- semina itineris sempre relicta -
 
Dal Libano trema e rosseggia
su'l mare la fresca mattina:
da Cipri avanzando veleggia
la nave crociata latina... ( Jaufrè Rudel)

 

"Bevi la Coppa tutta d'un fiato e vedrai la Maddalena e il Re del creato.."
 
(antica canzone francese)

 

Iter magnis itineribus ad magnum thesaurum

 Pre-ludio


“Contesa fra Amor sacro e Amor profano

Fero giullar ch’osa urtar amico
E alle spalle involar bisaccia
E di spavaldo riso teme caccia
Ch’allor si muta in mite
Come fior salvatico ben s’asconde
intra frasche ombrose e secrete tane
così amor mente e cor confonde
del  peregrinar vago in lontane
ignote vie fin a rieder novo
colore recando quali fontane
e polle di primavera fiorite
e bacche ch’in scuro bosco ritrovo
Tanto prodiga la Coppa che labbra  
non sape a qual succor è chiamata  
e non pote cantare se non ebbra  
dell’Amor che sugge e dell’Amata.  
( l’amor sacro genera dedizione e ideale  
l’amor profano provoca e inganna, ma entrambi  
son di foco e fan di vita eccelso gioco  
in cui vien men bassezza e meschinità  
sebben sol l’amor sacro dura  
oltre la fine di una primavera)  
l’amor profano qual bambino antico  
che rifiuta di metter senno  
l’amor sacro quale aquila  
che disdegna cortili e comode tende  
l’amor profano è insidiato da concupiscenza  
l’amor sacro la scaccia qual neve il sole.  
La cosa migliore? L’amor profano che si eleva in fin da essere coronato da amor sacro)
Amor cortese:” Perché in tormento
Tu godi e sguazzi  qual nobil gesta
E di sol primo incendio fai festa
Mentre poi di tiranno il cimento  
sequi e la mente vuoi di abbagli
plena come se audissi consumar
in fretta il pasto qual onda il mar
su lito sciogliere? Fors’i sonagli
del cuor lasci’npazzare e da lungi
desii quel frutto che labbra ride
di quel savor noto che non conquide
più nel sogno l’impeto? Tu or mangi  
tua condanna che dulcor di momento
fa grande l’ora ma ragion ti segue
e sua guerra nova tosto esegue
infin che spiana il bel ardimento!
O come t’ inganni fuoco eccelso
Sulle terrene faci! Diss’ Amore
mondano
che tu augi pena con l’altezza di ideale
e non godi di picciole gioie che mille
e mille fioriscono e più se libero
si lascia cuore al vento d’ebrezza
ma da tua altezza anco la piuma pesante siede
sull’aere  
mentr’io dei desii faccio giardini e doni per le alme
affrante e assetate del miel ch’anco le Muse incanta
ed eterna canta voce di carme per le vittorie
del cuor sul cuore e di amor su amore!
E non soffro per uno sgarbo o per un silenzio
Qual tua nobilitate t’induce
Ma gaiezza tali strappi cuce  
Mentre tu pensoso canti solingo sull’alte tue vette
O fratello povero quanto lungi sei dal conoscermi
Mentr’io ti veglio e ti conforto come amico bisognoso!
E’ver che amo peregrinar per terre ascose ma
Mai cesso d’amar e nel silenzio fondo del Ciel
Covano segreti fochi e s’animano stelle
Spirti imprese e canti! Sol dall’eccelso
Che rechiamo nella stanza regale del cuore
Germina radice d’amor e d’avventura
Di cui tu timido baglior intravedi ma ti fugge qual vento
Mani e qual silenzio voce, che cerca di rieder a suo
Primo foco in Ciel e non s’oblia in scintille
Da paglia tratte!
Di tue insensatezza si ride benigni ma  
Tua levità nasconde gravitate che Dama per te me cerca  
E invoca: per eternar el foco di braciere eterno s’abbisogna e dell’albero della vita!  
Il dono del desio aggrada il desio, fumo fugace e pietanza magra  
Che sempre guata e freme per altro contorno  
Ma il dono dell’amor puro resta fermo qual stella fissa
E roccia antica e attorno a lui beltà di natura senza macchia auge
E fiorisce!  Che sel desio più alto è saetta ardente
L’amor sacro ne è faretra  e arciere!

 

“Selene cacciatrice”

( la tempesta da attraversare invitti)

 

Corpo di luna con acqua  ardente  
Bianco profondo e molle che succhia  
L’anima e di visioni l’impregna  
Chiama la violenza amore - mente
Ma all’amore fa onda e macchia
La bocca di bava stellare – segna
L’orlo nel sussurro di un abisso
ché  canta  morbida  come il bisso
E  grido di  furia  fer  l’occhio fisso
Folle dono veste tutto un uomo
E ritrova nel perder sé libertà
Nova come frutto nudo intatto
Come corpo nudo sazio e matto
Canta e aleggia in sua vacuità
Sì da  mente fonder  e  foco ratto
Qual fosse ardente sola pienezza
Come serpe che scorza pelle
E a niun dà  di dominio contezza:
Dolce è forzar un cuore molle
Se l’edera sposa il muro geme
Ma in prigion  viola anche le pene
Fan  cor guerrier  ma  contra se furente
E alfin  s’arrende al mar repente
Nel duro saccheggio brucia’l calore
E  da lungi splende  l’aureo pomo
Sebben la piccola rosa fiammante
Ferisca di favol  l’omo innante
Schiume torbide fan neri i flutti
Da notte sprezzante raggia la luna
E domina spietata sui dirutti
Castelli da Lei e valli ombrate
Che mai sazia l’astro molle consuma  
E tenebra e luce per l’ amate
onde e l’ aeree vanitate:
nembi e fragor a danza aduna.
Or  Diana fra le fere si riposa
Ricevuto d’incendi l’omaggio
E gusta dolce del sole l’abbraccio
Che or di sua lode ha in sé saggio:
terra s’apre in silvan  fior e  caccio
è’l gelo di senno da folle viaggio
in quel di Pluton - passional ingaggio
Diman altra lotta feroce sarà
Per strappar piacer da alma a iosa
E da corpo in rossi lacci catto
Diman l’odorosa rosa ruggirà
P
er ostinar nello schianto il patto

 

“Fior selvatico l’amor incresce”


Il core me scoppia or d’amor rugente
Che te quiere  e desìa  si forte
L’igneo tiranno che mente vaga
E m’abbandona lasso e imbelle
A mirar misera pena  scavata
Che più ami più fa mendico’l  fato
E più debol  è  chi più ha amato
Mentre  l’Amata troneggia fiera
E inghiotte le stelle in notte nera
E mentre sventura è ben fuggita
In mondane cose qui  s’affeziona
L’alma a  tristizia e via  smarrita
Che  infine  possa stringer imago
Bella che tortura e consol’amor
Ch’essa spande in gran copia e
A tal prezzo ne fa, crudel,  strame:
e cresce concimato di follìa
di passion  il vermiglio  fior immane.

 

 

Partenza:

 

“In viaggio”

 

Beato quell’incombusto Vascello
Che mena dritto al santo Vasello
E mai segue né a destra nè manca
Ma sempre Stella mira fin a terra

Oltremarina che pace rinserra
E in luce alma e spirti’ncanta.

“Passaggio a nord-ovest

A dura lotta me chiama Amore
Ch’è labor matto sopportar assalto
Suo e tener saldo nel clamore
D’alte onde mente come timone
E’l core docile legno contr’alto
Muro del mare or fosco or smalto

Ma non vorrìa mai lasciar Vasello
In misera balìa di procella
E come Jacobbe contro l’angello
Lottò duro sì pur io, ch’in bella
Tempesta naufragare non desìo!
Seppur sanza scorte né mozzo sìo
All’Albero alto mi lego forte:
furia d’aria, arte di draco sposso,
di morte l’acqua, d’amore’l fracasso
in albe dall’alt’orte or trapasso.

 

“Cerca trovando e s’arma la via”

Lontano molte fiate cercai invano
Una pietra un evento sovrano
Un vento che da stelle spirasse
Un canto ch’el cor aulisse
Sempre fuggìa la chiusa del cerchio
Sempre la volta dalle arie involata
Al foco gemea per l’angustia
Di stanza non amata da ora vetusta
E se le corde vibrar felici sentìa
Per carme di vita o per profumo di gesta
Ratto il nemico in miscelar d’elementi
O rotear d’incontri me volvea e resta
Allor la Cerca trista languiva
Ch’el campo non guatato ben
Asconde quel tesor che preme
A ruggir dall’alto più forte del basalto

Più ricco d’ogne bene
Più acuto di saetta e più chiaro di speme.
Or che cinque conto le ferite
E la terra del raggio è confitta
So che in buoi germina il vessillo
E nave salpa dal legno.

Vedo il superno mistero
Aprir la roccia e traboccar in fiume
L’infero assillo bruciar le piume
E urger contro’l timone
Ma non v’è timore né grida
Che la vela gonfi’attende suo maestrale
Per puntar ad occidente verso’l sole.
A innestar radice curiamo intenti
Che la roccia è leggera e vicina

E saettiam fuochi amanti
Contra città della Regina
O beata cerca che fai di Giorgio Ulisse
E di Pietro Orione
Alza le bandiere nascondi in terra cuore
Pialla il piedestallo
Che facile è l’incendio dalla torre

E sorgente prima non ha fallo
Ma l’incrocio del quadrato
Nella stella piena fiorisce: è l’Amato.

 

Vicit Terdona semper

 

Salute o pazientissima rocca
Che le offese di crono ben rechi
Ma l’ inghiotti nel ventre di sapienza
Ancor resisti contra gente sciocca

D’onor splendi fra edera e gechi
E al cor nobil ispiri
sonanza
Chi ti sale fra verdi rupi sente
forza terrena che dal Ciel repente
è fatta  corona e fior amante
Nel silenzio di invitte ruine
S’effonde lieta pacifica gloria
E mentre  resta segno di marine
Incrollabile abbella memoria
L’alma di chi sempre il Regno cerca
E da tracce vive è spinto in suso.

“Paziente il Leone -  la Rosa fiammante

 

Ecco che l’aureo fratello siede
E in calma ira stelle aduna
Per suo sole l’alma a decor riede
E corvo subiecto è la fortuna
Ma il rege molti fratelli chiede
Quali fiamme sboccian da una face
Che in notte per cattar le prede
Molte stelle e il mondo luna
Basta il vento e sorge fenice
Da ceneri d’oblìo che la voce
Superna entro foco e la cruce
Per aria e terra sona e tace

Alta porge la non ascosa luce
Che trar dee soavità da  cose
E dona lui quel che già possiede
a far di colombe degno ricetto
qual calice di vino che diletto
amante in se attrae e tiene
seguiam dolce ruggito che perfetto
falco face da una rondine lieta

E lasciam tenere dal giusto forte
Il gambo noi volenti verdeggiante
Ch’al sol calore torni per vie corte:
Sia faretra per saetta amante.

 

“A Colui che è vestito dal Leone

 

Cantiam l’opra dell’invitto heroe
Che tanta fatica passò per stretta
Via e dura valle e le Parche
Incantò qual ignea saetta
Che non poteron far al fato corte
Ma attender che sua impresa retta
Dal Ciel l’arduo compimento avesse
E lasciar che zelo mosse la pugna

Finchè la terra di novo speme pregna
O lui sì che tutto’ l suo agro cosse
Le stalle vecchie con furia mondò
Il mostro alla radice rescisse
Con sacro fuoco che mai l’abbandonò
Or furente contr’i superbi

Or dolce con i semplici qual rondò
Di spirti intrecciò coron e serti
Il figlio d’Hera fe consorti
Celesti alla fin lieti conserti
A tener in Olimpo nova prole
Che sigillo pose a lor unione
Qual petra clude Pluto di gran mole
Sì fedele fu in amara prova
che l’onore conquistò di Giunone
e dei cent’occhi fece scala al Cielo

Come colui che scava  e trova
Non in battaglia con instructa acie
Non fra duna d’oriente sgrossò cuna
Ma fune rozza al  ferrato saldò
Monte per focosa veste e pira
Che tutto l’orbe manca e ammira
D’ardenti piume fece il grande volo
Che fenice ogne mill’anni nutre

E’l fiele d’antica animal ira
Carne sì cosse che nulla più putre
Ma l’ali al sole invitto diede
A nuziale in stella fissa prede
E cacciatore suddito e Rege
La pelle di Lion qual serpe mutò
Ch’altra virtù più sottil qui si chiede

Quale prometeo ma sanza frode
D’ardor sacrò la pugna amorosa
E niun che non fosse aitato s’ode
Serpi stroncò sanza timor il prode
Tutt’e dure leggi leal perfece

E d’esilio l’amaro pagò scotto

Sanza lagnare fino a far rotto
Stretto calle per luci d’Iperione
Vate di futura divin missione
Se’l primo heroe il frutto perse
Il medio artier lo jardin espugnò
E al salin draco lasciò sua sete
Per tal aureo fior se stesso arse
L’ascoso sol dall’occaso riportò
In siderei calli ponendo mete
Delle essenze la schiera esausto
Gustò in quel mirabil olocausto

Simil a chimera unì le sfere
E’l legno vital che tante emere
Quanti forti nodi sempre s’abbella
Ora lo segue amico buon combusto
A far nobil scettro in qualche stella
Quella  facie ch’intossica lo spirto
È or medusa su scudo d’acie

La cuffia di pelo or di mirto
Splende immortal qual fior d’acacie
O sacra clava ove or sei fitta?
TU apri e niun clude e fai salvo
Qule che percoti, giusta condotta.
Mondo, Eràcle mira,  che s’immola
Divin coràcle, augur a nov’era
Ch’in rogo vivo alma s’etterna
Qual chiod’aureo in portal infisso
Dall’alto sol i gagliardi giberna
Lui che supra se possiede’l prefisso
Ecco l’heroe suso innalzato:
l’opra condotta or  lui al fin duce
mentre l’aquila vien a coronare

suo rampollo che da foco di cruce
levò le vele all’eterno salpare!

“L’Arcadico Eco”

 

La stanza è chiara, l’unica porta
Tace: dentro l’ospite amabile
Cena. In sua face’l cor conforta
Entravi ed escici per rientrarvi
Non aver timore né confidenza
Se non in Lui che può forte trarvi
Torna cento in mezz’al mite campo
Canta la vela che nesce bonaccia
Gran stipite sana casa in lampo

J

Or donnè  par don
Ordonne  pardon
A cil qui la donne
Et tres bien guerdonne
Tout mortel preud’hom
Or donnè par don

F+R

 

La Parola santa
E sempre di stanza
In questo recinto

Che mente avanza
Chi qui vien cinto
Di gaia baldanza
Nel cor è incinto
Da parola santa.

J+F+R

 

“In Saturno celato vaga d’Amor

il languido sospirato riturno”

 

Qual profumo di campo silent’imple
I sensi traendoli da affanni
Consueti, sì luce chiara e simple
Di tuo viso in mente senza danni
Gestante fino a sbocciar gonfia
E canta val in silentio giacente:
Ecco d’Amor la faretra sì tronfia
Da sonar dolce tue note plane
Qual fragil calvicembal che non mente
Vieni diletta nell’antico campo

Ove nebbia veste non pelli vane
Ma di casto languor face un manto
E terra s’offre bruna e non cane

M
a cincia agguata Amor in canto
Lieto svela in verno sol e mane
Sub nocte novo astro ancor splende
E’l Cielo fondo fra le zolle cerno
Mentre al cuor frutto rende
Di dolce verno posar e già dorme
Ricordar non è fatica inane
E steppa flora su d’Alfeo l’orme.
Rugiada sposa in limo vapore
Qual mea memoria tua idea
Sebben invidia seguì Galatea

Sempre vivo guizza Aci d’ardore
Preso e suoi flutti al mar giunge.
Tante son le radici odorose
Ch’abbellan agro in tua man vagando
Mentre ferme mutan l’ore preziose:
Veglia’l cor per te qual sogno suggendo.
L’arco della terra giace spezzata,
favo ch’offre fatal occulto frutto,
nudi’l ver lodiam, vestito dirutto,
riposi al fin la falce desiata,
la rota sazia del rito diurno
lasciamci invenir or in Saturno.

 

L’Amata


Ecco’l  tesor che desian quelli  
Che tutto lascian per ire in Cerca
E non lor grava  gir per aspri calli
Per amar più forte il mel ch’è carca
La Coppa che Cielo a terra giunge
E celeste parola mett’in bocca
Al semplice guerrier  il cui cor punge
Amor ch’a fatto di se Sir e cappa.
Verde la petra e sì trasparente
Che luce trapassa ch’entro infoca
E quel ben ch’in spirto è già morente
Al Suo cospetto cresce, tanto cuoca
Par d’ogne cor in fosco non sedente.
E se tu pensi che virtù è poca
Ella  immilla in Cielo tua stella:
ne face musica non più roca.
Non resiste giammai alma rebella
A tal luce che più da men è fioca
E anco un germoglio già abbella.
Sempre’arde intra quel superno foco
Ch’a guardia del jardin terribil surge
E un dì nel Tempio regnò in loco.
Or dolce fra l’ invisibil velo
De sottili sfere s’ascond’un poco,
perché marran lasci l’aureo melo.
Mente da insania salva qual joco
E mette ali al cuore: che luce,
ch’in terra arde, sia, qual vol l’Amico,
ovunque legna secca trovi face.
Rosso più della vita notte rode
Terribil quel leon quello foco
Ma dolce più ad ape rosa riede.
Per Lei la vita in monte aprica.
S’oblìa qual pesce in gran flumine,
che tre volte è santo il sanguine
real amato, forte sì fulmine
Iusta è su degna tavola porla,
simil a Ganimede sia l’amante
ch’Aquila d’Amor segue se’l  lin  l’orla;
ch’argento piano fa d’alme sante
lo martello dello pugnace spirto.
E non stupir se mentre lotti canta
E mentre sei chino su aspro erto
Che più purgar dee chi più amante
Scende dal Cielo qual divino mirto.
L’alma quello vino reale brama
Ch’ogne sete sazia nell’Amor ch’ama
E suo nobile aduso rituale
È sociar al Regno chi in se serve
Colui che, di tutto Re’l, Ciel  conserve.
E se osi a tal roccia abberve
Il pedestal vedrai vivo inciso
Di quell’ arbor  perfetto resinoso
Che superna porta in pace schiuso.
Poti  lettor mai laborar invano
Menando le giuste cure terrene:
mira’l tesor col senno e con mano.

 

“L’ostaggio ferito”

 

Qual picciol augel sempre fremente
Vola a intesser nido intento

E presto è colto d’agitazione
Ad ogne vento od ombra superna
Si mal Amor mea via guberna
Che troppa fè vi mise a vagheggiar
Sì forte che gratia vista è pegno
Già di spedita e dolce conquista.
Perché sì tenace incendio sale

E pianta d’Amor per terra poca
Magna semenza di desio alloca?
O fa me Fetonte ma pria che cada
Agli agguati di un Amor cieco:
burron e tela  d’ogne bivio bieco!
Fa me Icaro a terra rinsavio!
Che dura legge è sempre gemer preda
Presa e ancor antico gioiello
Si può lodar  sebben or non più quello
Custodia mente ma contemplar perla
È tesor lato che non sol ci ciurla
Ma a nove cerche ci innamora
Che più spina più la rosa  rincuora
Non sapio se durar a debolezza
Amorosa seguir  o  ir  in sdegno
D’altre plaghe pago sol di gaiezza
So pur che blanda par ogne altra imago
E sub quel  Ciel vige fisso’l suo Regno
Si ciba d’aquile chi’l  pan sincero
tralascia per struggir d’Amor davvero

 

“Il Vasello della salute”

 

Quando vien sera tutti gli amori
Colgo e al petto lego sebbene
Brucian qual foco ch’urge ad albori
Rinnovello oltre ciò che conviene
Dolorosa speme – ignea stanza
E serti devoti alzo per bene
Ch’ebbi da Amor che dona prestanza
Anco in sfatta e fuga e pene.
Fortuna arride a chi dibatte
In contese di cuor che le ferite
A fondo fedel qual valli e matte
Compagnìe ma arriccan fiorite
Lo spirto quali borchie l’armatura
E quali nodi gli arbori. Ratte
Dolgon ma deinde dolcion sutura
Guai a chi sprezza le spoglie catte
A fato e trofei di dolce guerra
Ch’amara è medicante mistura
Tutti cari fochi in mazzo lego
E al Ciel offro di beltade pago
E lieto canto pira ch’in nave va
Che da torre il mar più bel e vago
Si mira e niun rovello a chi sa.
Più fuggi l’onda tenace più s’alza
E ora calmando li sensi sì stanchi
Or clamando pavida ment’incalza
Ma da suso pugna canta secura
Fra schiume vane e rombi superbi
In Colei che Amor guida e cura
Getto speme e baldanza che foco
Suo è tal che sol fumo bruciura
Mondana par e nulla contra pote
Al chiaror superno del Regno mura
E quando all’alba nova
le rote di Cron virtù macinan in labore
Amor Amor chiama’l legno tenace
Chie sprem olio dal velen e all’ore
Dolci anco in travaglio da pace
Urgendo il sepolcro scoperchiare
Tutto  è già cluso nel Vasel buono
Entro’l foco sottil terribil sono
Ed entro’l turbine luce il pegno
Che pietà lasciò’n terra ‘l Re di tuono
A ispirar armi d’amor a degno
Seguito e stirpe del mesmo Regno
E di simil sanguine. Di smeraldo
È intagliato e di rossa petra
E più di ogne angelica cetra
Canta celesti carmi il gagliardo
Tesor che rinnovella intra terra
Lo jardin arduo ma ch’el cor inserra
Da cui s’ordina l’invincibile guerra.


De sacritate Graal”

 

Salute o segno della salute
Che’l Fattor volle onorar in rito
Perfetto qual opra di gran virtute
Ch’in Sua sorgente somma suo sito
Elegge ed eletto noi memora
Qual monile e sigillo del Regno
Eccelso ch’i sensi rapisce degno
Talamo e mensa di chi labora
All’invitto aratro. Niun più grande
Vessillo può invenir di chiamata
Da cuna a fatal petra espande
Lucente onor che terra specchiata
Al Cielo fa e ferma radia radice
Che’l jardin d’Amor feconda e polla.
Ecco in oggetto viva matrice
Di gratia, d’Amor confetto, e grolla.
Santa Cena mai cessa di vocare
Heroi del tesor che’l cor satolla
Setati e ben pronti a colmare
Col sangue e spirto i nobil seggi
Ch’anco i deserti fan desiosi
Or fa noi per Te militi zelanti
Che corran su tutt’i monti gloriosi
A radunar a pugna gli amanti.

 

“Il Santo Galaad”

 

Cantiamo l’onore del largo monte
Che Iacob vide prendere a teste
Dio e sotto Sua ombra sante
Parole sigillar in  patto: reste
Avversa parte da lato dinnante
E quest’altro sia un limite sacro
-Sì Laban fu taciuto insolente-
Nova iustitia  altare macro
E bello ebb’in vetta ascendente
Mentre petra terribil simulacro
E unta dimora fu instaurata.
D’allor nova sede donò, lavacro
Per spirti retti e nikhe clamata
De magni, ‘l Ciel benigno a memoria
Viva per terra di Lui che fondata
L’ha e posta al fin della Sua gloria.
Così’n  molti cumuli fu servata
Traditione d’Abram fin a muraglia
Del Tempio: petros’offerta gradita
A tutela di justi e contr’empio
Colonna per cui nocte colorita
Grazie o monte saldo che lo scempio
Tieni e spem volgi all’accorata
Face  di viandante suso mirata
Ma non obliar lettore che gratia
Ancor seguì’l loco magno oltr’razia
De secoli: belle vigne odorose
E foresta resinante fe sazia
L’alma di molti figli e preziose
Sapienti rugiade stillaron suso
Da pascer pastor e greggi conquise
Da sì magna fecondità. Aduso
L’uomo mal si fa del bene e scese
A recar oltraggio in santa terra
E sozzura pur in tal jardin mise.
Allor il Cielo chiamò la guerra
E fiammanti guerrier dal monte chiese
Mai fu deluso – che lutto rinserra
Il core per più luce e permise
Oblìo per clamar da figli geste
Nobili e nove, così ben cluse
Gad fiero e fisso fra l’alte creste
A regger in zelo il dimidiato
Manto e non voci udire meste
Ma invitto carme d’assalto dato
Dal Reggitor de Cieli. In fin caste
Stirpi e ardenti fruttar servato
Prode sì santo che d’are rimaste
Più fiammò e restrinse aggiogato
Gregge ribello cacciando locuste
Da vigna a cui più di vita grato.
Molto viaggiò e gemette sub pondo
Superno leggier per veder firmato
Colui che lotta con Dio, e mondo
Rifè la terra che luce dall’alto
Che i romei ben da lungi duce
In quello turchese splendente smalto
L’arbor pilastro e la cruce spada
Che perenne in amabil basalto
Gioia si seme decor forte resta.
Cresca la radice: che tu più creda
Che da roccia acque fisse e cresta
Dura è favo che miele trabocca.
E non v’è presta saetta non scocca.
Non in rombo né in foco o roccia
Ma nel murmure luminoso lì
Dall’alata montagna si svelò costì
Colui che velò Elìa qual chioccia
Fin ad or canta quell’inno nuziale
Che muove le terre e’ncanta ‘l core.
E fiere mansuete fè. Non marziale
Via più templano ma Tersicòre
Tien briglie e ogne poggio Parnaso.
Ammirate le chiome della Sposa
Più dolci di fico più fin del raso
In tenero corteo fan la rosa
Rotar a festa. Uniamci gaudiosi
Al suon di cetra intenti, che caccia
D’amor ci veda greggi non ritrosi
Ma docil battitor ove s’accuccia
L’Orsa materna che magna le vie
Siderali fiuta onde fra stelle
Guardian  la  spinse ignaro. Da quie
Bellissima guarda, si ape melle,
nostre sorti, custode di custode,
che servati con celeste compagna
desiam cantar carme d’ode
intrecciando flauto a zampogna.
Possa sempre l’occhio di navicante
Levarsi chiarito con Iperione
A saggiar tra li velami d’amante
Quanti trofei fissi’l Ciel leone.

 

  “A nostro padre Dante”

 

Questa luce che sì brillò in terra
Or a Dio attinge senza misura
In Amor ha sua pace senza guerra
Unì aquila con croce nel giglio
Sempre chiaro foco la sua fè
D’amor che’l mosse qual vento naviglio
Ora siede sui petali gloriosi
C’ebbe sorte sì alto magnificar
Gustando la Rosa che fè disiosi
Sua face s’unì a quelle luci
Che cantò delle superne sfere
Ora si bea con eccelsi  amici
O Padre giusto non lasciarci soli
Che lui c’insegnò ben la nobil pugna
Ma or langue carme che’l ben consoli
Qual alacre veloce fenice va
A rinovar nel forte foco sue
Piume, così m’accosto a chi più sa
Dhè Fattor  fa che l’indegna voce sia
Un poco di tal brace pia presa
Che rechi’n terra d’amor nostalgia
Così che’l Primo moto abbia novo
Canto di gagliarde schiere accese
Alla favilla del celeste covo
Certo son che’l bon incendio sale
perchè mai cessa della Dama l’opra
che vioncer fa’l cristian sull’animale.

 

   

Lo scudo  di  Parsifall 
(incompleto)

 

1      Nova  veste  segnar

2      Montesiepi

 3     Passagium ultramarinum

3       Lapis exiliis

4          Magnis itineribus

5          La Città del Leone

6          La devozion del falco

7          L’ospite

8          Aurora di stella

9          Urens non  uritur

10    Pulcra ut luna

11    La Tavola

12      Saturno

 

 

1. Nova veste segnar
 

Quanto dormì lo spirto meo? Temo  
Che molte opere  per incuria
Persi e non a casa lor riederanno
O Signore perché Te sol rammento
In penuria? Eppur sempre rialzi
Spirto e bagaglio e fai contento  
Tutto l’essere sol per Tuoi  balzi
Qual capriolo in forti monti
Vagava:   sol dolorosa ricorda
Grave qual savia petra su corda  
Quand’ i  folli  fumi  sbolliron tardi
Il cavalier tristo’ l suo senno tornò
E non potea  più  portar gli sguardi
Di gente nota e  pur di viandanti
Ch’ un foco vano ne sensi  consumò
E fora da  cerchi di spirt’ amanti
Sua via or sentia  languendo
In accidioso tedio. Più avanti
Tutte le colpe memorò gemendo
Ch’ allor lievi qual dolce  lieta brezza
Parean ma in ver tarli voraci
Rodeano ogne slancio d’altezza  
E se i sogni che  d’aria procaci
Movon corpo menzognero il core
Gonfiato l’ottusero or un lume
Più chiaro e forte dal  fetore
Uscìa quale nova d’ala piume
o foco da turpe carbon rinasce
Tutte lacere  parver  e consunte
Le vesti aduse e all’oriente
I sensi dal sole feriti pose
E assorto in vaghezza  amante
Contemplò il suo monte e le rose.
Fissando come prim ora viandante
Nova bella terra  che salda pace
Chiama e imperturbabil verdeggia
Fluir sentìa lo sangue da  face
A mani e da capo per  la  valle
Tutta corporale. Sì preso in tal
Meditazion come’l  monte e calle
similar vorrìa a regger fermo
acque ridenti e frutt’ odorosi
e quant’altro caso di venti ermo
sopporta  fiero e benigno colle.
Or se mesmo s’accusa che famosi
Vanti e bei decori ha sì molle
Oblìato per  piatto di lenticchie 
Ma già sale l’ardor di se vendetta
Fare e l’onor in fatica qual specchie
Perlustrare e orando vedetta
Su propria  via porre. Ma già altre
Più volte montar su  da gran  caduta
tosto  fece a cavalcar riedendo
ma non tuto mai da riaprir  feruta.
Vaga quindi ‘n tribol  arrovellando
Finchè moto superno ratto prende
Tutt’i precordi e spira e fende
Spirto e mente alluce alacre
Levando con ali di foco  sacre
A  suso dar e sigillar  impresa
Relitta indietro  ogne contesa
Obliando che  a vanità resa
Sia e a cupidigia. Già lieve
E gaio il carro sente vermiglio
E a  comporsi  il corpo s’affretta
Qual snudando in curato  lavacro
Anco l’alma potesse sì perfetta
Lucidar! Fora or sale in torre
Al mezzodì  e canta: “o se sacro
Vessillo foss’io  che alto siede
In belle dimore e nello  porre
Sua volontà in giust’ altrui sede
Beata pace e virtù  invenie.
Retta asta mancò e banderuola
Che sempre vile mal supplica  venie
Ma’l primo aer  fuga e consola
Se mostrò l’antica  regal insegna
Che ad altra stirpe più onorata
Per labor e fama esser consegna.”
In languor d’occaso già ribollire
Presente d’onor vendetta m’ avverso
niun vede che sia  periglio venire
“Quante vie ho obliato quante
virtù in  fossi qual ingombri gettai!
E ogne fiata che  trovai giardino
I soavi profumi in diserto
Fugai, di me ribelle inquilino.
E d’ ogne casa nova che Dei  grazia
M’invenne non seppi che far razia
E discoverta tener sì che l’ oste
Ebbe facil  presa di tesor sazia
far infera cupidità. Ma desìo
ora condur altra via e sanza
tema né chimera non mai pur io
deviare ma netta tener la stanza
ed ornata per lo Re del palazzo.
Se fossi come migrator costante
A dolce casa riedendo qual struzzo
Diligente l’ovo ricerc’ amante
Allor il Ciel lieterei e  dispetto
Non ferirebbe il celest’ Amato.
Non sento né cerco altro diletto
Che uscire  da mia terra corrotta
E in altra landa vagar più netta.”
Ma ancor confusa l’alma e  rotta
Dal rovello si dibatteva perché
Sovvenne che forse era superbia
a chieder  forti  decisioni finchè
potesse cangiar vita. All’umile
non servon magni gesti: amabile
constanza qual  buon farmaco saluta
e su salda nave  onorabile
tien dignità. Sposso da tale inquieta
cogitazione reclinò in letto
ogne cruce  porgendo al Diletto.
Ecco fosca femina ch’el tartaro  

V
omitò in dolci forme arrivar
presso e l’ arti d’oblìo  iniziò
a serpentare attorno al nostro:
“che  segno  mai ostenti: hai nemici
contro di te? Che mai hai fatto caro?
Perché distratto e inquieto pari?
Forse ti mancano le mie carezze
Che pace al cor danno e  involan
Mente in altre lande ben più liete?”
“Il tuo loquar me confonde, non cerco
d’esser altrove ma via mia d’onore”
Perché sei ora di dolcezza parco
E in tediosi pensieri  te perdi?
L’onore val più di sogno d’amore?”
E’l cavalier  se odiava che voce
E favella a stento lui reggeva
Sebbene sapiente in detti fosse
Con se  e amici e in Scritture.
“Non uso son a dir cose preziose
ma meditando  perle teng’ ascose.
Che sol in nera cuna  grano sorge.”
“Ma tu credo invece non ad amar
parato né uso sei per lungo duro
esilio da lidi di tal incendio.
Posso rimembrar tibi quanto  dolce
Tal foco sia che tutti vuol suoi?”
“Sento una fretta che noi mal consiglia
e mano fredda che’l cor tien in stretta
Pasciamoci sol de  amabil sogni
Che se fiamma consuma or sol nera   
Cener e fumo relisce, ma cera
spiritual  onorata  mai finisce.”
“astruse ciance va spargendo  solo
per rigettar mia gentilezza perché
pensi che amare sia  debolezza.
Trista me fai e  orgoglio sragiona
In te come se fosse una mea colpa
Te ammirar e tua face seguire.”
Già il prode ribollire sentìa
Il nobil sangue per le false trame
Di femina sì cupida ch’è forte
di miseria sua e tanto brama
l’altrui valenzia quanto fa l’edera
con bella quercia e con fiera roccia
Ma l’abile  assillo tanto scoccia
Uno spirto  tutto in gentilezza
Immerso e sì tanto  s’accalorò
e quasi pianse la callida ninfa
ch’al cavalier sua dignitate colse
invischiandolo in vane promesse
e appesantendo sua nobilitate
di vani lacci e in volgar tema.
Come l’acido agrume la crema
Tosto guasta e converte sì falso
amor passione accende plagiando
La virtute  d’ altra invisa luce
E dando del fumo rapisce foco
E dando a parole ruba pace
E dando vanità lo spirto fioco
Ammolla e sua voce in clamore
Confonde ch’è indegno dello nome
di Amore  ancor proferir fiato
e in fretta spaccia il desiato
Sogno per facil affar di bottega
Ch’ in due si sbriga senza  cal  al fato.
O quant’ astuto è il divisore
Che mett’in via  tagliole e fole
Per tardar la meta e  fiaccar virtù
E all’aria stentare  le radici
Del giardino e far  secco diserto
Duro stroncare  i  giusti viandanti!
Altra fiata giunse quella  malnata
A stordir  d’oblìo chi sa sua via,
Di stoltezza insana fe  ariete
E principiò: ”al fine  mea alma
Si da pace e anco in  durezza
Tua si contenta e gode calma
Nel riposare  lo sguardo su  muro
Forte sebben  altero! Infelice
Giaccio or che fato con legno duro
Me bastona e neppur  ragion dice!
Forse colpa affligge chi più ama?
“Non più parola vana dir ma tace
che non amor ma smania e ricatto
e periglio qual ioco con lama
d’infante pare che giammai ti lice
più ch’abbian altri concesso far ratto
di cuor e desiri e  voluntate
tua quale  aspra  prigione porre
in capo a chi qual oste  è tratto.
L’amor usa cantar  dolce  benigno
E non fere  ma sana sanza  torre
Virtù  buone nè perdere  ritegno
E non vive d’ amara schiavitùte
Che pretende a passioni  il regno
Svender della vita e facoltate
Ma dona grazia e  core in  pegno
Sanza superbia o nutricar  fola.
Tu soffri del mal che senno invola
E già  la prima donna sì afflisse
Che l’impeto spietato quale  mola
Su  spirto preme assai  dominare
O essere  schiava di forza cieca.
Fu il morso del serpe che confisse  
In carne  nostra  debolezza bieca
Che divorar quasi vol  il desiato
ché in se Amor non posa in teca.
L’aurora lo vide tutto intento
A laborare  per parar il  viaggio
E quasi arder con foco il momento


2. Montesiepi


Allor ch’ umana virtù  fallar  vide
impugnò sua  ferrea  dignitate
a stella fissa l’alzò fiera’l prode  
e sanza timor di  nobilitate
perdere  forte in la roccia bianca
confisse qual saetta che non manca  
nemico cor  o qual in chiaritate
falco la dolce preda abbia  fisso
sì l’antico brando de padri’n  masso
magnifico nuziò e nova croce
lieta  or  nacque. Rotti sì gli’ndugi
l’artier vinto fu da stupor in face 
e in spirto per fulminea opra
che riempì di ferite i pertugi
e di chimer  i covi e da sopra
bandì vetusta viltà che non move
impresa e magn’allegrezza copra
or chi  vie di Sua gloria cove
com  allor empì le zelant’ alcove
d’alma che nova luce chiara orìa
e buon alto guado  da ogni dove
fu schiuso a levar da giusti morìa
d’audacia e nebbie di la  palude
signando che  mai l’occaso’l cor clude
all’aurora di beata  gloria
ma salda la regal Grazia la terra
ben tiene e le  superne rinserra
fonti e pasci  liberi da razzìa
per i prodi che a coler zelano
landa  diserta e sì disdegnata
che mente e sensi l’onor  velano
e sol chi petra  in amor amata
amando e senza macchia penetra
e apre  trapass’ acqua e  durezza
per  sacrar in gaio foco altezza
di pugnace carme: lo spirt’è  cetra.
Il volgo del natio borgo stupì
Di tal semplice segno ch’ alle corde
Fonde  parlava vivo  e mai mentì
Nel suo cantar anco a menti sorde
Che tosto si capìa ciò che i saggi
Obliano: che in atto audace
Da spirto mosso più di Sol i raggi
Più di saetta i desir trovasi
Semenza più di ogne terra forte
E  frutto che del saziante cibasi,
torre dura più di petra di morte.
Beata violenza ch’in Ciel amasi
E apre a debiltà  di vittoria
Speme e ragione. Tutto il loco
Or si conviene a lodar la gloria
Che  presente alta sorger impresa
Da sì netto e  prezioso vessillo 
Che vanità tutt’ arse in  contesa
Pura contro di stoltezza l’assillo.
Da quel dì  fecondo ogne indugio
Bandì e non s’ attarda nel passato
A rimembrar fochi  fatui di paglia
O ad ascoltar  orgoglio che raglia
O il nemico che, dolce, l’odiato
Frutto tutt’indora e avvelena. 
Lesto stringe l’amato buono padre
Colui che con tanto  amor e  lena
Lo crebbe in dolcezza e la madre
Abbraccia che a dedizione l’urse
E tutta s’ immolò  in sacrificio
E quindi destriero e poche cose
Prese salpò in leggieri panneggi
L’armi in altro cavallo custose
E sanza girarsi gli amoreggi
Della mente quale  malta equina
Fier e risoluto contra se rese.


6.  In veglia lo spirto suo vegliando  


E l’armi caste  sotto siderea  
Croce poste a riposo amando
Colei che tanta via ben condotta
L’alma sua avea quale colomba
Segue suo compagno e fedel  rotta
Non perde nè smarrisce, allor nel cuore
Di  notte giace stremato  posando
In se, clinando qual Jovanni’l capo,
secco d’ardore e vittima senza
scacco ormai in petrosa vivendo
urna sol di fede con  mani giunte
siede e l’alma quasi dolce cede
volo ardente desiando verso
le mani del Suo buon Conduttore
sebben sia notte senza niuna luna
allor  vide e apparve la Luce
ricetta nello scrigno più nobile
che nessuna mano d’omo  far pote
che pare  da spirti  in amabile
e pura petra fatto e le rote
dei Cieli spandono  lode simile
e ostello diletto se fa saper
di quel Sangue regal che tutto’l mondo
di pura celeste letizia goder
face sanza la sua carne e mondo
l’eterna nell’ incessante incendio.
Di carme è primo e final verbo
Di viva sapienza radia compendio
D’amore  il doloroso secreto 
Di verità delizie tien in serbo
Cornucopia e a foco imprime
Sanza parola suoi segni’n alma
Che  abbella e orna qual roseto
E apre i sensi al divin fulgor
Quale fulmine i campi feconda
E nubi ricche sgrava per l’amanda
E grettezza pare il nostro  amor
A fronte di  magnifica  fornace.
In magno stupor  il cavalier langue
Che più non sape nomar suo nome
E avanti’l cor rapito esangue
Offre l’aureo vasel mutazione
Prodigiosa in cinque divin forme:
si fece gran spada di dedizione
fiammante e  ovo e or conforme
a roccia cangiò e  repent’ in dolce
libro vermiglio che buon timore
effonde intorno e infin riese
a coppa verdeggiante che’l cor molce
e riceve purissima rugiada
e la stilla e s’irradia fulgore
più chiaro e possente di sol nostro
come di mille rai d’un altrastro
che notte cessa e iorno in notte
muta, e tal luce è sì violenta
ma anco delicata come l’alba
contenta o meglio  come quattr’ albe
che mai sceman e s’intrecciano liete.

Quando mutò in sembianze consuete
Ancor estasiava come morendo 
Il cavaliere lasciando la terra
Più chiara e calorita  e bianca
El cor come di pienezza rinserra
Nova benignitate e lietezza
E ancor sentìa inni d’altezza
Moventi e lodi  quando s’involò
Il terribil  tesoro picciol chiaror
Donando  in loco di  cella chiusa
Come  a consolar amabil  pena
Di tanta dipartita e a voce
Bassa ancora  Iacopo dicea:
gloria gloria gloria in presta  lena
ma  qual morto  seppur veglio cadea
alfin per la spossatezza che luce
magna in picciolo  vaso induce
e mai fu sonno sì caro e  beato.
S’alzò all’alba di ristor temprato
E in piene virtuti restaurato:
non più volea saper né dimandare
che dell’Amor pasciuto sol cantare
desiava e d’aureo senno traboccare.
Non più or mondana o vana musa
Cerca o desìa ch’ infallibile
Tesor  notte e iorno è  adusa
Compagnia e maestra e pasce
Tutte le facoltati in umile
E perfecta via. Né istruisce
Qual  saggio omo ma dalla  Sapienza
Incarnata trae tutta sua luce.
Per molti giorni il cavalier  tace
E non si ciba e cavalca lieto
Mosso da astri in tutta fiducia
Ch’ ogne strata e calle  par consueto
E non rovellan pensieri ma lucia
Di semplice beltà e Sua certezza
Che già da morte tornato se sente
E non c’è più timor di niun ’asprezza
Che la Stella sempre s’alza repente  

"Ode a Sofia coronata”

Salve, o morgana, fin a te giunga
Tripudio e canto che l’orbe mondo
Alza a che luce chiara congiunga
Tua letitia a beltà del fondo
Lago che di novo sapor s’abbella.
E già contemplasi splendor fecondo
Che lustra’l bel candor d’alba favella.
A cor amanti si reca novella
Di compiuta speme  che l’orto tondo
Ha recinto, invitando sigillo
A velar sposa e a donar squillo
All’eletta schiera ch’or t’annumera
Vedi: più ricco di lucente cinta
Il fianco di retta torre esulta
E sull’iride felice è pinta
Fresca favilla che sapere culta.
Qual sorgente improvvisa da terra
Scalpita e sale e molte polle
Genera e conduce, similmente
(Da occulta attesa germinante)
La palladica vestizione serra
Spirti amici in gaudioso colle,
e più dell’Elicon si spande lode
di compiuta raccolta che a vita
vergini voci e veli e ode
grande ridona in mensa convita.
Non ti sei curata di tempo stolto:
placida hai tessuto quale baco
silente peplo che rivela molto
d’alma superna il florido saco
e qual Minerva or il campo colto
preservi e molci sì ch’io ben taco
che gaudio mi corona del diadema
tuo qual riflesso e del sistema
delle alte cortesi sfere sapio
che, te per scala, bene il Ciel cupio.
Or l’ombra tutta sua luce gnosce
E luce dall’ombra fredda è tratta
Perché di Donna la coppa incresce
Di bevanda ch’Amor stilla e tratta.
Il casto monile frutto di vetta
E di bell’ amor la solinga scesa
È fiorente fronda che senza fretta
Guarisce cantici e bocca lesa
Dovunque di mondo’l fiele si metta,
E tal ramo stilla d’aurea vena
Che di parche’l filo con lama lude
E’l carme in pira carca con lena
E cor in ghirlanda laurea clude.

 

“ Tutti i giorni andavano al Tempio e lodavano Dio”

   

O Tempio  
Tempio mio e Tuo
Tempio grande che ci vuoi
Casa dolcissima e gelosa
Dimora che sgorghi il fiume risanatore
Monte che splende dall’alto
Tracciando la via per i ridestati
Quanto ardi anche del legno verde
Quanto scuoti e urgi per vie sconosciute
E fai di arco arpa e di candela lancia
E la saetta sposi alla coppa
Destaci con trombe nella notte
Nascondici con nubi al mattino
Fai del nostro piccolo cuore il tamburo sonante dell’araldo
Che ardiamo per spargere il Tuo incendio sulla terra
Che il Tuo Signore non ci permetta
Di disperdere l’olio e il vino del giorno
Perché si degni di usarci quali anfore lampade e fiori
O Tempio divorante
Facci tue rette colonne
Inchiodaci nelle Tue perfette volte
Ruggisci di gloria fra le foreste oscure

Amen.  

 

 


E' la perenne battaglia fra la Quaresima  e il carnevale, fra l'avventurosa ed eroica cerca del Qua-Re e il fluttuare della triste festa del carro navale
Beato chi prende parte all'unica giusta battaglia
betao chi prende parte al sacro fuoco della mischia che forgia gli animi.
 
 
Ma attenzione:
non c'è "solve" nè "coagula" senza lotta spirituale senza compromessi contro le potenze dell'aria
 
 
"Prendi la tua coppa - scolpiscila - rifiniscila - puliscila dentro e fuori - svuotala - innalzala - offrila - e intronala nel centro della mensa  - nel centro del Tempio e del sepolcro..."