Questo è uno di quei libri acquistati per pura curiosità quando mi sono capitati davanti sul
bancone di una libreria.
La protagonista è una laureata che, per qualche strano motivo, si ritrova a fare la donna delle
pulizie. Scritto in prima persona, dopo qualche cenno autobiografico sull'infanzia, narra
le varie peripezie di una donna delle pulizie negli Stati Uniti di fine millennio, con una
curiosa puntata in una comunità religiosa in Giappone.
Bisogna dire che non è che ci siano tutte queste peripezie, in fondo, c'è piuttosto una descrizione degli eventi
intercalata a riflessioni, immagino filosofiche, sul concetto di sporco e sull'atto del pulire.
Ci sono alcuni brani certamente divertenti, come quello citato qui sotto, o altri poetici, come
quando si racconta della triste vita della domestica ispanica Lupita, ma a volte si ha come l'impressione
della tesina universitaria a tema.
E' come se l'autrice avesse scelto questo tema, la vita delle donne delle pulizie, e ci avesse fatto
uno studio sociologico sopra.
Leggere questo libro mi ha moderatamente divertito.
Stordita dalla rabbia, spolverai e strofinai fino a che non ricominciai a rimettere a fuoco gli oggetti.
Marx? Lenin? Trockij?... Gli scaffali erano carichi di libri sul comunismo e i rapporti di produzione.
Centinaia di libri! E alla fine di uno scaffale ordinato, un volumetto che conoscevo come le mie tasche.
Un testo accademico sulla orribile storia e le attuali condizioni di lavoro delle domestiche
americane! Incredibile! Lo mostrai a Lena, aprendolo giusto al capitolo dedicato allo sfruttamento delle
domestiche afroamericane.
"Vuoi dire noi?"
"Chi pensi che siamo?"
"Le Domestiche Felici non sono delle vere domestiche."
"Una domestica è una domestica, Lena."
Lena s'inginocchiò sul pavimento, lo straccio umido in una mano, il libro nell'altra.
Per lei questa era una rivelazione. Mi ripresi il libro e mi avviai verso l'ufficio, esitando solo un
istante, giusto il tempo di bussare, prima di entrare senza attendere la risposta.
"Lo conosce questo?" domandai mostrandogli il volume rosso e nero.
Non saprei dire se il tizio fosse più sconvolto dal fatto che gli avessi rivolto la parola o che
leggessi libri.
"Lei lo conosce?"
Immaginai di avere trovato un alleato. Lì, avvolta nel mio grembiule AL VOSTRO SERVIZIO, il
deodorante in mano, confessai che ero una scrittrice, un'ex accademica.
Non credo mi abbia creduto. Rimase a fissarmi.
Cambiando tattica, gli chiesi se sapesse quanto prendeva ognuna di noi per quel lavoro.
"Posso immaginarlo," disse contorcendosi sulla poltrona divenuta d'improvviso scomoda.
"Credo di no." Gli rivelai le cifre.
"Bene," disse e tornò a volgere il suo sguardo al computer.
Io aspettai.
Ma non accadde nulla. Si guardò bene dall'intavolare quell'appassionata conversazione sul lavoro
e il capitale che pure avevo immaginato. Né accennò alla possibilità di mollare il servizio e
passare direttamente a noi il lavoro sollevando un putiferio con le Domestiche Felici per le
condizioni vessatorie imposte alle sue dipendenti.
"Un attimo e mi tolgo dai piedi," disse infine, prima di sgattaiolare in un'altra stanza.