PREMESSA DELL'INSEGNANTE

[Introduzione]

[Esperimenti]

[Bibliografia]

[Link]

           

Lavoro di approfondimento di laboratorio di fisica relativo a un esperimento galileiano di importanza storica. Il lavoro si propone come obiettivo una indagine trasversale di analisi concettuale dei protocolli empirici di laboratorio.

   

Su Galileo quasi certamente si è detto tutto. Penso che né la ricostruzione storica, né la critica epistemologica possano accrescere ulteriormente ciò che si sa dell’opera del grande scienziato toscano. Non mi sembra possibile trovare ulteriori aspetti della vasta opera galileiana che possano permettere di aggiungere ancora qualche altra considerazione di particolare valore in grado di interessare nuovamente la critica storica galileiana. Da un punto di vista  poliziesco si potrebbe dire che “il caso è chiuso”. Ma allora, perché si è scelto di parlare di nuovo di Galileo? E’ possibile che si possa ancora dire qualcosa di nuovo o meglio di interessante su Galileo? E, soprattutto, perché un titolo così ambizioso e impegnativo come quello scelto sopra?

Senza voler essere presuntuosi dico subito che a mio parere è ancora possibile parlare di Galileo, soprattutto nella prospettiva di un lavoro didattico affrontato a scuola durante un normale corso di fisica. Non è per niente irragionevole pensare di parlare ancora di Galileo se lo scopo è quello di mettere a fuoco le “idee fisiche” galileiane e il ruolo privilegiato che esse hanno nel campo della formazione e dell’educazione scientifica sia dal punto di vista metodologico, sia dal punto di vista concettuale nel panorama della cultura scientifica che si persegue in un liceo. A condizione però che si chiariscano le premesse e i limiti del lavoro che si intendono porre all’attenzione del lettore interessato.

Le premesse partono dalla considerazione che parlare in modo autentico di Galileo è possibile a condizione di adoperare il linguaggio che lui maggiormente preferiva e utilizzava nelle sue opere, cioè il linguaggio “degli esperimenti” su esplicite questioni di fisica. In poche parole questo significa che invece di parlare del Galileo del Dialogo si deve parlare del Galileo dei Discorsi. Mi rendo perfettamente conto che questo spostamento di attenzione dall’opera del Dialogo a quella dei Discorsi non è solo un cambiamento di stile o di prosa, ma è soprattutto un cambiamento di trama concettuale, ovvero di contenuti. Diciamo che è relativamente facile sentire parlare del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano ma è improbabile che si discuta dell’altra meno conosciuta opera di Galileo che sono i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti alla meccanica e ai movimenti locali. Non per niente è molto facile trovare in vendita in una qualunque libreria il Dialogo mentre è difficilissimo, se non addirittura impossibile, trovare i Discorsi. In verità, sono del parere che senza affrontare specificamente e direttamente la dimensione empirica delle leggi cinematiche, relative cioè al moto di caduta di un oggetto su un piano inclinato, a mio parere, non è corretto dire che si parla adeguatamente e significativamente di Galileo in modo galileiano. In alcune pagine del Dialogo Galileo sostiene che “i discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta”, criticando apertamente il dogmatismo aristotelico e incoraggiando esplicitamente la sperimentazione.

Lasciate allora che almeno qui, in questa modesta e incompleta ricostruzione storico-sperimentale, ci si appropri non solo del linguaggio galileiano, ma anche dei contenuti galileiani, perché altrimenti il rischio è che di Galileo parlino esclusivamente gli storici, i filosofi, i linguisti, i biografi, i lessicologi e tante altre categorie di studiosi ma non i fisici! Sarebbe paradossale. Dunque, la caratteristica di questo lavoro è quella di parlare di esperimenti che riguardano l’interpretazione fisica del moto galileiano sul piano inclinato, secondo il punto di vista della fisica, magari in termini non esattamente fedeli a come Lui li trattò, magari con varianti specifiche agli esperimenti da Lui effettivamente realizzati ma sempre intesi in senso autenticamente galileiano.

In questo lavoro si discuterà di un’abbuffata di esperimenti (ben 17), perché di questo si tratta, che sviluppano tutti lo stesso tema: il piano inclinato. Naturalmente, così come proposti, gli esperimenti non hanno la pretesa di essere completi ed esaustivi né nella loro matrice teorico-concettuale, né nella loro veste empirico-tecnologica. Si tratta, piuttosto, di una carrellata di idee, diciamo di una serie di stimoli, di tentativi di fornire un quadro metodologico più organico e completo di quello presente in molti ottimi libri nei quali però vengono analizzati uno o, al massimo, due degli esperimenti compresi nel lavoro che qui viene presentato.

Il filo comune del lavoro è l’«uso trasversale» del piano inclinato anche in contesti non prettamente galileiani, come nel caso dell’esperimento relativo alla conferma del principio di conservazione della q.d.m. o, meglio, nella misura dell’aumento dell’entropia ottenuto nel processo di caduta di un carrello su un piano inclinato.

Al di là della eccessiva semplificazione e banalizzazione di alcuni esperimenti mi auguro che questo tentativo possa permettere, concretamente, di evidenziare l’unitarietà della fisica che ha un denominatore comune nella trasversalità e universalità delle sue leggi anche in fenomeni e contesti differenti da quelli di cui si è soliti riferirsi.

I limiti di questo lavoro sono i limiti che normalmente ci si aspetta di trovare nel momento in cui si tenta di effettuare una analisi critica delle questioni e delle implicazioni che la tematica empirica pone sempre alla riflessione didattica: poca precisione nelle misure perché non si ha una adeguata dotazione strumentale di laboratorio; molte difficoltà a lavorare in laboratorio a causa di un'organizzazione di lavoro inadeguata; poco tempo disponibile; poco interesse della “collettività scolastica” per questo tipo di lavoro effettuato interamente in laboratorio e in ore cosiddette impossibili per la loro realizzazione e sempre al di fuori della normale attività curriculare. Il perché di questa situazione ci porterebbe lontano e non è questa la sede per discuterne.

Il lavoro che qui viene presentato si articola in una collezione di esperimenti galileiane tutti rivolti a presentare il moto di caduta di un “grave” su un piano inclinato in chiave di massima semplicità, di completo rigore scientifico e di considerevole rispondenza storica.

I 17 esperimenti proposti dall’allievo Luca Conticelli, alcuni dei quali realizzati in classe nella normale attività scolastica, altri invece appositamente progettati dal sottoscritto e realizzati in altri orari, seguono tutti la stessa impostazione metodologica: iniziano con una concisa dichiarazione di intenti, dallo studente chiamata ipotesi galileiana di lavoro da controllare, proseguono con la presentazione delle tabelle di dati sperimentali prelevati in laboratorio durante le attività empiriche, dei relativi grafici cartesiani che hanno lo scopo di fornire uno sguardo di sintesi sui risultati dell'esperimento, si concludono tutti con il calcolo degli errori commessi (questi ultimi intesi non come sbagli ma come determinazione delle incertezze assolute) e con una “assunzione di responsabilità” circa la validità dei risultati del processo di conferma empirica.

L’esposizione della teoria e l’impostazione degli esperimenti si ispirano volutamente ai lavori di Galileo e per quanto possibile (nei limiti di una trattazione scolastica) mantengono la visione galileiana dello studio del moto, a parte evidentemente il linguaggio che non è quello geometrico adoperato a quel tempo ma quello algebrico secondo la prassi moderna.

Per uscire un po’ dal vago delle assunzioni teoriche e dei propositi educativi diciamo che la ricerca sperimentale che segue prende l’avvio dalla definizione cinematica di moto rettilineo uniformemente accelerato, nel caso di moto incipiente, e si propone lo scopo di confermare empiricamente, in tutte le salse e con molte varianti, le quattro equazioni orarie di questo importante tipo di moto (incipiente):

(1)   a=costante
(2)   v = a t

(3)  

s =½ a t2

(4) 

v= √2 a s

con strumentazione ed apparecchiature molto semplici, alcune delle quali del tipo adoperati proprio da Galileo.

La ricerca sperimentale effettuata dallo studente Luca Conticelli assume così la veste di metodologia di conferma empirica delle leggi del moto di caduta su un piano inclinato e permette di ripercorrere - per quanto possibile - il percorso storico, teorico e sperimentale del lavoro effettuato da Galileo durante il periodo di studio e di indagine svolto dal grande Scienziato nei primi decenni del ‘600.

La lezione da trarre dalla scoperta galileiana dell’uso “fisico” del piano inclinato non è tanto quella di avere scoperto la legge di caduta dei corpi prima di altri. Il fatto importante, a mio parere, è invece il radicale cambiamento nel modo di trarre le conclusioni dalla osservazione dei fenomeni cinematici da Lui studiati proprio attraverso quel piano inclinato che qui assume rilevanza come “strumento culturale” di indagine, prima ancora che come “apparecchio di misurazione” vero e proprio. Non ci sono dubbi che Galileo, mediante il piano inclinato, introduce un nuovo approccio allo studio dei fenomeni fisici. In un certo senso Egli, con l’uso del piano inclinato, và oltre la comune giustificazione di dover usare un’apparecchiatura estremamente utile per gli scopi della misura dei tempi di caduta degli oggetti.

L’esperienza effettuata dallo studente acquista importanza nella prospettiva di conseguire un doppio risultato didattico-educativo. In primo luogo di contribuire a rivalutare la dimensione empirica della scienza portando con sé importanti ricadute di tipo culturale e formativo. L’iniziativa ha cioè il pregio di continuare una nobile tradizione, che ha sempre visto il laboratorio di fisica e la dimensione empirica della disciplina occupare una parte rilevante e significativa delle attenzioni della didattica curriculare della fisica nel liceo Russell, perpetuando nel tempo quel processo di rivalutazione del sapere scientifico che ha sempre visto la dimensione empirica essere un momento importante e significativo del “fare “ fisica.

In secondo luogo di rendere consapevoli gli studenti a comprendere più efficacemente il ruolo e l’attività di Galileo avvicinandoli il più possibile alla situazione storica in cui lo scienziato toscano visse ed operò, permettendo di capire meglio il dibattito scientifico che caratterizza il periodo di transizione dalla fisica aristotelica a quella newtoniana.

Come  insegnante che ha progettato i lavori effettuati dallo studente mi assumo per intero la responsabilità in merito a eventuali inesattezze contenute nei vari esperimenti. Saranno benvenute tutte le osservazioni critiche e i suggerimenti possibili che il lettore desidera portare a conoscenza di entrambi gli autori. 

Ecco gli indirizzi e_mail: v.calabro@iol.it  e  volpebianca@tiscalinet.it 

 

Roma, Gennaio 2002 L'insegnante di fisica e laboratorio

prof. Vincenzo Calabrò