Chi avesse avuto la possibilità di partecipare ad una grande battaglia del XVI secolo in cui fossero intervenute truppe svizzere o i famigerati "lanzichenecchi" tedeschi, fra il fragore dei cannoni e dei primi archibugi, tra il cozzare delle picche e delle alabarde, tra le urla ed i sordi tonfi dei colpi di balestra, avrebbe potuto ascoltare dei suoni acuti e sibilanti che sovrastavano persino il cupo rullare dei tamburi. Se si fosse avvicinato alla fonte di quei suoni avrebbe potuto scorgere, tra la polvere del campo di battaglia, vicino alle bandiere, uno o più suonatori di uno strumento del quale poi tutto si sarebbe detto fuorché il suo timbro fosse adatto a quelle situazioni: il flauto traverso.
Nel Rinascimento il flauto militare era di struttura molto semplice:
un tubo cilindrico con un foro per l'insufflazione e sei per le dita. Era
sempre accompagnato da un tamburo formando il complesso musicale tipico
della fanteria. Allo stato attuale delle nostre conoscenze non è
ben chiaro se fosse o no diverso dallo stesso strumento usato in ambito
"civile". Il suo scopo primario era quello tattico di far cadenzare il
passo alle fanterie, sempre in unione al suono dei tamburi, oltre ad infondere
coraggio ai soldati e a costituire, vista la presenza della coppia flauto-tamburo
vicino alle insegne, un preciso punto di riferimento ottico-sonoro.
Su questo argomento sto svolgendo ricerche da qualche tempo e volevo
qui riportare quello che ho trovato riguardo ai musicisti militari di Roma,
riferendomi in particolare al corpo delle "Guardie Svizzere" vaticane.
Le truppe che utilizzarono per prime il duo flauto-tamburo come strumento militare (chiamato "Spiel" o "Spil" dal verbo spielen, suonare) furono quelle svizzere e la loro imitazione tedesca i lanzichenecchi. L'uso del flauto traverso accompagnato dal tamburo come strumento per la musica popolare doveva essere in Svizzera molto diffuso, tanto che fu facile trovare tanti esecutori tra i soldati. Riporto qui alcuni brani dalla Storia del Mondo Moderno delle edizioni Cambridge University Press che ben fanno capire come dalla seconda metà del XV secolo fattore decisivo delle guerre europee era diventata la fanteria pesante in particolare quella addestrata sul modello elvetico:
"Gli svizzeri, che sconfiggendo la cavalleria borgognona a Grandson e a Morat nel 1476 avevano suscitato l'interesse di tutti i militari, combattevano in quadrati compatti di circa seimila uomini, 85 spalla a spalla su un fronte di una novantina di metri, per una profondità di circa 70 righe. Il successo di questa formazione si basava su una rigida disciplina e su un perfetto addestramento . Nulla doveva diminuire l'impeto o la resistenza del quadrato fino a che non avesse sfondato le linee nemiche o non fosse stato decimato; non si potevano fare prigionieri, i feriti venivano ignorati. Una carica di cavalleria lanciata contro un simile quadrato incontrava dapprima una solida barriera di ferro, le punte delle picche delle prime quattro righe, poi le alabarde, che approfittavano dello scompiglio per colpire da vicino o per disarcionare ed aggredire i cavalieri, infine , al centro del quadrato, le sciabole, che potevano essere fatte roteare contro un uomo ancora a cavallo o impugnate sotto l'elsa per colpire quelli appiedati. Un assalto di fanteria veniva affrontato dapprima da file di alabarde che abbattevano le punte delle picche, poi sul fronte da file successive di picche e sui fianchi da spadaccini, balestrieri e archibugieri che uscivano dal centro e dal retro della falange. Gli svizzeri potevano anche attaccare e, dato che il loro morale era sempre molto alto, non usavano armature pesanti e agivano con rapidità e in ordine serrato. In questo caso, i fanti erano preceduti da balestre ed armi da fuoco che bersagliavano il nemico in movimento e poi si ritiravano per permettere al quadrato di avanzare, con la sua selva di picche e spinto da un impeto che era sempre irresistibile a meno che la formazione non fosse decimata da un fuoco intenso o scompaginata dal terreno accidentato. [...] Queste tattiche furono presto copiate , prima dai principi della Germania e dai francesi, poi dagli spagnoli e dagli italiani. I lanzichenecchi furono la copia più fedele degli svizzeri, ma erano addestrati e guidati meno bene, in parte perché la carica di capitano andava al miglior offerente, non al soldato più capace."
Ed ecco che allora, ben prima degli orologi e del cioccolato, il primo prodotto che la Svizzera esportò in tutta l’Europa furono questi efficenti, fedeli, feroci e coraggiosi soldati di fanteria che divennero le guardie del corpo di molti sovrani.
La Cohors pedestris Helvetiorum a sacra custodia Pontificis ossia la Guardia Svizzera Pontificia è preposta ancor oggi alla sicurezza delle residenze pontifice e ad accompagnare e scortare il Santo Padre nelle diverse uscite e nelle sacre funzioni da lui presiedute. Fino al pontificato di Pio VI (1799) compagnie di svizzeri erano presenti anche presso le Legazioni papali, il Monte di Pietà di Roma, la Depositeria generale della Camera Apostolica sita a Palazzo Madama e alla Zecca pontificia. L'origine della sua esistenza va fatta risalire al pontificato di Giulio II che colpito dalla potenza militare di questi fedelissimi valligiani otteneva nel 1505 una compagnia permanente di 200 svizzeri il cui primo comandante fu Gaspare de Silenen. La prima grande prova di coraggio la diedero il 6 Maggio 1527 quando bloccarono l'assalto delle truppe imperiali spagnole e lanzichenecche permettendo la fuga del papa Clemente VII in Castel S.Angelo attraverso il tratto di mura che collega la fortezza ai palazzi vaticani (passetto di Borgo). Il comandante Gaspare Roust, tutti gli ufficiali e i soldati, tranne 12, persero la vita davanti agli altari della basilica di S.Pietro non senza aver ucciso ben 800 avversari. Paolo III ricostituì nel 1548 il corpo ed è a questa data che compaiono tra i ruoli dei soldati anche "2 tamburi e 2 pifferi". La presenza dei flauti è documentata anche nel 1660: "due tamburini, un piffero" (nella compagnia per il cardinale legato di Ferrara); nel 1668: "4 fra tamburi e ciufoli"; nel 1754 e nel 1782: "2 tamburri e 2 ciufoli" (in questi due casi si conosce anche il pagamento dei musicisti: 6 scudi al mese); nel 1788: "4 tambours et d'un fifre" (dalla Histoire di May); nel 1800 (L'economia del pubblico erario del 20 Novembre): "d'un tamburino, d'un suonatore di piffero"; nel 1801: "un tamburo, un piffero". Nel 1720 abbiamo una descrizione della divisa dei musici svizzeri (in Bonanni, Gerarchia....,Roma, 1720):
"Le altre due [tavole] 151 e 152 rappresentano il tamburino e il compagno in atto di suonare un ciufolo, secondo il costume di molte nazioni, particolarmente tedesca, e l'abito d'ambedue è di panno rosso, con pennacchio bianco nel cappello (con falde calate e larghe, con le due strisce di tela pendenti dai loro colli)".
Altre testimonianze sul flauto militare della Guardia Svizzera le abbiamo nella descrizione del funerale del comandante "il sig. Gio. Corrado Pfyffer d'Althishofen" deceduto, sotto il pontificato di Benedetto XIII, nel 1727:
"[...] indi seguivano 4 uffiziali primari in abito nero... e finalmente i tamburi e pifferi scordati, con sopra l'arme del defunto capitano, seguendo tutti li soldati svizzeri in ordinanza colle loro alabarde a rovescio,[...] e tolte le bande nere a'tamburi e pifferi".
La stessa pratica della "scordatura" degli strumenti veniva effettuata
durante la Settimana Santa, dalla deposizione nel "sepolcro" dell'Eucarestia
il Giovedì Santo al "Gloria in excelsis Deo" del Sabato Santo.
E' solo nel 1814, al ritorno del papa dopo l'invasione francese, che
nei ruoli della Guardia scompare il flauto, sostituito come ormai in quasi
tutti gli altri eserciti europei da "un trombetta". La raffigurazione del
"tamburino e piffero" degli svizzeri pontifici apparsa a Roma nel 1827
nell'opera Raccolta della Gerarchia ecclesiastica di Capparoni vuol solo
ricordare una usanza ormai scomparsa, non certo documentare una pratica
attuale in quel periodo.
Nel Dizionario di Erudizione Storico-Ecclesiastico di Moroni viene così elogiata la presenza di questi soldati che forse per primi fecero udire il suono del flauto militare per le strade e le piazze di Roma:
"Era ben giusto, che la difesa e non interrotta custodia della pontificia
reggia e della santissima persona del papa fosse con piena fiducia commessa
alla valorosa nazione svizzera cattolica, che dai Papi si meritò
il glorioso titolo di Difensori dell’ecclesiastica libertà, per
l'eccellenza e mai smentita del suo precipuo carattere, costante e irremovibile,
per singolare insuperabile fermezza agli ordini che ricevono gli svizzeri,
osservanti e diligenti della disciplina, tranquilli e savi, non meno che
prodi, ed ancora per la loro sperimentata inalterabile e incorruttibile
fedeltà; [....] e dappertutto non mai alterarono l'inconcussa loro
lealtà, non disgiunta da mirabile coraggio."