Il cambio automatico degli scooter
Il variatore: tutto ciò che da sempre avete osato chiedere e cui nessuno ha mai dato una risposta
(agg. al 15-10-2004)

   Sembra incredibile, ma nonostante l'incredibile numero di scooter presenti sul mercato, a tutto oggi nessuna rivista del settore si è mai interessata a fondo del cambio automatico che equipaggia questi mezzi. In verità, sono apparsi alcuni articoli che descrivevano il suo funzionamento, ma sempre in modo frammentario e/o incompleto.

   Questa volta ci provo io! L'argomento non è dei più semplici, ma con l'aiuto di qualche tavola spero di renderlo comprensibile anche ai neofiti. Agli specialisti chiedo venia, per alcune affermazioni e/o semplificazioni esposte nel corso dell'articolo. Gli argomenti saranno trattati in modo generico, senza scendere nel dettaglio, proprio per evitare concetti tecnici troppo specifici.

   In particolare, nel corso dell'articolo troveremo più volte ripetuta una tavola che rappresenta lo schema complessivo della trasmissione di uno scooter. Lo schema in teoria ne rispecchia il principio, ho volutamente inserito alcune varianti, proprio per rendere più semplice ed intuitivo il "percorso" della trasmissione.

Ops! .... Con molta sorpresa, oggi mi accorgo che il mio schema rispecchia fedelmente quello utilizzato dai tecnici Honda sul Silver Wing 600.

   Sempre per rendere le tavole più intuitive, e poter meglio confrontare il comportamento dei vari organi, ho assegnato agli stessi delle colorazioni che rimarranno univoche durante tutto il corso dell'articolo.

Un po' di storia

   Sembra impossibile, ma ancora oggi agli inizi del 3° millennio, dal piccolo scooter 50cc all'imponente Silver Wing 600, il cuore del sistema di trasmissione è ancora la "cinghia".

   Non sono certo uno storico, ma posso dire con certezza che la cinghia è stata uno dei primi sistemi adottati per le trasmissioni meccaniche: dalle piccole segherie di campagna ai grossi insediamenti industriali, ogni qualvolta c'era la necessità di trasmettere del moto, si ricorreva a tale sistema.

   A dire il vero in quegli anni si utilizzavano "cinghie piane" che si avvolgevano su veri e propri tamburi, con un particolare costruttivo interessante: visti in sezione, avevano un profilo "a botte". Tale accorgimento aveva lo scopo di mantenere in guida la cinghia, senza richiedere ulteriori spalle ai bordi del tamburo. Come la cosa funzionasse, per me è sempre stato un mistero.

   Aldilà dei soliti affinamenti tale sistema restò in uso per lungo tempo, fino a che fu introdotta la cinghia trapezoidale.
La particolarità non era tanto nella forma della sua sezione, quanto ad una serie d’accorgimenti che modificarono radicalmente questo tipo di trasmissione:

Il rapporto di trasmissione

   Come immagino sia noto a tutti, il rapporto di trasmissione è determinato dal rapporto dei diametri teorici d’avvolgimento della cinghia sulle due pulegge: motrice e condotta. E' ovvio che tale rapporto rimarrà un dato fisso ed inalterabile della trasmissione, legato alla forma costruttiva delle pulegge. Ma allora come si fa a variarlo?

   Il concetto è molto semplice e per chiarirlo basta osservare la sezione di una puleggia. L'idea di base è di scomporre la puleggia in due metà, la prima rimane solidale all'albero, mentre la seconda può scorrere lungo l'asse di rotazione. Quando tale semipuleggia si trova affiancata a quella fissa, la cinghia è costretta a posizionarsi sul massimo diametro della puleggia; viceversa quando si allontana, la cinghia potrà percorrere un diametro inferiore, potendosi insinuare nella gola della puleggia.

   In sintesi, spostando la semipuleggia lungo l'asse, possiamo ottenere una variazione del rapporto di trasmissione pressoché continuo e ottimizzato alle caratteristiche del motore e/o del mezzo. Quello che rende tale trasmissione ancora più flessibile sono i modi con cui può essere mossa questa semipuleggia. Si possono avere dispositivi meccanici, idraulici, elettromeccanici, pneumatici che potranno, a loro volta, essere controllati in modo manuale o automatico.

Ovviamente, per motivi di spazio, non saranno analizzate tutte le varie tipologie, ma ci soffermeremo in particolare su quello in dotazione ai nostri scooter, che si può definire del tipo: meccanico/automatico.
A dire il vero, il Burgman 650 della Suzuki con il cambio sequenziale, ha cambiato radicalmente i parametri di riferimento dell'attuale tecnologia, ma questa è un'altra storia...

Glossario e abbreviazioni

Prima di entrare nel vivo dell'argomento vorrei esporre un breve glossario dei termini e delle abbreviazioni che saranno usati in modo più frequente nell'articolo:

Il variatore

   Ma realmente com’è fatto e come funziona il variatore del nostro scooter?

   Per meglio comprendere il suo funzionamento, vediamo di suddividerlo nelle sue parti primarie ed analizzarle singolarmente: la puleggia motrice ("plg.mtr"), la puleggia condotta ("plg.cnd") e la frizione automatica.

Puleggia motrice ("plg.mtr")

   Lo schema di funzionamento è quello già visto in precedenza, con la variante che il movimento della semipuleggia mobile è ottenuto dalla forza centrifuga creata da una serie di rulli (massette). I rulli sono interposti tra il fianco della semipuleggia mobile e una calotta solidale con l'albero motore che assolve anche la funzione di guida.
Partendo dalla condizione con l'albero motore fermo, e quindi con le semipulegge aperte, la forza centrifuga creata sui rulli dalla successiva rotazione dell'albero motore, spinge questi ultimi verso l'esterno obbligando la puleggia mobile ad avvicinarsi alla fissa. In questo modo la gola della puleggia viene a chiudersi, obbligando la cinghia a percorrere un diametro via via sempre maggiore. Tale forza risulta proporzionale al numero dei giri dell'albero motore e alla massa complessiva dei rulli.

Puleggia condotta ("plg.cnd")

   Anche in questo caso ritroviamo la solita semipuleggia mobile e fissa, ma con alcune particolarità che la differenziano notevolmente dalla "plg.mtr". I rulli sono sostituiti da una grossa molla la cui funzione è di mantenere chiuse le due semipulegge. In questo modo, oltre ad assicurare una corretta tensione alla cinghia, contrasta la spinta dei rulli e consente una variazione del "rap.trs" più graduale.
Altra particolarità, spesso sconosciuta ai più, è la presenza della guida elicoidale. Diversamente dalla "plg.mtr" che si muove lungo l'asse in modo rettilineo, la "plg.cnd" descrive un'elica; è come un dado che si avvita sul gambo di una vite. Su tale particolare ritorneremo a parlare più avanti per comprendere la sua funzione.

Frizione automatica

   Il dispositivo è abbastanza semplice ed è lo stesso che da sempre è utilizzato sui ciclomotori "monomarcia" e non necessariamente dotati di variatore. Costruttivamente è molto simile ad un freno a tamburo, ma con ovvie particolarità.

   Su un piatto solidale al "variatore" trovano posto una serie di pattini trattenuti da altrettante molle calibrate. Il tutto è posto all'interno di un tamburo (campana) solidale al riduttore. Quando il piatto raggiunge una determinata velocità di rotazione, la forza centrifuga generata dalla massa dei pattini, spinge quest'ultimi contro il tamburo esterno trascinandolo in rotazione. In questo modo il motore viene accoppiato gradualmente al riduttore, permettendo il movimento del veicolo.

   Il regime di giri cui avviene l'accoppiamento della frizione è legato alla massa dei pattini e alla forza di contrasto esercitata dalle molle.

   Un ultima precisazione, anche se la ritengo superflua: il funzionamento di questo tipo di frizione è per così dire "non reversibile". Se tentassimo di far ruotare la campana, non riusciremo mai ad ottenere l'espansione dei pattini e quindi l'accoppiamento; in poche parole: è inutile tentare di avviare il motore del nostro scooter a spinta, sprechereste solo fiato e tempo.

Facciamo una corsa!

   Nella speranza di essere stato chiaro fino a questo punto, vediamo di entrare nel vero e proprio funzionamento. Ricomponiamo tutte le parti, andiamo a fare una corsa con il nostro scooter ed in modo virtuale osserviamo cosa avviene dentro alla trasmissione.

   In questo momento il motore è in moto al regime del minimo: la "plg.mtr" è aperta (rapporto corto) e la frizione risulta disaccoppiata, perché la forza centrifuga dei pattini della frizione non sono in grado di vincere il tiro delle molle relative.

   Aumentiamo leggermente il regime del motore fino ad ottenere l'innesto della frizione, con conseguente movimento dello scooter. In questa condizione, la spinta dei rulli è ancora insufficiente per chiudere la "plg.mtr" e pertanto abbiamo inserito ancora un rapporto corto, l'equivalente della 1a marcia.

   Ora possiamo aumentare nuovamente il regime. La spinta dei rulli comincia a chiudere la "plg.mtr" e di conseguenza si apre "plg.cnd". Essendo variati i diametri d’avvolgimento della cinghia sulle pulegge, si ottiene un allungamento del "rap.trs", come si fosse innestata la 3a o 4a marcia.

   Apriamo completamente l'acceleratore e portiamo il motore alla massima velocità. I rulli hanno ormai chiuso completamente la "plg.mtr", l'equivalente del rapporto più lungo (5a).

   Ora possiamo togliere il gas, e utilizzando il freno motore, lasciamo che il mezzo si fermi. Analogamente a quanto avvenuto, ritroveremo le stesse fasi, ma invertite nella sequenza. In questo caso il processo terminerà nel momento del disinnesto della frizione, perché il suo numero di giri non sarà più in grado di assicurare una sufficiente spinta ai suoi pattini. Venendo a mancare il cosiddetto "freno motore", solo l'intervento dei freni potrà permettere il completo arresto del mezzo.

   Fino a qui sembra tutto semplice, sembra di trovarsi di fronte ad un’altalena. Da una parte c'è il peso equivalente della forza centrifuga generata dai rulli, dalla parte opposta, a contrastarla, la spinta della molla presente sulla "plg.cnd", in mezzo la cinghia elemento passivo che funge da asta.

   Quando si aumenta il numero di giri, per effetto della forza centrifuga, il maggior peso equivalente dei rulli riesce a vincere la forza della molla, determinando un allungamento del "rap.trs", viceversa appena si riduce il regime del motore otteniamo un "rap.trs" più corto.

La guida elicoidale

   Nell'esposizione della "corsa" ho volutamente omesso una fase molto importante: l'accelerazione. Ovviamente stiamo parlando di un’accelerazione energica, quella che in genere è richiesta per un sorpasso di un autoveicolo o una partenza da fermo per il classico "scatto" al semaforo.

   Vi ricordate la "guida elicoidale" presente sulla "plg.cnd", adesso è il momento di parlarne, giusto per complicare un po' le cose! Anche se il concetto è semplice, all'atto pratico risulta poco intuitivo e richiede un attimo d’attenzione.

   Come avrete notato nella precedente tavola appare inspiegabilmente una seconda molla (tratteggiata) che contribuisce a contrastare il peso dei rulli. Ovviamente non è un errore, ma rappresenta in forma di principio l'azione svolta dall'insieme semipuleggia mobile e guida elicoidale.

   Se mi concedete un esempio: cercate di immaginare di tirare una fune (cinghia) avvolta su un dado (semipuleggia) e che lo stesso sia posto su una vite (perno riduttore). Nel momento che tirate la fune, il dado si avviterà sulla vite, con la sua conseguente traslazione lungo il perno, analogamente a quanto avviene nella nostra guida eleicoidale.

   Il tiro della cinghia sulla "plg.cnd" determina un avvitamento della semipuleggia mobile e conseguente generazione di una spinta assiale che sommandosi alla forza della molla, andrà a chiudere in modo più energico la gola della "plg.cnd" accorciando il "rap.trs".

   Ritorniamo alla nostra "corsa" in scooter e osserviamo cosa avviene prima, durante e dopo un’accelerazione. Immaginiamo di procedere ad una velocità tale per cui il variatore sia in una condizione di rapporto medio/lungo.

   Una repentina apertura dell'acceleratore, provocherà immediatamente un brusco aumento di coppia e quindi di trazione. La "plg.cnd" sotto l'azione del maggior tiro della cinghia, come già detto in precedenza, tenderà a chiudere la semipuleggia obbligando la cinghia a percorrere un diametro maggiore con un conseguente "rap.trs" più corto. E' come se avessimo innestato un rapporto inferiore, ottenendo dal motore un’accelerazione più incisiva (l'effetto è marcato in corrispondenza del regime di coppia massima del motore).

   Appena però parzializziamo l'acceleratore, venendo a mancare questa sovra-coppia, sarà limitato l'effetto della cosiddetta "guida elicoidale", consentendo alla trasmissione di allungare il rapporto e riportarsi nella condizione d’equilibrio iniziale.

   Adesso è il Vostro turno e vediamo di fare una piccola verifica: cosa succede se nella condizione iniziale sopra descritta, chiudiamo l'acceleratore? ...

   La soluzione non è proprio immediata e scontata; probabilmente la vostra risposta non è del tutto corretta! Il guaio è che non avete considerato il senso d'avvitamento della semipuleggia o potremmo chiamarla anche "dado".
Provate a prendere tra le mani una vite completa di dado (nella mano sinistra la vite, nella destra il dado). Ruotando il dado in senso orario (fase accelerazione) lo stesso si avviterà sull'asse avvicinandosi alla testa della vite. Rispettando lo stesso verso di rotazione fate ora ruotare vite (decelerazione) e vi accorgerete che il dado tenderà a svitarsi.

   Nella fase considerata (decelerazione) non è più il motore a determinare la trazione sulla cinghia, ma trasformandosi in un vero e proprio "freno motore" è trascinato dalla ruota o meglio dal perno del riduttore. Tutte le forze s’invertono e come tale s’inverte il senso d’avvitamento della semipuleggia e l'effetto generato. La forza, in netto contrasto con la spinta della vera molla, tenderà ad aprire"plg.cnd" allungando il "rap.trs". Ecco finalmente spiegato perché gli scooter hanno un pessimo "freno motore".

   Proprio nel momento in cui avremmo bisogno di un "rap.trs" più corto, per avere un freno motore più incisivo, il nostro cambio automatico innesta la "5a". Il problema si evidenzia soprattutto in montagna nelle lunghe discese, dove per mantenere sotto controllo la velocità siamo costretti ad intervenire sui freni.

   Contrariamente a quanto affermato da alcune riviste del settore, anche i grossi maxi-scooter dell'ultima generazione sono affetti da tale comportamento. Ovviamente il problema è mascherato dalla generosa cubatura che comunque riesce ad assicurare un sufficiente "freno motore" anche con "rap.trs" lungo.

   L'unico scooter che ha tutte le carte in regola per superare l'inconveniente è il Burgman 650 della Suzuki. Per muovere le semipulegge non utilizza né forze centrifughe né tanto meno "guide elicoidali", ma il tutto è mosso da un attuattore elettromeccanico controllato ovviamente dall'onnipresente computer.

by C. Michieletto