La caccia alle streghe è sempre stata di gran moda. Se nel mirino di un’inchiesta giudiziaria finisce, poi, una stella dello spettacolo, sai che goduria. Il caso Enzo Tortora è soltanto uno dei più recenti, non certo il primo nè l’ultimo. Al povero Roscoe Arbuckle , detto Fatty per la sua mastodontica mole, non andò certo meglio. Nel 1921, quando lo accusarono di violenza carnale e omicidio di una ragazza, lui era uno dei divi più amati del cinema muto. Un boccone prelibato, la vittima sacrificale da immolare sull’altare del perbenismo americano. A riportare a galla, nel magma della memoria, la storia del grassone che non si accontentava di conquistare gli spettatori con le solite torte in faccia, è stato un suo film del 1916, «He Did and He Didn’t» , proiettato ieri mattina al Teatro Zancanaro di Sacile nell’ambito delle ventritreesime Giornate del muto. Un piccolo gioiello girato a Fort Lee, antenato di Hollywood, girato e interpretato dallo stesso Arbuckle con la splendida Mabel Normand e William Jefferson. Erano gli anni in cui Fatty non si accontentava più dei soliti film usa-e-getta. Voleva mettere assieme delle commedie che avessero anche un valore estetico, che conquistassero il grande pubblico e i palati più raffinati. Così, Fatty finì per girare una sorta di commedia nera. Un triangolo amoroso in cui la realtà si sovrappone al sogno, la verità al sospetto, in un turbinio di immagini che a tratti raggiungono una velocità da rodeo. Non fu quello l’unico film che Arbuckle portò a termine negli studios di Fort Lee, altri sei ne arrivarono alla spicciolata. Ma il Destino aveva deciso che la carriera dell’amatissimo divo della risata, dotato di un phisique ideale per la commedia brillante, dovesse subire un brusco cambio di percorso. Erano i tempi di Hollywood Babilonia. Gli anni Venti, un periodo in cui il sesso estremo e la droga riempivano i giorni e le notti di molte stelle del grande schermo. Accadde che, dopo un party piuttosto movimentato, una ragazza giovanissima ci rimettesse la vita. E che, a poco a poco, le voci indicassero un famoso attore come l’autore dello stupro con una bottiglia, che si era trasformato in omicidio. Molto presto venne rivelato anche il nome del presunto assassino: era lui, Roscoe Arbuckle. Così, la carriera di Fatty finì quel giorno, come se calasse il sipario. E non importa se, poi, dal processo uscì assolto completamente scagionato. Come ha scritto in un bellissimo libro David Yallop, il giornalista che ha indagato anche sulla morte di Papa Luciani, «Quel giorno smettemmo di ridere». Perchè qualcuno, convinto di riuscire a moralizzare Hollywood Babilonia con un processo sensazionale, fece di Roscoe Arbuckle una sorta di bersaglio mobile da colpire senza pietà. Spenti i riflettori, calato il silenzio, fu Buster Keaton a cercare di rilanciare il grande Fatty. Ma i tempi d’oro, per il ciccione che faceva ridere usando il cervello, erano definitivamente, e tristemente, tramontati. Alfred Hitchcock a parte, il cinema inglese degli anni Venti è sempre stato una sorta di buco nero. Forse perchè i registi britannici si sentivano schiacciati tra il montante strapotere hollywoodiano e lo snobismo europeo, che continuava a considerare i film come un raffinatissimo prodotto d’arte. Eppure, i talenti non mancavano. Come quel Anthony Asquith , a cui le Giornate dedicano quest’anno un omaggio, in compagnia degli altri cineasti britannici del periodo. Tre i suoi lungometraggi in programma: «Underground», «Shooting Stars» e «A Cottage on Dartmoor». E proprio quest’ultimo è passato lunedì sera sullo schermo dello «Zancanaro». Un piccolo capolavoro dimenticato che, guarda caso, niente ha da inviadiare a certe commedie «nere» del più famoso Hitchcock. Girato tra il 1929 e il ’30, «A cottage» racconta la storia di un tormentato amore a tre ambientato in un negozio di parrucchiere di provincia. Quando la gelosia supera il limite accettabile, ci scappa il morto. Ma anche l’assassino, alla resa dei conti, troverà una fine violenta, incapace di vivere lontano dalla donna a cui ha ucciso involontariamente il marito. Strepitosa la scena ambientata in un cinema, con gli spettatori di una delle prime pellicole con il sonoro in sincrono che diventano protagonisti di altrettante gag. Sono sette anni, ormai, che le Giornate del muto esplorano, con certosina precisione, la produzione di David Wark Griffith . Il maestro di «Intolerance» e «Birth of a Nation». Stavolta tocca ai lungometraggi, come «Home, Sweet Home» , in cui l’intersecarsi delle storie anticipa lo stile che caratterizzerà, poi, i suoi lavori più famosi. Dal vivo, a Sacile, la pellicola è stata arricchita dall’accompagnamento musicale di Neil Brand, Günter Buchwald, Denis Biason, Romano Todesco, Lorena Favot e Luca Grizzo. Nella quinta giornata di proiezioni, oggi, vanno segnalati «Moskva» di Dziga Vertov, alle 9.30; «The Ghost Train» di Geza von Bolvary, alle 11; «Squibs Wins the Calcutta Train» di George Pearson, alle 17.15; l’evento musicale «Tillie’s Punctured Romance» di Mack Sennett, con l’accompagnamento musicale di Tillie’s Nightmare, alle 20.30; ancora l’omaggio a Vertov delle 22.15.