Sergio Romano, ex ambasciatore italiano, utilizza la sua grande esperienza nelle
relazioni internazionali per scrivere dei saggi estremamente interessanti, dove
la profondità dell'analisi si coniuga in maniera esemplare alla sintesi ed alla
chiarezza espositiva.
Il tema di questo libro è l'America ed i suoi rapporti con il mondo. Dopo averci riassunto
le varie tendenze che gli Stati Uniti hanno avuto, in questo contesto, durante la
loro breve storia, l'autore si sofferma sugli eventi degli ultimi anni: la fine della guerra
fredda, le presidenze di Bush sr. e di Clinton, l'11 settembre, la guerra in Afghanistan
e la presidenza di Bush jr.
Ma forse il capitolo più interessante è quello finale, dove si delinea un possibile
nuovo ruolo per l'Unione Europea nello scenario mondiale.
Alcuni brani:
La guerra fredda tra due blocchi nucleari e militarmente "simmetrici"
fu uno dei peggiori momenti della storia europea, soprattutto per coloro che
ebbero la sventura di nascere a est del sipario di ferro. Ma presentò due
vantaggi. In primo luogo, dette all'Europa cinquant'anni di pace. In secondo
luogo, fissò alcuni limiti entro i quali gli Stati Uniti avrebbero esercitato
il loro potere.
Capimmo subito che gli Stati Uniti erano ormai, dopo il collasso dell'impero sovietico
e la disintegrazione dell'URSS, la sola grande potenza mondiale. Ma non capimmo
quale uso avrebbero fatto dello straordinario potere che la fine della guerra fredda
aveva depositato nelle loro mani.
Gli attacchi alle Torri gemelle, al Pentagono e quello progettato alla Casa Bianca
furono gesti clamorosi, meticolosamente preparati da un regista che voleva
colpire l'America e sbigottire il mondo.
Un terzo fattore, infine, moltiplicò gli effetti degli attentati: l'improvvisa
constatazione che gli Stati Uniti erano vulnerabili.
Tutti sapevano che gli "studenti di Dio" erano stati allevati nei
campi dei rifugiati afghani in Pakistan all'epoca della guerra contro
l'invasione sovietica e che la politica americana verso l'Afghanistan, quando
avevano conquistato la capitale, era stata per molto tempo tollerante o
condiscendente. Ma non era quello il momento per sottili disquisizioni sulle
responsabilità storiche degli Stati Uniti. Di fronte ad un pessimo regime
che tagliava mani e teste nello stadio di Kabul, trattava le donne come
schiave, prendeva a cannonate i giganteschi Buddha scolpiti nella roccia
di Baitan ed era diventato il quartier generale della peggiore
organizzazione terroristica mondiale, la guerra appariva come una
prospettiva razionale.
Chi inizia una guerra lo fa per eliminare un avversario o un problema e si accorge ben
presto di avere di fronte a sé nuovi avversari e nuovi problemi, più minacciosi e intricati
di quelli di cui voleva sbarazzarsi. Le guerre, quindi, non sono mai né utili né opportune.
Possono essere, tuttavia, necessarie. Occorre resistere alle intimidazioni senza
offrire l'altra guancia, ma iniziare una guerra soltanto in stato di necessità,
quando ogni altra prospettiva appare irrealistica e impraticabile.