Vinicio Coletti

Diario digitale

26 ottobre 2000

Il senso di Smilla per la neve

Romanzo (Frøken Smillas Fornemmelse for Sne)
di Peter Høeg, Danimarca, 1992
446 pagine nella ed. italiana, Oscar Mondadori

Diciamolo subito: non siamo qui di fronte ad un capolavoro della letteratura contemporanea, né tantomeno di quella universale.
E' però un onesto giallo dall'ambientazione insolita, dove la stessa protagonista, una groenlandese a Copenhagen, si sente in parte estranea al mondo di cui fa parte.
Insoliti anche alcuni concetti, come quello di miseria artica, specie per noi mediterranei. E' come se al di sopra di una certa latitudine tutto si invertisse: al sud le città, la civiltà, il benessere, mentre è al nord che troviamo il deserto, la solitudine e la povertà.
Smilla è integrata nella società danese, ma è al tempo stesso diversa, straniera e può perciò permettersi uno sguardo maggiormente disincantato e ironico sulla realtà. Il lirismo è invece riservato ai ricordi, al gelo, e i ghiacciai artici della sua infanzia, la cui immagine aleggia durante tutta la prima parte del libro, divengono massicciamente reali negli ultimi capitoli, durante il viaggio nella notte polare che conclude il racconto.
A mio avviso la prima metà del libro è la più interessante e densa di mistero, mentre il finale, pur inquietante, è piuttosto fiacco.
Da leggere d'estate: con tutto quel ghiaccio, ci si sente rinfrancati.
 

Incipit
C'è un freddo straordinario, 18 gradi Celsius sotto zero, e nevica, e nella lingua che non è più mia la neve è qanik, grossi cristalli quasi senza peso che cadono in grande quantità e coprono la terra con uno strato di bianco gelo polverizzato.
Parte seconda, cap. 5
Le costole sono le ellissi chiuse dei pianeti, con il punto focale nello sterno, il centro bianco della fotografia. I polmoni sono le ombre grigie della via lattea contro la nera schermatura di piombo dello spazio celeste. Il profilo scuro del cuore è la nube di cenere del sole spento. Le iperboli annebbiate delle viscere sono gli asteroidi sfuggiti all'orbita, i vagabondi dello spazio, la polvere cosmica dispersa.
Siamo nell'ambulatorio di Moritz, intorno allo schermo luminoso a cui sono attaccate tre radiografie. Nella riduzione tecnica del fotone in fotografia è più chiaro che mai che l'essere umano è un universo, un sistema solare visto da un'altra galassia. Eppure questo essere umano è morto. Qualcuno gli ha scavato una fossa con un martello pneumatico nel permafrost di Holsteinsborg, l'ha coperta di pietre e vi ha colato sopra del cemento per tenere lontane le volpi artiche.


Indice delle recensioni