I TEMPI CAMBIANO
di Vincenzo Ballo |
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Una volta, durante le processioni, i giovani maschi, li picciutti, non
seguivano i santi con devozione, ma andavano avanti e indietro ai lati del
corteo per adocchiare le ragazze, fare furtivamente qualche segno d’intesa: una
strizzatina d’occhio, un piccolo accenno delle labbra per indicare un desiderio
di bacio. La destinataria poteva non gradire e girarsi dall’altra parte, restare
impassibile o arrossire. In qualche caso sorrideva, ma bisognava capire se lo
faceva perché ci stava o pensava “che stupido”. Quando si trovava la ragazza che
accettava la corte, le si rimaneva vicino per un tratto di strada, in modo da
farsi notare, qualche volta le si rivolgeva la parola, una brevissima frase che
potesse sentire solo lei e che padre, madre, sorelle, amiche ed estranei non se
accorgessero. Quasi mai si otteneva risposta, la ragazza non rischiava di
mostrarsi subito civetta. Quando la madre, o peggio se c’era il padre, notava
l’interessamento, faceva mettere la ragazza in mezzo ad altre persone del
proprio gruppo per evitare messaggi scritti o sussurrati e il contatto di
sfioramenti di braccia seppur coperte.
Comunque non si stava vicini per tutta la sera, magari ci si allontanava
restando a vista, ma dato che si era in due o in tre bisognava dare anche agli
amici la possibilità di corteggiare qualche ragazza. Nel frattempo se ne poteva
adocchiare qualcun’altra e provare a vedere se ci stava. Perché molto spesso non
si corteggiava per amore ma per passatempo.
Intanto si guardavano le donne affacciate ai balconi, sperando anche di vederne
le gambe, per quel poco che c’era da vedere, andando di moda allora gli abiti
con l’orlo a mezza gamba sotto le ginocchia. Ma per giovani che non vedevano mai
una coscia, se non al cinema o in fotografie di riviste che sembravano fatte
apposta per accendere il desiderio, era già bello poter immaginare che sotto una
gonna c’era il ben di femmina.
Altre occasioni di corteggiamento erano offerte dal ballo, come accennato
altrove. Dato che allora non c’era nemmeno l’uso del saluto con una stretta di
mano, due persone di sesso diverso venivano a contatto solo ballando, e ci si
poteva sfiorare i petti.
Una volta le ragazze uscivano di casa solo nelle festività religiose o per
andare a trovare dei parenti, comunque sempre accompagnate. Per questo allora
c’era più attesa per una festa, che offriva la possibilità di svagarsi un po’ e
di farsi conoscere. Certo, timide com’erano, a volte si vergognavano anche degli
sguardi, che comunque facevano loro piacere e speravano sempre di poterli
attirare.
Il dopoguerra liberalizzò i costumi, ma da noi molto lentamente. Le ragazze
cominciarono ad andare a messa tutte le domeniche, la fede era sincera ma la
devozione era interessata, il fine era il matrimonio. E i giovanotti la domenica
evitavano di andare in campagna, a meno che non fossero obbligati per certi
lavori, come la mietitura e il raccolto. In primavera occorreva provvedere
l’erba per le bestie, ma si sbrigavano al mattino e per l’ora di messa erano
davanti alla chiesa. Davanti, perché a loro non interessava assistere alle
funzioni religiose, avevano solo interesse a vedere le ragazze, perciò non
andavano in chiesa a mescolarsi con le “femminucce”. Entravano solo alla
Matrice, che ha tre navate e, stando i fedeli (quasi tutte donne e qualche
vecchio) seduti nella navata centrale, essi potevano andare su e giù e sostare
in quelle laterali, dalle quali, anziché assistere alla messa, scrutavano le
ragazze. Queste ogni tanto occhieggiavano con pudore, curiose e un po’
speranzose, qualche volta illudendosi che fossero per loro sguardi rivolti
invece a un’altra ragazza seduta sulla stessa linea di visione del giovanotto
interessato.
I sacrestani Cosimo e Calogero “Pupa” (questo era il soprannome di famiglia) si
arrabbiavano con quei villani maleducati e irriguardosi, che disturbavano la
funzione religiosa coi loro movimenti, distraendo le ragazze, e li cacciavano
via. Cosimo era particolarmente severo e si faceva ubbidire, ma dopo un poco
l’andirivieni ricominciava, però con una qualche discrezione.
Sul sagrato, ma più sulla piazzetta antistante la chiesa Madre (o davanti la
chiesa di Santa Maria), si formavano dei capannelli di giovanotti,
particolarmente numerosi verso il finire della messa, che attendevano l’uscita
delle donne. Quando il portone veniva aperto si assiepavano tutti lì davanti per
guardare le donzelle da vicino, ma poi si spostavano formando due ali per
lasciarle passare attraverso un largo corridoio, e questo a poco a poco si
restringeva perché qualcuno che non riusciva a vedere bene avanzava per vedere
meglio, causando disagio e facendo vergognare le poverette che avevano poco
spazio per transitare.
L’interesse per l’uscita dalla messa si ridusse quando, nelle sere d’estate, le
ragazze cominciarono ad andare a passeggio lungo il corso (piazza) Vittorio
Emanuele II, fino alla Villa Comunale, bel giardino fuori l’abitato, con sinuosi
vialetti fra alberi lussureggianti. Ufficialmente è parco della Rimembranza,
costruito a partire dal 1929 per ricordare i caduti della guerra 1915/18, i cui
nomi sono incisi alle pareti esterne del piccolo emiciclo che include il
cancello d’ingresso. La passeggiata, con la scusa di prendere aria, consentiva
l’innocente svago, dava maggiori occasioni d’incontri, maggior tempo e modo per
una migliore conoscenza, favoriva le opportunità di proposte esplicite e lo
scambio di frasi o letterine, anche se furtivamente e, fattore quasi
rivoluzionario, apriva la prigione delle case e dava l’avvio alla libertà delle
donne.
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A questo punto si cominciò ad abbandonare un’altra forma di corteggiamento molto
praticata. Quando si era conosciuta una ragazza che piaceva, o dopo che era
avvenuto un primo contatto, magari attraverso uno sguardo compiacente, o anche
se lei non si fosse accorta ancora di nulla, si andava con un amico, di sera o
pomeriggio, a passare dalla strada di casa sua per farsi notare. Ci si piazzava
all’incrocio delle vie e si aspettava che si affacciasse. Per non sembrare come
dei lampioni, si fumava una sigaretta. Poi, per discrezione, ci si spostava in
un’altra cantunera per non far capire ai vicini verso chi fosse rivolto
l’interesse, perché quando le soste erano frequenti e lunghe potevano
compromettere il decoro della ragazza. (Ma diversamente, se nessuno si
presentava in quel crocevia, non era piacevole per una giovane da marito e per
la famiglia, perché ciò significava che non interessava a nessuno).
Non sempre si riusciva a vedere la ragazza desiderata: forse non era in casa o
forse non si mostrava perché era una carusa seria, e questo era buon
segno per la sua dignità ma non interessante per amoreggiare. A volte si
affacciava, magari con la scusa di buttare l’acqua di una bacinella, ma ciò non
voleva dire che fosse disposta a corrispondere. Magari lo faceva per semplice
curiosità di sapere chi fossero e come fossero quei giovanotti, i quali a volte
non erano lì per lei ma per un’altra, compariva per farsi notare o, se era in
età da matrimonio, voleva far capire che “sì, ci sto, mi piaci, ma se mi vuoi
chiedimi in moglie, non sperare di amoreggiare clandestinamente”. E il
giovanotto lì a fare lo spasimante con gesti che volevano chiedere: “Che
dobbiamo fare? Ci stai? Ma perché non rispondi?”. Poi si passava da sotto il
balcone, o che fosse la finestra, a volte si sussurrava qualche parolina; ma
quasi sempre lei si ritirava prima d’essere vicini.
D’estate era più facile vedere le ragazze, perché spesso si sedevano a ricamare
sul balcone, con la sedia che stava metà dentro e metà fuori, le spalle rivolte
alla issina di ddisa o costruita con listelli di legno.
Così prendevano aria e ogni tanto guardavano verso la strada per distrarre gli
occhi. Se chi stava alla cantunera non piaceva, risultava seccante,
dovendo privarsi di guardare, per non dare l’impressione di gradire e, se non
bastava ostentare indifferenza, occorreva ritirarsi.
Quando il corteggiamento – non diciamo l’amore perché spesso lui non lo sentiva
– era corrisposto, si amoreggiava con gli sguardi (Vitaliano Brancati ha scritto
belle pagine sull’amore fatto di sguardi) e con i gesti, che quasi sempre era
solamente lui a fare. Ma c’era il caso che anche lei desiderasse mandare qualche
bacetto furtivo in momenti rubati al tempo, e ne approfittava quando poteva
fingere di baciare un bambino, salutare un’amica o mandare baci alle immagini
sacre.
Ho incontrato, in uno di questi giorni di vacanza al paese, una signora che
avevo amato negli anni dell’adolescenza. Credo che anche lei mi amasse, ma si
limitava a guardarmi e a lasciarsi corteggiare da lontano. In quegli anni non ci
fu mai occasione di trovarci vicini.
Ora si è dato il caso, non voluto e non cercato, di rivederci e non poter fare a
meno di salutarci e parlare insieme per la prima volta. Abbiamo detto banalità
di circostanza, senza allusioni e niente che potesse ricordare i sentimenti
della prima gioventù, quando ci scambiavamo sguardi innamorati, dolci e, da
parte mia, interrogativi e accattivanti. Ma ovviamente, incontrandoci e stando
insieme a parlare per la prima volta, non potevamo fare a meno di ricordare,
senza rimpianto, senza nostalgia, senza malizia, essendo entrambi felicemente
sposati e fedeli anche nella mente, con propri figli meravigliosi di cui siamo
fieri. La sensazione però è stata piacevole, dolce, amabilmente strana,
difficile comunque da spiegare e da capire. Andando indietro nel tempo si poteva
sorridere considerando il grande cambiamento avvenuto in pochi anni, dall’amore
platonico all’amore totale. Cosicché una banale conversazione è stata la più
gradevole che abbia mai avuto.
I giovani d’oggi rideranno di questo, loro che possono incontrare donne con le
quali hanno avuto rapporti sessuali, immaginarle nude, come le avranno viste, e
non provare nulla. Perché oggi è tutto provvisorio, amori, amicizie... Si volta
il calendario e si cambia.
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Comunque, allora qualcuna andava oltre gli sguardi e i segnali, rispondeva alle
profferte amorose, magari senza esporsi troppo, per non rischiare di essere
chiamata liccatura, che equivaleva a civetta, termine anch’esso usato. Un
breve dialogo d’amore a distanza comprometteva l’onore. Eppure c’era chi,
sfidando genitori e ficcanasi, non resisteva alla voglia di abbracciare e farsi
abbracciare, scambiarsi baci. Forse erano meno dolci di quelli sognati, ma erano
veri e stupefacenti. La ragazza “spregiudicata” faceva entrare l’amato in casa,
magari nella stalla, ovviamente di sera perché nessuno vedesse, fidando nel
sonno profondo dei genitori, senza paura dei fratelli, se ne aveva (le sorelle
invece erano confidenti), rischiando di essere scoperta e prendersele di santa
ragione. Ma ciò non scoraggiava dal ripetere l’esperienza, e la ripetizione
portava a osare e cedere sempre di più, dando addio alla sacrosanta verginità.
Per il maschio era un successo, ma poteva trasformarsi in una sconfitta: dopo
essere penetrato nella fortezza avrebbe dovuto tenersi tutta la città, e ciò in
amore può essere un problema. La donzella infatti non era stupida, cercava di
sedurre il buon partito e cedeva a seguito della promessa di matrimonio; mentre
il maschio cercava la conquista sessuale e per ottenerla più facilmente
attaccava la piazzaforte che riteneva più debole, poi prometteva tutto quello
che gli si chiedeva pur di raggiungere lo scopo, specialmente nel delirio
dell’eccitazione. Voleva essere seduttore ma veniva sedotto e bidonato. Se poi
cercava di liberarsi e disdire l’impegno, veniva messo di fronte alla scelta tra
il matrimonio o la morte. Qualcuno scappava all’estero, quando ciò era
possibile, i più accettavano di sposare. Ma c’era anche chi riusciva a farla
franca, specie se la ragazza temeva lo scandalo e non voleva dirlo ai genitori.
Si sposava lo stesso, con un altro, e non succedeva nulla, anche se i giovani
dicevano che avrebbero ucciso la sposa qualora non l’avessero trovata vergine.
Forse si convincevano che non sempre l’imene si rompe, anche se prima non lo
sapevano.
Ed
erano tempi in cui una ragazza che fosse stata baciata sulla guancia in pubblico
da uno spasimante non corrisposto, agli occhi della gente perdeva lo smalto
della purezza, anche se si diceva “vucca vasata nun perdi vintura”.
Poi è avvenuta la libertà dei costumi, è caduto il tabù della verginità, gli
uomini prendono le donne senza interrogarsi del passato e accettano le corna del
futuro. Dopo raggiunta la parità tra i sessi, c’è stato ancora un periodo in cui
si è ritenuto sconveniente che una donna corteggiasse apertamente un uomo del
quale si fosse innamorata, sia pure nei paesi di maggiore libertà. Ora invece
anche le donne prendono l’iniziativa, e credo che sia meglio così, altrimenti un
timido rimarrebbe zitello.
Eppure, con tanta libertà e con tutte le opportunità di incontrare persone
dell’altro sesso, sorgono e progrediscono agenzie matrimoniali.
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