Non mi ero mai occupato molto, prima di adesso, del Brasile e della cultura lusofona in generale. Se dall'Italia decidiamo
di dirigerci, culturalmente parlando, verso ovest, è più facile inbattersi prima nella cultura spagnola, che dalla
Spagna si estende poi a quasi tutto il continente centro e sudamericano, e così tutto ciò che riguarda il Portogallo ed
il Brasile viene in qualche modo schermato, con tuttavia delle eccezioni importanti, che riguardano soprattutto
la musica, universalmente nota, ed il cinema meno recente. Un personaggioHo ricostruito, usando sia la biografia di Veloso che notizie trovate su Wikipedia e sul sito del giornale Folha de São Paulo, la storia di uno dei personaggi del libro. José Agrippino de Paula, noto
a tutti come Zé Agrippino, fu il vate del movimento tropicalista, amante della beat
generation americana e assiduo sperimentatore delle sostanze psicotrope. Visse per molto tempo insieme alla inseparabile compagna, la ballerina, coreografa
ed autrice di testi teatrali Maria Esther Stockler, il che non impedì loro di
aggiungere alla famiglia l'amica Maria do Rosário. |
Il libro è così denso che è difficile scegliere cosa citare, ma ecco comunque... Alcuni brani: Lo disco spesso: se fosse dipeso da me Elvis Presley e Marilyn Monroe non sarebbero mai diventati delle star. Sono stato io, ciò nonostante, il primo a menzionare la Coca-Cola in una canzone brasiliana, non senza causare un certo scandalo. Nella seconda metà degli anni cinquanta, a Santo Amaro erano ben pochi i ragazzi e le ragazze affascinati dalla vita americana nell'era del rock'n'roll, o che cercavano di uniformarsi a quel modello. Quanto avevo sei o sette anni, sul finire degli anni quaranta, una delle tante zie che abitavano con noi (questa all'epoca era sulla trentina) mi disse, tra il divertito e l'irritato, con quella sincerità noncurante con cui ci si sfoga con i bambini: "Ah, figlio mio, io avrei voluto abitare a Parigi e fare l'esistenzialista". In questa cittadina bella e piacevole io conducevo una vita tranquilla, circondato da una famiglia grande e affettuosa. Ciò nonostante, il fatto di avere sempre sotto gli occhi tanta povertà mi portava a mettere tutto in discussione: mi era difficile accettare le abitudini e i valori consolidati. A Santo Amaro erano regolarmente in programmazione film francesi e italiani.
Anche messicani. [...] All'inizio della nostra adolescenza, la principale attrattiva dei
film francesi era rappresentata dalle intimità erotiche che contenevano: un seno di donna,
una coppia sdraiata in un letto di ferro, esplicite allusioni alla vita sessuale dei
personaggi - tutte queste cose, mai viste in un film americano, i film francesi le
offrivano con naturalezza. Ma il cinema italiano, mentre il tempo passava e noi
crescevamo, ci interessava sempre più a causa della sua "serietà": di fronte al
neorealismo reagimmo con l'emozione di chi riconosce i tratti del quotidiano nelle
immagini luminose e gigantesche delle sale cinematografiche. A Santo Amaro, noi cultori di João Gilberto ci incontravamo di fronte a un bar piuttosto modesto: si chiamava bar de Bubu, dal soprannome del suo proprietario, che era nero e grasso. Lui aveva comprato il primo ellepì di João, Chega de Saudade ["Basta con la nostalgia"] - il disco d'esordio del movimento - e lo metteva di continuo. Innanzitutto perché piaceva a lui, e secondariamente perché sapeva che noi andavamo lì per ascoltarlo. Eravamo un gruppetto: quattro o cinque ragazzi del ginnasio che non avevano i soldi per comprare il disco. Salvador viveva a quell'epoca un periodo di intensa attività culturale, grazie alla decisione dell'allora rettore dell'Università Federale di Bahia, il dottor Edgar Santos, di aggiungere alle attività accademiche delle facoltà convenzionali le scuole di musica, danza e teatro, e di affidare la responsabilità di queste scuole ai più radicali sperimentatori, offrendo così ai giovani della città una panoramica piuttosto vasta. Fu a questo modo, per me estremamente eccitante, che l'intelligenza e la sensibilità di Bethânia si aprirono quella sera della Storia di Tobia e di Sara, nel piccolo ma perfettamente attrezzato Teatro Santo Antônio, il palcoscenico ufficiale della scuola. [...] Fu così che in Bethânia nacque il desiderio di fare l'attrice. Nonostante l'entusiamo con cui partecipavo ai concerti del Teatro Vila Velha - cantando, suonando un po' la chitarra e, soprattutto, dando idee in qualità di "direttore generale" (i direttori musicali erano Gilberto Gil e Alcivando Luz) -, non avrei mai pensato di diventare un cantautore professionista. Andando a Rio con Bethânia, però, divenne quasi inevitabile. Se il Tropicalismo si deve, in qualche misura, ai miei atti e alle mie idee, dobbiamo allora considerare come scintilla esplosiva del movimento l'impatto che il film Terra in trance di Glauber Rocha, ebbe su di me nel mio soggiorno a Rio tra il 1966 e il 1967. [...] Glauber Rocha, il giovane regista baiano, era diventato ormai un personaggio di primo piano nel mondo culturale. Dopo Barravento, quando ancora viveva a Bahia, aveva colpito critici e registi europei con Il dio nero e il diavolo biondo, un film pieno di selvaggia bellezza che ci aveva fatto intravedere la emozionante possibilità di un gran cinema nazionale. Nel '66, poco prima che vedessi Terra in trance, Rogério mi aveva presentato allo scrittore paulista José Agrippino de Paula. [...] Zé Agrippino opponeva le icone della cultura di massa americana all'intellettualismo del nostro giro bohémien. Ma dietro a questo atteggiamento iconoclastico agiva soprattutto la volontà di valorizzare gli scrittori di lingua tedesca (in particolare Kafka e Musil, ma credo di averlo sentito parlare anche di Hölderlin, e sicuramente di Heidegger e Nietzsche) e di lingua inglese (Joyce, Melville e Swift; Kerouac, Ginsberg e la beat generation). Zé Agrippino sembrava un uomo delle caverne, con la sua barba nera e la sua imponenza fisica. Non dispensava mai i sorrisi convenzionali che ci si scambia quando gli sguardi si incontrano casualmente e spesso questo mi metteva a disagio. Ma non era scortese o grossolano e quando un sorriso gli affiorava alle labbra era tanto più prezioso perché così raro e soprattutto carico di significato perché realmente sincero. Naturalmente la sua fidanzata, Maria Esther Stockler, anche lei di São Paulo, condivideva questa decisione di non fare concessioni ai riti tradizionali della convivenza piccolo-borghese. Lei, ancor più di lui, era autenticamente aristocratica, una costante lezione sulla vera eleganza, la dimostrazione vivente di come e perché qualcosa normalmente considerato volgare - la lunghezza di una gonna, un colore, un gesto - poteva essere, alla fine, il miglior esempio di raffinatezza. Faceva la ballerina ed apparteneva a una ricca famiglia di São Paulo. [...] Lei e Agrippino leggevano riviste in inglese e, a differenza di Rogério, non usavano mai parolacce o espressioni gergali. Parevano stranieri (nonostante Agrippino fosse un tipo molto brasiliano, mentre lei sembrava un'oriunda del Caucaso), o arrivati da un'altra epoca: lui paleolitico, lei prerinascimentale, tutti e due futuristici. Il 2002 [numero dell'appartamento a San Paolo NdV], con il suo manichino in fibra di vetro e i suoi mobili in acrilico trasparente, diventava sempre più animato. Gil era sempre lì. I Mutantes e, naturalmente, Guilherme, che viveva due piani sotto, pure. Zé Agrippino e Maria Esther si facevano vedere ogni tanto. Waly e Duda erano arrivati da Rio e vivevano con noi. Io li ascoltavo molto. Specialmente Duda, che continuava ad avere un fortissimo ascendente su di me. Consideravo utile quello che stavo cercando di realizzare, ma intellettualmente poco rilevante se paragonato a ciò che loro, molto più colti e mentalmente pronti di me, avrebbero fatto. Dedé scherzava dicendo che erano i nostri consulenti. Ci sembrava bello il fatto che guadagnassi abbastanza da potermi permettere un appartamento ampio dove ospitarli, mentre loro ancora non facevano i film né scrivevano i libri che ci avrebbero reso una generazione indimenticabile nella storia della cultura brasiliana. Chiacchieravamo sino a notte fonda, bevendo birra, e Dedé e io eravamo orgogliosi che casa nostra fosse la sede di queste indimenticabili serate. Noi brasiliani abbiamo tutti l'impressione che il nostro paese, semplicemente, sia
privo di senso pratico. Come un padre onesto e generoso che rispettiamo, ma che non ha
capito come si fanno i soldi e che non riesce a trovare un lavoro fisso, che perde
grandi opportunità si ubriaca e si mette nei guai. Il nome del Brasile non soltanto mi
sembra, per tanti motivi, bello, ma mi ha sempre dato una rappresentazione interna unitaria
e soddisfacente. [...] Quasi tutti erano visibilmente meticci. Non era una vergona che
il paese fosse povero (ma facevo il tifo perché si arricchisse). Ci ritenevamo pacifici,
affettuosi e puliti. Era impensabile che qualcuno nato qui volesse vivere in un altro
paese. |