ACCOMPAGNAMOCI!

Nei capitoli precedenti abbiamo preso confidenza con la posizione delle note sulla tastiera, fattore indispensabile per iniziare a riprodurre qualche melodia, e conosciuto i primi fondamenti che regolano l’emissione simultanea di più note, ovvero gli accordi, aspetto che è alla base della non meno importante materia dell’armonia.

 Ci appare subito evidente che una conoscenza anche approfondita di scale ed accordi non è sufficiente per ottenere risultati apprezzabili su ciò che effettivamente ci interessa: FARE MUSICA.

Ci manca la tessera finale del puzzle; ci manca la definizione di “quando” e “quanto a lungo” dobbiamo far suonare queste note. Ci manca il RITMO.

Per capire che cos’è il ritmo e quale sia la sua importanza nella musica, facciamo un breve paragone con la nostra vita di tutti i giorni.

Il ritmo è il nostro respiro, calmo e rilassato se siamo sereni, veloce se siamo eccitati, breve ed affannato se siamo arrabbiati o preoccupati.

Il ritmo è il nostro passo, come quando camminiamo o iniziamo a correre, dipende dove vogliamo andare, e perché.

Il ritmo è il dondolio del treno, che ci porta lontano dai problemi e verso nuove speranze.

Il ritmo è la vita che pulsa intorno a noi; il ritmo è il battito stesso del nostro cuore.

Apologia della “chitarra ritmica”

Parliamo ora della tanto bistrattata chitarra ritmica, o d’accompagnamento. Personalmente non amo molto queste definizioni, che qui utilizzo unicamente per introdurre l’argomento, preferendo sempre e in ogni caso considerare la tecnica strumentale come un tutt’uno, al servizio della musica.

Se torno con la memoria ai primi approcci nel mondo della musica moderna, sia come neo chitarrista sia come ascoltatore, mi affiorano chiaramente le contrastanti sensazioni provate nel leggere avidamente i crediti degli amati vinili. Allora si parlava di “Lead Guitar” (pollice alto) oppure di “Rhithm Guitar” (pollice verso). Analogamente nei nostri primi sfigatissimi gruppi musicali c’era il “chitarrista solista” (la star del gruppo) ed il “chitarrista ritmico” (poco più d’un essere sub-normale; l’unica sua possibilità per trovare un po’ di considerazione era che sapesse almeno cantare…). “Lead” o “solista” erano il sinonimo d’abilità e perizia strumentale; “ritmica” di sgraziate zappate e subdoli pensieri “… almeno teniamogli il volume basso”.

 E’ vero, al cuor non si comanda, e tutti noi c’eccitavamo di più a sentire i lirismi di Carlos Santana, piuttosto che i riffs di Keith Richards; ma un ascolto più attento e maturo ci porta a riconsiderare e a rivalutare l’opera dei grandi accompagnatori. Pensateci bene, il Rock‘n’roll sarebbe stato forse lo stesso senza i vari Keith Richards, Pete Townshed o senza gli intrecci della coppia “Lennon/Harrison”? 

Alla ricerca del “tempo” perduto

Proviamo a ricordare la prima volta che siamo andati in discoteca. Al di là dell’emozione dettata dall’ambiente nuovo, dell’invidia provata per quegli amici della nostra compagnia che già al primo tentativo sembravano ballerini provetti (in quanto in possesso del senso ritmico innato), certamente ricorderemo l’impaccio provato nel tentare di muovere i nostri piedi seguendo il tempo della musica (e soprattutto tentando di celare quanto eravamo imbranati…). Poi qualche anima pia, commossa dal nostro disagio, ci prendeva per mano, e con sorriso a metà tra lo scherno e il compiacimento ci faceva notare:“….Ascolta il battito e prova a seguirlo: uno,due, tre e quattro – uno, due, tre e quattro” (e così via…)

Quest’esempio ci introduce un concetto importantissimo: “in molte canzoni, ogni frase è divisa in cellule (tecnicamente misure o battute) contenenti ciascuna quattro beats (battiti)”.

Ci riferiamo al famoso “u-no, du-e, tre-e, quat-tro”.

In questo caso affermeremo che la canzone ha un tempo di “quattro-quarti”.

Possiamo incontrare il caso di canzoni le cui misure contengono tre beats ciascuna. In questo caso ci troveremo di fronte ad un tempo di “tre-quarti” (“un-due-tre / un-due-tre); altre le cui misure contengono due battiti (un-due / un - due), ed allora parleremo di tempo in “due quarti”.

Per assimilare bene questi concetti, che sono basilari, facciamo un piccolo esercizio “metaforico”:

Ø      Proviamo a dire di seguito le seguenti parole di due sillabe ciascuna:

Ca-ne / gat-to / to-po / lu –po.

 Possiamo identificare ogni parola con una misura di due/quarti; e le relative sillabe con note di un quarto ciascuna.

Ø      Ripetiamo l’esempio con alcune parole di tre sillabe ciascuna:

Bron-to-lo / Mam–mo–lo / E–o–lo / Pi–so–lo.

Abbiamo figurato alcune misure di tre/quarti.

Ø      Vediamo ora alcune parole di quattro sillabe ciascuna:

     To –po –li –no / Pa – pe – ri –no / Cla – ra – bel – la / Ba – set –to –ni.

Ecco infine il tempo di  quattro/quarti.

 

Il tempo di due/quarti, con il suo carattere saltellante, è molto usato nelle marce, nel fox-trot, nella polka. Il tempo ternario identifica invece molta musica da ballo, mazurke e valzer; lo ritroveremo anche (nella versione 6/8 o 12/8) in alcune canzoni di derivazione blues e soul. Infine il quattro/quarti è il tempo sicuramente più diffuso nella musica moderna.

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