Scaldiamo i motori
e teniamoci pronti, perché l’argomento è di quelli elettrizzanti. Non può
esistere amante della musica leggera degli ultimi trent’anni che non si sia
emozionato o gasato sulla scia di quei potenti accordi di chitarra elettrica
distorta, che evocano immagini di corse in moto e vento nei capelli……
Tecnicamente,
le forme usate sono essenzialmente due: i “Power chords” (accordi
“potenti”) ed i Riffs (difficile da tradurre; proviamo, anche se è
brutto, con “ostinati” od “obbligati”).
I
primi differiscono dalle triadi e tetradi che abbiamo già esaminato nei
precedenti capitoli poiché sono di norma composti di due note (fondamentale e
quinta) e sono suonati sulle sole corde gravi, in dichiarato appoggio allo
stesso basso elettrico. Altra
caratteristica è il timbro, che deve essere appunto potente. Pensate ai
seguenti aggettivi: grasso, gonfio, largo, tanto, profondo, ciccione. Con questi
in mente, smanettate sulla vostra chitarra o sul vostro ampli finchè otterrete
un suono che ricordi dette qualità. Per aiutarvi provate:
- Chitarra
con due pick up humbucker;
-
Magnete al manico, oppure entrambi i magneti assieme;
-
Volume della chitarra 8-10, toni se vogliamo un po’ attenutati (4 –
6);
-
Se avete una strato o una tele aiutate il segnale in uscita con un
pedalino overdrive;
-
Ampli: canale distorto (o anche quello pulito se usate un overdrive/distorsore
esterno), gain 7-10, master regolato sulla scorta dell’ambiente e dell’ampli
utilizzato (fermiamoci un momento prima del dolore fisico), bassi 4-8; medi 3-6;
acuti 5-9. Riverbero vedete un po’ voi, io non ne faccio uso.
Vediamo ora come sono composti questi “power chords”:
Prenderei in considerazione tre posizioni:
La
prima osservazione che ci viene spontanea è che questi accordi non prevedono la
terza (che come abbiamo già visto, determina il “modo” dell’accordo.
Questi accordi non sono, infatti, né maggiori, né minori, bensì sono
“sospesi”, e questa caratteristica, unita alla timbrica di cui abbiamo
accennato prima, ben si adatta a contesti “potenti”. Vedremo anzi che
l’indeterminatezza del modo (maggiore o minore) giocherà un ruolo
determinante in particolari situazioni musicali (blues).
Non
è detto che non possano esistere power chords muniti della terza, e quindi ben
definiti nel modo; altro che non sono consigliati in contesti “energetici”,
se non usati con parsimonia e gusto, pena il decadimento del senso di
“potenza” tipico di questo modo di suonare.
Le tre figure di accordo sopra riportate, ancorché siano
nella sostanza decisamente fungibili, trovano applicazione diversa a seconda dei
contesti: la prima quando i cambi d’accordo sono piuttosto mossi; la seconda
quando necessitiamo di maggiore potenza; la terza….riascoltiamoci l’intro di
“Smoke in the water” dei Deep Purple…..
Per
quanto attiene la mano destra, vediamo alcune considerazioni interessanti:
Mentre nello strumming abbiamo focalizzato l’opportunità
di evidenziare i battiti “deboli” d’ogni misura (secondo e quarto), nei
power chords il discorso cambia: gli accordi vanno suonati sicuramente sui
quarti forti (il primo ed il terzo), spesso se non all’unisono, comunque
d’intesa con il basso. Anzi, se ascoltate alcune recenti produzioni, noterete
che spesso i power chords vengono suonati sul primo beats lasciando il compito
di riempire la misura ad altri strumenti (perché non un ottimo strumming con
l’acustica? – cfr. “Hai mai” dal disco “Buoni o Cattivi” di Vasco
Rossi).
Ciò amplifica la sensazione di forza e d’autorevolezza
conferita dai battiti della grancassa e del basso.
Alternativamente,
i power chords vengono spesso usati per “marcare” ogni ottavo della misura,
contribuendo in questo caso a tenere alto il “tiro” del brano. In questo
caso può essere interessante smorzare il suono delle corde con il palmo della
mano destra (palm-muting), magari alternando sapientemente note suonate
“piene” con altre “in sordina”. (cfr. “C’è chi dice no”, sempre
Vasco Rossi, nella versione riarrangiata del Live “Rewind”).
Un’altra
particolarità, che proverei a definire Chuck Berry-Style, vede uno sviluppo
della misura con coppie d’ottavi che alternano chords formati di fondamentale
e quinta, con chords di fondamentale e sesta (ricordate Johnny be Goode?).
Vediamo un paio d’esempi:
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N.
due misure suonate ad “ottavi” |
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“Johnny Be Goode” – Style |
I riffs invece sono delle piccole cellule melodiche, suonate di norma sui registri gravi dello strumento, che tendono a ripetersi al’infinito, fornendo “groove”, grinta e carattere alle nostre canzoni.
La
prima caratteristica di un buon riff deve essere la facilità con cui ti entra
in testa (provate a canticchiare le prime note di “Satisfaction”). Poi deve
essere breve, e deve trasmettere una sensazione di potenza e di dinamica
(altrimenti come può essere la colonna sonora delle nostre corse in
motocicletta “vento nei capelli”? – attenzione, e con il casco come la
mettiamo?).
Qui
non servono molte parole, solo tanto esercizio. Fondamentale provare i riffs con
un metronomo o batteria elettronica, ma molto meglio se c’esercitiamo sul
disco (ops, sul CD).
Avanti quindi con gli esempi.
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Led Zeppelin: Black Dog |
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Led Zeppelin: Heartbreaker |
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Led
Zeppelin – Living loving maid |
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The
Beatles – Day Tripper |
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Gary
Moore – Walking by myself |
The
Beatles – Come together |