IL RISPARMIO ENERGETICO E' UN VANTAGGIO.  INTERVISTA A MAURIZIO PALLANTE
di Loredana Galassini 
Dal sito di bloom

Fondatore, già nel 1988,  del Comitato per l’uso razionale dell’energia, Maurizio Pallante, è anche brillante saggista e acuto osservatore della realtà. Il suo pensiero si può sintetizzare partendo da questa analisi: tutte le forme di inquinamento sono conseguenti a cattivo uso di risorse, sprechi, inefficienze che si traducono poi in emissioni nell’ambiente, sotto forma di gas, liquidi o solidi. Se si aumenta l’efficienza dell’uso delle risorse, energetiche, si diminuiscono le emissioni inquinanti nell’ambiente e contemporaneamente si riducono i costi di produzione, perché se un prodotto contiene una certa quantità di energia, ha un certo costo energetico, se ne contiene la metà, il suo costo complessivo diminuisce. Più si è efficienti, dal punto di vista tecnologico nell’uso delle risorse, minore è la quantità di residui inquinanti che s’immettono nell’ambiente e minore sono i costi. Quindi le ragioni dell’economia vanno di pari passo con quelle dell’ecologia e viceversa. 

Come mai un pensiero così semplice non viene recepito con la stessa tranquillità con cui lei lo propone?

Le ragioni sono diverse e alcune sono di carattere ideologico:  ideologia al posto delle idee. Fino a qualche anno fa, per la sinistra, ma anche per i verdi, un discorso che aveva un carattere imprenditoriale, economico era già un discorso da demonizzare. L’equazione era che i privati, per risparmiare sui costi di produzione inquinano e licenziano. Lo stato, invece, siccome non fa gli interessi del privato, ma della collettività, è la garanzia per avere delle produzioni che non sono inquinanti e siccome le produzioni energive costano di più, è bene che avvengano in condizione di monopolio senza la concorrenza. Questo invece di essere un fatto positivo, è stato estremamente penalizzante perché ha consentito a gestori di aziende pubbliche di poter fare quello che credevano, senza nessun vaglio di concorrenza che le costringesse a far meglio o le costringesse ad abbassare i prezzi o, ancora, che facesse abbassare i costi di produzione. Quindi, per prima cosa,  c’è stata una presa di posizione ideologica: tutto quello che rientra in una logica di mercato o privatistica è da condannare.  Il secondo aspetto è che ci sono state in queste situazioni, delle rendite di posizione monopolistiche che, soprattutto da un punto di vista energetico, spingevano chi era in quelle condizioni, a commisurare i propri utili alla quantità del prodotto che vendevano. Allora,  tanto per non fare nomi, ieri come oggi,  l’Enel,  più energia elettrica vende, più guadagna. Quindi non ha un interesse di fondo a far diminuire i consumi. In una situazione di concorrenza, invece, con diversi produttori, siccome il costo di produzione di kw/h è esclusivamente influenzato dalle fonti energetiche, l’efficienza significa anche risparmio alla fonte, con produzioni che, di conseguenza, inquinano meno. 

Questa è una tendenza molto attuale. Consumo e risparmio possono coesistere in un tipo di mentalità che, speriamo si radicalizzi e che sta sostituendo con la qualità, dopo anni d’induzione, il consumismo più sfrenato.

Questo discorso sulla maggiore efficienza nelle aziende, seppur lentamente, sta prendendo piede ed è legato alla concorrenza. L’esempio più interessante, paradossalmente, è quello delle industrie chimiche che,  dopo Bophal, ha avuto delle difficoltà di eccitazione sociale enorme. Nessun paese voleva più insediamenti industriali legati alla chimica. Per superare questa barriera, le industrie hanno formulato un protocollo di intesa, la  Responsible Care, in cui si impegnavano, in qualsiasi paese avessero gli investimenti, a rispettare gli standard ambientali del paese in cui erano più restrittivi. Lo hanno fatto semplicemente per continuare a produrre, non è stata una vocazione ambientalista tardiva, ma una questione di interesse, perché nessuno avrebbe più dato l’autorizzazione per costruire queste fabbriche. Le industrie che hanno fatto questo accordo, si sono trovate a dover ridurre i loro inquinanti per poter rispettare questi standard. Una delle scelte strategiche che hanno fatto, è stata quella di utilizzare meglio le risorse introducendo innovazioni tecnologiche che gli consentissero di diminuire gli effluenti. Ma se si riducono gli effluenti, si  diminuisce e si utilizza di più anche la materia prima. Il secondo discorso affrontato è stato quello di vedere se era possibile riutilizzare gli effluenti di un processo produttivo, come materia prima secondaria di un altro processo produttivo. Da una parte, hanno utilizzato meglio le risorse e dall’altra, hanno trasformato gli sprechi in nuova risorsa. 

Lei ha scritto che a volte accade che un’idea priva di fondamento, a forza di essere ripetuta, acquista quel fondamento di cui era priva. Che cos’è questo, un flash della nostra situazione economicosocialpolitica…

Penso di sì. Noi abbiamo fondato le nostre scelte esistenziali individuali e le scelte collettive della società su dei fantasmi che non hanno una consistenza reale ma, essendo considerati come fatto reale, orientano di fatto le scelte degli uomini. C’è il mito del progresso, il mito della crescita infinita, il mito della perfettibilità, il mito che la storia ha comunque un senso…se le analizziamo concretamente sono prive di fondamento, però poi orientano le scelte degli uomini e quindi come tali acquistano una consistenza.

Allora cosa dovremmo fare, cercare nuovi miti o toglierci di dosso miti inadeguati a cui ci riferiamo?

Liberarci dei miti e sottoporre a critica positiva tutte le idee che incontriamo nella nostra vita. Vedere se hanno fondamento o meno e avere come filtro una verifica individuale e personale e non l’adesione acritica a quello che viene detto. 

Lei ha scritto anche “e se nell’attuale fase di sviluppo, l’unico modo di rilanciare l’economia fosse l’ecologia e l’unico modo per migliorare l’ambiente fosse il rilancio dell’economia?”

Se le forme di inquinamento sono legate ad un cattivo uso delle risorse, occorre lavorare per accrescere l’efficienza delle risorse e quindi migliorare anche le condizioni ambientali. Faccio degli esempi per far capire cosa intendo dire. L’estate scorsa ho fatto un corso di aggiornamento in un ecovillaggio in Germania, dove ho visto delle cose molto belle, molto interessanti, come le case passive che non hanno, cioè,  bisogno di impianto di riscaldamento. Però, la legge tedesca,  quindi  non sto parlando di queste punte di eccellenza, impone che non si superino i 70 kw/h all’anno a mq per il riscaldamento degli ambienti. In Italia, il consumo medio è da 150 a 200 kw/h a mq all’anno. Più del doppio in condizioni climatiche completamente diverse. Allora, se ci ponessimo l’obiettivo di politica economica di accrescere l’efficienza di tutto il nostro patrimonio edilizio e portarlo a 70 kw/h mq all’anno, occorrerebbe fare molti lavori. Ci sarebbe l’opportunità di un forte rilancio da un punto di vista economico e produttivo. E anche occupazionale.

Ma tutto ciò si chiamerebbe ancora sviluppo o riconversione?

E’ una riconversione o, se preferiamo, un fatto di scelta di carattere qualitativo e non quantitativo. Questo è l’elemento di fondo. Nella nostra economia, il nostro punto di riferimento è la crescita del PIL. Se qualcuno produce armi, droga o giocattoli, l’indicatore rimane di carattere quantitativo e l’importante è la sua crescita perché è in percentuale rispetto a quello dell’anno precedente. Bisognerebbe introdurre dei parametri di carattere qualitativo e quindi la differenza tra la crescita quantitativa e quello che propongo è proprio nelle scelte.

E come si decidono le scelte?

Distinguendo quelli che sono i compiti dell’economia da quelli della politica. L’interesse collettivo, che è compito della politica, deve essere alla base dell’individuazione dei fini dell’economia. Ma questo non succede perché, allo stato attuale, la politica è a rimorchio dell’economia. E’ l’economia che decide. Se politicamente si decide che diventa fondamentale ridurre le emissioni di CO2, la politica deve mettere tutta una serie di incentivi e disincentivi per orientare l’attività economica in quella direzione. Un esempio è l’uso della Carbon Tax.  Se ci sono consumi superiori, vengono tassati. 

Quindi una tassazione sulle aziende?

Dato che le nostre aziende, vivono in un contesto internazionale, si tratta di non accrescere le tassazioni in maniera tale da metterle fuori concorrenza  con quelle estere. Si può, quindi, mantenere la stessa tassazione ri-orientandola. Esempio: se oggi su 100, la metà della tassazione riguarda gli oneri indiretti degli occupati e il restante 50 l’energia,  si potrebbe spostare a 30 il costo dell’occupazione e portare a 70 la tassazione sull’energia. In questa maniera, la tassazione rimarrebbe uguale ma, non intervenire sulla razionalizzazione energetica diventerebbe un costo di concorrenza, mentre l’occupazione potrebbe anche aumentare perché in ogni caso il costo del lavoro diminuirebbe. La leva fiscale può essere quindi utilizzata per orientare l’attività economica in una certa direzione. A quel punto, però, vanno individuati, da parte dello Stato, i fini. I mezzi, invece, andrebbero individuati dall’attività economica e la concorrenza diventerebbe lo strumento migliore per farlo. Se un’ azienda, ad esempio, con quest’ipotetica legge, coibentasse il proprio capannone dimezzando i propri consumi energetici, pagherebbe meno tasse. Se, al contrario, un’azienda concorrente, non facesse la stessa cosa, i suoi prodotti costerebbero molto di più. Quindi diventerebbe un meccanismo che politicamente individuerebbe dei fini e lascerebbe al mercato i mezzi per raggiungerli. 

Una collaborazione tra Stato e aziende?

Sì, in ambiti diversi. Lo Stato non deve entrare nell’economia e l’economia non ha il diritto di definire i fini dell’attività economica e produttiva. Gli interessi collettivi non possono che nascere dalla mediazione di tutti gli strati sociali nelle sedi della politica.

Tutto ciò è molto bello, ma astratto, perché concretamente oggi abbiamo una politica che non è neanche asservita all’economia, ma al mercato e alla finanza, quindi l’economia, alla fine, che cos’è?

L’economia, oggi, è una serie di attività finalizzate a far crescere il prodotto interno lordo. Siamo sempre lì, è questo il problema. Prendiamo la Fiat che oggi è in crisi e qual è la proposta politica. Dare incentivi per rilanciare la produzione di automobili. Per costruire un cogeneratore, che è una macchina che genera contemporaneamente due tipi di energia derivata utile da un’unica fonte energetica, ci vuole la stessa tecnologia che occorre per costruire automobili. Quando siamo in macchina, d’inverno, per scaldare l’abitacolo, utilizziamo il calore del motore, ma questo non l’accendiamo per sviluppare calore, ma solo per sviluppare la sua capacità di lavorare e per far girare le ruote. Energia meccanica ed energia termica. Collegando in asse un motore automobilistico ad un alternatore, che è la macchina che produce energia elettrica,  e collocandolo in un condominio al posto di una caldaia, mentre si ottiene riscaldamento, contemporaneamente si produce energia elettrica. La stessa energia, quindi, che prima utilizzavo per ottenere calore viene consumata anche per produrre l’elettricità realizzando un grosso risparmio. Ho un doppio rendimento e dimezzo l’inquinamento. E queste sono tecnologie a disposizione, già esistenti, solo che vengono impiegate per costruire solamente automobili. Ma se ci sono problemi di politica occupazionale, dagli stessi capannoni da cui escono auto, con piccoli aggiustamenti, si potrebbero far uscire cogeneratori. Allora, perché rilanciare il discorso dell’automobile, quando si potrebbero fare cose diverse che diventerebbero concorrenziali? Gli incentivi potrebbero essere utilizzati per chi acquista cogeneratori, invece che per rottamare le automobili. 

Perché non succede?

Per tante ragioni. Intanto perché i politici questo problema non se lo sono mai posto. I sindacati nemmeno, perché l’importante è l’occupazione. Io potrei andare a dire queste cose in un’assemblea operaia rischiando il linciaggio, ma l’occupazione non è mai la cosa principale, perché se partiamo da questo ragionamento, i contadini della Colombia che producono droga, hanno perfettamente ragione a farlo, perché salvaguardano l’occupazione. Allora, la cosa principale, è fare cose utili e così si crea anche occupazione. 

Lei dice anche che produrre all’infinito, per produrre oltre il valore d’uso, è una follia. Ma investire sulla propria crescita personale, in una situazione di riduzione di orario di lavoro, cosa comporterebbe?

Le persone, purtroppo, non saprebbero come utilizzare il proprio tempo perché sono state educate in modo da identificare la realizzazione umana con il possesso di cose. Siccome per comprare le cose occorrono i soldi, il lavoro diventa il garante dell’uomo sia nel momento in cui costruisce le cose che pensa lo realizzino, sia nel momento in cui diventa il mezzo che gli permette di comprarle. Se si educano generazioni intere sulla base di questa logica, è chiaro che diventa difficile poi mettere l’attenzione su altre nel corso di una giornata. Quello che occorre, quindi, è ri-definire dei valori che non siano di appiattimento sul lavoro. E’ la differenza tra il fare bene e il fare, che è un discorso antico che ritroviamo anche nella Bibbia. Quando Dio vide che quello che aveva fatto era fatto bene, smise di fare, perché il fine del fare, in questa logica, è un fare bene finalizzato al non fare, mentre nella logica mercantile, il fine del fare è fare sempre di più. Reimpostare, da un punto di vista concettuale, il sistema dei valori, la rete di comportamento, con questo ragionamento non è facile.

Passando all’attualità, infatti, una delle domande che mi pongo, è quanta consapevolezza ci sia tra coloro che manifestano contro la guerra e quanto siano disposti al limite di certi consumi. Bush e i suoi alleati, d’altronde, stanno difendendo con le armi questo standard di vita.

E’ vero. Ma ci sono anche altre realtà. L’immagine di copertina del libro ( Ricchezza Ecologica, ndr) riguarda una fabbrica tedesca ad emissione 0 di CO2 ed è stata fondata 15 anni fa, in Germania, da quattro persone, di cui due con sussidio di disoccupazione. Adesso ci lavorano 100 persone e tutti possono diventare soci, dopo qualche anno di lavoro dipendente. Il loro obiettivo è stato di raggiungere zero emissioni di CO2. Come? Per prima cosa hanno abbattuto i consumi energetici del 50% e ottenendo energia per un 30% con un cogeneratore alimentato ad olio di colza che assorbe il CO2. Il resto di energia, lo ottengono con pannelli solari termici e fotovoltaici. Allora, quando io vedo questa gente, che si è posta un obiettivo etico e lo raggiunge con intelligenza tecnologica e progettuale e poi torno in Italia e vedo che gli edifici che noi abbiamo non si pongono neanche il problema della riduzione delle emissioni…

Ma forse questa è un’economia di nicchia in Germania?

No, assolutamente. L’unico settore che tira, anche in Germania, dove c’è crisi come altrove, è proprio quello delle tecnologie ambientali. Sono le case passive, sono i pannelli solari termici. 

Secondo lei, ci sarebbe bisogno di formazione per quadri dirigenti aziendali? Una sorta di riconversione della mente?

Per forza. E’ la base di tutto. Per  il 4 aprile, abbiamo organizzato un convegno sulle case passive (T.E.A –  tecniche edilizie ambientali – Castelnuovo Don Bosco, info 011/9876286) , che non è rivolto principalmente agli ambientalisti, ma alle imprese edili, agli architetti, ai geometri e agli ingegneri. Ai negozi  che vendono materiale edile, agli installatori di impianti termici, , gli idraulici e gli elettricisti.

Un convegno di concretezza?

Noi  ci poniamo l’obiettivo di implementare la professionalità di chi vuole costruire case passive in condizioni climatiche molto diverse da quelle tedesche.

Quindi questo garantirebbe uno standard di vita che non viene mutato, un risparmio energetico del 75%  e una soddisfazione ecologica

Noi vorremmo che gli amministratori pubblici, nel predisporre i piani regolatori, avessero presenti questi parametri che non sono impossibili e che non bloccano l’edilizia. Le persone che scappano dalla città perché insoddisfatte, non ritroverebbero così le stesse case da cui fuggono, ma verrebbero attratte dalla qualità del luogo e dalla qualità con cui gli uomini intervengono senza guastarne le caratteristiche ecologiche. Perché c’è bisogno di risposte diverse che abbiano una concretezza e che non siano ideologiche. Viviamo problemi reali: c’è il problema dell’aumento del costo del petrolio, della guerra per il petrolio, delle emissioni inquinanti e via di seguito. Queste sono proposte che consentono di ridurre i consumi di energia  e quindi di risolvere questi problemi con una tecnologia evoluta che consente di mantenere certi standard di benessere. E’ qui il fascino della sfida. Partendo da piccole realtà, concretizzarle per allargarsi a quelle più macroscopiche. Certe produzioni, come l’automobile, hanno saturato il mercato, non possiamo metterle a due piani. Oggi disponiamo di tecnologie che si innestano sulla cultura del passato che abbiamo abbandonato perché ritenute obsolete e che invece avevano tanto futuro dentro di sé. Allora, questo futuro, queste tecnologie che hanno caratteristiche qualitative e non quantitative, si inseriscono su quegli elementi di futuro del passato che sono stati abbandonati da questo modello di sviluppo. Le case passive dimostrano che c’erano delle potenzialità in prospettiva che sono state dimenticate semplicemente perché vigeva un’altra visione economica. Ma oggi non si può più, perché se pensiamo all’effetto serra, a guerre come questa in corso, ci rendiamo conto che questo tipo di sviluppo crea più problemi di quelli che risolve. A Kyoto, per esempio, il mondo si era impegnato a diminuire le emissioni del 5,2 %. L’Europa, di circa l’8% e, al suo interno, l’Italia si era impegnata per una riduzione di circa il 6% e l’impegno della Germania, invece, è stato di una diminuzione del 25% entro il 2010. Ci troviamo adesso in una situazione per cui la Germania pensa di raggiungere questo obiettivo nel 2005, mentre l’Italia ha aumentato le emissioni di un ulteriore 6 %. In questa logica la Germania fa delle scelte di carattere economico perché un prodotto tedesco, se ha meno intensità energetiche, costa di meno e quindi è più concorrenziale. Allora, la politica dei tedeschi ha delle valenze ambientali perché le hanno nel sangue più di noi, ma ha anche valenze di concorrenza internazionale. La logica portata avanti dall’amministrazione Bush, invece, costringe a fare la guerra per conquistare i pozzi  petroliferi. Ma la risposta tedesca, per esempio, non è stata solo di dire no alla guerra, che va benissimo,  ma anche di volerli battere sul terreno concorrenziale introducendo nel mercato, tecnologie che costano meno. E’ vero che gli Usa possono ricorrere a blocchi doganali per impedirne l’importazione, ma in una logica di libero mercato, saranno i tedeschi che avranno prodotti concorrenziali. Non è un discorso morale, anche se poi sono più verdi di noi, ma è una cosa giusta che costa di meno perché utilizza tecnologie appropriate. Questa è la strada da perseguire. Ho avuto contatti con Banca Etica che all’inizio diceva: “noi garantiamo ai nostri risparmiatori  che i soldi che ci affidano non saranno investiti in cattive azioni. In cambio non gli diamo gli interessi”. Questo significa fare solo una buona azione. Se invece, introduciamo, ad esempio, il discorso del risparmio energetico, facendo investimenti etici, si riesce ad avere l’uno e l’altro. 

Che cos’è l’energia?

Da un punto di vista generale, è la forza. E’ ciò  che consente di fare delle cose, sia interiormente che esternamente. Unire oggi la tecnologia con una forte componente etica significa, culturalmente,  superare il divario tra quelli che sanno come si fanno le cose, gli ingegneri, e che non si pongono mai il problema del perché e quelli che indagano sui perché, i filosofi, ma non sanno come si fanno le cose.