piani sottostanti si
profili come meramente sussidiaria.
Cass.
22 aprile 1994, n. 3832
Posto
che il partecipante alla comunione può usare della cosa comune per un suo fine
particolare, con la conseguente possibilità di ritrarre dal bene una utilità
specifica aggiuntiva rispetto a quelle che vengono ricavate dagli altri, con il
limite di non alterare la consistenza e la destinazione di essa, o di non
impedire l'altrui pari uso, il passaggio su una strada comune, in origine
destinata a servire alcuni, determinati fondi di proprietà esclusiva, che venga
effettuato da un comunista anche per accedere ad altro fondo, a lui appartenente
in proprietà esclusiva, di per sè non raffigura un godimento vietato, a norma
dell'art. 1059, primo comma, c.c., non comportando la costituzione di una
servitù sul bene comune, perché non si risolve nella modifica della
distinzione di questo, né nell'impedimento dell'altrui pari diritto.
Cass. 03/02/94 - n. 1104
La
legge n. 392 del 1978 (cosiddetta dell'equo canone) disciplina i rapporti tra
locatore e conduttore, senza innovare in ordine alla normativa generale sul
condominio negli edifici, sicché l'amministratore ha diritto - ai sensi del
combinato disposto degli artt. 1123 c.c. e 63 att. stesso codice - di riscuotere
i contributi e le spese per la manutenzione delle cose comuni ed i servizi
nell'interesse comune direttamente ed esclusivamente da ciascun condomino,
restando esclusa un'azione diretta nei confronti dei conduttori delle singole
unità immobiliari (contro i quali può invece agire in risoluzione il locatore
ex art. 5 della citata legge n. 392 del 1978, per il mancato rimborso degli
oneri accessori), anche con riguardo alle spese del servizio comune di
riscaldamento ancorché questi ultimi abbiano diritto di voto, in luogo del
condomino locatore, nelle delibere assembleari riguardanti la relativa gestione.
Cass.
20 gennaio 1994, n. 476
Il
contenuto ed i limiti della servitù di passaggio vanno desunti dal titolo
costitutivo interpretato, ove occorra, anche in rapporto alla situazione dei
luoghi senza che questa possa assumere rilievo autonomo e preponderante. In ogni
caso, ove il titolo per la sua formulazione presenti dei dubbi sulle modalità
di esercizio, la servitù deve ritenersi costituita in guisa da soddisfare il
bisogno del fondo dominante con il minor aggravio del fondo servente, sicché
correttamente viene riscontrata dal giudice di merito la sola servitù di
passaggio pedonale, ove non si possano ravvisare gli estremi del passaggio
carrabile.
Cass.
Civ., 07 agosto 1995, n. 8643
In
tema di condominio di edifici, l'obbligo di vigilare e mantenere il bene comune
(nella specie il pozzo) in stato da non creare danni ad altri condomini o a
terzi estranei al condominio, incombe su tutti gli aventi diritto senza che
rilevi l'ubicazione della cosa comune rispetto alle proprietà esclusive.
Cassazione
del 17/04/1998 n° 3887
L'art.
1102 c.c. intende assicurare al singolo partecipante, per quel che concerne
l'esercizio del suo diritto, la maggior possibilità di godimento della cosa
comune, nel senso che, purché non resti alterata la destinazione del bene
comune e non venga impedito agli altri partecipanti di fare parimenti uso della
cosa, egli deve ritenersi libero di servirsi della cosa stessa anche per fine
esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilità, senza che possano
costituire vincolo per lui forme più limitate di godimento attuate in passato
dagli altri partecipanti, e può scegliere, tra i vari possibili usi quello più
confacente ai suoi personali interessi. (Nella specie si è escluso che esorbiti
dal corretto uso della cosa comune la transennatura e l'occupazione periodica di
un portico con legna da parte di un condomino, in assenza di prova del carattere
stabile dell'occupazione e di un apprezzabile pregiudizio per gli altri
condomini).
Cass.
05 settembre 1994, n. 7652
La
disciplina dell'accessione contenuta nell'art. 934 c.c. si riferisce solo alle
costruzioni (o piantagioni) su terreno altrui e non anche alle costruzioni
eseguite da uno dei comproprietari sul terreno comune, per le quali debbono
ritenersi, invece, applicabili le norme sul condominio ed, in particolare, la
disposizione dell'art. 1120 c.c., che vieta, tra l'altro, le innovazioni che
rendano alcune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento di
altri condomini, a meno che non vi sia il consenso di questi, nella forma
scritta richiesta, a pena di nullità, per la costituzione di diritti reali su
beni immobili.
Cass.
civ., sez. II, 18 aprile 1996, n. 3657
In
tema di uso della cosa comune, non può ritenersi consentita l'installazione, da
parte di un condomino, per suo esclusivo vantaggio ed utilità, di un cancello
in un certo punto di un viottolo comune, destinato fin dalla costituzione del
condominio al passaggio dei condomini, per l'accesso, tra l'altro, a vani di
proprietà esclusiva dei medesimi (nei quali sono sistemate e custodite, nella
specie, le utenze domestiche di ciascuno di essi), in quanto detta installazione
costituisce - anche in caso di messa a disposizione degli altri condomini delle
chiavi del cancello - una modificazione delle modalità di uso o di godimento
della cosa comune, che interferisce sul "pari uso" della stessa
spettante agli altri condomini.
Cass.
Civ., 25 novembre 1995, n. 11227
INNOVAZIONI E
SOPRAELEVAZIONI |
Poiché
l'uso della cosa comune è sottoposto dall'art. 1102 c.c. ai due limiti
fondamentali consistenti nel divieto per ciascun partecipante di alterarne la
destinazione e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso
secondo il loro diritto, esso non può estendersi alla occupazione di una parte
del bene comune, tale da portare, nel concorso degli altri requisiti di legge,
alla usucapione della parte occupata.
La
normativa dell'art. 936 c.c. postula che autore delle opere realizzate su suolo
altrui sia un terzo e, pertanto, non potendo qualificarsi come tali il titolare
di un qualsiasi diritto, di natura reale o personale avente oggetto il fondo su
cui le opere sono state eseguite, la normativa suddetta non si applica quando
l'autore delle opere sia uno dei comproprietari del fondo. Ove una fattispecie
trovi specifica disciplina nell'art. 1102, che regola l'uso della cosa comune da
parte dei partecipanti alla comunione, è preclusa l'applicazione alla stessa,
in via analogica, dell'art. 936 c.c. in materia di accessione, non essendo
consentito il ricorso alle disposizioni che regolano casi simili o materie
analoghe (c.d. analogia legis) in assenza di una qualsivoglia lacuna
dell'ordinamento.
L'art.
1127 c.c. in tema di sopraelevazione sopra l'ultimo piano dell'edificio, essendo
inserito nella regolamentazione del condominio, più specifica rispetto a quella
della comunione in generale, ed avendo, nel comma 1, quale destinatario il
proprietario dell'ultimo piano dell'edificio, postula una divisione della
proprietà in senso orizzontale e non trova pertanto applicazione nella
comunione disciplinata negli artt. da 1100 a 1116 cod. civ.In materia di
innovazioni e di altri atti eccedenti l'ordinaria amministrazione il consenso
dei partecipanti alla comunione deve risultare espresso nelle forme previste
dall'art. 1108 cod. civ.
Cass.
14 dicembre 1994 - n. 10699
La
norma dell'art. 938 c.c., che disciplina la cosiddetta accessione invertita, ha
carattere eccezionale - in quanto derogativa sia del principio dell'accessione
("quod inaedificatur solo cedit"), sia di quello secondo cui il
proprietario ha diritto di disporre della propria cosa in maniera piena ed
esclusiva - e come tale non può trovare applicazione nell'ipotesi di
costruzione eseguita in tutto o in parte su un suolo di proprietà comune del
costruttore e di terzi, nella quale si applicano le norme sulla comunione, senza
che sia eccepibile una disparità di trattamento tra comunista e terzo,
rientrando nella discrezionalità del legislatore la delimitazione del campo di
operatività dell'accessione invertita. (Fattispecie relativa alla costruzione
eseguita su un cortile destinato all'uso comune degli edifici che lo
circondano).
Cass.
civ., sez. II, 14 novembre 1996, n. 9982
ALTERAZIONE DELLA
DESTINAZIONE |
L'art.
1102 cod. civ., nel regolare i diritti dei partecipanti alla comunione,
prescrive che in ogni caso non può essere alterata la destinazione della cosa
comune, sicché solo le modificazioni di questa, in quanto consentano il pari
uso secondo il diritto di ciascuno, rientrano nella previsione legale, mentre è
vietata ogni diversa attività innovatrice. (Nella specie, alla stregua del
principio enunciato, è stata giudicata corretta la decisione che ha ritenuta
vietata la costruzione di un terrazzo pensile soprastante un cortile comune, con
la costruzione, inoltre di gradini e di un'aiuola sul cortile stesso).
Cass.
civ., sez. II, 26luglio 1983, n. 5132
La
destinazione della cosa comune - che, a norma dell'ari. 1102 c.c., ciascun
partecipante alla comunione non può alterare - dev'essere determinata
attraverso elementi economici, quali gli interessi collettivi appagabili con
l'uso della cosa, giuridici, quali le norme tutelanti quegli interessi, e di
fatto, quali le caratteristiche della cosa; e dev'essere cassata con rinvio la
sentenza del merito che esclude essere stata alterata la destinazione di un
pozzo comune dalla costruzione di un impianto di adduzione dell'acqua ad una
casa di proprietà singola, senza accertare se ciò abbia implicato limitazioni
allo sfruttamento da parte degli altri partecipanti.Cass.
civ., sez. II, 22 novembre 1976, n. 4397
La
disciplina dei giochi dei bambini nei viali del cortile-giardino condominiale
non integra un'occupazione degli stessi né un'alterazione della destinazione
della cosa comune, con impedimento del pari uso degli altri condomini,
risolvendosi in una forma di utilizzazione diversa da quella normale ma non
illegittima, essendo compatibile con la destinazione del bene. Essa può, di
conseguenza, essere disposta dall'assemblea con deliberazione adottata con la
maggioranza prevista dall'art. 1136 cod. civ., ancorché il regolamento di
condominio di natura contrattuale vieti l'occupazione delle parti comuni da
parte dei condomini.
Cass.
civ., sez. II, 8 luglio 1981, n. 4479
L'utilizzazione
del cortile comune come spazio destinato al gioco limitatamente ai soli bambini
di età inferiore ai dodici anni, integra un uso aggiuntivo della cosa comune la
cui disciplina è rimessa alla volontà dell'assemblea, la quale ben può
deliberare sul punto con la maggioranza di cui all'art. 1136.
Trib.
civ. Milano, 28 gennaio 1991, n. 604
L'utilizzazione
per il gioco dei bambini di una parte assai limitata dell'area verde consortile
non contrasta con la destinazione a giardino prevista, per quella stessa area,
dal Regolamento consortile, ma ne costituisce unicamente un migliore e più
intenso godimento per soddisfare esigenze che pure appaiono insopprimibili e,
comunque, senz'altro meritevoli di tutela nella vita di un condominio.
Trib.
civ. Milano, 3 ottobre 1991, n. 767
La
norma di un regolamento condominiale che disciplina il criterio di ripartizione
delle spese di manutenzione relative al campo da tennis condominiale non
pregiudica il godimento del campo anche a favore dei figli dei proprietari degli
appartamenti non residenti nel condominio, godimento configurabile quale uso
indiretto della cosa comune.
Trib. civ. Milano, 28 febbraio 1991, n. 603
La
norma di cui all'art. 1117 c.c., che include le scale tra le cose che si
presumono comuni, ove non risulti espressamente dal titolo, non è limitata
all'ipotesi di edifici divisi per piano, ma è applicabile, per analogia, anche
quando si tratti di edifici limitrofi appartenenti a proprietari diversi,
persino se aventi caratteristiche di edifici autonomi, sempre che le cose di cui
si controverte, pur insistenti sull'area di uno solo di essi (o a cavallo del
confine), risultino destinate oggettivamente e stabilmente alla conservazione o
all'uso di entrambi gli edifici medesimi.
Cass.
Civ. 2324 - 01/03/95
Nel
caso in cui un cortile a livello del piano stradale, che sia in uso esclusivo al
condominio, funga da copertura ad un locale cantinato di proprietà di un terzo,
ove dalla cattiva manutenzione del cortile siano derivate infiltrazioni d'acqua
nel sottostante locale, l'obbligazione risarcitoria del condominio trova la sua
fonte, non già nelle norme in materia di ripartizione degli oneri condominiali
di cui agli artt. 1123, 1125 e 1126 c.c., bensì nel disposto dell'art. 2051
c.c., con la conseguenza che, ai fini dell'accertamento della responsabilità,
è sufficiente che il danneggiato fornisca la prova di una relazione tra la cosa
in custodia e l'evento dannoso (che risulti riconducibile ad una anomalia,
originaria o sopravvenuta nella struttura e nel funzionamento della cosa
stessa), nonché dell'esistenza di un effettivo potere fisico su di essa da
parte del custode, sul quale incombe il dovere di vigilare onde evitare che
produca danni a terzi.
Cass.
Civ. 2861 - 11/03/95
Poiché
il lastrico solare dell'edificio (soggetto al regime del condominio) svolge la
funzione di copertura del fabbricato anche se appartiene in proprietà
superficiaria o se è attribuito in uso esclusivo ad uno dei condomini,
all'obbligo di provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione sono
tenuti tutti i condomini, in concorso con il proprietario superficiario o con il
titolare del diritto di uso esclusivo. Pertanto, dei danni cagionati
all'appartamento sottostante per le infiltrazioni d'acqua provenienti dal
lastrico, deteriorato per difetto di manutenzione, rispondono tutti gli
obbligati inadempienti alla funzione di conservazione, secondo le proporzioni
stabilite dal citato art. 1126, vale a dire, i condomini ai quali il lastrico
serve da copertura, in proporzione dei due terzi, ed il titolare della
proprietà superficiaria o dell'uso esclusivo, in ragione delle altre utilità,
nella misura del terzo residuo.
Cass.
Civ. 29/04/97 – 3672
AUTORIZZAZIONE ASSEMBLEARE |
La
deliberazione dell'assemblea condominiale. con la quale venga autorizzato l'uso
di un bene comune in modo incompatibile con l'utilizzazione ed il godimento di
parti dell'edificio di proprietà di un singolo condomino, è illegittima
indipendentemente dalla circostanza che, per ragioni contingenti e transitorie,
il bene di proprietà individuale ed esclusiva non sia attualmente utilizzato
secondo la sua naturale destinazione (In base al suddetto principio la S.C. ha
ritenuto corretta la decisione del giudice di merito che aveva dichiarato la
illegittimità di una delibera con la quale era stata decisa l'utilizzazione
come parcheggio di un'area condominiale sotto il profilo che detto uso avrebbe
ostacolato l'accesso ad alcuni locali di proprietà individuale destinati ad
essere utilizzati come autorimesse, a nulla rilevando che detto uso non fosse
attuale per la necessità di realizzare alcuni lavori di rifinitura e di
adattamento dell'immobile).
Cass.
civ., sez. II, 5 settembre 1989, n. 3858
Nel
condominio di edifici allorquando una deliberazione dell'assemblea condominiale,
la quale sancisce un determinato uso della cosa comune, venga adottata con il
voto unanime dei partecipanti al condominio, l'atto conserva la sua validità
anche se abbia, in ipotesi, a limitare il godimento di alcuno dei condomini.
Cass.
civ., sez. II, 27 giugno 1987, n. 5709
CONCESSIONI
AMMINISTRATIVE |
In
tema di condominio negli edifici, qualora uno dei condomini, senza violare i
limiti di cui all'art. 1102 c.c., faccia uso della cosa comune (nella specie
mediante la costruzione di un comignolo sul tetto dell'edificio), la mera
mancanza delle concessioni o autorizzazioni amministrative non può essere
invocata dal condominio quale fonte di risarcimento del danno, riflettendosi
esclusivamente nei rapporti tra il privato e la pubblica amministrazione.Cass.
civ., 8 agosto 1990, n. 8040
Quando
tra alcuni comunisti insorga controversia sulle modalità di uso della cosa
comune, ancorché riguardanti una modificazione che, non incidendo
sull'estensione dei diritti degli altri partecipanti (art. 1102, comma secondo,
cod. civ.) né eccedendo l'ordinaria amministrazione (ari. 1108 cod. civ.),
tende al suo migliore godimento, nel giudizio instaurato fra i comunisti in
disaccordo, non v'è litisconsorzio necessario di tutti gli altri partecipanti
alla comunione.
Cass.
civ., sez. II, 27 gennaio 1988, n. 734
Il
condomino, il quale denunci la violazione dei limiti che debbono osservarsi dai
singoli condomini nell'uso della cosa comune, assumendo che taluno di quelli
abbia destinato parte della cosa stessa al servizio della sua proprietà
esclusiva e, così, impedito l'esercizio sulla medesima del concorrente diritto
di tutti gli altri condomini, propone un'azione reale che va ricondotta nel
paradigma delle azioni negatorie, il cui valore deve essere determinato a norma
dell'art. 15 cod. proc. civ. e, in particolare, in base al criterio sussidiario
previsto dall'ultimo comma essendo venuto meno - a seguito della abolizione
delle imposte reali e la loro sostituzione con l'imposta sul reddito delle
persone fisiche (art. 82 del d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597) - il criterio del
riferimento al tributo diretto verso lo Stato.
Cass.
civ., sez. II, 6 luglio 1984, n. 3964
Lo
stabilire se un determinato uso della cosa comune da parte del singolo condomino
(nella specie: posa di tubazioni) rientri o meno tra quelli consentiti è
compito del giudice del merito la cui valutazione è incensurabile in sede di
legittimità, se adeguatamente motivata.
Cass.
civ., sez. II, 13 marzo 1982, n. 1624
Nella
controversia concernente l'inosservanza delle norme condominiali riguardanti la
condotta dei condomini nell'uso o godimento delle cose comuni, sono legittimati
passivi, in assenza di dolo o colpa da parte dell'amministratore, solo coloro
che in effetti abbiano compiuto le trasgressioni e cioè i singoli condomini,
tenuti ad osservare le regole di condotta dettate dal regolamento.
Cass.
civ., sez. II, 11 febbraio 1974, n. 397
L'indagine
sulla illiceità o meno dell'uso della cosa comune, da parte del condomino di
edificio, va condotta alla stregua degli obiettivi criteri legali della
sussistenza o meno di un pregiudizio alla cosa medesima, ovvero di una lesione
del diritto di godimento spettante agli altri partecipanti, mentre rimane
irrilevante, a tal fine, ogni valutazione sulla concreta idoneità di quell'uso
ad arrecare utilità al suo autore, salva la configurabilità di atti
d'emulazione, ai sensi ed agli effetti di cui all'art. 833 c.c. Nel contrasto
fra le parti, il giudice è chiamato a dichiarare la volontà concreta della
legge nel fatto dedotto ed accertato, non anche ad indicare astrattamente quali
fatti sarebbero conformi o meno a diritto. Pertanto, nella controversia diretta
a stabilire la liceità od illiceità di una determinata opera, eseguita da un
condomino su parte comune di edificio (nella specie, vetrina apposta su muro
perimetrale), non può ritenersi consentito di richiedere al giudice di indagare
o pronunciarsi su quali eventuali modifiche di quell'opera potrebbero
assicurarne la liceità.
Cass.
civ., sez. II, 30 maggio 1978, n. 2749
A
norma dell'art. 1103 cod. civ., la vendita di quota di bene indiviso è
ammissibile e valida, senza che gli altri comproprietari abbiano diritto di
opporsi, e, pertanto, se in un contratto di vendita è indicato che il bene
appartiene a più persone e solo alcune di esse lo sottoscrivono, non può
negarsi a priori la validità della vendita delle singole quote, a meno che non
ricorra l'inscindibilità della prestazione, da dedursi e verificarsi nel
giudizio di merito.Cass.
civ., sez. II, 28 ottobre 1982. n. 5647
Qualora
il compartecipe alieni la sua quota della proprietà indivisa, l'acquirente
subentra nella comunione al posto dell'alienante, ma se l'alienazione riguarda
non la quota ma la parte determinata corrispondente alla quota e vi sia
l'assenso di tutti gli altri compartecipi, si ha una vera e propria divisione o
atto equiparato alla divisione, perché si realizza il risultato tipico della
divisione. Pertanto, se chi chiede la divisione non contesta l'avvenuto
scioglimento nei modi predetti, l'oggetto della pretesa si riduce ad un mero
accertamento, ma se lo contesta e non risultano provati nelle forme idonee la
divisione o i suoi surrogati, va disposta la divisione, ma il fatto storico
rimane, con la conseguenza che ognuno deve imputare alla sua quota ciò che ha
ricevuto, con le rivalutazioni del caso e con le responsabilità conseguenti,
giacché la stima per la divisione è coeva alla sua attuazione.
Cass.
civ., sez. II, 8 febbraio 1982, n. 753
In
tema di comunione, il diritto di ciascun partecipante di cedere ad altri il
godimento della cosa, nei limiti della sua quota (art. 1103 cod. civ.), implica
che al partecipante medesimo deve riconoscersi anche la facoltà di costituire,
sempre nei limiti della sua quota. un diritto reale di uso a favore di un terzo.
Cass.
civ., sez. II, 18 luglio 1980, n. 4706
La
rinunzia abdicativa del partecipante ad una comunione, in quanto determina
l'accrescimento della quota rinunciata a favore degli altri partecipanti, ha una
funzione satisfattiva-liberatoria; ne consegue che il rinunziante, con la
dismissione del proprio diritto (reale) si libera delle obbligazioni (propter
rem) a quel diritto collegate, e queste vanno a carico dei rimanenti
partecipanti.
Cass.
civ., sez. II, 23 agosto 1978, n. 3931
Il
trasferimento della proprietà esclusiva di una porzione di piano di un edificio
in condominio comporta altresì il trasferimento delle parti oggetto di
proprietà comune, salvo che il trasferimento di queste ultime non risulti
espressamente escluso dal titolo.
Cass.
civ., sez. II, 25 luglio 1978, n. 3719
L'art.
1117 n. 3, c.c., elenca, in via del tutto esemplificativa, le opere, le
installazioni e i manufatti di qualunque genere che servono all'uso comune e che
il legislatore ha voluto comuni ai proprietari dei diversi piani o porzioni di
piano di un edificio, facendo salva la diversa volontà di detti proprietari o
del loro autore; conseguentemente, un forno sistemato su un pianerottolo comune,
in difetto di un titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei
proprietari, ben può ritenersi destinato all'uso e al godimento comune, come
accessorio di parti od opere comuni, da presumersi del pari comune.
Cass.
civ., sez. II, 14 marzo 1977, n. 1030
L'atto
scritto, che è necessario per lo scioglimento della comunione e la divisione
della proprietà immobiliare, ai sensi dell'art. 1350 n. 11 cod. civ., non
occorre invece per la semplice attribuzione, ferma rimanendo la comproprietà,
fra gli aventi diritto, di un godimento separato del bene comune che può essere
validamente attuata anche con convenzione verbale.
Cass.
civ., sez. II, 28 febbraio 1984, n. 1428
Il
cavedio – talora denominato chiostrina, vanella o pozzo luce – è un cortile
di piccole dimensioni, circoscritto dai muri perimetrali e dalle fondamenta
dell’edificio comune, destinato prevalentemente a dare aria e luce a locali
secondari ( quali ad esempio bagni, disimpegni, servizi ), e perciò sottoposto
al medesimo regime giuridico del cortile, espressamente contemplato dall’ art.
1117, n. 1, Codice civile, tra i beni comuni, salvo specifico titolo contrario.
Cass. civ., sez.II, 7 aprile 2000,
n.4350.
L'art.
1102, primo comma, cod. civ. assoggetta l'uso della cosa comune da parte di
ciascun condomino al duplice limite di non alterarne la destinazione e di non
impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto;
e tale principio vale, ovviamente, anche per le modificazioni che il condomino,
ai sensi della stessa norma, voglia apportare a proprie spese per il miglior
godimento della cosa comune.
Cass.
civ., sez. II, 18 marzo 1987, n. 2722
La
norma dell'ari. 1102 c.c., concernente la facoltà del condomino di apportare
modifiche a sue spese per il migliore godimento della cosa comune, è derogabile
per regolamento condominiale avente efficacia contrattuale in quanto
sottoscritto da tutti i condomini, ma tale deroga deve risultare in modo
espresso e non può ritenersi implicitamente disposta per la previsione nel
regolamento dell'assoggettamento a delibera assembleare (a maggioranza
qualificata) delle modificazioni alle cose comuni finalizzate al miglior
godimento delle cose stesse, da parte della pluralità condominiale, dato che
queste ultime comportano non solo l'incidenza della spesa su tutti i condomini,
ma altresì la modifica in tutto o in parte nella materia o nella forma ovvero
nella destinazione di fatto o di dritto della cosa comune, a differenza delle
modificazioni apportabili dal singolo condomino, che non possono incidere che
sul pari uso (anche potenziale) degli altri condomini.Cass.
civ., sez. II, 5 ottobre 1992, n. 10895
Le
due condizioni d'uso della cosa comune, consistenti, a norma dell'art. 1102
c.c., nella non alterazione della cosa stessa e nel non impedimento agli altri
comproprietari di farne parimenti uso secondo il loro diritto, debbono
necessariamente coesistere, onde a rendere illecito l'uso è sufficiente la sola
alterazione della cosa, determinata non solo dal mutamento della sua funzione ma
anche dal suo scadimento a deteriore condizione.Cass.
civ., sez. II, 26 gennaio 1976, n. 247
L'uso
da parte di ciascun condomino - nonché del locatario che da quest'ultimo ha
causa - della cosa comune e delle parti comuni di una cosa è sottoposto, ai
sensi dell'art. 1102 cod. civ., al divieto di alterare la destinazione della
cosa comune, nonché a quello di impedire agli altri partecipanti di farne
parimenti uso secondo il loro diritto, con preminenza dell'osservanza del primo
divieto potendosi avere salvaguardia degli interessi dei condomini solo col
rispetto della destinazione attualmente impressa alla cosa comune. L'accertare
se gli atti e le opere dei singoli condomini, miranti ad una intensificazione
del proprio godimento della cosa comune, siano conformi o meno alla destinazione
della cosa comune, è compito del giudice del merito, incensurabile in sede di
legittimità se congruamente motivato. (In applicazione del principio di cui
alla massima, è stata ritenuta corretta la decisione del giudice del merito
che, sulla base di una norma del regolamento di condominio che prevedeva una
espressa autorizzazione condominiale, ha affermato che l'apposizione di
cartelloni pubblicitari sulla facciata non può essere considerata esplicazione
del normale uso di godimento della cosa).
Cass. civ., sez. II, 18 luglio 1984, n. 4195
Il
limite al diritto di godimento spettante a ciascun condomino iure proprietatis
sulle parti comuni - nella specie divieto di sosta, anche per il carico e
discarico di masserizie, in tutti gli spazi comuni dell'edificio - disposto dal
regolamento condominiale nell'interesse comune e accettato nei singoli atti
d'acquisto, ha natura negoziale e perciò può essere modificato soltanto per
iscritto e con il consenso unanime dei condomini.Cass.
civ., sez. II, 28 gennaio 1997, n. 854
La
coesistenza di una comunione d'uso e di separate proprietà esclusive in
relazione ad un determinato bene, possibile quando proprietari di esso siano dei
privati, in quanto è compatibile con il godimento o uso comune del bene, la
proprietà esclusiva di sue parti separate, intesa come residua facoltà di
disposizione di esse, va esclusa quando invece i proprietari siano due enti
pubblici territoriali ed il bene sia un bene demaniale (nella specie, una
strada), poiché la demanialità esclude la facoltà di disposizione e l'unico
modo di esercizio della facoltà di godimento da parte dei suddetti enti
pubblici, in relazione alla natura del bene, è quello della destinazione al
pubblico transito, coincidente con la sua comunione d'uso.Cass.
civ., sez. I, 11 maggio 1983, n. 3246
Poiché
l'art. 1102 cod. civ. vieta le utilizzazioni della cosa comune che impediscono
agli altri condomini di continuare a farne uso in conformità alla sua
destinazione, il condomino di un edificio non può, eseguendo una costruzione in
appoggio al muro perimetrale comune (nella specie: tettoia), chiudere le
aperture del medesimo destinate a dare luce ad un vano di proprietà di altro
condomino, sicché tale opera che sia stata eseguita lecitamente al momento
della sua realizzazione, non può essere frustrata da una siffatta utilizzazione
successiva della cosa comune pretesa dall'altro condomino.Cass.
civ., sez. II, 6 aprile 1981, n. 1941
Il
divieto di modificare la cosa comune, sottraendola alla possibilità di
sfruttamento da parte di tutti i partecipanti alla comunione secondo
l'originaria funzione della cosa stessa, opera anche in relazione alle porzioni
del bene comune delle quali i comproprietari si siano convenzionalmente
attribuiti il godimento separato, in quanto anche in tal caso, non venendo meno
la contitolarità dell'intero bene, la facoltà di utilizzazione della cosa
attribuita a ciascuno dei comproprietari trova limite nella concorrente ed
analoga facoltà degli altri, con la conseguenza che sono consentite solo le
opere necessarie al miglior godimento, dovendo per contro ravvisarsi una lesione
del diritto di comproprietà degli altri condomini quando la cosa comune sia
stata alterata, in tutto od in parte, e quindi concretamente sottratta alla
possibilità dell'attuale sfruttamento collettivo nei termini funzionali o
originariamente praticati.Cass.
civ., sez. II, 4 maggio 1993, n. 5161
Nel
condominio di edificio, al fine di determinare la portata del godimento
spettante a ciascun partecipante sui beni comuni, occorre fare riferimento al
momento in cui l'unico dominio esclusivo si fraziona in più proprietà
individuali. Pertanto, tale godimento non può estendersi a vantaggio di
costruzioni realizzate da un condomino nell'ambito della sua proprietà
individuale successivamente alla costituzione del condominio, in ampliamento
oppure a completamento dell'edificio condominiale, anche se in attuazione degli
intendimenti dell'originario costruttore ed unico proprietario.Cass.
civ., sez. II, 23 ottobre 1980, n. 5719
Il
principio di cui all'art. 1102 cod. civ., sull'uso della cosa comune consentito
al partecipante, non è applicabile ai rapporti tra proprietà individuali (e
loro accessori) e beni condominiali finitimi, che sono disciplinati dalle norme
attinenti alle distanze legali ed alle servitù prediali, ossia da quelle che
regolano i rapporti tra proprietà contigue od asservite e che non contraddicono
alla particolare normativa della comunione.Cass.
civ., sez. II, 10 gennaio 1980, n. 221
L'assemblea
del condominio di un edificio ha il potere di disciplinare, e, eventualmente,
nel concorso di giustificate ragioni ed interessi comuni, di ridurre l'uso della
cosa comune da parte dei singoli partecipanti, ma non anche quello di sopprimere
totalmente l'uso medesimo, ancorché limitatamente a determinati periodi di
tempo. (Nella specie, premesso il principio di cui sopra, la S.C. ha ritenuto
correttamente affermata dai giudici del merito la nullità, e, quindi,
l'impugnabilità oltre il termine stabilito dall' art. 1137 terzo comma c.c.,
della delibera con la quale era stata decisa l'assoluta chiusura di un cancello
di accesso al cortile, in determinate ore del giorno).
Cass.
civ., sez. II, 9 maggio 1977, n. 1791
A
norma dell' art. 1138 c.c., l'assemblea dei condomini può, in sede di
formazione o di modifica del regolamento condominiale, regolare, a maggioranza,
le modalità di godimento delle cose e dei servizi comuni (istituendo, se del
caso, l'uso turnario degli stessi), ma non anche disciplinare la misura e
l'intensità di esso quale risulta dal titolo di acquisto o dalla legge ed, in
particolare dall'art. 1102 c.c., limitando tale godimento ad una soltanto delle
forme di uso di cui la cosa comune sia suscettibile secondo la sua destinazione.
Le norme del regolamento condominiale che introducano tali limitazioni
specialmente nel caso in cui queste possono incidere sull'utilizzabilità e
sulla destinazione delle parti dell'edificio di proprietà esclusiva, hanno
carattere convenzionale, nel senso che, se predisposte dall'originario
proprietario dello stabile, debbono essere accettate dai condomini nei
rispettivi atti di acquisto, ovvero con atti separati e, se, invece, deliberate
dall'assemblea condominiale, debbono essere approvate all'unanimità. Inoltre, i
vincoli da esse costituiti, avendo natura di oneri reali, per poter essere
opposti ai terzi acquirenti a titolo particolare, debbono essere trascritti nei
pubblici registri, ovvero accettati nei singoli negozi di acquisto.Cass.
civ., sez. II, 11 febbraio 1977, n. 621
L'art.
1102 c.c., non pone una norma inderogabile i cui limiti non possano essere resi
più severi da un predisposto regolamento condominiale, successivamente recepito
nel contratto d'acquisto di beni compresi nel complesso condominiale.
Cass.
civ., sez. II, 24 aprile 1975, n. 1600
La
sfera dei diritti dei singoli condomini sulla cosa comune può essere
suscettibile di restrizioni purché abbiano natura contrattuale e siano
trascritte per la loro ulteriore validità anche nei confronti dei successivi
acquirenti (la fattispecie esaminata riguarda una veranda appoggiata ed ancorata
al muro della facciata dell'edificio).Trib.
civ. Napoli, 30 novembre 1991, n. 13613
L'annessione
effettuata da un singolo condomino di una porzione della cosa comune a locale di
sua proprietà esclusiva e la correlativa sottrazione ditale porzione al pari
diritto degli altri condomini, configurano violazione del disposto dell'art.
1102 cod. civ., il quale, nel permettere a ciascun condomino di servirsi della
cosa comune e di apportarvi le modifiche necessarie per il migliore godimento,
pone come condizione limitativa il divieto di alterare la destinazione e quello
di impedire agli altri partecipanti di fanne parimenti uso, secondo il loro
diritto.Corte
app. civ. Napoli, sez. II, 30 marzo 1987, n. 574
In
un condominio composto da meno di dieci condomini, sebbene non sussista
l'obbligo giuridico di formare un apposito regolamento che disciplini l'uso
della cosa comune, tuttavia il potere della maggioranza dei condomini di
disporre o meno le modalità per il migliori godimento della cosa comune trova
il suo limite nel rispetto della condizione che il diritto di comproprietà
possa estrinsecarsi liberamente e, in ogni caso, non può menomare le facoltà
attribuite dalla legge all'amministratore.Giud.
conc. Roma, 20 novembre 1986
L'assemblea
condominiale può, in sede di approvazione del regolamento, e con le maggioranze
previste dall'art. 1136 cod. civ., imporre ai singoli condomini limitazioni
all'uso e alla destinazione dei loro appartamenti, quando tali destinazioni, per
loro natura, necessariamente implichino un uso eccessivo o sproporzionato delle
cose comuni ovvero ne alterino la destinazione. Di conseguenza, spetta al
condominio dissenziente provare l'esistenza di un regolamento contrattuale che,
accettato dai singoli compratori, abbia fissato una determinata destinazione
dell'edificio.Trib. civ. Agrigento, sez. I, 4 luglio 1977
A
differenza dalle innovazioni - configurate dalle nuove opere, le quali immutano
la sostanza o alterano la destinazione delle parti comuni, in quanto rendono
impossibile la utilizzazione secondo la funzione originaria, e che debbono
essere deliberate dall'assemblea (art. 1120, comma 1, c.c.) nell'interesse di
tutti i partecipanti - le modifiche alle parti comuni dell'edificio. contemplate
dall'art. 1102 c.c., possono essere apportate dal singolo condomino, nel proprio
interesse ed a proprie spese, al fine di conseguire un uso più intenso, sempre
che non alterino la destinazione e non impediscano l'altrui pari uso. Pertanto,
è legittima l'apertura di vetrine da esposizione nel muro perimetrale comune,
che per sua ordinaria funzione è destinato all'apertura di porte e di finestre,
realizzata dal singolo condomino mediante la demolizione della parte di muro
corrispondente alla sua proprietà esclusiva. Alla eventuale autorizzazione ad
apportare tale modifica concessa dall'assemblea può attribuirsi il valore di
meno riconoscimento dell'inesistenza di interesse e di concrete pretese degli
altri condomini a questo tipo di utilizzazione del muro comune.Cass.
civ., sez. II, 20 febbraio 1997, n. 1554
In
caso di condominio negli edifici, la modificazione di una parte comune e della
sua destinazione, ad opera di taluno dei condomini, sottraendo la cosa alla sua
specifica funzione e quindi al compossesso diluiti i condomini, legittima gli
altri all'esperimento dell'azione di reintegrazione con riduzione della cosa
stessa al pristino stato, tal che possa continuare a fornire quella utilitas
alla quale era asservita anteriormente alla contestata modificazione senza che
sia necessaria specifica prova del possesso di detta parte (che non abbia una
sua autonomia rispetto all'edificio), quando risulti quello di una o più delle
porzioni immobiliari in cui l'edificio stesso si articoli.Cass.
civ., sez. II, 13luglio 1993, n. 7691
Le
modificazioni della cosa comune o di sue parti (muri perimetrali, cortili ecc.),
eseguite dal singolo condomino ai fini di un suo uso particolare, diretto ad un
migliore e più intenso godimento della cosa medesima, costituiscono una
consentita esplicazione del diritto di comproprietà ex art. 1102 cod. civ., ove
non implicano alterazioni della consistenza e della destinazione del bene e non
pregiudichino i diritti di uso e di godimento degli altri condomini.
Diversamente, si risolvono in una innovazione vietata ai sensi dell'art. 1120
stesso codice, e nel caso di costruzione, nel cortile comune, di una autoclave
per il servizio di una singola unità abitativa - seppure consentita con
deliberazione della assemblea dei condomini a norma del quinto comma dell'art.
1136 - comporta sottrazione di una parte del suolo comune alla sua naturale
destinazione ed all'uso e godimento degli altri condomini.Cass.
civ., sez. II, 23 febbraio 1987, n. 1911
Il
divieto di modificare la cosa comune, sottraendola alla possibilità di
sfruttamento da parte di tutti i partecipanti alla comunione secondo
l'originaria funzione della cosa stessa, opera anche in relazione alle porzioni
del bene comune delle quali i comproprietari si siano concordemente attribuito
il godimento separato, in quanto anche in tal caso, non venendo meno la
contitolarità dell'intero bene, la facoltà di utilizzazione della cosa
attribuita a ciascuno dei comproprietari trova limite nella concorrente ed
analoga facoltà degli altri, con la conseguenza che sono consentite solo le
opere necessarie al miglior godimento, e dovendo per contro ravvisarsi una
lesione del diritto di comproprietà degli altri condomini quando la cosa comune
sia stata alterata, in tutto od in parte, e quindi concretamente sottratta alla
possibilità dell'attuale sfruttamento collettivo nei termini funzionali o
originariamente praticati.
Cass.
civ., sez. II, 23 gennaio 1986, n. 421
Costituiscono
esplicazione del diritto di comproprietà ex art. 1102 cod. civ., e in quanto
tali non richiedono la preventiva autorizzazione dell'assemblea condominiale, le
modificazioni della cosa comune eseguite dal singolo condomino ai fini di un suo
uso particolare diretto al miglior godimento della medesima (e, quindi, anche in
assenza di una necessità in senso assoluto), che non implichino alterazioni
della consistenza e della destinazione della cosa stessa e non pregiudichino i
diritti di uso e di godimento degli altri condomini. Sono, invece, innovazioni
le modificazioni che importino alterazioni della consistenza della cosa comune o
ne mutino la destinazione e che, ai sensi dell'art. 1120, primo comma, cod.
civ., richiedono, perché possano essere disposte, la maggioranza assembleare di
cui al quinto comma del successivo art. 1136.Cass.
civ., sez. II, 4 dicembre 1982, n. 6608
E'
validamente dato in forma verbale, da un comproprietario all'altro, l'assenso
per semplici modificazioni della cosa comune nel quadro di un accordo sul
contemperamento concreto dei rispettivi singoli usi concorrenti della cosa stessa.Cass.
civ., sez. II, 26 gennaio 1977, n. 398
A
norma dell'art. 1102 c.c. ciascun condomino può servirsi della cosa comune
apportandovi le modificazioni che egli ritenga utili per il miglior godimento di
essa, fino a sostituirla con altra che offra maggiore funzionalità. Tali
facoltà, peraltro, sono legittime solo se si esplicano nei limiti dettati dalla
legge, e cioè con l'astensione da ogni alterazione del bene comune e
conservando la possibilità dell'uso di esso da parte di ogni altro condomino
nell'ambito del suo diritto. I limiti ora indicati non vengono superati dal solo
fatto dell'uso più intenso da parte di uno o più condomini, purché attraverso
lo stesso non si giunga al turbamento dell'equilibrio con tutti i diritti di
costoro o a un cambiamento della destinazione del bene comune, non soltanto in
vista dell'uso attuale, ma anche di quello potenziale secondo la natura della
cosa e il fine al quale essa venne predisposta, sicché resta del tutto
indifferente - salvo che in relazione alla costituzione di diritti esclusivi a
favore di alcuno dei condomini o di terzi - che da tempo più o meno lungo uno o
più degli interessati non si siano serviti del bene in questione.Cass.
civ., sez. II, 21 maggio 1976, n. 1836
OSTACOLI AL DIRETTO
GODIMENTO |
L'ostacolo
al diretto godimento della cosa comune da parte di uno dei comproprietari
frapposto dagli altri non richiede di necessità un formale rifiuto in risposta
ad una identica richiesta bensì può risultare, oltre che da espresse
manifestazioni di volontà, anche da comportamenti al fine equivalenti da
apprezzare in relazione alle condizioni oggettive del bene comune ed ai rapporti
personali tra i diversi comproprietari. Tale ostacolo fa sorgere, a carico di
chi lo ponga in essere, l'obbligo di prestazione risarcitoria sostitutiva del
godimento non fruito.Cass.
civ., sez. II, 10 gennaio 1983, n. 176
In
applicazione dell'art. 1102 c.c., qualora il partecipante alla comunione, con
l'esecuzione di nuove opere, renda impossibile o menomi l'esercizio del diritto
degli altri partecipanti, frapponendovi un qualche ostacolo, che si traduca in
un pregiudizio giuridicamente rilevante ed apprezzabile, ciascuno degli altri
condomini può chiedere la rimozione dell'opera che altera e sconvolge il
rapporto di equilibrio della comunione.Cass.
civ., sez. II, 14 marzo 1974, n. 716
La
parità dell'uso assicurata dall'art. 1102 c.c. ad ogni condomino, è intesa a
consentire qualsiasi altro miglior uso e non anche quel particolare, specifico
ed identico uso realizzato con la modificazione in atto. Il concorso di diritti
al miglior godimento della cosa comune si risolve non col criterio della
priorità (presupposizione), bensì con quello dell'equo contemperamento dei
contrapposti interessi.
Cass.
civ., sez. II, 9 settembre 1970, n. 1378
La
nozione di pari uso della cosa comune che ogni compartecipe, utilizzando la
medesima, deve consentire agli altri a norma dell'art. 1102 cod. civ., non è da
intendere nel senso di uso identico, giacché l'identità nello spazio, o
addirittura nel tempo, potrebbe importare il divieto per ogni condomino di fare
della cosa comune un uso particolare o addirittura un uso a proprio esclusivo
vantaggio, soprattutto nel caso di modificazioni apportate alla cosa. (Nella
specie, in cui i giudici del merito avevano ritenuto uso legittimo della cosa
comune ai sensi dell'art. 1102 cod. civ. l'appoggio, da parte di un condomino,
di una trave del solaio di separazione tra due piani alla "cassa"
delle scale comuni, il S.C. alla stregua del principio che precede, ha
considerato corretta la decisione).
Cass.
civ., sez. II, 14 luglio 1981, n. 4601
Per
pari uso della cosa comune deve intendersi non un uso identico nello spazio o
addirittura nel tempo, a quello attuato dal comproprietario-condomino
modificatore, ma quel qualsiasi altro miglior uso che gli altri condomini
possano convenientemente fare in altra parte della cosa comune.Trib.
civ. Milano, sez. VIII, 19 settembre 1988
Il
diritto di invitare ospiti nella piscina condominiale costituisce un modo di
fruizione del bene comune e come tale ai sensi degli arti. 1118 e 1123 cod. civ.
deve essere proporzionato alla proprietà.Pret.
civ. Roma, 13luglio 1989, 757.
Il
diritto del condomino di usare le parti comuni dell'edificio, purché non ne
alteri la destinazione e non impedisca agli altri condomini di farne parimenti
uso (arti. 1102 e 1139 c.c.), implica per questi ultimi l'obbligo di comportarsi
in modo da non rendere impossibile, e ingiustificatamente più gravoso, l'uso
del singolo e così il dovere di quell'attiva cooperazione necessaria per l'uso
del condomino. Pertanto, qualora un terzo estraneo alla comunione, ma di cui il
condomino debba necessariamente avvalersi per la sua posizione di monopolio o
supremazia, contesti il diritto del condomino di fare un certo uso legittimo
della cosa comune senza il preventivo nulla-osta degli altri condomini, costoro
non possono rifiutarne il rilascio, sempreché il rifiuto non risulti in
concreto giustificato da un ragionevole motivo. (Nella specie l'Acea e la Soc.
Romana Gas, richiesti da un condomino dell'installazione dei servizi di acqua e
gas, avevano preteso il preventivo nulla-osta del condominio).Cass.
civ., sez. II, 5 giugno 1978, n. 2816
TARGHE ED INSEGNE
(APPOSIZIONE) |
Ciascuno
dei condomini può servirsi dei muri perimetrali dell'edificio condominiale per
quelle utilità accessorie che ineriscono al godimento della sua proprietà
esclusiva, qual è l'utilità del risalto pubblicitario dell'attività
professionale o commerciale svolta, che si realizza normalmente mediante
l'apposizione di insegne, targhe, cartelli e simili. Consegue che - poiché la
utilizzazione del muro perimetrale comune mediante tale apposizione non ne
altera la naturale e precipua destinazione di sostegno dell'edificio
con-dominiale - l'utilizzazione stessa, ove non impedisca l'esercizio
concorrente del diritto degli altri partecipanti di fare eguale uso del muro,
costituisce normale esercizio del diritto di usare la cosa comune.Cass.
civ., sez. III, 24 ottobre 1986, n. 6229
In
tema di condominio di edifici, i partecipanti con voto unanime possono
sottoporre a limitazioni, nell'ambito dell'autonomia negoziale, l'esercizio dei
poteri e delle facoltà che normalmente caratterizzano il contenuto del diritto
di proprietà sulle cose comuni, venendosi in materia disponibile, con la
conseguenza che con regolamento contrattuale possono vietare l'apposizione di
insegne, targhe e simili sui muri perimetrali comuni, ovvero subordinarla al
consenso dell'amministrazione.Cass.
civ., sez. II, 3 settembre 1993, n. 9311
L'utilizzazione
del muro perimetrale comune da parte del singolo condomino mediante
l'apposizione di insegne, targhe, cartelli e simili non ne altera la naturale e
precipua destinazione di sostegno dell'edificio condominiale e, ove non
impedisca l'esercizio concorrente del diritto degli altri partecipanti di fare
uguale uso del muro, costituisce normale esercizio del diritto di usare la cosa
comune.
Pret.
civ. Trani, 25 luglio 1989, 751
E'
illegittima la collocazione, da parte di un condomino, di insegne luminose,
targhe e cartelli pubblicitari sul portone di ingresso, sul muro e nel corridoio
dell'atrio condominiale, in quanto tale utilizzazione, non concessa dal
condominio, è comunque in contrasto con la funzione o la destinazione tipica
ditali parti comuni.Trib.
civ. Brescia, 26 aprile 1994, n. 1100
La
norma di un regolamento condominiale che vieti la collocazione di targhe,
insegne o tende di qualsiasi genere senza il permesso scritto dell'assemblea,
non è applicabile nel caso in cui un condominio collochi, sulla parte di
pianerottolo strettamente al servizio dell'ingresso al proprio alloggio, alcune
piastrelle in ceramica di notevole pregio artistico e non recanti alcuna
scritta.
Pret.
civ. Ravenna, 24 marzo 1992, n. 29
La
controversia relativa alla rimozione di un'insegna apposta sulla facciata
dell'edificio condominiale in violazione del regolamento di condominio, deve
essere compresa tra quelle aventi ad oggetto le modalità e 1' uso dei servizi
condominiali. ora di competenza del giudice di pace.Giud.
pace Bari, 12 febbraio 1996, 267
Nel
caso di installazione di una tenda e delle relative intelaiature metalliche su
di uno spazio di proprietà comune, da parte del condominio del piano terreno
che lo abbia in uso esclusivo e destinato a ristorante, per la sussistenza della
violazione dell'art. 1102 c.c., con riguardo al mutamento della struttura e
della funzione del detto bene comune ed in particolare al diritto di veduta in
"a piombo" dei condomini dei piani superiori, deve accertarsi sia l'utilitas
(specifica o socialmente rilevante) derivante da quel diritto che in concreto la
sua menomazione, tenendo conto in ispecie del distacco (in altezza) della tenda
dalle vedute dei piani superiori, delle caratteristiche dei luoghi e dell'uso
normale, nonché, in relazione alla specifica destinazione dello spazio comune,
delle consuetudini e del normale comportamento degli esercenti di attività
consimili.Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 1991, n. 11392
L'utilizzazione
della cosa comune ad opera del condomino può avvenire tanto secondo la
destinazione usuale della cosa stessa, quanto in modo particolare e diverso da
quello praticato dagli altri partecipanti alla comunione, sempre però
nell'ambito della destinazione normale della cosa senza alterazione del rapporto
di equilibrio tra le utilizzazioni concorrenti attuali e anche potenziali
diluiti i comproprietari, ma non quando quel godimento peculiare e inconsueto
del singolo compartecipante determini pregiudizievoli invadenze nell'ambito dei
coesistenti diritti degli altri comproprietari. (Nella specie, si è ritenuto
che il comproprietario di una striscia di terreno non abbia il diritto di
occupare lo spazio aereo sovrastante la striscia stessa con una costruzione
sullo stesso aggettante, in quanto in tal caso la occupazione si risolve in una
utilizzazione particolare realizzata mediante la stabile incorporazione al
contiguo bene del singolo comproprietario di una porzione dello spazio aereo
sovrastante il bene comune).Cass.
civ., sez. II, 28 novembre 1984, n. 6192
La
cosa comune, ai sensi dell'art. 1102 c.c., può essere utilizzata dal condomino
anche in modo particolare e diverso dal suo normale uso se ciò non alteri
l'equilibrio tra le concorrenti utilizzazioni attuali o potenziali degli altri e
non determini pregiudizievoli invadenze dell'ambito dei coesistenti diritti
degli altri proprietari pertanto, è legittima la costruzione di sporti sul
cortile, (sulla strada o sul passaggio comune) se sia realizzata in modo da non
pregiudicane né la normale funzione del cortile, che è di regola, quella di
fornire aria e luce agli immobili circostanti (e, per la strada, quella di
permettere il transito dei condomini) né le possibilità di utilizzazione
particolare eventualmente prospettate dagli altri condomini. (Nella specie,
trattavasi del telaio e dei battenti degli infissi, in posizione di completa
apertura o di completa chiusura, realizzati, al pianterreno, nel muro
prospiciente il passaggio comune senza ridurne la larghezza utilizzabile, dato
che nel tratto precedente il passaggio era ristretto da un 'antica sporgenza).Cass.
civ., sez. II, 11 gennaio 1993, n. 172
L'utilizzazione
della cosa comune da parte del condominio può aver luogo anche in modo
particolare e diverso da quello praticato dagli altri compartecipanti, sempre
che l'utilizzazione particolare rientri tra le destinazioni normali della cosa e
non alteri l'utilizzazione praticata dagli altri, ossia il rapporto di
equilibrio fra le utilizzazioni concorrenti - attual-mente ed anche
potenzialmente - di tutti i comproprietari. Tale alterazione sussiste qualora il
godimento particolare ed inconsueto del singolo condomino determini
pregiudizievoli invadenze nell'ambito dei coesistenti diritti altrui, quali
asservimenti, immissioni e molestie.
Cass.
civ., sez. II, 10 novembre 1981, n. 5954
Le
propagazioni nel fondo del vicino che oltrepassino il limite della normale
tollerabilità costituiscono un fatto illecito perseguibile, in via comulativa,
con l’azione diretta a farle cessare (avente carattere reale e natura
negatoria) e con quella intesa ad ottenere il risarcimento del pregiudizio che
ne sia derivato (di natura personale), a prescindere dalla circostanza che il
pregiudizio medesimo abbia assunto i connotati della temporaneità e non della
definitività.
Cass. civ. sez. II 2 giugno 2000,
n. 7420
L'utilizzazione
della cosa comune ad opera del condomino può aver luogo non soltanto secondo la
destinazione usuale, ma anche in modo particolare e diverso da quello praticato
dagli altri partecipanti, sempre che l'utilizzazione particolare non impedisca
l'utilizzazione degli altri e non alteri il rapporto di equilibrio tra le
facoltà di utilizzazione, attualmente o potenzialmente concorrenti, dei
comproprietari.
Cass.
civ., sez. II, 24aprile 1981, n. 2451
Una
volta che sia stato convenuto l'uso frazionato e precario di una cosa comune,
l'utilizzazione della cosa anche in modo particolare e diverso da quello
praticato dagli altri compartecipanti non viola la norma di cui all'art. 1102
cod. civ., sempre che tale utilizzazione rientri fra le destinazioni normali
della cosa comune e non alteri o ostacoli l'utilizzazione praticata dagli altri
condomini.
Cass.
civ., sez. II, 6 dicembre 1979, n. 6338
Nel
condominio di edificio, al fine di determinare la portata e l'estensione del
godimento spettante a ciascun partecipante sui beni comuni, nonché di accertare
l'eventuale esistenza, in favore del singolo condomino, di particolari diritti
di utilizzazione, contrastanti con la destinazione normale dei beni medesimi,
occorre tener presente la situazione al momento della nascita del condominio, in
relazione alle disposizioni del suo atto costitutivo e del regolamento,
rimanendo irrilevante l'eventuale diversità della situazione medesima in epoca
anteriore.Cass.
civ., sez. II, 15 aprile 1976. n. 1348
Il
regolamento condominiale contrattuale - il quale viene ad esistenza nel momento
in cui, contestualmente al primo atto di vendita di una frazione esclusiva
dell'edificio. comportante la nascita del condominio, l'acquirente ne accetta le
varie clausole - può contenere, oltre all'indicazione delle parti dell'edificio
di proprietà comune ed alle norme relative all'amministrazione e gestione delle
cose comuni, la previsione dell'uso esclusivo di una parte dell'edificio
definita comune a favore di una frazione di proprietà esclusiva. In tal caso il
rapporto ha natura pertinenziale, essendo stato posto in essere dall'originario
unico proprietario dell'edificio, legittimato all'instaurazione ed al successivo
trasferimento del rapporto stesso ai sensi degli arti. 817 e 818, secondo comma,
c.c., con l'ulteriore conseguenza che, attenendo siffatto rapporto alla
consistenza della frazione di proprietà esclusiva, il richiamo puro e semplice
del regolamento condominiale in un successivo atto di vendita (o promessa di
vendita) da parte del titolare della frazione di proprietà esclusiva, a cui
favore sia previsto l'uso esclusivo di quella parte comune, può essere
considerato sufficiente ai fini dell'indicazione della consistenza della
frazione stessa venduta o promessa in vendita.Cass.
civ., sez. II, 4 giugno 1992. n. 6892
A
norma dell' art. 1102 cod. civ. l'utilizzazione della cosa comune da parte di
uno dei partecipanti alla comunione, anche se più intensa o diversa da quella
degli altri, non vale di per sé sola a mutare il titolo del possesso, e,
quindi, ad attrarre la cosa comune o parte di essa nella sfera della
disponibilità esclusiva del singolo comunista, il quale, ove intenda espandere
il suo possesso in via esclusiva sul bene, pur non dovendo necessariamente
compiere gli atti di "interversio possessionis", previsti dagli art.
1141 e 1164 cod. civ., rispettivamente per il mutamento della detenzione in
possesso, e del possesso di un diritto reale su cosa altrui, in possesso
corrispondente all'esercizio della proprietà, deve tuttavia concretarsi in atti
integranti un comportamento durevole, tali da evidenziare un possesso esclusivo
ed animo domini sulla cosa, incompatibile con il permanere del compossesso
altrui.Cass.
civ., sez. II, 24 gennaio 1985, n. 319
Il
condomino che, col consenso degli altri comproprietari, usa in modo esclusivo
una cosa comune, non estende il suo dominio su di essa neppure sotto il profilo
di maggiori poteri, in quanto sarebbe all'uopo necessario il compimento ad opera
del medesimo, di atti idonei a mutare il titolo del possesso.Cass.
civ., sez. III, 22 giugno 1978, n. 3091
L'originario
proprietario diluito l'edificio divenuto poi condominiale ovvero tutti i
condomini possono conferire ad un singolo condomino sulla cosa comune un
particolare diritto, il quale alteri la destinazione funzionale della cosa
comune; e questo particolare diritto secondo la volontà delle parti interessate
può avere contenuto meramente obbligatorio con effetti limitati alle parti
contraenti, ovvero il contenuto reale di una servitù.Cass.
civ., sez. II, 11 marzo 1975, n. 899
Il
diritto di comproprietà dei condomini sulle parti comuni di un edificio deve
ritenersi leso ogni qualvolta uno dei condomini abbia attratto la cosa comune in
tutto od in parte nella propria disponibilità esclusiva, sottraendola alla
possibilità di sfruttamento collettivo. (Nella specie, il proprietario di
alcuni scantinati confinanti con il terrapieno sottostante all'androne
dell'edificio in condominio, aveva messo in comunicazione detti scantinati
aprendo i muri delimitanti il terrapieno, procedendo allo sbancamento di questo
e provvedendo alla costruzione di una soletta in cemento armato di sostegno del
soprastante androne).Cass.
civ., sez. II, 25 ottobre 1973, n. 2759
Allorquando
sia possibile l'uso frazionato della cosa comune in considerazione della sua
natura e destinazione, i partecipanti alla comunione (ovvero il giudice in caso
di controversia sulle modalità d'uso) possono accordarsi circa l'utilizzazione
di parte di questa da uno dei comproprietari purché. a norma dell'art. 1102
cod. civ., tale utilizzazione rientri tra quelle cui è destinata la cosa comune
e non alteri od ostacoli il godimento degli altri comproprietari.Cass.
civ., sez. II, 28 gennaio 1985, n. 434
Al
singolo condomino è consentita l'esecuzione di un'opera implicante un maggiore
suo godimento della cosa comune soltanto se la realizzazione di essa non
impedisca agli altri condomini il compimento di opere, già previste o
ragionevolmente prevedibili in base alla destinazione attuale della cosa comune
ed alle prospettive offerte dalla sua natura, le quali permettano ai medesimi lo
stesso od altro miglior uso di tale cosa, a vantaggio delle loro proprietà
esclusive. (Nella specie, il S.C., enunciando il surriportato principio, ha
cassato la decisione di merito che aveva riconosciuto legittima la costruzione,
da parte di un condomino, di un pensile sovrastante il cortile comune, senza
accertare se questo manufatto costituisse o non impedimento alla costruzione di
ulteriori pensili ed alla esecuzione di opere simili o anche diverse [balconi,
finestre, ecc.] che, secondo una ragionevole previsione, gli altri condomini
potessero realizzare in futuro al servizio delle unità immobiliari di loro
proprietà esclusiva).Cass.
civ., sez. Il, 5 aprile 1982, n. 2087
Il
giudice del merito, per accertare se l'uso più intenso della cosa comune da
parte di un condomino venga ad alienare il rapporto di equilibrio tra i
partecipanti al condominio e debba perciò ritenersi non consentito ex art. 1102
c.c., non deve tener presente l'uso fatto in concreto di detta cosa dagli altri
condomini in un determinato momento, ma quello potenziale in relazione ai
diritti di ciascuno. (Nella specie in base al principio surriportato, è stata
ritenuta corretta la decisione di merito, la quale aveva affermato che la
collocazione da parte di un condomino sul muro perimetrale comune di tre
bacheche, fornite di impianto di illuminazione, per l'esposizione di quadri in
vendita, era illegittima, perché tale da impedire agli altri condomini ogni
eventuale uso che in avvenire essi avrebbero voluto fare di detto muro, per
collocarvi targhe professionali o commerciali).Cass.
civ., sez. II, 11 dicembre 1992, n. 13107
L'esecuzione,
da parte del comproprietario, di una modificazione alla cosa comune, al fine di
farne un uso più intenso (nella specie, l'apertura di un nuovo accesso su
cortile fra fabbricati) non è illegittima per il solo fatto che determini
un'alterazione dell'equilibrio fino allora esistito fra gli usi esercitati dai
comunisti; tale illegittimità sussiste solo ove si accerti che l'incremento
dell'uso del singolo partecipante pregiudichi la possibilità degli altri di
continuare nell'esercizio del loro uso, e di ampliare eventualmente il medesimo
in modo e misura analoghe.Cass.
civ., sez. II, 11luglio 1975, n. 2746
L'art.
1102 c.c. consente al condomino di usare della cosa comune per un suo fine
particolare, ove egli, in tal modo, ritragga dal bene una specifica utilità
aggiuntiva, rispetto alle utilità generali ridondanti a vantaggio dei condomini
tutti, ma gli vieta in modo assoluto di alterare la destinazione della cosa
stessa, snaturandola, impedendone o compromettendone la funzione che le è
propria.
Cass.
civ., sez. II, 21 febbraio 1976, n. 579
L'assemblea
condominiale può legittimamente regolamentare l'uso dei beni comuni limitando
il godimento dei condomini, nell'interesse comune, senza incorrere in causa di
nullità assoluta, salvo escludere il godimento diretto dei condomini o di
alcuno di essi; sicché, in caso d'incapienza dei beni, il godimento turnario
offre l'unico strumento idoneo a consentire il godimento diretto di tutti i
condomini, e nessuna norma inderogabile impone di ragguagliare la durata dei
periodi di godimento all'entità delle quote di comproprietà dei turnisti.
Trib.
civ. Genova, sez. III, 10 ottobre 1992, n. 2927
L'accordo
di tutti i condomini che, anche imponendo divieti (nella specie proibizione di
occupare temporaneamente le parti comuni dell'edificio), tenda ad assicurare ai
condomini stessi un migliore e più funzionale godimento delle cose e dei
servizi comuni attenendo alla disciplina delle modalità di uso di questi, è
sempre modificabile con una deliberazione assembleare, senza necessità di un
successivo consenso diluiti i condomini che l'hanno in precedenza stipulata.Cass.
civ., sez. III, 13 maggio 1977, n. 1898
La
deliberazione con la quale l'assemblea di un condominio di edificio, alla
stregua del regolamento condominiale, accerti eccesso od abnormità nell'uso dei
beni comuni da parte di un singolo condomino (nella specie, per deposito di
materiali nel cortile e nell'androne), ed applichi, nei confronti di
quest'ultimo, la sanzione pecuniaria prevista, non comporta una lesione dei
diritti del condomino medesimo sulle cose e servizi comuni, ma attiene
esclusivamente alla disciplina dell'uso di quelle cose e servizi: detta
delibera, pertanto, non è affetta da nullità, deducibile in ogni momento con
azione di accertamento, ma è solo impugnabile ai sensi e nei termini perentori
di cui all'art. 1137 c.c.Cass.
civ., sez. II, 15 gennaio 1976, n. 132
Deve
ritenersi vietata dall'art. 1102 cod. civ. la divisione orizzontale di un
appartamento, che comporti la totale utilizzazione del preesistente margine di
sicurezza statica dell'edificio condominiale pur non pregiudicando la funzione
portante dei muri comuni e così la stabilità dell'edificio, in quanto le opere
eseguite dal singolo condomino, finiscono col precludere sostanzialmente agli
altri condomini sia l'utilizzazione dei muri comuni secondo il loro diritto, che
la facoltà di sopraelevazione consentita dall'art. 1127 cod. civ.
Cass.
civ., sez. II, 23 aprile 1980, n. 2673
Il
provvedimento del giudice che interdisce l'uso non consentito della cosa comune,
reso possibile dalle modifiche avvenute nella proprietà esclusiva di uno dei
comproprietari, non può limitarsi a vietare l'uso non consentito, ma deve
contenere disposizioni che rendano materialmente impossibile il perpetuarsi
dell'uso illegittimo.Cass.
civ., sez. II, 25 luglio 1980, n. 4841
Rientra
nei poteri dell'assemblea del condominio regolare l'uso delle cose comuni, ma
non escludere uno o più condomini dall'uso delle cose comuni, se ad esso
abbiano diritto in base al titolo o alla legge (nella fattispecie l'assemblea,
decidendo di escludere i proprietari soltanto di boxes e non anche di
appartamenti nel condominio, dall'uso degli ascensori anche ai soli fini del
raggiungimento dei boxes, aveva deliberato in materia sicuramente esulante dal
campo delle sue attribuzioni, e, stando alla prospettazione aveva sacrificato il
diritto degli stessi sulle cose comuni).Corte
app. civ. Milano, sez. I
E'
invalida la delibera assembleare che faccia divieto di accedere alla terrazza
comune - destinata esclusivamente per copertura - per stendere i panni e battere
i tappeti in quanto tale diritto si fonda sul principio di cui all'art. 1102 c.c., in virtù del quale ognuno può servirsi della cosa comune purché non ne
alteri la destinazione.Trib.
civ. Milano, 14 gennaio 1991, 799
Il
partecipante alla comunione può usucapire l'altrui quota indivisa del bene
comune senza necessità di interversio possessionis, ma attraverso l'estensione
del possesso medesimo in termini di esclusività. A tal fine si richiede,
tuttavia, che tale mutamento del titolo (art. 1102, secondo comma, c.c.) si
concreti in atti integranti un comportamento durevole, tali da evidenziare un
possesso esclusivo ed animo domini della cosa, incompatibili con il permanere
del compossesso altrui sulla stessa e non soltanto in atti di gestione della
cosa comune consentiti al singolo compartecipante o anche atti familiarmente
tollerati dagli altri (art. 1141 c.c.) o ancora atti che, comportando solo il
soddisfacimento di obblighi o erogazioni di spese per il miglior godimento della
cosa comune, non possono dar luogo a un'estensione del potere di fatto sulla
cosa nella sfera di altro compossessore.Cass.
civ., sez. II, 23 ottobre 1990, n. 10294
La
disposizione dell'art. 1102, comma 2 c.c., secondo la quale il partecipante alla
comunione non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli
altri se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso impedisce al
compossessore che abbia utilizzato la cosa comune oltre i limiti della propria
quota non solo l'usucapione ma anche la tutela possessorie del potere di fatto
esercitato fino a quando questo non si riveli incompatibile con l'altrui
possesso.Cass.
civ., sez. II, 25 novembre 1995, n. 12231
Il
condomino, per usucapire la cosa di proprietà comune, non deve dimostrare
l'interversione del possesso, ma deve fornire la prova di avere sottratto la
cosa all'uso comune per il periodo utile all'usucapione e, cioè, di una
condotta univocamente diretta a rivelare che nel condominio si è verificato un
mutamento di fatto nel titolo del possesso, e non la prova del mero non uso
della cosa da parte degli altri condomini.Cass.
civ., sez. II, 26 aprile 1984, n. 2622
Il
godimento del bene comune può essere invocato dal comproprietario al fine
dell'usucapione della proprietà dello stesso solo quando si traduca in un suo
possesso di tipo esclusivo, con riguardo sia al corpus sia all'animus,
incompatibile con la possibilità degli altri condomini di uso del bene
medesimo.Cass.
civ., sez. II, 16 luglio 1983, n. 4908
L'uso
della cosa comune da parte del singolo condomino non può estendersi alla
occupazione permanente di una parte del bene comune, tale che, nel concorso
degli altri requisiti di legge, possa portare alla usucapione della parte
occupata.
Cass.
civ., sez. II, 5 febbraio 1982, n. 663
Il
partecipante alla comunione di un bene non può estendere il suo diritto sulla
cosa comune in danno degli altri partecipanti se non compie atti idonei a mutare
il titolo del suo possesso; ai fini dell'usucapione della cosa comune è
sufficiente che il condomino, per tutto il tempo necessario ad usucapire,
possieda l'intera cosa in modo esclusivo ed inconciliabile con il godimento
comune della cosa stessa.
Cass.
civ., sez. II, 27 giugno 1974, n. 1923
Il
condomino può usucapire la cosa di proprietà comune e senza necessità di una
interversione del possesso ai sensi dell'ari. 1164 c.c. soltanto attraverso una
estensione del possesso medesimo, in termini però di esclusività. A questo
fine, tuttavia, non è sufficiente che gli altri partecipanti si siano astenuti
dall'uso della cosa, ma occorre che quel condomino abbia goduto in modo
oggettivamente incompatibile con la possibilità di godimento altrui, che
risulti in radice eliminata, non bastando a surrogare siffatta connotazione di
esclusività ed incompatibilità (con il compossesso degli altri soggetti) la
mera utilizzazione del bene in maniera più intensa, ed ancor meno la sola prova
del mero non uso della cosa da parte degli altri condomini.
Corte
app. civ. Milano, sez. III, 12 novembre 1993, n. 2261
Poiché
l' usufruttuario ha il godimento dei beni e dei servizi condominiali, egli
risponde di fronte al condominio delle quote di manutenzione e gestione
ordinaria.Trib.
civ. Milano, 15 gennaio 1992, 16
Le
azioni a difesa o a vantaggio della cosa comune possono essere esperite dai
singoli condomini senza che sia necessaria l’integrazione del contraddittorio
nei confronti degli altri partecipanti alla comunione.
Cass.
civ., sez.II, 7 aprile 2000, n.4345
QUANDO SORGE L'OBBLIGO
DI ADEMPIERE AL PAGAMENTO DELLE SPESE |
L'obbligo
del condomino di pagare i contributi per le spese di manutenzione delle parti
comuni dell'edificio deriva non dalla preventiva approvazione della spesa e
della ripartizione della stessa, ma dalla concreta attuazione dell'attività di
manutenzione e sorge, quindi, per effetto dell'attività gestionale
concretamente compiuta e non per effetto dell'autorizzazione accordata
all'amministrazione per il compimento di una determinata attività di gestione (
nella specie avendo il condomino ammesso di non avere pagato le quote richieste
e non contestato il loro ammontare, è stata ritenuta superflua e priva di
fondamento ogni altra questione, ivi compresa quella concernente la nullità
delle deliberazioni assembleari poste a fondamento del decreto ingiuntivo
emanato nei suoi confronti).
Cass.
civ., sez. II, 26 gennaio 2000, n. 857
DIFFERENTE ESERCIZIONE DEL
DIRITTO DI POSSESSO SULLE PARTI COMUNI |
Il
possesso dei condomini sulle parti comuni di un edificio si esercita
diversamente a seconda che le cose, gli impianti ed i servizi siano
oggettivamente utili alle singole unità immobiliari, a cui sono collegati
materialmente o per destinazione funzionale ( come ad esempio per suolo,
fondazioni, muri maestri, facciata, tetti, lastrici solari, oggettivamente utili
per la statica ), oppure siano utili soggettivamente, e perciò la loro unione
materiale o la destinazione funzionale ai piani o porzioni di piano dipende
dall'attività dei rispettivi proprietari ( come ad esempio per scale, portoni,
anditi, portici stenditoi, ascensore, impianti centralizzati per l'acqua calda o
l'aria condizionata ). Infatti nel primo caso l'esercizio del possesso consiste
nel beneficio che il piano o la porzione di piano - soltanto per traslato
proprietario - trae da tali utilità; nel secondo caso nell'espletamento delle
predetta attività da parte da parte del proprietario.
Cass.
civ., sez. II, 26 gennaio 2000, n. 855
DIFESA DELLE PARTI
COMUNI |
Le
azioni reali nei confronti dei terzi a difesa dei diritti dei condomini sulle
parti comuni di un edificio tendono a statuizioni relative alla titolarità ed
al contenuto dei diritti medesimi che esulando dall'ambito degli atti meramente
conservativi (art. 1130 n. 4 c.c.) possono essere proposte dall'amministratore
del condominio solo se autorizzato dall'assemblea a norma dell'art. 1131 comma 1
cod. civ. Ai fini dell'ammissibilità della domanda riconvenzionale che non
importi spostamento di competenza è sufficiente un qualsiasi rapporto o
situazione giuridica in cui sia ravvisabile un collegamento obiettivo tra
domanda principale e domanda riconvenzionale, tale da rendere consigliabile e
opportuna la celebrazione del simultaneus processus. In tema di condominio,
ciascun partecipante è legittimato a proporre le azioni a difesa della
proprietà della cosa comune senza necessità di integrazione del
contraddittorio nei confronti degli altri condomini salvo che la controparte non
si limiti a negare la situazione soggettiva dell'attore, ma opponga la
proprietà esclusiva del bene contestando il diritto di tutti i condomini,
sicché la controversia riguardi l'esistenza stessa della condominialità e
pertanto un rapporto soggettivo unico ed inscindibile, nel qual caso è
necessaria la presenza nel processo anche degli altri condomini, dovendo la
pronuncia avere effetto nei confronti di tutti.
Cass.
19 ottobre 1994, n. 8531
IMPIANTI CONDOMINIALI E
APPLICABILITA' DELLE NORME SULLE DISTANZE LEGALI |
La
disposizione dell'articolo 889, Codice civile, relativa alle distanze da
rispettare per i pozzi, cisterne, fossi e tubi, è applicabile anche con
riguardo agli edifici in condominio, salvo che si tratti di impianti da
considerarsi indispensabili ai fini di una completa e reale utilizzazione
dell'immobile, tale da essere adeguata all'evoluzione delle esigenze generali
dei cittadini nel campo abitativo e alle moderne concezioni in tema di igiene.
Cass.
civ., sez. II, 20 agosto 1999, n. 8801
NORME SULLE DISTANZE
LEGALI |
Le
norme sulle distanze legali, le quali sono fondamentalmente rivolte a regolare
rapporti tra proprietà autonome e contigue, sono applicabili anche nei rapporti
tra il condominio ed il singolo condomino di un edificio condominiale nel caso
in cui esse siano compatibili con l'applicazione delle norme particolari
relative all'uso delle cose comuni (art. 1102 c.c.), cioè nel caso in cui
l'applicazione di queste ultime non sia in contrasto con le prime e delle une e
delle altre sia possibile una complementare; nel caso di contrasto, prevalgono
le norme relative all'uso delle cose comuni, con la conseguenza della
inapplicabilità di quelle relative alle distanze legali che, nel condominio di
edifici e nei rapporti tra il singolo condomino ed il condominio stesso, sono in
rapporto di subordinazione rispetto alle prime. (Nella specie, si trattava della
installazione, in appoggio al muro condominiale, ed in prossimità della
finestra di un condomino, della canna fumaria della centrale termica
condominiale).
Cass.
Civ. 724 - 23/01/95
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