Saggio
Bonjour paresse Corinne Maier, Francia 2004
Curioso libro, questo di Corinne Maier, visto che tra l'altro ha come sottotitolo "come sopravvivere
in azienda lavorando il meno possibile".
In realtà si tratta di un'analisi del mondo del lavoro contemporaneo, o meglio di quello che
potremmo definire il segmento impiegatizio. La Maier tralascia infatti, e volutamente, le fabbriche,
l'agricoltura o quelle piccole ditte dove gli immigrati lavorano al nero per chissà quante ore
al giorno.
Si parla del mondo dei quadri e degli impiegati delle grandi imprese, pubbliche e
private, e sicuramente i primi capitoli colpiscono per l'acutezza dell'analisi, che
riguarda lo strampalato linguaggio aziendale, l'uniformazione dei tipi umani, la repressione di ogni forma
di creatività individuale, ecc.
La tesi di fondo è che molte persone oggi lavorano senza in realtà fare nulla di veramente utile,
e chissà a quanti noi sarà capitato di incontrare un consulente che spiega l'acqua calda o magari un
vicino di scrivania nullafacente. Insomma, viene quasi da darle ragione, ma come spesso accade
all'acutezza della critica non corrisponde un'analoga sagacia propositiva.
Cosa propone infatti la Maier? Semplice: facciamo tutti finta di lavorare, troviamoci una nicchia
dove nessuno ci dia fastidio e portiamo a casa lo stipendio a fine mese. Ovviamente come soluzione
è assurda: se tutti facessero così, la società crollerebbe, ma ciò è quanto si propone espressamente
la simpatica Corinne. In pratica, una forma di sabotaggio.
Oltre all'assurdità della sua proposta, va anche detto che ci sono altre cose che non quadrano
in questo libro. Gli esempi proposti per spiegare ogni sottotesi sono spesso superficiali ed inadeguati,
tanto da suscitare più di qualche dubbio sulla profondità dell'analisi (ma d'altra parte
approfondire l'analisi avrebbe significato lavorare di più).
E quando si critica il linguaggio aziendale, spesso si sconfina nel criticare il linguaggio
specialistico tout-court, dichiarato incomprensibile. Ma se io e Corinne
andassimo insieme ad un congresso di biologi, certamente troveremmo i discorsi del tutto
incomprensibili, ma pour cause, cioè semplicemente a causa della nostra scarsa
conoscenza della biologia.
C'è infine da dire che questa storia della gente che fa finta di lavorare ha anche risvegliato
in me dei ricordi dolorosi, che risalgono alla mia precedente esperienza lavorativa. Come
non ricordare che venivo criticato proprio perché mi davo troppo da fare, mentre nel mio
ufficio c'era un tizio che dichiarava esplicitamente di non voler fare assolutamente nulla,
che si vantava di non aver mai svolto un singolo compito dal giorno della sua assunzione: ecco
un seguace ante litteram della Maier!
Ma alla fine il nullafacente continuò la sua normale carriera, mentre io fui addirittura
mobbizzato, tanto che dovetti cambiare posto di lavoro (ma non funzione: sempre nel
settore informatico). Pensando a questi fatti ed a ciò che propone la Maier, c'è da dire che
tendo a diventare nervoso...
Anzi, c'è persino una curiosa coincidenza: prima di arrivare al mobbing vero e proprio,
fui anche criticato per aver osato tradurre il termine informatico "file" con
le parole documento oppure archivio, in una serie di rapporti scritti.
Pochi anni dopo uscirono le prime versioni in italiano di Windows, dove venivano adottati
termini come documento, cartella, ecc.
Ma ai miei tempi fui accusato di lesa maestà della Lingua Inglese (a rigore avrebbero
dovuto accusare anche Bill Gates)...
Poi iniziarono a dire, ed è qui la curiosa coincidenza, che ciò che scrivevo (la
documentazione di procedure informatiche) era incomprensibile (lo stesso
termine che usa spesso la Maier), quando se c'è un difetto che ho, è quello di
essere sempre persino fin troppo chiaro...
Insomma e per finire: io sono stato rovinato sul lavoro da gente che si comportava
come propone questa francesina bislacca. De hoc satis.
Alcuni brani:
Tu, invidualista, fratello d'armi e di cuore, sappi che questo libro non è destinato a te,
perché l'impresa non fa per te. Il lavoro nelle grandi società serve solo ad ammanettare
l'individuo che, abbandonato a se stesso e al suo libero arbitrio, corre il rischio di
mettersi a riflettere, magari con atteggiamento critico, e chissà, potrebbe spingersi fino
a contestare l'andazzo generale!
Le parole servono solamente a significare, e nascondono i rapporti tra gli eventi dissimulando
le cause che li originano. La lingua di nessuno, oscura ed inintellegibile per scelta, finisce
per somigliare ad un misterioso gergo derivato dalle pseudoscienze. Sono queste le
caratteristiche adatte a sedurre un pubblico che si sente tanto più up-to-date quanto
più ha le idee confuse. Più l'impresa usa parole tecniche e astratte, più sembra persuadersi
di essere convincente.
Se la neolingua d'impresa è così ributtante, è anche perché quasi tutti parlano per
acronimi, Sì, perché la neolingua non ha solo fatto sparire un certo numeri di parole,
ma ne ha anche create in quantità, in particolar modo a partire da abbreviazioni e troncamenti,
senza preoccuparsi troppo di un'evidente sgradevolezza sonora. I nomi di unità, di gruppi,
di servizi, sono acronimi. Ecco il tipo di frase che si sente in un meeting: "L'AGIR
è diventata IPN, che a sua volta dirige l'STI, in seno alla SSII, che quindi perde il
controllo di gestione del DM; ma questo migrerà ben presto alla RTI".
Lo diceva già Sigmund Freud: il motore del successo, e quindi della lotta contro il
prossimo, non è che la ricerca narcisistica di una piccola differenza, per definizione
minuscola, impercettibile. E' per questa ragione che nell'universo dell'impresa i segni di
status sono così importanti.
L'abbondanza di titoli di studio squalifica i titoli stessi. Più ce ne sono e meno
valgono: l'INSEE stima che un terzo dei dipendenti svolga mansioni non adeguate al
titolo di studio conseguito.
Il cosiddetto "giovane", privo delle maniglie dell'amore e per nulla avvezzo alle
imbarazzanti rodondità ventrali, entra nel mondo del lavoro con un'ingenua speranza.
Crede che le parole "proattivo" e "benchmarking" significhino
davvero qualcosa [...]
Il quadro di un tempo, che trasuda gerarchia e status quo, è finito. Bisogna dire che
"quadro" non significa più granché, se non che la persona cui si riferisce
ha fatto degli studi di una certa lunghezza e non può essere messa a pulire
i pavimenti.
- Inutile cercare di cambiare il sistema: ogni opposizione lo rafforza; ogni contestazione
gli dà più consistenza. [...] E' sempre intrigante, ma la rivoluzione andava bene per i
contestatori degli anni '70, e adesso tutti possiamo vedere dove li ha portati (alla
direzione generale).
- Il suo lavoro, alla fine, non serve a niente, e lei potrà essere sostituito dall'oggi
al domani dal primo cretino che capita. Quindi lavori il meno possibile [...]
- Scelga le imprese più grandi, e in esse i posti più inutili: consulente, esperto,
ricercatore, analista.