La natura ci parla (bisognerebbe ascoltarla)
“Ci risulta che i predatori uccidano un erbivoro di tanto in tanto, ma solo
in caso di necessità e nella quantità indispensabile alla loro
sopravvivenza, perché questo è il loro modo di alimentarsi. Non uno più del
necessario, né senza questa ragione specifica. Ci risulta che soltanto gli
uomini si organizzino per compiere stragi e uccidano senza essere spinti da
una necessità vitale. Il suo è un classico esempio di trasferimento sugli
animali di una forma di malvagità esclusivamente umana”. Parola di
sciacallo. “Io continuo a ritenere che vi siete messi su una brutta strada,
che questa smania di rifare oltre al mondo anche la vita, di finalizzare la
conoscenza al dominio della natura e di modificare tutto in funzione di ciò
che credete vi procuri qualche vantaggio vi porterà alla rovina. Per quanto
mi riguarda rivendico il diritto di dire che non tutti i cambiamenti e non
tutte le innovazioni sono miglioramenti, non fosse altro perché io sono il
frutto di una tradizione che dura immutata da miliardi di anni, che
l’evoluzione non ha mai cambiato nella sostanza ma ha solo modificato
parzialmente”. Parola di cromosoma.
Questi sono due passi tratti da
“Metamorfosi di Bios – Le molecole raccontano” (Editori Riuniti, 12 Euro) di
Maurizio Pallante, singolare figura di intellettuale di frontiera che
sintetizza in sé il meglio della tradizione umanistica da cui proviene con
una cultura scientifica di prim’ordine. Merce rara in un Paese che ha sempre
perseguito con tenacia meritevole di miglior causa la rigida divisione fra
studi umanistici e studi scientifici, quando non, arretrando ulteriormente,
come si appresta a fare il ministro dell’Istruzione Moratti, fra la cultura
accademica destinata alle future classi dirigenti e gli studi di
apprendimento professionale per i figli del popolo. In effetti l’intento
divulgativo di questo libro lo destinerebbe con una certa naturalezza ad un
uso scolastico, anche se dubitiamo che ciò avverrà dal momento che le
riflessioni a tutto campo che contiene sulla vita dell’uomo e su quella
della natura che lo circonda sul nostro pianeta lo rendono irriducibile a
qualsiasi tentativo di incasellarlo in uno qualsiasi dei compartimenti
stagni in cui sono suddivise la cultura umanistica e quella scientifica
nella scuola e nell’università italiane. Con gli effetti, non si sa se più
drammatici o esilaranti, sul piano delle politiche attive di gestione del
territorio e su quello della conoscenza delle sue dinamiche da parte della
Politica. Quello che il libro di Maurizio Pallante testimonia è la grottesca
distanza che separa lo svolgersi dei processi con cui la natura si riproduce
e si trasforma da miliardi di anni dalla violenta insensatezza di un pensare
la natura, ancor prima che un viverla, da parte dell’uomo occidentale mosso
esclusivamente dalla volontà di dominarla per trarne una qualche forma di
profitto economico, il nuovo dogma indiscutibile, l’unico faro per le ottuse
e mediocri classi dirigenti della nostra epoca. Ma non si deve pensare che
“Metamorfosi di Bios” sia un pamphlet ideologico a tesi. Tutt’altro. Infatti
la bellezza e l’efficacia del libro di Pallante, che lo rendono fruibile e
godibile senza particolari problemi da ‘grandi e piccini’ nonostante la
complessità dei problemi etici e scientifici di cui tratta è proprio il suo
impianto narrativo che lo rende simile alla favola o alle strisce dei
fumetti grazie all’abile costruzione di una struttura apparentemente
semplice e aperta, che permette al suo autore la libertà di manipolarla
cambiando registro e genere ogni volta che sia necessario ai suoi personaggi
per comunicare nel modo più efficace al lettore i contenuti di cui sono
attori e narratori al tempo stesso. La trama è presto detta. Il protagonista
è lo stesso autore che durante una sonnacchiosa sera d’inverno tenta invano
di leggere un libro. Subito gli appaiono degli strani personaggi. È la
delegazione della Confederazione mondiale dei fattori ambientali (EFWC,
Environmental Factors World Confederation), che riunisce la federazione dei
fattori biotici (BFF, Biotics Factors Federation) e dei fattori abiotici
(AFF, Abiotics Factors Federation). Il capodelegazione chiede allo scrittore
di ospitare nel suo salotto il Congresso mondiale della confederazione. Egli
in uno stato di semi-incoscienza accetta. Da quel momento si susseguono gli
interventi dei relatori. Essi sono principalmente sette, una molecola
d’acqua, una molecola di anidride carbonica, un pezzetto di escremento, un
atomo di azoto, un atomo di ossigeno, un batterio, e un cromosoma, cui se ne
aggiungeranno altri durante il dibattito finale come lo sciacallo, la
gattina morta dello scrittore, un seme di gramigna, una spiga quasi morta
portata dagli infermieri in barella. Tutti questi curiosi personaggi
raccontano in modo divertente e competente al tempo stesso ad un uditorio
indistinto, ma che non può che essere formato dai lettori stessi del libro,
le leggi di fondo che sovraintendono alle trasformazioni della natura dal
suo nascere fino ad oggi, senza mancare di sottolineare i mutamenti spesso
pericolosi e insensati cui l’uomo l’ha sottoposta negli ultimi
cinquant’anni. Con questo escamotage narrativo Pallante cerca di far parlare
la natura stessa ribaltando nella finzione il paradigma dell’uomo
occidentale, troppo abituato a parlare della natura senza ascoltarla e
capirne il linguaggio. E qui i richiami agli stereotipi del giornalismo
odierno, sempre più ignorante ed allarmistico in tema di cambiamenti
climatici, sono tanto esilaranti quanto sintomatici di un pensiero sbagliato
che sovraintende alle azioni con cui l’uomo si pone di fronte ad essa e alla
possibilità di trasformarla. Affermano infatti un termometro e un barometro
nel dibattito finale che “le assurdità insite nelle valutazioni
estetiche-etiche del clima e del tempo (tipo quelle su bello e brutto tempo,
ndr.) sono soltanto apparenti. In realtà:
1) testimoniano del fastidio degli uomini nei confronti di fenomeni
ambientali che sfuggono al loro controllo e che non possono modificare a
loro piacimento;
2) forniscono ad essi un alibi per scaricare sui “capricci”, sulla
“violenza”, sugli “isterismi (!)” della natura matrigna precise
responsabilità umane; 3) rafforzano il loro odio nei confronti della natura
e dei suoi fenomeni che non controllano, fornendo la giustificazione etica
per aggredirla e imporle in misura sempre maggiore la loro volontà”.
La natura ci parla tutti i giorni e negli ultimi anni ci ha lanciato a più
riprese moniti e gridi d’allarme sempre più frequenti sugli effetti delle
scelte ambientali, politiche, culturali ed economiche sbagliate che i nostri
governi tenacemente perseguono. Basterebbe ascoltarla. Prima che sia troppo
tardi. Marcello
Cella L'Albero Pazzo, Legambiente Pisa