HO FATTO UN SOGNO
JACQUES IN ROSSO
di Franco Rossi
Se il rugby è un gioco bestiale giocato da gentlemen, se il calcio è un gioco
da gentlemen giocato da bestie e il football americano è un gioco da bestie giocato
da bestie (lo sosteneva Blaha, santone dello sport Usa), che cos'è la Formula
Uno?
E' maestra di vita.
Nel 1994 una turbata di Schumacher permise al tedesco di sottrarre un titolo mondiale
a Damon Hill, ieri a Jerez un'altra turbata di Michael non ha avuto lo stesso
successo. Succede. A volte, in formula Uno, come nella vita, non comportarsi bene
paga, altre volte no.
Ieri Schumacher ha detto di avere la coscienza pulita. Per quello che l'ha usata…
Non so guidare e non ho la patente, per me la terza e la quinta sono le classi
delle elementari e lo spinterogeno è qualcosa di misterioso come la fissione nucleare
a freddo. Eppure la Formula Uno mi affascina e gente come Villeneuve e Schumacher
la paragono ai grandi del calcio.
Il fatto che non sappia guidare non mi impedisce di esprimere giudizi su quanto
accade in un Gran Premio. Mica per essere esperti di ippica bisogna essere cavalli
o per riconoscere la bontà di un uovo fritto essere una gallina. Nell'ultimo numero
di "L'Equipe Magazin", una delle riviste sportive più autorevoli del mondo, c'è
un editoriale dal titolo significativo: Dieci buone ragioni perché il Campione
del mondo diventi Villeneuve.
Perché è la vera novità in uno sport che dalla morte di Ayrton Senna non riesce
a trovare un grande, autentico protagonista, un protagonista capace di trasformarsi
in Mito, perché canta fuori dal coro (è sempre in disaccordo con le autorità della
Formula Uno) e perché, in un ambiente maschilista per eccellenza (donne e motori
e baggianate del genere) dichiara candidamente di comportarsi ("Autoerotismo?
Che c'è di male…"), da un punto di vista sessuale, come tutti noi comuni mortali
(anche quelli che non sanno guidare un'automobile e che non hanno la patente)
ci siamo comportati da adolescenti (e anche in età più matura), nonostante reiterate
minacce di cecità prematura, e di chissà quali altri mali.
Sono diventato un ammiratore di Villeneuve perché sono tifoso Ferrari. Tre anni
fa, da responsabile della redazione sportiva de "Il giorno", mandai
Paolo Pagani a intervistare il giovane Villeneuve, ancora lontano dall'approccio
con la Formula Uno.
Il titolo, indicando più un auspicio che la realtà dei fatti, più o meno diceva
così: Il figlio di Gilles pronto a guidare un Ferrari. Era il mio sogno, era il
sogno si tutti coloro che per il padre avevano tifato, delirato e pianto.
Il binomio Villeneuve-Ferrari sarebbe stato un qualcosa di assolutamente sensazionale,
al di là delle pole position e delle vittorie che avrebbe potuto portare alla
più amata fra tutte le auto della Formula Uno. Villeneuve ieri ha dimostrato di
essere un uomo, prima che un campione assoluto. Nel finale ha fatto vincere Hakkinen,
uno che non aveva mai tagliato per primo un traguardo in un Gran Premio. Come
faceva un grandissimo dello sport: Miguel Indurain che ogni tanto lasciava vincere
colleghi meno fortunati di lui. Non per riconoscenze future, ma perché l'uomo
viene sempre prima del campione.