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Sentenze Corte di Cassazione

USO DELLA COSA COMUNE

PARTI COMUNI

In tema di condominio negli edifici, non è richiesta, per la legittimità della delibera assembleare avente a oggetto la chiusura dei cancelli di accesso al sottosuolo ove sono collocati i posti macchina riservati ai condomini, l'adozione con la maggioranza qualificata dei due terzi del valore dell'edificio, non concernendo tale delibera una "innovazione", secondo il significato attribuito a tale espressione dal codice civile, ma riguardando solo la regolamentazione dell'uso ordinato della cosa comune consiste nel non consentire a terzi estranei al condominio l'indiscriminato accesso al sottosuolo dello stesso.

Cass. civ., sent. n. 875, 3 febbraio 1999, Sez. II

 

Gli ascensori e gli impianti di riscaldamento, comprese le caldaie ed i bruciatori, sono parti integranti degli edifici nei quali sono installati, e non semplici pertinenze; essi, infatti, non hanno una funzione propria, ancorché complementare e subordinata rispetto a quella degli edifici, ma partecipano alla funzione complessiva ed unitaria degli edifici medesimi, quali elementi essenziali alla loro destinazione, da ciò consegue che  l'ascensore e l'impianto di riscaldamento non sono pignorabili, come beni mobili, separatamente dall'edificio in cui sono installati, e che l'opposizione con la quale il debitore deduca detta impignorabilità, in quanto tendente a contestare il diritto del creditore di agire esecutivamente su quei beni, configura, ai sensi dell'art. 615 c.p.c., opposizione all'esecuzione, e non opposizione agli atti esecutivi.

Cass. civ., sez. III, 27 febbraio 1976, n. 654; e conf. Cass. 27 febbraio 1976, n. 653.

 

Ai fini di stabilire se esista un titolo contrario alla presunzione di comunione sancita dalla norma dell'art. 1117 c.c. occorre fare riferimento all'atto costitutivo del condominio, cioè al primo atto di trasferimento di una unità immobiliare dall'originario proprietario ad altro soggetto.

Cass. 04 novembre 1994, n. 9062

 

Quando l’assemblea condominiale decide di appaltare lavori a terzi il controllo sui beni comuni nell’interesse del condominio deve considerarsi attribuito all'amministratore se non è diversamente stabilito. Spetta pertanto all’amministratore l’obbligo di controllo sui beni comuni quando l’assemblea decide di appaltare lavori a terzi e non stabilisce l’esclusiva responsabilità dell’appaltatore per la custodia delle cose sulla quali si effettuano il lavori.

Cass. civ., Sez. III,  Sentenza  16 Ottobre 2008 , n. 25251

 
 

 

PLURALITA' DI SERVIZI COMUNI

Se in un unico complesso condominiale esiste una pluralità di servizi di cose comuni, ciascuna delle quali serve, per obiettiva destinazione, in modo esclusivo all'uso e al godimento di una parte soltanto dell'immobile, essa cosa o servizio deve considerarsi comune non già alla totalità dei condomini, bensì soltanto a quella parte di essi al cui uso comune è funzionalmente e strutturalmente destinata. (Nella specie, in relazione ad un edificio condominiale fornito di due scale, ciascuna delle quali destinata a servire esclusivamente gli appartamenti cui dà accesso, è stato escluso che, deliberata la installazione dell'ascensore in una delle scale, potesse opporvisi un condomino proprietario di appartamento servito dall'altra scala). Cass. civ., 26 gennaio 1971, n. 196.

TUTELA DELLE PARTI COMUNI

Le azioni reali contro terzi, a difesa dei diritti dei condomini sulle parti comuni di un edificio, quali quelle volte a denunziare la violazione delle distanze legali tra costruzioni, essendo dirette a ottenere statuizioni relative alla titolarità e al contenuto dei diritti medesimi, non rientrano, tra gli atti meramente conservativi e possono, quindi, promuoversi dall'amministratore del condominio solo se sia autorizzato dall'assemblea a norma dell'art.1131 comma primo, cod.civ. (Artt.872, 1130, 1131, 1136 cod.civ.). Cassazione del 28/11/1996 n. 10615

 

USUCAPIONE

Il comproprietario può usucapire la proprietà esclusiva della cosa comune solo possedendola, animo domini, per il tempo necessario, in modo inconciliabile con la possibilità di fatto di un godimento comune, come nel caso in cui la cosa venga attratta nella sua sfera di materiale ed esclusiva disponibilità mediante una attività che valga, comunque, ad escludere il concorrente compossesso degli altri comproprietari. Cass. Civ., 23 maggio 1995, n. 5640

 

AZIONE DEL SINGOLO A TUTELA DELLE PARTI COMUNI

Ciascun comproprietario, in quanto titolare di un diritto che, sia pure nei limiti segnati dalla concorrenza dei diritti degli altri partecipanti, investe l'intera cosa comune (e non una frazione della stessa), è legittimato ad agire o resistere in giudizio, senza il consenso degli altri, per la tutela della cosa comune, nei confronti dei terzi o di un singolo condomino.(Artt.1102, 1105, cod.civ. 102 cod. proc. civ.).

Cassazione del 10//05/1996 n. 4388

Il potere di ogni condomino di agire per la gestione ordinaria della cosa comune, traendo origine dal diritto di concorrere all'amministrazione di tale bene (art. 1105 c.c.), incontra il suo limite nell'obbligo di rispettare la volontà della maggioranza. Pertanto, allorché un immobile locato appartenga ad una molteplicità di condomini e dagli stessi sia congiuntamente stipulato il relativo contratto, è la maggioranza dei condomini a stabilire circa l'amministrazione ed il godimento della cosa comune e quindi, della possibilità e volontà di disdire e far cessare, alla scadenza contrattuale, il contratto di locazione, anche in contrasto con la minoranza dissenziente.

Cass. Civ., 25 luglio 1995, n. 8085

 

CONDOMINIO PARZIALE

I presupposti per l'attribuzione della proprietà comune a vantaggio di tutti i partecipanti vengono meno se le cose, i servizi e gli impianti di uso comune, per oggettivi caratteri materiali e funzionali, sono necessari per l'esistenza e per l'uso, ovvero sono destinati all'uso o al servizio, non di tutto l'edificio, ma di una sola parte, o di alcune parti di esso, ricavandosi dall'art. 1123, comma 3, che le cose, i servizi, gli impianti, non appartengono necessariamente a tutti i partecipanti. Ne consegue che dalle situazioni di cosiddetto "condominio parziale" derivano implicazioni inerenti la gestione e l'imputazione delle spese, in particolare non sussiste il diritto di partecipare all'assemblea relativamente alle cose, ai servizi, agli impianti, da parte di coloro che non ne hanno la titolarità, ragion per cui la composizione del collegio e delle maggioranze si modificano in relazione alla titolarità delle parti comuni che della delibera formano oggetto.

Cass. 27 settembre 1994,  n. 7885  

 

CONDOMINIO APPARENTE

In tema di ripartizione delle spese condominiali, è passivamente legittimato, rispetto all'azione giudiziale per il recupero della quota di competenza, il vero proprietario della porzione immobiliare e non anche chi possa apparire tale - come uno dei coniugi che curi personalmente ed attivamente la gestione della proprietà dell'altro coniuge - difettando, nei rapporti fra il condominio ed i singoli partecipanti ad esso le condizioni per l'operatività del principio dell'apparenza del diritto, strumentale essenzialmente ad esigenze di tutela dei terzi in buona fede. Cass. 27 giugno 1994, n. 6187

 

RAPPORTO DI INSCINDIBILITA' FRA LE CAUSE

Non sussiste un rapporto di inscindibilità fra le cause riguardanti i vari condomini di un edificio in ordine all'uso delle cose comuni sicché non ricorre la necessità di integrazione del contraddittorio in sede di impugnazione ex art. 331 c.p.c. nei confronti del condominio pretermesso. La nozione di pari uso della cosa comune che ogni compartecipe nell'utilizzare la cosa medesima deve consentire agli altri, a norma dell'art. 1102 c.c., non va intesa nel senso di uso identico perché l'identità nello spazio o addirittura nel tempo potrebbe importare il divieto per ogni condomino di fare della cosa comune un uso particolare o a proprio esclusivo vantaggio. Ne deriva che per stabilire se l'uso più intenso da parte di un condomino venga ad alterare il rapporto di equilibrio fra i partecipanti al condominio - e perciò da ritenersi non consentito a norma dell'art. 1102 - non deve aversi riguardo all'uso fatto in concreto di detta cosa da altri condomini in un determinato momento, ma di quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno. Cass. Civ., 23/03/95, n. 3368

 

UTILIZZO DELLA COSA COMUNE DA PARTE DEL SINGOLO

Il limite che l'articolo 1102, Codice civile, pone al potere di utilizzazione della cosa comune da parte di ciascun condomino è quello del divieto di alterarne la destinazione e di impedire che altri ne faccia parimenti uso secondo il suo diritto. Pertanto l'uso particolare della cosa comune da parte del condomino non deve determinare pregiudizievoli invadenze nell'ambito dei coesistenti diritti degli altri proprietari, ancorché non ne sia impedito l'uso. Cass. civ., sez. II, 13 ottobre 1999 n. 11520  

 

Se il fatto lesivo è stato cagionato esclusivamente dal comportamento della danneggiata non trova applicazione la responsabilità oggettiva del custode ex art. 2051 c.c. La responsabilità del custode ex art. 2051 c.c. è esclusa soltanto quando il danno sia eziologicamente riconducibile non alla cosa, ma al fortuito senza che rilevi che questo sia costituito da un comportamento umano, nel fatto cioè dello stesso danneggiato o di un terzo.

Cass. civ., Sez. III,  Sentenza  19 Giugno 2008 , n. 16607

 

 

INNOVAZIONI

L'opera nuova può dare luogo ad una innovazione anche quando, oltre che la cosa comune o sue singole parti, interessi beni o parti a questa estranei ma ad essa funzionalmente collegati. Anche in tal caso, quindi, se l'opera, pur essendo utilizzabile da tutti i condomini, è stata costruita esclusivamente a spese di uno solo dei condomini, questo ne rimane proprietario esclusivo solo fino alla richiesta degli altri di partecipare ai vantaggi della stessa contribuendo, ai sensi dell'art. 1120 c.c., alle spese per la sua costruzione e manutenzione. (Nella specie, si trattava di un ascensore per il collegamento dell'androne dell'edificio condominiale con una strada posta ad un livello notevolmente inferiore, costruito con opere che interessavano, oltre che l'androne ed il sottosuolo comuni, anche un terreno in proprietà esclusiva del condomino che le aveva eseguite). Cass. Civ., 01/04/95, n. 3840

 

LIMITAZIONE DEI DIRITTI DEI CONDOMINI

In materia di condominio di edifici, l'autonomia privata consente alle parti di stipulare convenzioni che pongano limitazioni, nell'interesse comune, ai diritti dei condomini, sia relativamente alle parte comuni, sia riguardo al contenuto del diritto dominicale sulle parti di loro esclusiva proprietà, senza che rilevi che l'esercizio del diritto individuale su di esse si rifletta o meno sulle strutture o sulle parti comuni. Ne discende che legittimamente le norme di un regolamento di condominio - aventi natura contrattuale, in quanto predisposte dall'unico originario proprietario dell'edificio ed accettate con i singoli atti d'acquisto dai condomini ovvero adottate in sede assembleare con il consenso unanime di tutti i condomini - possono derogare ed integrare la disciplina legale ed in particolare possono dare al concetto di decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall'articolo 1120, Codice civile, estendendo il divieto di mutazione sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all'estetica, all'aspetto generale dell'edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva. Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 1999, n. 11121

Tenuto conto che, ai sensi del primo comma dell' art. 1102 cod. civ., l'uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante è legittimo purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca il pari uso da parte degli altri, la compromissione da parte di un comproprietario dell'uso da parte degli altri configura un atto illecito.
Ad una tale conclusione non asta la previsione di cui al secondo comma dell' art. 1102 cod. civ. in quanto essa si limita a prevedere che il mutamento del compossesso m possesso esclusivo determina una situazione di fatto idonea all' acquisto per usucapione.
Corte di Cassazione, sez. II, 12 settembre 2003, n. 13424

Anche nel condominio degli edifici trova applicazione, relativamente ai beni comuni, il principio, desumibile dall'art. 1102 cod. civ., che consente al singolo condomino di usare della cosa comune anche per un suo fine particolare, con conseguente possibilità di ritrarre dal bene una specifica utilità aggiuntiva rispetto a quelle generali ridondanti a favore degli altri condomini, con il solo limite che non ne derivi una lesione del pari diritto spettante a questi ultimi. Da tanto consegue che in difetto di specifiche limitazioni stabilite dal regolamento di condominio, l'uso dell'ascensore per il trasporto di materiale edilizio può essere legittimamente inibito al singolo condomino solo qualora venga concretamente e specificatamente accertato che esso risulti dannoso, sia compromettendo la buona conservazione delle strutture portanti e del relativo abitacolo, sia ostacolando la tempestiva e conveniente utilizzazione del servizio da parte degli altri condomini, in relazione alle frequenze giornaliere, alla durata e all'eventuale orario di esercizio del suddetto uso particolare, alle cautele adoperate per la custodia delle cose trasportate, tenendo conto di ogni altra circostanza rilevante per accertare le eventuali conseguenze pregiudizievoli che, in ciascun caso concreto, possono derivare dal suddetto uso particolare dell'ascensore. Cass. civ., sez. II, 6 aprile l982, n. 2ll7.

USO DELLE PARTI COMUNI

La cosa comune, ai sensi dell’art. 1102, Codice civile, può essere utilizzata dal condomino anche in modo particolare e diverso rispetto alla sua normale destinazione se ciò non alteri l’equilibrio tra le concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri comproprietari, e non determini pregiudizievoli invadenze dell’ambito dei coesistenti diritti di costoro (nella specie, utilizzazione, da parte di un condomino, degli scariche condominiali senza alterarne la destinazione e senza impedirne pari uso, attuale o potenziali, agli altri condomini).

Nel condominio degli edifici la comproprietà delle parti comuni indicate dall'art. 1117 del codice civile e, più in generale, che servono per l'esistenza e l'uso delle singole proprietà immobiliari, alla quale si lega l'obbligo di partecipazione alle relative spese di manutenzione e conservazione (che il comma 1 dell'art. 1123 c.c. pone a carico dei condomini in proporzione delle rispettive quote, indipendentemente dalla misura dell'uso) ha il suo fondamento nel collegamento strumentale, materiale o funzionale ed, in altri termini, nella relazione di accessorio a principale con le singole unità (piani o porzioni di piano) in proprietà individuale dell'immobile, per cui le cose, i servizi e gli impianti necessari per l'esistenza e l'uso delle unità immobiliari di una parte soltanto dell'edificio appartengono solo ai proprietari di queste (unità) e non ai proprietari delle unità immobiliari dell'altra parte, rispetto alle quali manca quel rapporto di pertinenza che è il presupposto necessario del diritto di comunione. Ne consegue che le spese di manutenzione e conservazione delle cose e degli impianti che servono solo una parte del fabbricato, formando oggetto di condominio separato, debbono essere sostenute solo dai proprietari delle unità immobiliari di questa parte, e non dagli altri, secondo il principio generale del comma 3 dell'art. 1123 c.c., a norma del quale "quando un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità (nel caso specifico, è stato negato che i proprietari dei box contenuti in un immobile che, benché posto all'interno del perimetro condominiale delimitato da un muro di cinta, era separato dall'edificio con le unità abitative, dovessero concorrere alle spese di manutenzione della facciata di questo edificio). Cass. Civ. 1255 - 02/02/95

In materia di condominio negli edifici, al potere dell'assemblea del condominio di deliberare, nelle forme e con le maggioranze prescritte, l'esecuzione delle opere necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni e per l'esercizio dei servizi condominiali, fa riscontro l'obbligo di ciascun condomino di contribuire alle relative spese, discendente dalla titolarità del diritto reale sull'immobile ed integrante un'obbligazione propter rem preesistente all'approvazione, da parte dell'assemblea, dello stato di riparto, ed in concreto direttamente correlato alla precedente deliberazione, di esecuzione delle opere. Ne consegue che, quando la contestazione del condomino investa, prima ancora che il quantum dell'obbligo di contribuzione, il relativo an, è tale ultima deliberazione che deve essere impugnata nel termine di decadenza di cui all'art. 1137, comma 3, c.c., ove si assuma essere la deliberazione affetta da vizi formali, perché presa in violazione di prescrizioni legali, convenzionali o regolamentari attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea, o da eccesso di potere o da incompetenza; svincolata da tale termine è invece la delibera radicalmente nulla perché esorbitante dai limiti delle attribuzioni dell'assemblea o concernente innovazioni lesive dei diritti di ciascun condomino sulle cose o servizi comuni o su quelle di proprietà esclusiva di ognuno di essi. Cass. Civ. 1890 - 21/02/95

La collocazione di una tubatura di scarico di un servizio, di pertinenza esclusiva di un condomino, in un muro maestro dell'edificio condominiale, rientra nell'uso consentito del bene comune, per la funzione accessoria cui esso adempie, restando impregiudicata la domanda di condanna del risarcimento del danno, anche in forma specifica, ossia mediante sostituzioni e riparazioni, proponibile per le infiltrazioni derivatene alla proprietà, o comproprietà, di altro condomino .Cass. civ., sent. n. 1162, 11 febbraio 1999, Sez. II

L'onere di provare che tutti i condomini siano stati tempestivamente convocati, fa carico al condominio. Tale prova non può essere offerta con la dimostrazione della consegna di un avviso a soggetti quali non è stato conferito uno stabile potere di rappresentanza nei confronti del condominio.

Parcheggio - Rivendica del diritto reale nei confronti del venditore/costruttore - litisconsorzio con gli altri condomini.

Qualora alcuni condomini abbiano convenuto in giudizio il venditore - costruttore dell'edificio, per rivendicare il diritto reale d'uso sull'area dell'edificio destinata a parcheggio, non ricorre un'ipotesi di litisconsorzio necessario, nei confronti degli altri condomini, ai quali pertanto non va notificato l'atto d'impugnazione per l'integrazione del contraddittorio. Cass. 25/03/99 - n. 2837

In tema di condomini ed edifici, la ripartizione delle spese, per la manutenzione, ricostruzione di soffitti, delle volte e dei solai, secondo i criteri previsti dall'art. 1125 c. c., riguarda le ipotesi in cui le necessità delle riparazioni non siano da attribuirsi ad alcuno dei condomini, mentre quando il danno sia ascrivibile a singoli condomini, trova applicazione il principio generale secondo cui il risarcimento dei danni è a carico di colui che li ha provocati. Cass. 12/04/99 - n. 3568

 

Costituitosi un rapporto pertinenziale tra beni a seguito della destinazione operata dal proprietario della cosa principale, che ha piena che ha piena disponibilità anche della cosa accessoria ( nella specie una veranda a servizio di un appartamento, realizzata su un'area condominiale, dall'originario proprietario costruttore dell'intero edificio), gli atti di disposizione aventi ad oggetto la cosa principale, si estendo a quella accessoria. Ciò sempre che non intervenga un atto del proprietario di cessazione della destinazione, vale a dire l'esplicita esclusione della pertinenza in un atto avente in un atto avente ad ogni oggetto la cosa principale o il compimento di un atto avente ad oggetto la sola pertinenza. Cass. 12/04/99 - n. 3574

Il regolamento di condominio, predisposto dall'originario e unico proprietario dell'intero edificio, ove accettato dagli iniziali acquirenti dei singoli piani e regolarmente trascritto presso i registri immobiliari, assume carattere di convenzionale e vincola tutti i successivi acquirenti, non solo con riferimento alle clausole che disciplinano l'uso e il godimento dei servizi o delle parti comuni, ma anche a quelle che restringono i poteri e le facoltà dei singoli condomini sulle proprietà esclusive, venendo a costruire su queste ultime una servitù reciproca.Cass. 15/04/99 - n. 3749

L'umidità conseguente ad un'inadeguata coibentazione delle strutture perimetrali di un edificio, può integrare, ove sia promessa l'abitabilità e il godimento del bene, grave difetto dell'edificio ai fini della responsabilità del costruttore, ex art. 1669 c. c. Tuttavia qualora il fenomeno sia causa di danni a singoli condomini, è responsabile in via autonoma, ex art. 2051 c. c., il condominio il condominio, che è tenuto, quale custode, ad eliminare le caratteristiche lesive insite nella cosa propria. Cass. 15/04/99 - n. 3753

In un condominio il lastrico di copertura di una parte individuata dell'edificio condominiale, che ha la funzione, oltre che di copertura di tale parte, anche di raccolta delle acque di scolo di altre parti dell'edificio, deve ritenersi destinato a scrivere anche queste ultime. Conseguentemente le spese di manutenzione devono essere ripartite fra tutti i condomini che ne traggono utilità, tenendo conto della diversa utilità che ciascuna parte può trarne. Cass. 16/04/99 - n. 3803

 

Il sottotetto di un edificio può considerarsi pertinenza dell'appartamento sito all'ultimo piano, soltanto ove assolva l'esclusiva funzione di isolare e proteggere l'appartamento stesso dal caldo, dal freddo e dall'umidità, mediante la creazione di una camera d'aria. Di contro tale principio non si applica allorché il sottotetto abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentire l'utilizzazione come vano autonomo, nel qual caso deve presumersi di proprietà condominiale, se esso risulti in concreto, sia pure in via potenziale, oggettivamente destinato all'uso comune o all'esercizio di un interesse comune. Cass. 28/04/99 n. 4266

La disciplina del codice civile del condominio negli edifici deve essere applicata ad ogni parte, bene e servizio comune che rientri, per la sua struttura e destinazione, tra quelli indicati dall'art. 1117 c.c., a nulla rilevando che i piani o porzioni di piano alla cui utilizzazione o migliore utilizzazione le cose servono siano compresi in un edificio unico o in edifici autonomi per effetto di successiva divisione.

Cass. 19 marzo 1994,  n. 2609

L'uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante è sottoposto dall'art. 1102 c.c. a due limiti fondamentali, consistenti nel divieto di alterare la destinazione della cosa comune e nel divieto di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. Pertanto, a rendere illecito l'uso basta il mancato rispetto dell'una o dell'altra delle due condizioni, sicché anche l'alterazione della destinazione della cosa comune determinato non soltanto dal mutamento della funzione, ma anche dal suo scadimento in uno stato deteriore, ricade sotto il divieto stabilito dall'art. 1102 cod. civ. Negli edifici condominiali l'utilizzazione delle parti comuni con impianto a servizio esclusivo di un appartamento esige non solo il rispetto delle regole dettate dall'art. 1102 c.c., comportanti il divieto di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, ma anche l'osservanza delle norme del codice in tema di distanze, onde evitare la violazione del diritto degli altri condomini sulle porzioni immobiliari di loro esclusiva proprietà. Tale disciplina, tuttavia, non opera nell'ipotesi dell'installazione di impianti che devono considerarsi indispensabili ai fini di una reale abitabilità dell'appartamento, intesa nel senso di una condizione abitativa che rispetti l'evoluzione delle esigenze generali dei cittadini e lo sviluppo delle moderne concezioni in tema di igiene, salvo l'apprestamento di accorgimenti idonei ad evitare danni alle unità immobiliari altrui. Cass. Civ., 15 luglio 1995, n. 7752

L'unità sistematica tra la disposizione dell'art. 1118 primo comma c.c., a norma del quale il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni dell'edificio è proporzionato al valore del piano o porzione di piano che gli appartiene, e la disposizione del primo comma dell'art. 1123 c.c., per il quale le spese necessarie per la conservazione ed il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, non impedisce, trattandosi di norme derogabili, che siano convenzionalmente previste discipline diverse e differenziate tra loro dei diritti di ciascun condomino sulle parti comuni (che possono essere attribuiti in proporzione diversa - maggiore o minore - rispetto a quella della sua quota individuale di piano o porzione di piano) e degli oneri di gestione del condominio, che possono farsi gravare sui singoli condomini indipendentemente dalla rispettiva quota di proprietà delle cose comuni o dall'uso. (Nella specie, è stata riconosciuta la validità dell'accordo che attribuiva ai condomini, proprietari di unità abitative di diverso valore, un uguale diritto dominicale sulle parti comuni prevedendo la formazione di tabelle millesimali solo ai fini della ripartizione delle spese di manutenzione e pulizia delle stesse). Cass. Civ., 08 luglio 1995, n. 7546

 

ABUSO DELLE PARTI COMUNI

L'amministratore del condominio, che è responsabile dei danni cagionati dalla sua negligenza. dal cattivo uso dei poteri e in genere di qualsiasi inadempimento degli obblighi legali o regolamentari. non può essere ritenuto responsabile, ancorché sia tenuto a far osservare il regolamento condominiale, dei danni cagionati dall'abuso dei condomini nell'uso della cosa comune, non essendo dotato di poteri coercitivi e disciplinari nei confronti dei singoli condomini - salvo che il regolamento di condominio, ai sensi dell'art. 70 att. c.c., preveda la possibilità di applicazione di sanzioni nei confronti dei condomini che violano le norme da esso stabilite sull'uso delle cose comuni - né obbligato a promuovere azione giudiziaria contro i detti condomini in mancanza di una espressa disposizione condominiale o di una delibera assembleare.Cass. civ., sez. II, 20 agosto 1993, n. 8804

AMMINISTRAZIONE DELLA COSA COMUNE E INERZIA DELL'ASSEMBLEA

Il ricorso all'Autorità giudiziaria in sede di volontaria giurisdizione, previsto dall'art. 1105, quarto comma, Codice civile, presuppone l'inerzia dell'assemblea nell'adottare quei provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune, o provvedimenti dell'amministratore che non esegua le decisioni prese dall'organo deliberante l'atto. Ne consegue che, ove tale presupposto venga meno, ancorché l'A.G. sia già intervenuta, per esercitare i poteri di supplenza conferitale dalla norma in esame, è consentito ai condomini di provvedere all'amministrazione della cosa comune attraverso i propri organi. Tribunale Napoli, sez. X, 10 febbraio 2000, n. 1927

 

PRESUNZIONE DI COMUNIONE SULLE PARTI COMUNI

La presunzione di comunione, tra i condomini di un edificio condominiale, delle parti comuni indicate dall'art. 1117, Codice civile, può esser superata soltanto se il contrario risulta dal titolo, non dalla singola situazione di fatto ( principio affermato dalla Cassazione in una specie in cui unitamente all'acquisto del primo piano era stato acquistato, in proprietà esclusiva, l'accesso ad esso da una scala esterna, mentre era stato murato l'altro accesso attraverso una scala interna comune, che però costituiva l'unico transito per accedere ai lastrici solari, comuni anche al proprietario del primo piano ). Cass. civ., sez. II, 22 marzo 2000, n. 3409

 

SUOLO SU CUI SORGE L'EDIFICIO

Il suolo, su cui sorge un edificio condominiale, di proprietà comune, ai sensi dell’articolo 1117 del Cc, è la porzione di terreno sulla quale viene a poggiare l’intero edificio e, immediatamente, la parte infima dello stesso e, per effetto, degli articoli 1117 e 840 del Cc, lo spazio sottostante, che costituisce il sottosuolo, in mancanza di titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva a uno dei condomini, deve considerarsi in proprietà comune, indipendentemente dalla sua destinazione. Deriva, da quanto precede, che ove i proprietari del piano terreno abbiano eseguito uno sbancamento del terreno sottostante con un abbassamento del pavimento di circa 50 centimetri, con tale opera costoro non hanno realizzato un intervento necessario e indispensabile per la messa in opera dei manufatti, o di rinforzo delle fondazioni, ma hanno sottratto il sottosuolo comune a vantaggio del singolo comunista, con conseguente violazione del combinato disposto degli articoli 1117 e 840 del Cc. Cassazione, Sezione II, sentenza 19 marzo 1996 n. 2295

Per il combinato disposto degli artt. 1117 e 840 c.c., il sottosuolo costituito dalla zona esistente in profondità al di sotto dell'area superficiaria che è alla base dell'edificio condominiale, ancorché non menzionato espressamente da detto art. 1117, va considerato di proprietà comune in mancanza di un titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva a uno dei condomini, e ciò anche con riguardo alla funzione di sostegno che esso contribuisce a svolgere per la stabilità del fabbricato. Pertanto, un condomino non può senza il consenso degli altri partecipanti alla comunione procedere alla escavazione in profondità del sottosuolo per ricavarne nuovi locali o per ingrandire quelli preesistenti, giacché con l'attrarre la cosa comune nell'orbita della sua disponibilità esclusiva, viene a ledere il diritto di proprietà dei condomini su una parte comune dell'edificio. L'esercizio della facoltà di ogni condomino di servirsi della cosa comune, nei limiti indicati dall'art. 1102 c.c., deve esaurirsi nella sfera giuridica e patrimoniale del diritto di comproprietà sulla cosa medesima e non può essere esteso, quindi, per il vantaggio di altre e diverse proprietà del medesimo condomino perché in tal caso si verrebbe ad imporre una servitù sulla cosa comune per la cui costituzione è necessario il consenso di tutti i condomini. Cass. 23 dicembre 1994 - n. 11138

FACCIATA CONDOMINIALE

La facciata e il relativo decoro architettonico di un edificio costituiscono un modo di essere dell'immobile e così un elemento del modo di godimento da parte del suo possessore; di conseguenza la modifica della facciata, comportando una interferenza nel godimento medesimo, può integrare una indebita turbativa suscettibile di tutela possessoria. Cass. Civ., 22 giugno 1995, n. 7069

 

DECORO ARCHITETTONICO

Per decoro architettonico del fabbricato, ai fini della tutela prevista dall'art. 1120 c.c., deve intendersi l'estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture che ne costituiscono la nota dominante ed imprimono alle varie parti dell'edificio, nonché all'edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata, armonica, fisionomia, senza che occorra che si tratti di edificio di particolare pregio artistico. L'indagine volta a stabilire se, in concreto, un'innovazione determini o meno alterazione del decoro architettonico, è demandata al giudice del merito, il cui apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità, se congruamente motivato. L'art. 1120 c.c., nel richiedere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con una determinata maggioranza, mira essenzialmente a disciplinare l'approvazione di innovazioni che comportino una spesa da ripartire tra tutti i condomini su base millesimale. Ne consegue che, quando le spese debbano far carico esclusivamente al gruppo di condomini che ne trae utilità, trattandosi di innovazioni destinate a servire solo una parte dell'edificio condominiale (art. 1123), terzo comma, c.c., il computo della maggioranza prescritta dal primo comma dell'art. 1120 c.c. deve operarsi con riferimento ai soli condomini interessati, ossia a quelli facenti parte di detto gruppo. Cass. Civ., 8 giugno 1995, n. 6496

 

PIANEROTTOLI

L'atto costitutivo del condominio può senz'altro sottrarre al regime della condominialità, di cui all'art. 1117 c.c., i pianerottoli di accesso dalle scale ai singoli appartamenti e riservarli, in tutto o in parte, al dominio personale esclusivo dei proprietari di questi.  Cass. 23 febbraio 1994, n. 1776

TERRAZZE A LIVELLO

La trasformazione in tutto o in parte nell'ambito di un condominio di un bene comune in bene esclusivo di uno dei condomini può essere validamente deliberata soltanto all'unanimità, ossia mediante una decisione che abbia valore contrattuale. Nella specie la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito la quale aveva dichiarato la nullità della deliberazione dell'assemblea presa a maggioranza con cui un condomino era stato autorizzato ad aprire un varco nel tetto, trasformandolo in terrazza a livello per il proprio uso esclusivo.

Cass. 26 ottobre 1994,  n. 8777

In tema di edifici in condominio, affinché una terrazza a livello, che esplichi anche funzioni di copertura dei piani sottostanti, possa ritenersi di proprietà esclusiva del proprietario dell'appartamento da cui si accede alla terrazza stessa, ove tale appartenenza non risulti dal titolo, è necessario che essa faccia parte integrante da un punto di vista strutturale e funzionale del piano cui è annessa, di guisa che la funzione di copertura dei piani sottostanti si profili come meramente sussidiaria. Cass. 22 aprile 1994,  n. 3832

 

SERVITU'

Posto che il partecipante alla comunione può usare della cosa comune per un suo fine particolare, con la conseguente possibilità di ritrarre dal bene una utilità specifica aggiuntiva rispetto a quelle che vengono ricavate dagli altri, con il limite di non alterare la consistenza e la destinazione di essa, o di non impedire l'altrui pari uso, il passaggio su una strada comune, in origine destinata a servire alcuni, determinati fondi di proprietà esclusiva, che venga effettuato da un comunista anche per accedere ad altro fondo, a lui appartenente in proprietà esclusiva, di per sè non raffigura un godimento vietato, a norma dell'art. 1059, primo comma, c.c., non comportando la costituzione di una servitù sul bene comune, perché non si risolve nella modifica della distinzione di questo, né nell'impedimento dell'altrui pari diritto. Cass. 03/02/94 - n. 1104 

La legge n. 392 del 1978 (cosiddetta dell'equo canone) disciplina i rapporti tra locatore e conduttore, senza innovare in ordine alla normativa generale sul condominio negli edifici, sicché l'amministratore ha diritto - ai sensi del combinato disposto degli artt. 1123 c.c. e 63 att. stesso codice - di riscuotere i contributi e le spese per la manutenzione delle cose comuni ed i servizi nell'interesse comune direttamente ed esclusivamente da ciascun condomino, restando esclusa un'azione diretta nei confronti dei conduttori delle singole unità immobiliari (contro i quali può invece agire in risoluzione il locatore ex art. 5 della citata legge n. 392 del 1978, per il mancato rimborso degli oneri accessori), anche con riguardo alle spese del servizio comune di riscaldamento ancorché questi ultimi abbiano diritto di voto, in luogo del condomino locatore, nelle delibere assembleari riguardanti la relativa gestione. Cass. 20 gennaio 1994, n. 476

 

SERVITU' DI PASSAGGIO

Il contenuto ed i limiti della servitù di passaggio vanno desunti dal titolo costitutivo interpretato, ove occorra, anche in rapporto alla situazione dei luoghi senza che questa possa assumere rilievo autonomo e preponderante. In ogni caso, ove il titolo per la sua formulazione presenti dei dubbi sulle modalità di esercizio, la servitù deve ritenersi costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante con il minor aggravio del fondo servente, sicché correttamente viene riscontrata dal giudice di merito la sola servitù di passaggio pedonale, ove non si possano ravvisare gli estremi del passaggio carrabile. Cass. Civ., 07 agosto 1995, n. 8643

 

POZZO COMUNE

In tema di condominio di edifici, l'obbligo di vigilare e mantenere il bene comune (nella specie il pozzo) in stato da non creare danni ad altri condomini o a terzi estranei al condominio, incombe su tutti gli aventi diritto senza che rilevi l'ubicazione della cosa comune rispetto alle proprietà esclusive. Cassazione del 17/04/1998 n° 3887

 

PORTICATO

L'art. 1102 c.c. intende assicurare al singolo partecipante, per quel che concerne l'esercizio del suo diritto, la maggior possibilità di godimento della cosa comune, nel senso che, purché non resti alterata la destinazione del bene comune e non venga impedito agli altri partecipanti di fare parimenti uso della cosa, egli deve ritenersi libero di servirsi della cosa stessa anche per fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilità, senza che possano costituire vincolo per lui forme più limitate di godimento attuate in passato dagli altri partecipanti, e può scegliere, tra i vari possibili usi quello più confacente ai suoi personali interessi. (Nella specie si è escluso che esorbiti dal corretto uso della cosa comune la transennatura e l'occupazione periodica di un portico con legna da parte di un condomino, in assenza di prova del carattere stabile dell'occupazione e di un apprezzabile pregiudizio per gli altri condomini).

Cass. 05 settembre 1994,  n. 7652

 

La disciplina dell'accessione contenuta nell'art. 934 c.c. si riferisce solo alle costruzioni (o piantagioni) su terreno altrui e non anche alle costruzioni eseguite da uno dei comproprietari sul terreno comune, per le quali debbono ritenersi, invece, applicabili le norme sul condominio ed, in particolare, la disposizione dell'art. 1120 c.c., che vieta, tra l'altro, le innovazioni che rendano alcune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento di altri condomini, a meno che non vi sia il consenso di questi, nella forma scritta richiesta, a pena di nullità, per la costituzione di diritti reali su beni immobili. Cass. civ., sez. II, 18 aprile 1996, n. 3657

 

INSTALLAZIONE CANCELLO

In tema di uso della cosa comune, non può ritenersi consentita l'installazione, da parte di un condomino, per suo esclusivo vantaggio ed utilità, di un cancello in un certo punto di un viottolo comune, destinato fin dalla costituzione del condominio al passaggio dei condomini, per l'accesso, tra l'altro, a vani di proprietà esclusiva dei medesimi (nei quali sono sistemate e custodite, nella specie, le utenze domestiche di ciascuno di essi), in quanto detta installazione costituisce - anche in caso di messa a disposizione degli altri condomini delle chiavi del cancello - una modificazione delle modalità di uso o di godimento della cosa comune, che interferisce sul "pari uso" della stessa spettante agli altri condomini. Cass. Civ., 25 novembre 1995, n. 11227


 

INNOVAZIONI E SOPRAELEVAZIONI

 

Poiché l'uso della cosa comune è sottoposto dall'art. 1102 c.c. ai due limiti fondamentali consistenti nel divieto per ciascun partecipante di alterarne la destinazione e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, esso non può estendersi alla occupazione di una parte del bene comune, tale da portare, nel concorso degli altri requisiti di legge, alla usucapione della parte occupata.

La normativa dell'art. 936 c.c. postula che autore delle opere realizzate su suolo altrui sia un terzo e, pertanto, non potendo qualificarsi come tali il titolare di un qualsiasi diritto, di natura reale o personale avente oggetto il fondo su cui le opere sono state eseguite, la normativa suddetta non si applica quando l'autore delle opere sia uno dei comproprietari del fondo. Ove una fattispecie trovi specifica disciplina nell'art. 1102, che regola l'uso della cosa comune da parte dei partecipanti alla comunione, è preclusa l'applicazione alla stessa, in via analogica, dell'art. 936 c.c. in materia di accessione, non essendo consentito il ricorso alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe (c.d. analogia legis) in assenza di una qualsivoglia lacuna dell'ordinamento.

L'art. 1127 c.c. in tema di sopraelevazione sopra l'ultimo piano dell'edificio, essendo inserito nella regolamentazione del condominio, più specifica rispetto a quella della comunione in generale, ed avendo, nel comma 1, quale destinatario il proprietario dell'ultimo piano dell'edificio, postula una divisione della proprietà in senso orizzontale e non trova pertanto applicazione nella comunione disciplinata negli artt. da 1100 a 1116 cod. civ.In materia di innovazioni e di altri atti eccedenti l'ordinaria amministrazione il consenso dei partecipanti alla comunione deve risultare espresso nelle forme previste dall'art. 1108 cod. civ. Cass. 14 dicembre 1994 - n. 10699

 

La norma dell'art. 938 c.c., che disciplina la cosiddetta accessione invertita, ha carattere eccezionale - in quanto derogativa sia del principio dell'accessione ("quod inaedificatur solo cedit"), sia di quello secondo cui il proprietario ha diritto di disporre della propria cosa in maniera piena ed esclusiva - e come tale non può trovare applicazione nell'ipotesi di costruzione eseguita in tutto o in parte su un suolo di proprietà comune del costruttore e di terzi, nella quale si applicano le norme sulla comunione, senza che sia eccepibile una disparità di trattamento tra comunista e terzo, rientrando nella discrezionalità del legislatore la delimitazione del campo di operatività dell'accessione invertita. (Fattispecie relativa alla costruzione eseguita su un cortile destinato all'uso comune degli edifici che lo circondano). Cass. civ., sez. II, 14 novembre 1996, n. 9982

 

ALTERAZIONE DELLA DESTINAZIONE

L'art. 1102 cod. civ., nel regolare i diritti dei partecipanti alla comunione, prescrive che in ogni caso non può essere alterata la destinazione della cosa comune, sicché solo le modificazioni di questa, in quanto consentano il pari uso secondo il diritto di ciascuno, rientrano nella previsione legale, mentre è vietata ogni diversa attività innovatrice. (Nella specie, alla stregua del principio enunciato, è stata giudicata corretta la decisione che ha ritenuta vietata la costruzione di un terrazzo pensile soprastante un cortile comune, con la costruzione, inoltre di gradini e di un'aiuola sul cortile stesso). Cass. civ., sez. II, 26luglio 1983, n. 5132

 

La destinazione della cosa comune - che, a norma dell'ari. 1102 c.c., ciascun partecipante alla comunione non può alterare - dev'essere determinata attraverso elementi economici, quali gli interessi collettivi appagabili con l'uso della cosa, giuridici, quali le norme tutelanti quegli interessi, e di fatto, quali le caratteristiche della cosa; e dev'essere cassata con rinvio la sentenza del merito che esclude essere stata alterata la destinazione di un pozzo comune dalla costruzione di un impianto di adduzione dell'acqua ad una casa di proprietà singola, senza accertare se ciò abbia implicato limitazioni allo sfruttamento da parte degli altri partecipanti.Cass. civ., sez. II, 22 novembre 1976, n. 4397

 

AREE DESTINATE AI GIOCHI

La disciplina dei giochi dei bambini nei viali del cortile-giardino condominiale non integra un'occupazione degli stessi né un'alterazione della destinazione della cosa comune, con impedimento del pari uso degli altri condomini, risolvendosi in una forma di utilizzazione diversa da quella normale ma non illegittima, essendo compatibile con la destinazione del bene. Essa può, di conseguenza, essere disposta dall'assemblea con deliberazione adottata con la maggioranza prevista dall'art. 1136 cod. civ., ancorché il regolamento di condominio di natura contrattuale vieti l'occupazione delle parti comuni da parte dei condomini. Cass. civ., sez. II, 8 luglio 1981, n. 4479

L'utilizzazione del cortile comune come spazio destinato al gioco limitatamente ai soli bambini di età inferiore ai dodici anni, integra un uso aggiuntivo della cosa comune la cui disciplina è rimessa alla volontà dell'assemblea, la quale ben può deliberare sul punto con la maggioranza di cui all'art. 1136. Trib. civ. Milano, 28 gennaio 1991, n. 604

L'utilizzazione per il gioco dei bambini di una parte assai limitata dell'area verde consortile non contrasta con la destinazione a giardino prevista, per quella stessa area, dal Regolamento consortile, ma ne costituisce unicamente un migliore e più intenso godimento per soddisfare esigenze che pure appaiono insopprimibili e, comunque, senz'altro meritevoli di tutela nella vita di un condominio.

Trib. civ. Milano, 3 ottobre 1991, n. 767

La norma di un regolamento condominiale che disciplina il criterio di ripartizione delle spese di manutenzione relative al campo da tennis condominiale non pregiudica il godimento del campo anche a favore dei figli dei proprietari degli appartamenti non residenti nel condominio, godimento configurabile quale uso indiretto della cosa comune. Trib. civ. Milano, 28 febbraio 1991, n. 603

 

SCALE

La norma di cui all'art. 1117 c.c., che include le scale tra le cose che si presumono comuni, ove non risulti espressamente dal titolo, non è limitata all'ipotesi di edifici divisi per piano, ma è applicabile, per analogia, anche quando si tratti di edifici limitrofi appartenenti a proprietari diversi, persino se aventi caratteristiche di edifici autonomi, sempre che le cose di cui si controverte, pur insistenti sull'area di uno solo di essi (o a cavallo del confine), risultino destinate oggettivamente e stabilmente alla conservazione o all'uso di entrambi gli edifici medesimi. Cass. Civ. 2324 - 01/03/95

 

CORTILE

Nel caso in cui un cortile a livello del piano stradale, che sia in uso esclusivo al condominio, funga da copertura ad un locale cantinato di proprietà di un terzo, ove dalla cattiva manutenzione del cortile siano derivate infiltrazioni d'acqua nel sottostante locale, l'obbligazione risarcitoria del condominio trova la sua fonte, non già nelle norme in materia di ripartizione degli oneri condominiali di cui agli artt. 1123, 1125 e 1126 c.c., bensì nel disposto dell'art. 2051 c.c., con la conseguenza che, ai fini dell'accertamento della responsabilità, è sufficiente che il danneggiato fornisca la prova di una relazione tra la cosa in custodia e l'evento dannoso (che risulti riconducibile ad una anomalia, originaria o sopravvenuta nella struttura e nel funzionamento della cosa stessa), nonché dell'esistenza di un effettivo potere fisico su di essa da parte del custode, sul quale incombe il dovere di vigilare onde evitare che produca danni a terzi.

Cass. Civ. 2861 - 11/03/95

 

LASTRICO SOLARE

Poiché il lastrico solare dell'edificio (soggetto al regime del condominio) svolge la funzione di copertura del fabbricato anche se appartiene in proprietà superficiaria o se è attribuito in uso esclusivo ad uno dei condomini, all'obbligo di provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i condomini, in concorso con il proprietario superficiario o con il titolare del diritto di uso esclusivo. Pertanto, dei danni cagionati all'appartamento sottostante per le infiltrazioni d'acqua provenienti dal lastrico, deteriorato per difetto di manutenzione, rispondono tutti gli obbligati inadempienti alla funzione di conservazione, secondo le proporzioni stabilite dal citato art. 1126, vale a dire, i condomini ai quali il lastrico serve da copertura, in proporzione dei due terzi, ed il titolare della proprietà superficiaria o dell'uso esclusivo, in ragione delle altre utilità, nella misura del terzo residuo. Cass. Civ. 29/04/97 – 3672

 

AUTORIZZAZIONE ASSEMBLEARE

La deliberazione dell'assemblea condominiale. con la quale venga autorizzato l'uso di un bene comune in modo incompatibile con l'utilizzazione ed il godimento di parti dell'edificio di proprietà di un singolo condomino, è illegittima indipendentemente dalla circostanza che, per ragioni contingenti e transitorie, il bene di proprietà individuale ed esclusiva non sia attualmente utilizzato secondo la sua naturale destinazione (In base al suddetto principio la S.C. ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito che aveva dichiarato la illegittimità di una delibera con la quale era stata decisa l'utilizzazione come parcheggio di un'area condominiale sotto il profilo che detto uso avrebbe ostacolato l'accesso ad alcuni locali di proprietà individuale destinati ad essere utilizzati come autorimesse, a nulla rilevando che detto uso non fosse attuale per la necessità di realizzare alcuni lavori di rifinitura e di adattamento dell'immobile).

Cass. civ., sez. II, 5 settembre 1989, n. 3858

Nel condominio di edifici allorquando una deliberazione dell'assemblea condominiale, la quale sancisce un determinato uso della cosa comune, venga adottata con il voto unanime dei partecipanti al condominio, l'atto conserva la sua validità anche se abbia, in ipotesi, a limitare il godimento di alcuno dei condomini. Cass. civ., sez. II, 27 giugno 1987, n. 5709

 

CONCESSIONI AMMINISTRATIVE

In tema di condominio negli edifici, qualora uno dei condomini, senza violare i limiti di cui all'art. 1102 c.c., faccia uso della cosa comune (nella specie mediante la costruzione di un comignolo sul tetto dell'edificio), la mera mancanza delle concessioni o autorizzazioni amministrative non può essere invocata dal condominio quale fonte di risarcimento del danno, riflettendosi esclusivamente nei rapporti tra il privato e la pubblica amministrazione.Cass. civ., 8 agosto 1990, n. 8040

 

CONTROVERSIE

Quando tra alcuni comunisti insorga controversia sulle modalità di uso della cosa comune, ancorché riguardanti una modificazione che, non incidendo sull'estensione dei diritti degli altri partecipanti (art. 1102, comma secondo, cod. civ.) né eccedendo l'ordinaria amministrazione (ari. 1108 cod. civ.), tende al suo migliore godimento, nel giudizio instaurato fra i comunisti in disaccordo, non v'è litisconsorzio necessario di tutti gli altri partecipanti alla comunione. Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 1988, n. 734

 

Il condomino, il quale denunci la violazione dei limiti che debbono osservarsi dai singoli condomini nell'uso della cosa comune, assumendo che taluno di quelli abbia destinato parte della cosa stessa al servizio della sua proprietà esclusiva e, così, impedito l'esercizio sulla medesima del concorrente diritto di tutti gli altri condomini, propone un'azione reale che va ricondotta nel paradigma delle azioni negatorie, il cui valore deve essere determinato a norma dell'art. 15 cod. proc. civ. e, in particolare, in base al criterio sussidiario previsto dall'ultimo comma essendo venuto meno - a seguito della abolizione delle imposte reali e la loro sostituzione con l'imposta sul reddito delle persone fisiche (art. 82 del d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597) - il criterio del riferimento al tributo diretto verso lo Stato.

Cass. civ., sez. II, 6 luglio 1984, n. 3964

Lo stabilire se un determinato uso della cosa comune da parte del singolo condomino (nella specie: posa di tubazioni) rientri o meno tra quelli consentiti è compito del giudice del merito la cui valutazione è incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivata. Cass. civ., sez. II, 13 marzo 1982, n. 1624

Nella controversia concernente l'inosservanza delle norme condominiali riguardanti la condotta dei condomini nell'uso o godimento delle cose comuni, sono legittimati passivi, in assenza di dolo o colpa da parte dell'amministratore, solo coloro che in effetti abbiano compiuto le trasgressioni e cioè i singoli condomini, tenuti ad osservare le regole di condotta dettate dal regolamento.

Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 1974, n. 397

L'indagine sulla illiceità o meno dell'uso della cosa comune, da parte del condomino di edificio, va condotta alla stregua degli obiettivi criteri legali della sussistenza o meno di un pregiudizio alla cosa medesima, ovvero di una lesione del diritto di godimento spettante agli altri partecipanti, mentre rimane irrilevante, a tal fine, ogni valutazione sulla concreta idoneità di quell'uso ad arrecare utilità al suo autore, salva la configurabilità di atti d'emulazione, ai sensi ed agli effetti di cui all'art. 833 c.c. Nel contrasto fra le parti, il giudice è chiamato a dichiarare la volontà concreta della legge nel fatto dedotto ed accertato, non anche ad indicare astrattamente quali fatti sarebbero conformi o meno a diritto. Pertanto, nella controversia diretta a stabilire la liceità od illiceità di una determinata opera, eseguita da un condomino su parte comune di edificio (nella specie, vetrina apposta su muro perimetrale), non può ritenersi consentito di richiedere al giudice di indagare o pronunciarsi su quali eventuali modifiche di quell'opera potrebbero assicurarne la liceità.

Cass. civ., sez. II, 30 maggio 1978, n. 2749

DISPOSIZIONE DELLA QUOTA

A norma dell'art. 1103 cod. civ., la vendita di quota di bene indiviso è ammissibile e valida, senza che gli altri comproprietari abbiano diritto di opporsi, e, pertanto, se in un contratto di vendita è indicato che il bene appartiene a più persone e solo alcune di esse lo sottoscrivono, non può negarsi a priori la validità della vendita delle singole quote, a meno che non ricorra l'inscindibilità della prestazione, da dedursi e verificarsi nel giudizio di merito.Cass. civ., sez. II, 28 ottobre 1982. n. 5647

 

Qualora il compartecipe alieni la sua quota della proprietà indivisa, l'acquirente subentra nella comunione al posto dell'alienante, ma se l'alienazione riguarda non la quota ma la parte determinata corrispondente alla quota e vi sia l'assenso di tutti gli altri compartecipi, si ha una vera e propria divisione o atto equiparato alla divisione, perché si realizza il risultato tipico della divisione. Pertanto, se chi chiede la divisione non contesta l'avvenuto scioglimento nei modi predetti, l'oggetto della pretesa si riduce ad un mero accertamento, ma se lo contesta e non risultano provati nelle forme idonee la divisione o i suoi surrogati, va disposta la divisione, ma il fatto storico rimane, con la conseguenza che ognuno deve imputare alla sua quota ciò che ha ricevuto, con le rivalutazioni del caso e con le responsabilità conseguenti, giacché la stima per la divisione è coeva alla sua attuazione. Cass. civ., sez. II, 8 febbraio 1982, n. 753

In tema di comunione, il diritto di ciascun partecipante di cedere ad altri il godimento della cosa, nei limiti della sua quota (art. 1103 cod. civ.), implica che al partecipante medesimo deve riconoscersi anche la facoltà di costituire, sempre nei limiti della sua quota. un diritto reale di uso a favore di un terzo. Cass. civ., sez. II, 18 luglio 1980, n. 4706

La rinunzia abdicativa del partecipante ad una comunione, in quanto determina l'accrescimento della quota rinunciata a favore degli altri partecipanti, ha una funzione satisfattiva-liberatoria; ne consegue che il rinunziante, con la dismissione del proprio diritto (reale) si libera delle obbligazioni (propter rem) a quel diritto collegate, e queste vanno a carico dei rimanenti partecipanti. Cass. civ., sez. II, 23 agosto 1978, n. 3931

 

Il trasferimento della proprietà esclusiva di una porzione di piano di un edificio in condominio comporta altresì il trasferimento delle parti oggetto di proprietà comune, salvo che il trasferimento di queste ultime non risulti espressamente escluso dal titolo.

Cass. civ., sez. II, 25 luglio 1978, n. 3719

 

FORNO

L'art. 1117 n. 3, c.c., elenca, in via del tutto esemplificativa, le opere, le installazioni e i manufatti di qualunque genere che servono all'uso comune e che il legislatore ha voluto comuni ai proprietari dei diversi piani o porzioni di piano di un edificio, facendo salva la diversa volontà di detti proprietari o del loro autore; conseguentemente, un forno sistemato su un pianerottolo comune, in difetto di un titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei proprietari, ben può ritenersi destinato all'uso e al godimento comune, come accessorio di parti od opere comuni, da presumersi del pari comune. Cass. civ., sez. II, 14 marzo 1977, n. 1030

 

GODIMENTO SEPARATO

L'atto scritto, che è necessario per lo scioglimento della comunione e la divisione della proprietà immobiliare, ai sensi dell'art. 1350 n. 11 cod. civ., non occorre invece per la semplice attribuzione, ferma rimanendo la comproprietà, fra gli aventi diritto, di un godimento separato del bene comune che può essere validamente attuata anche con convenzione verbale. Cass. civ., sez. II, 28 febbraio 1984, n. 1428

 

CORTILI E CAVEDI

Il cavedio – talora denominato chiostrina, vanella o pozzo luce – è un cortile di piccole dimensioni, circoscritto dai muri perimetrali e dalle fondamenta dell’edificio comune, destinato prevalentemente a dare aria e luce a locali secondari ( quali ad esempio bagni, disimpegni, servizi ), e perciò sottoposto al medesimo regime giuridico del cortile, espressamente contemplato dall’ art. 1117, n. 1, Codice civile, tra i beni comuni, salvo specifico titolo contrario. Cass. civ., sez.II, 7 aprile 2000, n.4350.

 

LIMITI

L'art. 1102, primo comma, cod. civ. assoggetta l'uso della cosa comune da parte di ciascun condomino al duplice limite di non alterarne la destinazione e di non impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto; e tale principio vale, ovviamente, anche per le modificazioni che il condomino, ai sensi della stessa norma, voglia apportare a proprie spese per il miglior godimento della cosa comune. Cass. civ., sez. II, 18 marzo 1987, n. 2722

La norma dell'ari. 1102 c.c., concernente la facoltà del condomino di apportare modifiche a sue spese per il migliore godimento della cosa comune, è derogabile per regolamento condominiale avente efficacia contrattuale in quanto sottoscritto da tutti i condomini, ma tale deroga deve risultare in modo espresso e non può ritenersi implicitamente disposta per la previsione nel regolamento dell'assoggettamento a delibera assembleare (a maggioranza qualificata) delle modificazioni alle cose comuni finalizzate al miglior godimento delle cose stesse, da parte della pluralità condominiale, dato che queste ultime comportano non solo l'incidenza della spesa su tutti i condomini, ma altresì la modifica in tutto o in parte nella materia o nella forma ovvero nella destinazione di fatto o di dritto della cosa comune, a differenza delle modificazioni apportabili dal singolo condomino, che non possono incidere che sul pari uso (anche potenziale) degli altri condomini.Cass. civ., sez. II, 5 ottobre 1992, n. 10895

Le due condizioni d'uso della cosa comune, consistenti, a norma dell'art. 1102 c.c., nella non alterazione della cosa stessa e nel non impedimento agli altri comproprietari di farne parimenti uso secondo il loro diritto, debbono necessariamente coesistere, onde a rendere illecito l'uso è sufficiente la sola alterazione della cosa, determinata non solo dal mutamento della sua funzione ma anche dal suo scadimento a deteriore condizione.Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 1976, n. 247

L'uso da parte di ciascun condomino - nonché del locatario che da quest'ultimo ha causa - della cosa comune e delle parti comuni di una cosa è sottoposto, ai sensi dell'art. 1102 cod. civ., al divieto di alterare la destinazione della cosa comune, nonché a quello di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, con preminenza dell'osservanza del primo divieto potendosi avere salvaguardia degli interessi dei condomini solo col rispetto della destinazione attualmente impressa alla cosa comune. L'accertare se gli atti e le opere dei singoli condomini, miranti ad una intensificazione del proprio godimento della cosa comune, siano conformi o meno alla destinazione della cosa comune, è compito del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato. (In applicazione del principio di cui alla massima, è stata ritenuta corretta la decisione del giudice del merito che, sulla base di una norma del regolamento di condominio che prevedeva una espressa autorizzazione condominiale, ha affermato che l'apposizione di cartelloni pubblicitari sulla facciata non può essere considerata esplicazione del normale uso di godimento della cosa).
Cass. civ., sez. II, 18 luglio 1984, n. 4195

Il limite al diritto di godimento spettante a ciascun condomino iure proprietatis sulle parti comuni - nella specie divieto di sosta, anche per il carico e discarico di masserizie, in tutti gli spazi comuni dell'edificio - disposto dal regolamento condominiale nell'interesse comune e accettato nei singoli atti d'acquisto, ha natura negoziale e perciò può essere modificato soltanto per iscritto e con il consenso unanime dei condomini.Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 1997, n. 854

La coesistenza di una comunione d'uso e di separate proprietà esclusive in relazione ad un determinato bene, possibile quando proprietari di esso siano dei privati, in quanto è compatibile con il godimento o uso comune del bene, la proprietà esclusiva di sue parti separate, intesa come residua facoltà di disposizione di esse, va esclusa quando invece i proprietari siano due enti pubblici territoriali ed il bene sia un bene demaniale (nella specie, una strada), poiché la demanialità esclude la facoltà di disposizione e l'unico modo di esercizio della facoltà di godimento da parte dei suddetti enti pubblici, in relazione alla natura del bene, è quello della destinazione al pubblico transito, coincidente con la sua comunione d'uso.Cass. civ., sez. I, 11 maggio 1983, n. 3246

Poiché l'art. 1102 cod. civ. vieta le utilizzazioni della cosa comune che impediscono agli altri condomini di continuare a farne uso in conformità alla sua destinazione, il condomino di un edificio non può, eseguendo una costruzione in appoggio al muro perimetrale comune (nella specie: tettoia), chiudere le aperture del medesimo destinate a dare luce ad un vano di proprietà di altro condomino, sicché tale opera che sia stata eseguita lecitamente al momento della sua realizzazione, non può essere frustrata da una siffatta utilizzazione successiva della cosa comune pretesa dall'altro condomino.Cass. civ., sez. II, 6 aprile 1981, n. 1941

Il divieto di modificare la cosa comune, sottraendola alla possibilità di sfruttamento da parte di tutti i partecipanti alla comunione secondo l'originaria funzione della cosa stessa, opera anche in relazione alle porzioni del bene comune delle quali i comproprietari si siano convenzionalmente attribuiti il godimento separato, in quanto anche in tal caso, non venendo meno la contitolarità dell'intero bene, la facoltà di utilizzazione della cosa attribuita a ciascuno dei comproprietari trova limite nella concorrente ed analoga facoltà degli altri, con la conseguenza che sono consentite solo le opere necessarie al miglior godimento, dovendo per contro ravvisarsi una lesione del diritto di comproprietà degli altri condomini quando la cosa comune sia stata alterata, in tutto od in parte, e quindi concretamente sottratta alla possibilità dell'attuale sfruttamento collettivo nei termini funzionali o originariamente praticati.Cass. civ., sez. II, 4 maggio 1993, n. 5161

Nel condominio di edificio, al fine di determinare la portata del godimento spettante a ciascun partecipante sui beni comuni, occorre fare riferimento al momento in cui l'unico dominio esclusivo si fraziona in più proprietà individuali. Pertanto, tale godimento non può estendersi a vantaggio di costruzioni realizzate da un condomino nell'ambito della sua proprietà individuale successivamente alla costituzione del condominio, in ampliamento oppure a completamento dell'edificio condominiale, anche se in attuazione degli intendimenti dell'originario costruttore ed unico proprietario.Cass. civ., sez. II, 23 ottobre 1980, n. 5719

Il principio di cui all'art. 1102 cod. civ., sull'uso della cosa comune consentito al partecipante, non è applicabile ai rapporti tra proprietà individuali (e loro accessori) e beni condominiali finitimi, che sono disciplinati dalle norme attinenti alle distanze legali ed alle servitù prediali, ossia da quelle che regolano i rapporti tra proprietà contigue od asservite e che non contraddicono alla particolare normativa della comunione.Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 1980, n. 221

L'assemblea del condominio di un edificio ha il potere di disciplinare, e, eventualmente, nel concorso di giustificate ragioni ed interessi comuni, di ridurre l'uso della cosa comune da parte dei singoli partecipanti, ma non anche quello di sopprimere totalmente l'uso medesimo, ancorché limitatamente a determinati periodi di tempo. (Nella specie, premesso il principio di cui sopra, la S.C. ha ritenuto correttamente affermata dai giudici del merito la nullità, e, quindi, l'impugnabilità oltre il termine stabilito dall' art. 1137 terzo comma c.c., della delibera con la quale era stata decisa l'assoluta chiusura di un cancello di accesso al cortile, in determinate ore del giorno).
Cass. civ., sez. II, 9 maggio 1977, n. 1791

A norma dell' art. 1138 c.c., l'assemblea dei condomini può, in sede di formazione o di modifica del regolamento condominiale, regolare, a maggioranza, le modalità di godimento delle cose e dei servizi comuni (istituendo, se del caso, l'uso turnario degli stessi), ma non anche disciplinare la misura e l'intensità di esso quale risulta dal titolo di acquisto o dalla legge ed, in particolare dall'art. 1102 c.c., limitando tale godimento ad una soltanto delle forme di uso di cui la cosa comune sia suscettibile secondo la sua destinazione. Le norme del regolamento condominiale che introducano tali limitazioni specialmente nel caso in cui queste possono incidere sull'utilizzabilità e sulla destinazione delle parti dell'edificio di proprietà esclusiva, hanno carattere convenzionale, nel senso che, se predisposte dall'originario proprietario dello stabile, debbono essere accettate dai condomini nei rispettivi atti di acquisto, ovvero con atti separati e, se, invece, deliberate dall'assemblea condominiale, debbono essere approvate all'unanimità. Inoltre, i vincoli da esse costituiti, avendo natura di oneri reali, per poter essere opposti ai terzi acquirenti a titolo particolare, debbono essere trascritti nei pubblici registri, ovvero accettati nei singoli negozi di acquisto.Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 1977, n. 621

L'art. 1102 c.c., non pone una norma inderogabile i cui limiti non possano essere resi più severi da un predisposto regolamento condominiale, successivamente recepito nel contratto d'acquisto di beni compresi nel complesso condominiale.

Cass. civ., sez. II, 24 aprile 1975, n. 1600

La sfera dei diritti dei singoli condomini sulla cosa comune può essere suscettibile di restrizioni purché abbiano natura contrattuale e siano trascritte per la loro ulteriore validità anche nei confronti dei successivi acquirenti (la fattispecie esaminata riguarda una veranda appoggiata ed ancorata al muro della facciata dell'edificio).Trib. civ. Napoli, 30 novembre 1991, n. 13613

L'annessione effettuata da un singolo condomino di una porzione della cosa comune a locale di sua proprietà esclusiva e la correlativa sottrazione ditale porzione al pari diritto degli altri condomini, configurano violazione del disposto dell'art. 1102 cod. civ., il quale, nel permettere a ciascun condomino di servirsi della cosa comune e di apportarvi le modifiche necessarie per il migliore godimento, pone come condizione limitativa il divieto di alterare la destinazione e quello di impedire agli altri partecipanti di fanne parimenti uso, secondo il loro diritto.Corte app. civ. Napoli, sez. II, 30 marzo 1987, n. 574

In un condominio composto da meno di dieci condomini, sebbene non sussista l'obbligo giuridico di formare un apposito regolamento che disciplini l'uso della cosa comune, tuttavia il potere della maggioranza dei condomini di disporre o meno le modalità per il migliori godimento della cosa comune trova il suo limite nel rispetto della condizione che il diritto di comproprietà possa estrinsecarsi liberamente e, in ogni caso, non può menomare le facoltà attribuite dalla legge all'amministratore.Giud. conc. Roma, 20 novembre 1986

L'assemblea condominiale può, in sede di approvazione del regolamento, e con le maggioranze previste dall'art. 1136 cod. civ., imporre ai singoli condomini limitazioni all'uso e alla destinazione dei loro appartamenti, quando tali destinazioni, per loro natura, necessariamente implichino un uso eccessivo o sproporzionato delle cose comuni ovvero ne alterino la destinazione. Di conseguenza, spetta al condominio dissenziente provare l'esistenza di un regolamento contrattuale che, accettato dai singoli compratori, abbia fissato una determinata destinazione dell'edificio.Trib. civ. Agrigento, sez. I, 4 luglio 1977

MODIFICAZIONI

A differenza dalle innovazioni - configurate dalle nuove opere, le quali immutano la sostanza o alterano la destinazione delle parti comuni, in quanto rendono impossibile la utilizzazione secondo la funzione originaria, e che debbono essere deliberate dall'assemblea (art. 1120, comma 1, c.c.) nell'interesse di tutti i partecipanti - le modifiche alle parti comuni dell'edificio. contemplate dall'art. 1102 c.c., possono essere apportate dal singolo condomino, nel proprio interesse ed a proprie spese, al fine di conseguire un uso più intenso, sempre che non alterino la destinazione e non impediscano l'altrui pari uso. Pertanto, è legittima l'apertura di vetrine da esposizione nel muro perimetrale comune, che per sua ordinaria funzione è destinato all'apertura di porte e di finestre, realizzata dal singolo condomino mediante la demolizione della parte di muro corrispondente alla sua proprietà esclusiva. Alla eventuale autorizzazione ad apportare tale modifica concessa dall'assemblea può attribuirsi il valore di meno riconoscimento dell'inesistenza di interesse e di concrete pretese degli altri condomini a questo tipo di utilizzazione del muro comune.Cass. civ., sez. II, 20 febbraio 1997, n. 1554

In caso di condominio negli edifici, la modificazione di una parte comune e della sua destinazione, ad opera di taluno dei condomini, sottraendo la cosa alla sua specifica funzione e quindi al compossesso diluiti i condomini, legittima gli altri all'esperimento dell'azione di reintegrazione con riduzione della cosa stessa al pristino stato, tal che possa continuare a fornire quella utilitas alla quale era asservita anteriormente alla contestata modificazione senza che sia necessaria specifica prova del possesso di detta parte (che non abbia una sua autonomia rispetto all'edificio), quando risulti quello di una o più delle porzioni immobiliari in cui l'edificio stesso si articoli.Cass. civ., sez. II, 13luglio 1993, n. 7691

Le modificazioni della cosa comune o di sue parti (muri perimetrali, cortili ecc.), eseguite dal singolo condomino ai fini di un suo uso particolare, diretto ad un migliore e più intenso godimento della cosa medesima, costituiscono una consentita esplicazione del diritto di comproprietà ex art. 1102 cod. civ., ove non implicano alterazioni della consistenza e della destinazione del bene e non pregiudichino i diritti di uso e di godimento degli altri condomini. Diversamente, si risolvono in una innovazione vietata ai sensi dell'art. 1120 stesso codice, e nel caso di costruzione, nel cortile comune, di una autoclave per il servizio di una singola unità abitativa - seppure consentita con deliberazione della assemblea dei condomini a norma del quinto comma dell'art. 1136 - comporta sottrazione di una parte del suolo comune alla sua naturale destinazione ed all'uso e godimento degli altri condomini.Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 1987, n. 1911

Il divieto di modificare la cosa comune, sottraendola alla possibilità di sfruttamento da parte di tutti i partecipanti alla comunione secondo l'originaria funzione della cosa stessa, opera anche in relazione alle porzioni del bene comune delle quali i comproprietari si siano concordemente attribuito il godimento separato, in quanto anche in tal caso, non venendo meno la contitolarità dell'intero bene, la facoltà di utilizzazione della cosa attribuita a ciascuno dei comproprietari trova limite nella concorrente ed analoga facoltà degli altri, con la conseguenza che sono consentite solo le opere necessarie al miglior godimento, e dovendo per contro ravvisarsi una lesione del diritto di comproprietà degli altri condomini quando la cosa comune sia stata alterata, in tutto od in parte, e quindi concretamente sottratta alla possibilità dell'attuale sfruttamento collettivo nei termini funzionali o originariamente praticati.
Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 1986, n. 421

Costituiscono esplicazione del diritto di comproprietà ex art. 1102 cod. civ., e in quanto tali non richiedono la preventiva autorizzazione dell'assemblea condominiale, le modificazioni della cosa comune eseguite dal singolo condomino ai fini di un suo uso particolare diretto al miglior godimento della medesima (e, quindi, anche in assenza di una necessità in senso assoluto), che non implichino alterazioni della consistenza e della destinazione della cosa stessa e non pregiudichino i diritti di uso e di godimento degli altri condomini. Sono, invece, innovazioni le modificazioni che importino alterazioni della consistenza della cosa comune o ne mutino la destinazione e che, ai sensi dell'art. 1120, primo comma, cod. civ., richiedono, perché possano essere disposte, la maggioranza assembleare di cui al quinto comma del successivo art. 1136.Cass. civ., sez. II, 4 dicembre 1982, n. 6608

E' validamente dato in forma verbale, da un comproprietario all'altro, l'assenso per semplici modificazioni della cosa comune nel quadro di un accordo sul contemperamento concreto dei rispettivi singoli usi concorrenti della cosa stessa.Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 1977, n. 398

A norma dell'art. 1102 c.c. ciascun condomino può servirsi della cosa comune apportandovi le modificazioni che egli ritenga utili per il miglior godimento di essa, fino a sostituirla con altra che offra maggiore funzionalità. Tali facoltà, peraltro, sono legittime solo se si esplicano nei limiti dettati dalla legge, e cioè con l'astensione da ogni alterazione del bene comune e conservando la possibilità dell'uso di esso da parte di ogni altro condomino nell'ambito del suo diritto. I limiti ora indicati non vengono superati dal solo fatto dell'uso più intenso da parte di uno o più condomini, purché attraverso lo stesso non si giunga al turbamento dell'equilibrio con tutti i diritti di costoro o a un cambiamento della destinazione del bene comune, non soltanto in vista dell'uso attuale, ma anche di quello potenziale secondo la natura della cosa e il fine al quale essa venne predisposta, sicché resta del tutto indifferente - salvo che in relazione alla costituzione di diritti esclusivi a favore di alcuno dei condomini o di terzi - che da tempo più o meno lungo uno o più degli interessati non si siano serviti del bene in questione.Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1976, n. 1836  

OSTACOLI AL DIRETTO GODIMENTO

L'ostacolo al diretto godimento della cosa comune da parte di uno dei comproprietari frapposto dagli altri non richiede di necessità un formale rifiuto in risposta ad una identica richiesta bensì può risultare, oltre che da espresse manifestazioni di volontà, anche da comportamenti al fine equivalenti da apprezzare in relazione alle condizioni oggettive del bene comune ed ai rapporti personali tra i diversi comproprietari. Tale ostacolo fa sorgere, a carico di chi lo ponga in essere, l'obbligo di prestazione risarcitoria sostitutiva del godimento non fruito.Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 1983, n. 176

 

In applicazione dell'art. 1102 c.c., qualora il partecipante alla comunione, con l'esecuzione di nuove opere, renda impossibile o menomi l'esercizio del diritto degli altri partecipanti, frapponendovi un qualche ostacolo, che si traduca in un pregiudizio giuridicamente rilevante ed apprezzabile, ciascuno degli altri condomini può chiedere la rimozione dell'opera che altera e sconvolge il rapporto di equilibrio della comunione.Cass. civ., sez. II, 14 marzo 1974, n. 716

 

PARI USO

La parità dell'uso assicurata dall'art. 1102 c.c. ad ogni condomino, è intesa a consentire qualsiasi altro miglior uso e non anche quel particolare, specifico ed identico uso realizzato con la modificazione in atto. Il concorso di diritti al miglior godimento della cosa comune si risolve non col criterio della priorità (presupposizione), bensì con quello dell'equo contemperamento dei contrapposti interessi.
Cass. civ., sez. II, 9 settembre 1970, n. 1378

 

La nozione di pari uso della cosa comune che ogni compartecipe, utilizzando la medesima, deve consentire agli altri a norma dell'art. 1102 cod. civ., non è da intendere nel senso di uso identico, giacché l'identità nello spazio, o addirittura nel tempo, potrebbe importare il divieto per ogni condomino di fare della cosa comune un uso particolare o addirittura un uso a proprio esclusivo vantaggio, soprattutto nel caso di modificazioni apportate alla cosa. (Nella specie, in cui i giudici del merito avevano ritenuto uso legittimo della cosa comune ai sensi dell'art. 1102 cod. civ. l'appoggio, da parte di un condomino, di una trave del solaio di separazione tra due piani alla "cassa" delle scale comuni, il S.C. alla stregua del principio che precede, ha considerato corretta la decisione).

Cass. civ., sez. II, 14 luglio 1981, n. 4601

 

Per pari uso della cosa comune deve intendersi non un uso identico nello spazio o addirittura nel tempo, a quello attuato dal comproprietario-condomino modificatore, ma quel qualsiasi altro miglior uso che gli altri condomini possano convenientemente fare in altra parte della cosa comune.Trib. civ. Milano, sez. VIII, 19 settembre 1988

   

PISCINA

Il diritto di invitare ospiti nella piscina condominiale costituisce un modo di fruizione del bene comune e come tale ai sensi degli arti. 1118 e 1123 cod. civ. deve essere proporzionato alla proprietà.Pret. civ. Roma, 13luglio 1989, 757.

 

RILASCIO DI NULLA OSTA

Il diritto del condomino di usare le parti comuni dell'edificio, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condomini di farne parimenti uso (arti. 1102 e 1139 c.c.), implica per questi ultimi l'obbligo di comportarsi in modo da non rendere impossibile, e ingiustificatamente più gravoso, l'uso del singolo e così il dovere di quell'attiva cooperazione necessaria per l'uso del condomino. Pertanto, qualora un terzo estraneo alla comunione, ma di cui il condomino debba necessariamente avvalersi per la sua posizione di monopolio o supremazia, contesti il diritto del condomino di fare un certo uso legittimo della cosa comune senza il preventivo nulla-osta degli altri condomini, costoro non possono rifiutarne il rilascio, sempreché il rifiuto non risulti in concreto giustificato da un ragionevole motivo. (Nella specie l'Acea e la Soc. Romana Gas, richiesti da un condomino dell'installazione dei servizi di acqua e gas, avevano preteso il preventivo nulla-osta del condominio).Cass. civ., sez. II, 5 giugno 1978, n. 2816

 

TARGHE ED INSEGNE (APPOSIZIONE)

Ciascuno dei condomini può servirsi dei muri perimetrali dell'edificio condominiale per quelle utilità accessorie che ineriscono al godimento della sua proprietà esclusiva, qual è l'utilità del risalto pubblicitario dell'attività professionale o commerciale svolta, che si realizza normalmente mediante l'apposizione di insegne, targhe, cartelli e simili. Consegue che - poiché la utilizzazione del muro perimetrale comune mediante tale apposizione non ne altera la naturale e precipua destinazione di sostegno dell'edificio con-dominiale - l'utilizzazione stessa, ove non impedisca l'esercizio concorrente del diritto degli altri partecipanti di fare eguale uso del muro, costituisce normale esercizio del diritto di usare la cosa comune.Cass. civ., sez. III, 24 ottobre 1986, n. 6229

 

In tema di condominio di edifici, i partecipanti con voto unanime possono sottoporre a limitazioni, nell'ambito dell'autonomia negoziale, l'esercizio dei poteri e delle facoltà che normalmente caratterizzano il contenuto del diritto di proprietà sulle cose comuni, venendosi in materia disponibile, con la conseguenza che con regolamento contrattuale possono vietare l'apposizione di insegne, targhe e simili sui muri perimetrali comuni, ovvero subordinarla al consenso dell'amministrazione.Cass. civ., sez. II, 3 settembre 1993, n. 9311

 

 

L'utilizzazione del muro perimetrale comune da parte del singolo condomino mediante l'apposizione di insegne, targhe, cartelli e simili non ne altera la naturale e precipua destinazione di sostegno dell'edificio condominiale e, ove non impedisca l'esercizio concorrente del diritto degli altri partecipanti di fare uguale uso del muro, costituisce normale esercizio del diritto di usare la cosa comune.
Pret. civ. Trani, 25 luglio 1989, 751

 

E' illegittima la collocazione, da parte di un condomino, di insegne luminose, targhe e cartelli pubblicitari sul portone di ingresso, sul muro e nel corridoio dell'atrio condominiale, in quanto tale utilizzazione, non concessa dal condominio, è comunque in contrasto con la funzione o la destinazione tipica ditali parti comuni.Trib. civ. Brescia, 26 aprile 1994, n. 1100

 

La norma di un regolamento condominiale che vieti la collocazione di targhe, insegne o tende di qualsiasi genere senza il permesso scritto dell'assemblea, non è applicabile nel caso in cui un condominio collochi, sulla parte di pianerottolo strettamente al servizio dell'ingresso al proprio alloggio, alcune piastrelle in ceramica di notevole pregio artistico e non recanti alcuna scritta.

Pret. civ. Ravenna, 24 marzo 1992, n. 29

 

La controversia relativa alla rimozione di un'insegna apposta sulla facciata dell'edificio condominiale in violazione del regolamento di condominio, deve essere compresa tra quelle aventi ad oggetto le modalità e 1' uso dei servizi condominiali. ora di competenza del giudice di pace.Giud. pace Bari, 12 febbraio 1996, 267

 

TENDE (INSTALLAZIONE)

Nel caso di installazione di una tenda e delle relative intelaiature metalliche su di uno spazio di proprietà comune, da parte del condominio del piano terreno che lo abbia in uso esclusivo e destinato a ristorante, per la sussistenza della violazione dell'art. 1102 c.c., con riguardo al mutamento della struttura e della funzione del detto bene comune ed in particolare al diritto di veduta in "a piombo" dei condomini dei piani superiori, deve accertarsi sia l'utilitas (specifica o socialmente rilevante) derivante da quel diritto che in concreto la sua menomazione, tenendo conto in ispecie del distacco (in altezza) della tenda dalle vedute dei piani superiori, delle caratteristiche dei luoghi e dell'uso normale, nonché, in relazione alla specifica destinazione dello spazio comune, delle consuetudini e del normale comportamento degli esercenti di attività consimili.Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 1991, n. 11392 

 

USO DIVERSO

L'utilizzazione della cosa comune ad opera del condomino può avvenire tanto secondo la destinazione usuale della cosa stessa, quanto in modo particolare e diverso da quello praticato dagli altri partecipanti alla comunione, sempre però nell'ambito della destinazione normale della cosa senza alterazione del rapporto di equilibrio tra le utilizzazioni concorrenti attuali e anche potenziali diluiti i comproprietari, ma non quando quel godimento peculiare e inconsueto del singolo compartecipante determini pregiudizievoli invadenze nell'ambito dei coesistenti diritti degli altri comproprietari. (Nella specie, si è ritenuto che il comproprietario di una striscia di terreno non abbia il diritto di occupare lo spazio aereo sovrastante la striscia stessa con una costruzione sullo stesso aggettante, in quanto in tal caso la occupazione si risolve in una utilizzazione particolare realizzata mediante la stabile incorporazione al contiguo bene del singolo comproprietario di una porzione dello spazio aereo sovrastante il bene comune).Cass. civ., sez. II, 28 novembre 1984, n. 6192

 

La cosa comune, ai sensi dell'art. 1102 c.c., può essere utilizzata dal condomino anche in modo particolare e diverso dal suo normale uso se ciò non alteri l'equilibrio tra le concorrenti utilizzazioni attuali o potenziali degli altri e non determini pregiudizievoli invadenze dell'ambito dei coesistenti diritti degli altri proprietari pertanto, è legittima la costruzione di sporti sul cortile, (sulla strada o sul passaggio comune) se sia realizzata in modo da non pregiudicane né la normale funzione del cortile, che è di regola, quella di fornire aria e luce agli immobili circostanti (e, per la strada, quella di permettere il transito dei condomini) né le possibilità di utilizzazione particolare eventualmente prospettate dagli altri condomini. (Nella specie, trattavasi del telaio e dei battenti degli infissi, in posizione di completa apertura o di completa chiusura, realizzati, al pianterreno, nel muro prospiciente il passaggio comune senza ridurne la larghezza utilizzabile, dato che nel tratto precedente il passaggio era ristretto da un 'antica sporgenza).Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 1993, n. 172

 

L'utilizzazione della cosa comune da parte del condominio può aver luogo anche in modo particolare e diverso da quello praticato dagli altri compartecipanti, sempre che l'utilizzazione particolare rientri tra le destinazioni normali della cosa e non alteri l'utilizzazione praticata dagli altri, ossia il rapporto di equilibrio fra le utilizzazioni concorrenti - attual-mente ed anche potenzialmente - di tutti i comproprietari. Tale alterazione sussiste qualora il godimento particolare ed inconsueto del singolo condomino determini pregiudizievoli invadenze nell'ambito dei coesistenti diritti altrui, quali asservimenti, immissioni e molestie.

Cass. civ., sez. II, 10 novembre 1981, n. 5954

 

IMMISSIONI ILLECITE

Le propagazioni nel fondo del vicino che oltrepassino il limite della normale tollerabilità costituiscono un fatto illecito perseguibile, in via comulativa, con l’azione diretta a farle cessare (avente carattere reale e natura negatoria) e con quella intesa ad ottenere il risarcimento del pregiudizio che ne sia derivato (di natura personale), a prescindere dalla circostanza che il pregiudizio medesimo abbia assunto i connotati della temporaneità e non della definitività. Cass. civ. sez. II 2 giugno 2000, n. 7420

 

L'utilizzazione della cosa comune ad opera del condomino può aver luogo non soltanto secondo la destinazione usuale, ma anche in modo particolare e diverso da quello praticato dagli altri partecipanti, sempre che l'utilizzazione particolare non impedisca l'utilizzazione degli altri e non alteri il rapporto di equilibrio tra le facoltà di utilizzazione, attualmente o potenzialmente concorrenti, dei comproprietari.
Cass. civ., sez. II, 24aprile 1981, n. 2451

 

Una volta che sia stato convenuto l'uso frazionato e precario di una cosa comune, l'utilizzazione della cosa anche in modo particolare e diverso da quello praticato dagli altri compartecipanti non viola la norma di cui all'art. 1102 cod. civ., sempre che tale utilizzazione rientri fra le destinazioni normali della cosa comune e non alteri o ostacoli l'utilizzazione praticata dagli altri condomini.
Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 1979, n. 6338

 

Nel condominio di edificio, al fine di determinare la portata e l'estensione del godimento spettante a ciascun partecipante sui beni comuni, nonché di accertare l'eventuale esistenza, in favore del singolo condomino, di particolari diritti di utilizzazione, contrastanti con la destinazione normale dei beni medesimi, occorre tener presente la situazione al momento della nascita del condominio, in relazione alle disposizioni del suo atto costitutivo e del regolamento, rimanendo irrilevante l'eventuale diversità della situazione medesima in epoca anteriore.Cass. civ., sez. II, 15 aprile 1976. n. 1348

 

USO ESCLUSIVO

Il regolamento condominiale contrattuale - il quale viene ad esistenza nel momento in cui, contestualmente al primo atto di vendita di una frazione esclusiva dell'edificio. comportante la nascita del condominio, l'acquirente ne accetta le varie clausole - può contenere, oltre all'indicazione delle parti dell'edificio di proprietà comune ed alle norme relative all'amministrazione e gestione delle cose comuni, la previsione dell'uso esclusivo di una parte dell'edificio definita comune a favore di una frazione di proprietà esclusiva. In tal caso il rapporto ha natura pertinenziale, essendo stato posto in essere dall'originario unico proprietario dell'edificio, legittimato all'instaurazione ed al successivo trasferimento del rapporto stesso ai sensi degli arti. 817 e 818, secondo comma, c.c., con l'ulteriore conseguenza che, attenendo siffatto rapporto alla consistenza della frazione di proprietà esclusiva, il richiamo puro e semplice del regolamento condominiale in un successivo atto di vendita (o promessa di vendita) da parte del titolare della frazione di proprietà esclusiva, a cui favore sia previsto l'uso esclusivo di quella parte comune, può essere considerato sufficiente ai fini dell'indicazione della consistenza della frazione stessa venduta o promessa in vendita.Cass. civ., sez. II, 4 giugno 1992. n. 6892

 

A norma dell' art. 1102 cod. civ. l'utilizzazione della cosa comune da parte di uno dei partecipanti alla comunione, anche se più intensa o diversa da quella degli altri, non vale di per sé sola a mutare il titolo del possesso, e, quindi, ad attrarre la cosa comune o parte di essa nella sfera della disponibilità esclusiva del singolo comunista, il quale, ove intenda espandere il suo possesso in via esclusiva sul bene, pur non dovendo necessariamente compiere gli atti di "interversio possessionis", previsti dagli art. 1141 e 1164 cod. civ., rispettivamente per il mutamento della detenzione in possesso, e del possesso di un diritto reale su cosa altrui, in possesso corrispondente all'esercizio della proprietà, deve tuttavia concretarsi in atti integranti un comportamento durevole, tali da evidenziare un possesso esclusivo ed animo domini sulla cosa, incompatibile con il permanere del compossesso altrui.Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 1985, n. 319

 

Il condomino che, col consenso degli altri comproprietari, usa in modo esclusivo una cosa comune, non estende il suo dominio su di essa neppure sotto il profilo di maggiori poteri, in quanto sarebbe all'uopo necessario il compimento ad opera del medesimo, di atti idonei a mutare il titolo del possesso.Cass. civ., sez. III, 22 giugno 1978, n. 3091

 

L'originario proprietario diluito l'edificio divenuto poi condominiale ovvero tutti i condomini possono conferire ad un singolo condomino sulla cosa comune un particolare diritto, il quale alteri la destinazione funzionale della cosa comune; e questo particolare diritto secondo la volontà delle parti interessate può avere contenuto meramente obbligatorio con effetti limitati alle parti contraenti, ovvero il contenuto reale di una servitù.Cass. civ., sez. II, 11 marzo 1975, n. 899

 

Il diritto di comproprietà dei condomini sulle parti comuni di un edificio deve ritenersi leso ogni qualvolta uno dei condomini abbia attratto la cosa comune in tutto od in parte nella propria disponibilità esclusiva, sottraendola alla possibilità di sfruttamento collettivo. (Nella specie, il proprietario di alcuni scantinati confinanti con il terrapieno sottostante all'androne dell'edificio in condominio, aveva messo in comunicazione detti scantinati aprendo i muri delimitanti il terrapieno, procedendo allo sbancamento di questo e provvedendo alla costruzione di una soletta in cemento armato di sostegno del soprastante androne).Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 1973, n. 2759

 

USO FRAZIONATO

Allorquando sia possibile l'uso frazionato della cosa comune in considerazione della sua natura e destinazione, i partecipanti alla comunione (ovvero il giudice in caso di controversia sulle modalità d'uso) possono accordarsi circa l'utilizzazione di parte di questa da uno dei comproprietari purché. a norma dell'art. 1102 cod. civ., tale utilizzazione rientri tra quelle cui è destinata la cosa comune e non alteri od ostacoli il godimento degli altri comproprietari.Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 1985, n. 434

 

USO PIU' INTENSO

Al singolo condomino è consentita l'esecuzione di un'opera implicante un maggiore suo godimento della cosa comune soltanto se la realizzazione di essa non impedisca agli altri condomini il compimento di opere, già previste o ragionevolmente prevedibili in base alla destinazione attuale della cosa comune ed alle prospettive offerte dalla sua natura, le quali permettano ai medesimi lo stesso od altro miglior uso di tale cosa, a vantaggio delle loro proprietà esclusive. (Nella specie, il S.C., enunciando il surriportato principio, ha cassato la decisione di merito che aveva riconosciuto legittima la costruzione, da parte di un condomino, di un pensile sovrastante il cortile comune, senza accertare se questo manufatto costituisse o non impedimento alla costruzione di ulteriori pensili ed alla esecuzione di opere simili o anche diverse [balconi, finestre, ecc.] che, secondo una ragionevole previsione, gli altri condomini potessero realizzare in futuro al servizio delle unità immobiliari di loro proprietà esclusiva).Cass. civ., sez. Il, 5 aprile 1982, n. 2087

   

Il giudice del merito, per accertare se l'uso più intenso della cosa comune da parte di un condomino venga ad alienare il rapporto di equilibrio tra i partecipanti al condominio e debba perciò ritenersi non consentito ex art. 1102 c.c., non deve tener presente l'uso fatto in concreto di detta cosa dagli altri condomini in un determinato momento, ma quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno. (Nella specie in base al principio surriportato, è stata ritenuta corretta la decisione di merito, la quale aveva affermato che la collocazione da parte di un condomino sul muro perimetrale comune di tre bacheche, fornite di impianto di illuminazione, per l'esposizione di quadri in vendita, era illegittima, perché tale da impedire agli altri condomini ogni eventuale uso che in avvenire essi avrebbero voluto fare di detto muro, per collocarvi targhe professionali o commerciali).Cass. civ., sez. II, 11 dicembre 1992, n. 13107

 

L'esecuzione, da parte del comproprietario, di una modificazione alla cosa comune, al fine di farne un uso più intenso (nella specie, l'apertura di un nuovo accesso su cortile fra fabbricati) non è illegittima per il solo fatto che determini un'alterazione dell'equilibrio fino allora esistito fra gli usi esercitati dai comunisti; tale illegittimità sussiste solo ove si accerti che l'incremento dell'uso del singolo partecipante pregiudichi la possibilità degli altri di continuare nell'esercizio del loro uso, e di ampliare eventualmente il medesimo in modo e misura analoghe.Cass. civ., sez. II, 11luglio 1975, n. 2746

 

 

L'art. 1102 c.c. consente al condomino di usare della cosa comune per un suo fine particolare, ove egli, in tal modo, ritragga dal bene una specifica utilità aggiuntiva, rispetto alle utilità generali ridondanti a vantaggio dei condomini tutti, ma gli vieta in modo assoluto di alterare la destinazione della cosa stessa, snaturandola, impedendone o compromettendone la funzione che le è propria.
Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 1976, n. 579

 

USO TURNARIO

L'assemblea condominiale può legittimamente regolamentare l'uso dei beni comuni limitando il godimento dei condomini, nell'interesse comune, senza incorrere in causa di nullità assoluta, salvo escludere il godimento diretto dei condomini o di alcuno di essi; sicché, in caso d'incapienza dei beni, il godimento turnario offre l'unico strumento idoneo a consentire il godimento diretto di tutti i condomini, e nessuna norma inderogabile impone di ragguagliare la durata dei periodi di godimento all'entità delle quote di comproprietà dei turnisti.
Trib. civ. Genova, sez. III, 10 ottobre 1992, n. 2927 

 

L'accordo di tutti i condomini che, anche imponendo divieti (nella specie proibizione di occupare temporaneamente le parti comuni dell'edificio), tenda ad assicurare ai condomini stessi un migliore e più funzionale godimento delle cose e dei servizi comuni attenendo alla disciplina delle modalità di uso di questi, è sempre modificabile con una deliberazione assembleare, senza necessità di un successivo consenso diluiti i condomini che l'hanno in precedenza stipulata.Cass. civ., sez. III, 13 maggio 1977, n. 1898

 

La deliberazione con la quale l'assemblea di un condominio di edificio, alla stregua del regolamento condominiale, accerti eccesso od abnormità nell'uso dei beni comuni da parte di un singolo condomino (nella specie, per deposito di materiali nel cortile e nell'androne), ed applichi, nei confronti di quest'ultimo, la sanzione pecuniaria prevista, non comporta una lesione dei diritti del condomino medesimo sulle cose e servizi comuni, ma attiene esclusivamente alla disciplina dell'uso di quelle cose e servizi: detta delibera, pertanto, non è affetta da nullità, deducibile in ogni momento con azione di accertamento, ma è solo impugnabile ai sensi e nei termini perentori di cui all'art. 1137 c.c.Cass. civ., sez. II, 15 gennaio 1976, n. 132

 

Deve ritenersi vietata dall'art. 1102 cod. civ. la divisione orizzontale di un appartamento, che comporti la totale utilizzazione del preesistente margine di sicurezza statica dell'edificio condominiale pur non pregiudicando la funzione portante dei muri comuni e così la stabilità dell'edificio, in quanto le opere eseguite dal singolo condomino, finiscono col precludere sostanzialmente agli altri condomini sia l'utilizzazione dei muri comuni secondo il loro diritto, che la facoltà di sopraelevazione consentita dall'art. 1127 cod. civ.
Cass. civ., sez. II, 23 aprile 1980, n. 2673

 

Il provvedimento del giudice che interdisce l'uso non consentito della cosa comune, reso possibile dalle modifiche avvenute nella proprietà esclusiva di uno dei comproprietari, non può limitarsi a vietare l'uso non consentito, ma deve contenere disposizioni che rendano materialmente impossibile il perpetuarsi dell'uso illegittimo.Cass. civ., sez. II, 25 luglio 1980, n. 4841

 

Rientra nei poteri dell'assemblea del condominio regolare l'uso delle cose comuni, ma non escludere uno o più condomini dall'uso delle cose comuni, se ad esso abbiano diritto in base al titolo o alla legge (nella fattispecie l'assemblea, decidendo di escludere i proprietari soltanto di boxes e non anche di appartamenti nel condominio, dall'uso degli ascensori anche ai soli fini del raggiungimento dei boxes, aveva deliberato in materia sicuramente esulante dal campo delle sue attribuzioni, e, stando alla prospettazione aveva sacrificato il diritto degli stessi sulle cose comuni).Corte app. civ. Milano, sez. I

 

E' invalida la delibera assembleare che faccia divieto di accedere alla terrazza comune - destinata esclusivamente per copertura - per stendere i panni e battere i tappeti in quanto tale diritto si fonda sul principio di cui all'art. 1102 c.c., in virtù del quale ognuno può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione.Trib. civ. Milano, 14 gennaio 1991, 799

   

USUCAPIONE

Il partecipante alla comunione può usucapire l'altrui quota indivisa del bene comune senza necessità di interversio possessionis, ma attraverso l'estensione del possesso medesimo in termini di esclusività. A tal fine si richiede, tuttavia, che tale mutamento del titolo (art. 1102, secondo comma, c.c.) si concreti in atti integranti un comportamento durevole, tali da evidenziare un possesso esclusivo ed animo domini della cosa, incompatibili con il permanere del compossesso altrui sulla stessa e non soltanto in atti di gestione della cosa comune consentiti al singolo compartecipante o anche atti familiarmente tollerati dagli altri (art. 1141 c.c.) o ancora atti che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o erogazioni di spese per il miglior godimento della cosa comune, non possono dar luogo a un'estensione del potere di fatto sulla cosa nella sfera di altro compossessore.Cass. civ., sez. II, 23 ottobre 1990, n. 10294

 

La disposizione dell'art. 1102, comma 2 c.c., secondo la quale il partecipante alla comunione non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso impedisce al compossessore che abbia utilizzato la cosa comune oltre i limiti della propria quota non solo l'usucapione ma anche la tutela possessorie del potere di fatto esercitato fino a quando questo non si riveli incompatibile con l'altrui possesso.Cass. civ., sez. II, 25 novembre 1995, n. 12231

 

Il condomino, per usucapire la cosa di proprietà comune, non deve dimostrare l'interversione del possesso, ma deve fornire la prova di avere sottratto la cosa all'uso comune per il periodo utile all'usucapione e, cioè, di una condotta univocamente diretta a rivelare che nel condominio si è verificato un mutamento di fatto nel titolo del possesso, e non la prova del mero non uso della cosa da parte degli altri condomini.Cass. civ., sez. II, 26 aprile 1984, n. 2622

 

Il godimento del bene comune può essere invocato dal comproprietario al fine dell'usucapione della proprietà dello stesso solo quando si traduca in un suo possesso di tipo esclusivo, con riguardo sia al corpus sia all'animus, incompatibile con la possibilità degli altri condomini di uso del bene medesimo.Cass. civ., sez. II, 16 luglio 1983, n. 4908

 

L'uso della cosa comune da parte del singolo condomino non può estendersi alla occupazione permanente di una parte del bene comune, tale che, nel concorso degli altri requisiti di legge, possa portare alla usucapione della parte occupata.

Cass. civ., sez. II, 5 febbraio 1982, n. 663

 

Il partecipante alla comunione di un bene non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso; ai fini dell'usucapione della cosa comune è sufficiente che il condomino, per tutto il tempo necessario ad usucapire, possieda l'intera cosa in modo esclusivo ed inconciliabile con il godimento comune della cosa stessa.
Cass. civ., sez. II, 27 giugno 1974, n. 1923

 

Il condomino può usucapire la cosa di proprietà comune e senza necessità di una interversione del possesso ai sensi dell'ari. 1164 c.c. soltanto attraverso una estensione del possesso medesimo, in termini però di esclusività. A questo fine, tuttavia, non è sufficiente che gli altri partecipanti si siano astenuti dall'uso della cosa, ma occorre che quel condomino abbia goduto in modo oggettivamente incompatibile con la possibilità di godimento altrui, che risulti in radice eliminata, non bastando a surrogare siffatta connotazione di esclusività ed incompatibilità (con il compossesso degli altri soggetti) la mera utilizzazione del bene in maniera più intensa, ed ancor meno la sola prova del mero non uso della cosa da parte degli altri condomini.

Corte app. civ. Milano, sez. III, 12 novembre 1993, n. 2261

 

USUFRUTTUARIO

Poiché l' usufruttuario ha il godimento dei beni e dei servizi condominiali, egli risponde di fronte al condominio delle quote di manutenzione e gestione ordinaria.Trib. civ. Milano, 15 gennaio 1992, 16

 

Le azioni a difesa o a vantaggio della cosa comune possono essere esperite dai singoli condomini senza che sia necessaria l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri partecipanti alla comunione.

Cass. civ., sez.II, 7 aprile 2000, n.4345

 

QUANDO SORGE L'OBBLIGO DI ADEMPIERE AL PAGAMENTO DELLE SPESE

L'obbligo del condomino di pagare i contributi per le spese di manutenzione delle parti comuni dell'edificio deriva non dalla preventiva approvazione della spesa e della ripartizione della stessa, ma dalla concreta attuazione dell'attività di manutenzione e sorge, quindi, per effetto dell'attività gestionale concretamente compiuta e non per effetto dell'autorizzazione accordata all'amministrazione per il compimento di una determinata attività di gestione ( nella specie avendo il condomino ammesso di non avere pagato le quote richieste e non contestato il loro ammontare, è stata ritenuta superflua e priva di fondamento ogni altra questione, ivi compresa quella concernente la nullità delle deliberazioni assembleari poste a fondamento del decreto ingiuntivo emanato nei suoi confronti).

Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 2000, n. 857

 

DIFFERENTE ESERCIZIONE DEL DIRITTO DI POSSESSO SULLE PARTI COMUNI

Il possesso dei condomini sulle parti comuni di un edificio si esercita diversamente a seconda che le cose, gli impianti ed i servizi siano oggettivamente utili alle singole unità immobiliari, a cui sono collegati materialmente o per destinazione funzionale ( come ad esempio per suolo, fondazioni, muri maestri, facciata, tetti, lastrici solari, oggettivamente utili per la statica ), oppure siano utili soggettivamente, e perciò la loro unione materiale o la destinazione funzionale ai piani o porzioni di piano dipende dall'attività dei rispettivi proprietari ( come ad esempio per scale, portoni, anditi, portici stenditoi, ascensore, impianti centralizzati per l'acqua calda o l'aria condizionata ). Infatti nel primo caso l'esercizio del possesso consiste nel beneficio che il piano o la porzione di piano - soltanto per traslato proprietario - trae da tali utilità; nel secondo caso nell'espletamento delle predetta attività da parte da parte del proprietario.

Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 2000, n. 855

 

DIFESA DELLE PARTI COMUNI

 Le azioni reali nei confronti dei terzi a difesa dei diritti dei condomini sulle parti comuni di un edificio tendono a statuizioni relative alla titolarità ed al contenuto dei diritti medesimi che esulando dall'ambito degli atti meramente conservativi (art. 1130 n. 4 c.c.) possono essere proposte dall'amministratore del condominio solo se autorizzato dall'assemblea a norma dell'art. 1131 comma 1 cod. civ. Ai fini dell'ammissibilità della domanda riconvenzionale che non importi spostamento di competenza è sufficiente un qualsiasi rapporto o situazione giuridica in cui sia ravvisabile un collegamento obiettivo tra domanda principale e domanda riconvenzionale, tale da rendere consigliabile e opportuna la celebrazione del simultaneus processus. In tema di condominio, ciascun partecipante è legittimato a proporre le azioni a difesa della proprietà della cosa comune senza necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri condomini salvo che la controparte non si limiti a negare la situazione soggettiva dell'attore, ma opponga la proprietà esclusiva del bene contestando il diritto di tutti i condomini, sicché la controversia riguardi l'esistenza stessa della condominialità e pertanto un rapporto soggettivo unico ed inscindibile, nel qual caso è necessaria la presenza nel processo anche degli altri condomini, dovendo la pronuncia avere effetto nei confronti di tutti. Cass. 19 ottobre 1994,  n. 8531

 

IMPIANTI CONDOMINIALI E APPLICABILITA' DELLE NORME SULLE DISTANZE LEGALI

La disposizione dell'articolo 889, Codice civile, relativa alle distanze da rispettare per i pozzi, cisterne, fossi e tubi, è applicabile anche con riguardo agli edifici in condominio, salvo che si tratti di impianti da considerarsi indispensabili ai fini di una completa e reale utilizzazione dell'immobile, tale da essere adeguata all'evoluzione delle esigenze generali dei cittadini nel campo abitativo e alle moderne concezioni in tema di igiene. Cass. civ., sez. II, 20 agosto 1999, n. 8801

 

NORME SULLE DISTANZE LEGALI

Le norme sulle distanze legali, le quali sono fondamentalmente rivolte a regolare rapporti tra proprietà autonome e contigue, sono applicabili anche nei rapporti tra il condominio ed il singolo condomino di un edificio condominiale nel caso in cui esse siano compatibili con l'applicazione delle norme particolari relative all'uso delle cose comuni (art. 1102 c.c.), cioè nel caso in cui l'applicazione di queste ultime non sia in contrasto con le prime e delle une e delle altre sia possibile una complementare; nel caso di contrasto, prevalgono le norme relative all'uso delle cose comuni, con la conseguenza della inapplicabilità di quelle relative alle distanze legali che, nel condominio di edifici e nei rapporti tra il singolo condomino ed il condominio stesso, sono in rapporto di subordinazione rispetto alle prime. (Nella specie, si trattava della installazione, in appoggio al muro condominiale, ed in prossimità della finestra di un condomino, della canna fumaria della centrale termica condominiale). Cass. Civ. 724 - 23/01/95

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