Finalmente
è arrivato il gran momento: ora parliamo di chitarra solista!
Oppure, se preferiamo, di lead guitar! Non credo
esista appassionato di musica di taglia “over forty”(come me) che a suo
tempo sia rimasto immune dal fascino magnetico di certe foto di copertina dei
dischi (rigorosamente vinili) e dai relativi crediti che dicevano: “Jimi
Hendrix: lead guitar”; “Eric Clapton: lead guitar”; “Duane Allman &
Dickey Betts: lead guitar”; “Franco Mussida: chitarra solista, classica,
acustica, mandolino, mandoloncello…(ma questa è un’altra storia).
E che dire degli anni successivi, con sugli scudi un certo
Eddy Van Halen, o tale Randy Rhoads? E poi Steve Vai, Joe Satriani, Yngwie
Malmsteen? O per rimanere in Italia i Sigg. Maurizio Solieri, Andrea Braido o
Steve Burns (che ormai consideriamo italiano acquisito!)?
C’è
poco da dire. E’ impossibile rimanere indifferenti di fronte a una linea
melodica suonata con gusto e trasporto, magari da uno strumento che urla al
punto giusto. E se la passione per la chitarra ci ha portato fin qui…allora è
giunto il momento di saperne qualcosa di più.
Se
torno con la mente ai primi approcci con la chitarra solista, ricordo che
tendevamo a dividere i chitarristi in due insiemi, completamente opposti:
chitarristi puliti, e chitarristi sporchi. Tra i primi potevamo annoverare, ad
esempio, Carlos Santana, oppure David Gilmour; tra i secondi Richie Blackmoore e
Jimmy Page. Era una divisione arbitraria e che ora fa sorridere per la sua
ingenuità. Infatti chi ha dimestichezza con pick ups ed amplificatori, ben sa
che per ottenere il suono di Santana i settaggi sono tutt’altro che puliti;
analogamente, un approfondito studio dell’opera del grande Jimmy Page rivelava
una raffinatezza tutt’altro che “sporca”. Sicuramente la divisione tendeva
a sottolineare nel primo caso più che il timbro della chitarra,
l’intelligibilità, o la facilità di comprensione delle linee melodiche,
mentre nel secondo caso, la definizione andava a riferirsi
al contesto sonoro tipico dell’hard rock, dove le forti distorsioni e
l’uso di pattern ossessivi (power chords e riff)
potevano giustificare l’impietoso aggettivo.
Ho desiderato
esporre questa lunga premessa per focalizzare immediatamente alcuni aspetti
molto importanti nell’approccio alla chitarra solista:
Ø
La cura
dell’intelligibilità delle note suonate ovvero la pulizia del tocco, a
prescindere dal timbro utilizzato se suoniamo una chitarra elettrica;
Ø
La cura della
qualità del suono, sia esso pulito o molto distorto.
Va sottolineato
infatti che anche un suono “sporco” (sempre secondo i criteri sopra
accennati) può a prima vista sembrare semplice da ottenere, con risultati
roboanti; è sufficiente utilizzare volume e distorsione. Ma il vero approccio
qualitativo a generi con alto tasso d’energia, partendo cioè dal Blues
elettrico per finire al Metal, passando per il Rock più o meno Hard, richiede
invece capacità tecniche non indifferenti ed altrettanta attenzione al tocco ed
al suono (altrimenti è solo rumore).
I
chitarristi che ho nominato nell’esempio sopra riportato, sono tutti molto
interessanti da ascoltare per iniziare a suonare qualche linea solistica,
ancorché personalmente io sia più portato a suggerire inizialmente di
concentrarsi su Santana e Gilmour, lasciando gli altrettanto validi Blackmoore e
Page per lo studio di giri armonici e riffs (attenzione: anche i soli di questi
due signori sono da manuale; ma consiglio di avvicinarli in un secondo momento,
non appena approfondita l’esposizione sulle scale e sulle tecniche della mano
sinistra che seguirà più avanti).
Bene!
Iniziamo. Ascoltiamo più volte qualche semplice frase (un esempio per tutte le
stagioni: Sampa Pa Ti, del buon
Carletto), cerchiamo di memorizzarla mentalmente, e poi proviamo a “tirare
fuori” le note dalla chitarra.
D’accordo
– mi direte voi – ma come si fa? Esistono due modi. Il primo, molto semplice
ed usato da tutti, spesso con superbi risultati, prevede di trovare le note
“ad orecchio”, confrontando in pratica ogni singola nota suonata, con ogni
nota della canzone, magari canticchiando quest’ultima mentalmente (da qui la
necessità di memorizzare “il canto” delle frasi che vogliamo imparare).
Il secondo è un po’ più complicato, ma ci può portare
lontano, perché ci regala “consapevolezza”: innanzi tutto, troviamo il giro
armonico della canzone, magari sfruttando i consigli esposti sul capitolo
dedicato agli accordi, e scopriamo così la tonalità del nostro brano
(l’accordo statico, in altre parole dove di norma la frase termina, “si
riposa”). Suoniamo ora una semplice scala maggiore (o la relativa minore se
tale è il “sapore” del brano), identificando bene le note che la
compongono. Ebbene, le note della frase melodica che vogliamo imitare saranno,
di norma, quelle che compongono la predetta scala.
Esempio: SAMBA PA TI
Giro armonico:
Am |
/ |
/ |
/ |
G
|
/ |
/ |
/ |
Bm
|
/ |
/ |
/ |
Em
|
/ |
/ |
/ |
Osserviamo,
dall’ascolto, che in questa frase ci sono ben due momenti di riposo, la
seconda misura, in Sol, e la quarta, in Mi minore (che guarda caso sono accordi
“fratelli”).
Riesponiamo
allora per un istante la scala di Sol maggiore:
G |
A |
B |
C |
D |
E
|
F#
|
G
|
||||||||
|
TONO |
TONO |
SEMITONO |
TONO |
TONO |
TONO |
SEMITONO |
|
|||||||
Confrontiamola con la canzone:
ABCDEG
D F#
E ABCDEG
D F# E
|
Notiamo che
le note della frase della canzone sono tutte comprese nella scala di Sol
maggiore. |
Mentre
nei nostri primi tentativi ritmici il risultato sonoro emulava la grattugia, ora
è assai probabile che il timbro da noi ottenuto suoni pressappoco così:
“stic, stic,stic…”, cioè con note piuttosto sorde e slegate tra di loro.
E’ un problema di “dinamica” e di “tocco”.
Per
quanto attiene la dinamica, iniziamo anche in questo caso a porre attenzione al
volume (inteso come forza impressa alla pennata suonando) ed agli accenti,
sperimentando varie soluzioni. Per quanto concerne invece il tocco, iniziamo
innanzi tutto a curare il modo in cui premiamo le corde con le dita della mano
sinistra: prestiamo attenzione di premere la corda immediatamente prima del
tasto, non “sul” tasto e neppure “nel bel mezzo” tra i due tasti. Il
suono che esce dovrà essere bello chiaro e privo di ogni smorzamento.
Una
volta ottenuto questo semplice ma non banale risultato, possiamo introdurre
alcune tecniche che ci aiuteranno a rendere più espressivo il lavoro della mano
sinistra.
E’
un’azione tipica della mano sinistra, copiata pari dai violinisti, e si
esplica, ferma la posizione del polpastrello prima del tasto, nel movimento
della mano parallelo al manico (avanti ed indietro), oppure perpendicolare (su e
giù). Il risultato è duplice: da un lato l’azione di progressiva pressione e
rilascio che si attua sulla corda, nel punto in cui è premuta, si traduce in un
prolungamento naturale del suono, che decade più lentamente (sustain);
dall’altro, dette vibrazioni conferiscono un “colore” al suono ricco e
appunto “vibrante”.
Si
può attivare l’effetto lentamente, con movimenti ampi e regolari, o
velocemente, in modo secco e nervoso. Il risultato sarà ovviamente
caratterizzato da sfumature diverse, ma tutte assai efficaci.
Consiglio
un uso estensivo della tecnica di vibrato quando fraseggiamo a note singole. In
particolare deve (ho scritto
“deve”, non “può”), ripeto deve
essere usata ogniqualvolta ci troviamo di fronte a note appena prolungate
(diciamo dal quarto – semiminima – in su).
Entrare
in possesso di un’ottima padronanza del vibrato ci farà aumentare in modo
esponenziale la nostra espressività sullo strumento.
Ovvero
legati ascendenti e discendenti. Ricordo ancora il panico e la frustrazione
provata da giovane studente di chitarra classica quando iniziai a studiare il
legato ascendente. Non sapevo ancora che mi trovavo di fronte ad una tecnica che
portava a risultati veramente gratificanti, soprattutto una volta trasposta
sulla chitarra elettrica.
Innanzi
tutto premiamo un tasto con l’indice della mano destra; poi, prima che la nota
decada del tutto, percuotiamo a martelletto (da qui il nome di “hammer-on”)
la nota successiva, senza suonarla con la mano destra. Otterremo un suono
(attenzione, non al primo tentativo!) che sarà la diretta prosecuzione del
precedente, come se fosse appunto “legato”.
Per fare un esempio, il risultato fonico sarà simile a pronunciare “Va-o”,
anziché “va-do”. Nel primo caso abbiamo una singola emissione vocale, nel
secondo una doppia.
Proviamo
l’hammer-on prima su due tasti adiacenti, tenendo di base l’indice e
percuotendo con il medio. Poi proviamo su due note distanti un tono, fermo
ancora l’indice e giù con l’anulare. Poi su due note distanti un tono e
mezzo (tre tasti) con un movimento indice – mignolo (questo è difficile).
Proviamo anche la distanza di mezzo tono e di un tono tenendo come base il dito
medio e percuotendo rispettivamente con anulare e mignolo.
In
questi esercizi va curata l’impostazione complessiva della mano sinistra, che
consiglio vivamente di tenere in modo classico (pollice dietro il manico, base
delle dita parallele al manico stesso, dita con l’ultima falange piegata “a
martelletto”).
Per
quanto concerne il legato discendente, il procedimento è sostanzialmente il
medesimo, ripetuto al contrario. Per un’ottima esecuzione conviene tenere
premute le dita di entrambi i tasti interessati, ad esempio indice e medio,
pizzicare o pennare la nota di cui al medio, “strappare” la corda con lo
stesso, facendo in questo modo risuonare la nota di cui all’indice.
Vediamo qualche esercizio:
|
|
Acquisita
una certa scioltezza, diventa interessante provare a suonare i legati su tre
note per corda. L’azione richiede sicuramente molta coordinazione tra le due
mani, ma il risultato è eccellente.
Proviamo insieme questo lick in stile
“neoclassico”:
|
|
|
|
|
Negli
esempi sopra riportati, la nota legata viene suonata come un’entità ben
distinta dalla precedente. Esiste un altro tipo di legatura, di pura derivazione
classica e che prende il nome di “acciaccatura” o “appoggiatura”, che,
pur tecnicamente uguale nell’esecuzione (“martellata ascendente” o
“strappo discendente”) è completamente diversa nell’intenzione. In questo
caso la nota legata sembra quasi la nota principale, mentre la nota pizzicata,
suonata pertanto immediatamente prima, assume un sapore di pura introduzione.
Vediamo che cosa succede, ad esempio nell’intro di “Samba
Pa Ti”
|
In
questo caso l’hammer on tra il la ed il si e tra il si ed il do sulla terza
corda (prima battuta), serve ad introdurre appunto la nota
successiva (rispettivamente il si ed il do) come se fosse una nota sola. I
benefici in termini di espressività sono evidenti.
Tecnica
concettualmente assimilabile alle precedenti per il risultato finale, che vede
la produzione di più note con un solo tocco della mano destra, si realizza
spostando il dito da un tasto all’altro immediatamente dopo la pennata. Il
movimento può essere ascendente o discendente, o anche l’uno seguito
immediatamente dall’altro, e può interessare uno come più tasti. Questa
tecnica è spesso usata da Pat Metheny.
Arriviamo infine al
principe degli effetti suonati con la mano sinistra, il più usato ed abusato,
il più frizzante ed emozionante: il “bending” (letteralmente “tirare le
corde”).
L’effetto
si ottiene in pratica tirando appunto la corda verso l’alto o verso il basso
immediatamente dopo la pennata o pizzicata. In questo modo si ottiene una
variazione d’intonazione della nota suonata, che può essere minima (microtonale)
o più ampia, arrivando a coprire un semitono od un tono e più.
I risultati
espressivi sono importanti: si parte dall’imitazione della voce umana (il
lamento o l’urlo) per arrivare agli strumenti a fiato (pensate al suono di una
tromba); può essere suonato in modo nervoso e veloce, oppure lirico e disteso,
come l’acuto di un tenore. Qualsiasi assolo, senza la giusta dose di note
tirate, è a mio avviso qualcosa di monco, di orfano.
Per
ottenere un buon bending, non ci sono scorciatoie; bisogna solamente esercitarsi
a lungo e con convinzione.
Tecnicamente, le
corde vanno tirate di norma con il dito anulare, magari sostenuto da indice e
medio, mentre il pollice si pone sopra il bordo superiore del manico, fungendo
da fulcro per l’intera azione.
E’
indispensabile curare bene l’intonazione delle note ottenute tirando le corde,
che specie nei primi tempi tenderà ad essere calante (effetto che potrebbe
essere peraltro voluto, se abbiamo nel frattempo maturato un’anima da vero “bluesman”).
Un
ottimo consiglio è di esercitarsi nel bending con la chitarra acustica. Se
raggiungeremo risultati decenti con l’acustica, tireremo le corde
meravigliosamente con l’elettrica. E, soprattutto, ascoltiamo a lungo, tra gli
altri, i seguenti chitarristi: Eric Clapton, Carlos Santana, Gary Moore, Peter
Green, Steve Lukater, Jeff Beck, Duane Allman, Paul Kossof (forse uno dei più
emozionanti; ascoltate peraltro come unisce ai bendings più lirici una buona
dose di vibrato) ed infine …Lorenzo Masenello!!???
Esercizio per casa:
Scegliamo una scala naturale a caso, poniamo il Sol maggiore, ed iniziamo a suonare la prima nota, tirandola alla seconda, la seconda alla terza e così via fino all’ottava. Facciamo anche l’esercizio di tirare la corda dal sol al la tornando al sol (“reverse bending”), poi dal la al si e ritorno, si e do e ritorno. Okkio sempre all’intonazione. Non appena vi faranno male le dita, rallegratevi, perché siete sulla buona strada. Smettete solo quando il dolore fisico diventerà insopportabile (forse anche un po’ prima). Il blues è sofferenza, ed un vero bluesman si riconosce da come “tira” le corde…