Vinicio Coletti

Diario digitale


Gomorra

Saggio
Roberto Saviano, Italia, 2006

Gomorra: trecentotrentuno pagine di camorra, l'organizzazione criminale diffusa nel napoletano ed in tutta la Campania. Il titolo, che ricorda le bibliche città di Sodoma e Gomorra distrutte dal Padreterno, si riferisce anche ad una predica del coraggioso sacerdote don Peppino Diana, che invitava dal pulpito a reagire alla logica della criminalità diffusa e che terminava dicendo: "È ora che smettiamo di essere una Gomorra!".
Un saggio quindi, documentato e pieno di dettagli, ma anche un romanzo che potremmo definire storico, che rivela la tragica epopea di tutto un popolo, quello del napoletano, stretto tra le carenze di uno stato spesso assente ed i richiami pragmatici ed efficienti dell'imprenditoria criminale.
Per chi, come me, non aveva nessuna conoscenza di questo fenomeno, se non qualche sbiadito ricordo di articoli di giornale su Cutolo o di film con guappi che si prendono a coltellate - quasi una esibizione folcloristica per turisti - questo libro è una vera e propria miniera di notizie. E non solo notizie, ma anche emozioni: ci sono pagine che mi hanno fatto sobbalzare per la sorpresa, meglio dei migliori libri gialli, altre che mi hanno inorridito più di un horror o che mi hanno divertito più di un film comico, altre ancora che mi hanno commosso per il lirismo empatico che le pervade. Solo che queste storie non sono il frutto della fantasia dell'autore, è solo la cronaca di un territorio dove la guerra è endemica.
Saviano inizia parlandoci del porto di Napoli, facendoci scoprire che è in pratica gestito da una alleanza tra armatori cinesi e svizzeri (e l'idea di una flotta svizzera mi fa sorridere...) e che di qui passano ogni anno quantità immense di merci provenienti soprattutto dall'Asia, in parte legalmente e per lo più illegalmente, frodando allegramente fisco e dogana.
Si passa poi ad analizzare la struttura produttiva del settore tessile, ovvero le migliaia di imprese, con lavoratori in nero, che producono anche per importanti case di moda italiane ed estere e che sono spesso legate ai gruppi criminali. Questo è il fatto che colpisce ed intristisce di più in tutto il libro, persino più della descrizione dei delitti più efferati, il fatto cioè che non esista soluzione di continuità tra l'economia legale e quella criminale. I grandi camorristi, in effetti, non si descrivono neanche come tali, ma si sentono semplicemente degli imprenditori, pronti a combattere per l'affermazione della propria ditta nei confronti della concorrenza. Dove il verbo combattere va inteso, ahimé, in senso letterale...
Persino la parola camorra sembra non essere utilizzata più di tanto, preferendole il termine Sistema. Un sistema tanto efficiente da diventare forse il principale esportatore della moda italiana nel mondo.
Certo, non tutto fila sempre liscio tra le fila dei gruppi camorristi. Quando in una zona un personaggio ha raggiunto l'apice del potere - organizzato in modo piramidale con capi, sottocapi, ecc. - sorge immediatamente negli altri il desiderio di eliminarlo per prendere il suo posto, migliorando così i propri affari ed i propri traffici, tra cui spicca per importanza quello della droga. Ecco così le ben note guerre di camorra, di cui la più nota e recente è quella che oppose il clan della famiglia Di Lauro ai ribelli, che furono chiamati Spagnoli, a causa dei loro interessi economici in Andalusia ed a Barcellona. Durante questa vera e propria guerra i morti si contarono a centinaia ed in certi quartieri gli uomini dei clan perquisivano persino le ambulanze, per verificare che non servissero da copertura per i loro nemici.
Saviano ci ricorda anche i notevoli casi di donne diventate boss, dirigenti di clan camorristi, come quella donna a prima vista minuta ed inoffensiva che aveva una scorta armata formata da due ragazze, su una Smart blindata di colore giallo fosforescente, come i vestiti delle due ragazze, colori copiati dalla tuta di Uma Thurman nel film Kill Bill, di Quentin Tarantino.
Perchè a quanto pare molti boss si ispirano proprio ai film sui gangster, come quell'altro capo clan che si fece costruire una villa identica a quella del film Scarface, consegnando la videocassetta del film al proprio architetto. Mentre altri, a quanto pare, si innamorano delle armi, come quel rappresentante di marche di caffè (imposte ai negozi con le minacce, naturalmente) che si fece pagare dal clan un viaggio in Russia, per conoscere di persona Michail Kalashnikov, l'inventore dell'omonimo e diffusissimo fucile mitragliatore. D'altra parte le armi non sono mai state un problema per la camorra, la quale, scopriamo nel libro, dopo la caduta del muro di Berlino ha iniziato a rifornirsi direttamente dagli arsenali degli eserciti dei paesi dell'est.
Ciò dà l'idea di quanto potenti siano diventati i gruppi camorristici, che per numero di affiliati superano di gran lunga sia la mafia siciliana che la 'ndrangheta calabrese. Risulta persino che la camorra in molti casi sia la fornitrice di partite di droga destinate alla mafia, notizia confermata da recenti fatti di cronaca, avvenuti dopo la pubblicazione del libro. Ma mentre della mafia e della 'ndrangheta si parla spesso, i mezzi di comunicazione si occupano molto raramente della camorra, cosa di cui Saviano si lamenta tra le righe di questo libro, nonostante il suo enorme potere economico, basato prima di tutto sulla gestione di imprese di costruzioni e del settore tessile, oltre che nei traffici di droga ed armi.
Un'altra cosa che colpisce è il profilo umano di molti boss. Scommetto che molti li immaginano come persone poco colte, rozze, brutali anche nelle espressioni quotidiane. Certo, molti sono così, specie ai livelli più bassi della manovalanza criminale, ma ci sono boss come Augusto La Torre, studioso di psicologia, Paolo Di Lauro, colto e buon conoscitore dell'arte, Tommaso Prestieri, produttore discografico e esperto di arte contemporanea (arrestato al Bellini di Napoli, tradito dalla sua passione per il teatro), Pasquale Galasso, collezionista di antiquariato o Luigi Vollaro, possessore di un quadro del Botticelli.
Purtroppo gli stereotipi del passato non aiutano nella identificazione dei nuovi boss, tanto meno all'estero. Scopriamo così che Antonio La Torre aveva investito i proventi dei propri traffici per costruire un vero e proprio impero economico nella città scozzese di Aberdeen, dove era stimato ed apprezzato dalle autorità e dall'opinione pubblica.
Il libro termina parlando della cosa più orribile capitata al territorio del nord napoletano negli ultimi anni, una vera e propria piaga biblica: il traffico dei rifiuti. Ditte napoletane legate alla camorra prelevano i rifiuti industriali dalle imprese del nord Italia e le trasportano e sotterrano illegalmente nelle province di Napoli e Caserta. La quantità di rifiuti è stata così grande da inquinare in modo grave delle superfici enormi. Così grave che ormai non è più possibile fare niente per rimediare, salvo eliminare uno spessore di molti metri per una estensione di centinaia di chilometri quadrati (cosa ovviamente impossibile).
A fronte di questa situazione disperata, dove i bambini spesso hanno come sola prospettiva quella di diventare la futura manovalanza criminale, già da adolescenti, dove il tessuto economico legale è inestricabilmente legato ai traffici illeciti, dove si vive con la legge del far west, cosa si può fare?
Roberto Saviano ci racconta le vicende di don Peppino Diana, sacerdote che osò predicare contro i clan, invitando la gente a ribellarsi, nel nome dell'etica cristiana, alla logica perversa della violenza, di cui finì vittima egli stesso.
Questo è uno dei capitoli dove la documentazione cede il passo ai sentimenti, perché Saviano non sta parlando del Sud Africa o del Giappone, non sta facendo una inchiesta su territori lontani ed estranei, sta invece parlando della sua città, del suo territorio, delle strade dove camminava da bambino e della gente che conosce da sempre e di cui comprende la mentalità e le tradizioni. Così questo non è solo un saggio, come si diceva, ma include molti brani così coinvolgenti da essere belli anche sul piano puramente letterario. E qualche pagina è così bella e commovente che quando chiudi il libro ti chiedi se per caso non ti è entrata della polvere negli occhi, perché, senza che te ne accorgessi, ora sono umidi.

 
Alcuni brani:

Tutto quello che esiste passa di qui. Qui, dal porto di Napoli. Non v'è manufatto, stoffa, pezzo di plastica, giocattolo, martello, scarpa cacciavite, bullone, videogioco, giacca, pantalone, trapano, orologio che non passi per il porto. Il porto di Napoli è una ferita. Larga. Punto finale dei viaggi interminabili delle merci.

Il solo porto di Napoli movimenta il 20 per cento del valore dell'import tessile dalla Cina, ma oltre il 70 per cento della quantità del prodotto passa di qui. E' una stranezza complicata da comprendere, però le merci portano con sé magie rare, riescono a essere non essendoci, ad arrivare pur non giungendo mai, a essere costose al cliente pur essendo scadenti, a risultare di poco valore al fisco pur essendo preziose.

Nel porto di Napoli opera il più grande armatore di Stato cinese, la COSCO, che possiede la terza flotta più grande al mondo e ha preso in gestione il più grande terminal per container, consorziandosi con la MSC, che possiede la seconda flotta più grande al mondo con sede a Ginevra. Svizzeri e cinesi si sono consorziati e a Napoli hanno deciso di investire la maggior parte dei loro affari. Qui dispongono di oltre novecentocinquanta metri di banchina, centrotrentamila metri quadri di terminal container e trentamila metri quadri esterni, assorbendo la quasi totalità del traffico in transito a Napoli.

"Euro, dollaro, yüan. Ecco la mia triade."
Xian sembrava sincero. Nessun'altra ideologia, nessuna sorta di simbolo e passione gerarchica. Profitto, business, capitale. Null'altro.

Palazzi essenziali, bigi. Qui c'è in un angolo una cappelletta minuscola. Quasi impercettibile. Non è però sempre stata così. Prima c'era una cappella. Grande, bianca. Un vero e proprio mausoleo dedicato a un ragazzo, Emanuele, morto sul lavoro. Un lavoro che in certe zone è persino peggio del lavoro nero in fabbrica. Ma è un mestiere. Emanuele faceva rapine.

Un'auto si fermò nel cortile della scuola. Entrarono tre persone. Due uomini e una donna. La donna aveva una gonna di pelle, tacchi alti, scarpe di vernice. Si alzarono tutti a salutarla. I tre presero posto e iniziarono l'asta. Uno degli uomini tirò tre linee verticali sulla lavagna. Iniziò a scrivere sotto dettatura della donna. La prima colonna:
"800"
Era il numero di vestiti da produrre. La donna elencò tipi di stoffa e qualità dei capi. Un imprenditore di Sant'antimo si avvicinò alla finestra e dando le spalle a tutti propose il suo prezzo e i suoi tempi:
"Quaranta euro a capo in due mesi..."
Venne tracciata sulla lavagna la sua proposta.
"800 / 40 / 2"
[...] Quando un prezzo viene accettato dai mediatori gli imprenditori presenti possono decidere se partecipare o meno; chi accetta riceve il materiale. Le stoffe. Le fanno inviare direttamente al porto di Napoli e da lì ogni imprenditore le va a prendere. Ma uno soltanto sarà pagato a lavoro ultimato. Quello che consegnerà per primo i capi confezionati con elevatissima qualità di fattura. Gli altri imprenditori che hanno partecipato all'asta, potranno tenersi i materiali, ma non avranno un centesimo. Le aziende di moda ci guadagnano così tanto che sacrificare stoffa non è una perdita rilevante.

Era il Sistema ad aver alimentato il grande mercato internazionale dei vestiti. L'enorme arcipelago dell'eleganza italiana. Ogni angolo del globo era stato raggiunto dalle aziende, dagli uomini, dai prodotti del Sistema. Sistema, un termine qui a tutti noto, ma che altrove resta ancora da decifrare, uno sconosciuto riferimento per chi non conosce le dinamiche del potere dell'economia criminale. Camorra è una parola inesistente, da sbirro. Usata dai magistrati e dai giornalisti, dagli sceneggiatori. E' una parola che fa sorridere gli affiliati, è un'indicazione generica, un termine da studiosi, relegato alla dimensione storica. Il termine con cui si definiscono gli appartenenti a un clan è Sistema: "Appartengo al Sistema di Secondigliano". Un termine eloquente, un meccanismo piuttosto che una struttura. L'organizzazione criminale coincide direttamente con l'economia, la dialettica commerciale è l'ossatura del clan.

Facevano parte del Direttorio i clan afferenti all'Alleanza di Secondigliano, il cartello camorristico che raccoglieva diverse famiglie: Licciardi, Contini, Mallardo, Lo Russo, Bocchetti, Stabile, Prestieri, Bosti, e poi, a un livello di maggiore autonomia, i Samo e i Di Lauro. [...] Per la parte produttiva, nel Direttorio sedevano imprenditori di diverse aziende come la Valent, la Vip Moda, la Vocos, la Vitec, che confezionavano a Casoria, Arzano, Melito, i falsi prodotti di Valentino, Ferré, Versace, Armani, poi rivenduti in ogni angolo della terra.

I Nuvoletta sono l'unica famiglia esterna alla Sicilia che siede nella cupola di Cosa Nostra, non semplici alleati o affiliati, ma strutturalmente legati ai Corleonesi, uno dei gruppi più potenti in seno alla mafia.

Quasi tutti i boss hanno un contronome: è in assoluto il tratto unico, identificatore. Il soprannome per il boss è come le stimmate per un santo. La dimostrazione dell'appartenenza al Sistema. Tutti possono essere Francesco Schiavone, ma solo uno sarà Sandokan, tutti possono chiamarsi Carmine Alfieri, ma uno solo si girerà quando verrà chiamato "'o 'ntufato", chiunque può chiamarsi Francesco Verde, solo uno risponderà al nome di "'o negus", tutti possono essere stati iscritti all'anagrafe come Paolo Di Lauro, uno solo sarà "Ciruzzo 'o milionario".

Il clan Di Lauro è stato sempre un'impresa perfettamente organizzata. Il boss lo ha strutturato con un disegno d'azienda multilevel. L'organizzazione è composta da un primo livello di finanziatori e promotori, costituito dai dirigenti del clan che provvedono a controllare l'attività di traffico e spaccio tramite i loro affiliati diretti, e formato, secondo la Procura Antimafia di Napoli, da Rosario Pariante, Raffaele Abbinante, Enrico D'Avanzo e Arcangelo Valentino.

Il furgoncino acchiappamorti gira continuamente, lo si vede da Scampia a Torre Annunziata. Raccoglie, accumula, preleva cadaveri di gente morta sparata. La Campania è il territorio con più morti ammazzati d'Italia, tra i primi posti al mondo.

A Napoli quel giorno arriva il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi a chiedere alla città di reagire, a lanciare parole di coraggio istituzionale, di vicinanza dello Stato. Avvengono tre agguati solo nelle ore del suo intervento.

Li arruolano appena diventano capaci di essere fedeli al clan. Hanno dai dodici ai diciassette anni, molti sono figli o fratelli di affiliati, molti altri invece provengono da famiglie di precari.

Questa coscienza da samurai liberisti, i quali sanno che il potere, quello assoluto, per averlo si paga, la trovai sintetizzata in una lettera di un ragazzino rinchiuso in un carcere minorile, una lettera che consegnò a un prete e che fu letta durante un convegno. La ricordo ancora. A memoria:

Tutti quelli che conosco o sono morti o sono in galera. Io voglio diventare un boss. Voglio avere supermercati, negozi, fabbriche, voglio avere donne. Voglio tre macchine, voglio che quando entro in un negozio mi devono rispettare, voglio avere magazzini in tutto il mondo. E poi voglio morire. Ma come muore uno vero, uno che comanda veramente. Voglio morire ammazzato.

Tremilaseicento morti da quando sono nato. La camorra ha ucciso più della mafia siciliana, più della 'ndrangheta, più della mafia russa, più delle famiglie albanesi, più della somma dei morti fatti dall'ETA in Spagna e dall'IRA in Irlanda, più delle Brigate Rosse, dei NAR e più di tutte le stragi di Stato avvenute in Italia. La camorra ha ucciso più di tutti.

Una figura storica di dirigente camorrista è sicuramente Anna Mazza [...] Una sua "dama di compagnia", Immacolata Capone, nel corso degli anni fece fortuna all'interno del clan. [...] Secondo le indagini della DDA di Napoli, Immacolata Capone fu l'imprenditrice capace di riportare le ditte dei Moccia a conquistare nuovamente la leadership nel campo dell'edilizia. [...] Le sue guardaspalle erano due ragazze. La scortavano seguendola con una Smart, la piccola auto biposto che ogni donna di camorra possiede. Dallo spessore delle porte, però, quella Smart sembrava blindata. [...] Mi colpì l'abbigliamento curatissimo, entrambe avevano qualcosa che ricordava i colori della Smart, giallo fuorescente. [...] La stessa tonalità di giallo della tuta da motociclista che Uma Thurman indossa in Kill Bill di Quentin Tarantino, un film dove per la prima volta donne sono protagoniste criminali di prim'ordine.

Così negli anni, nonostante gli avvicendamenti delle dirigenze, le faide interne e le crisi, i boss hanno avuto come riferimento non il mercato nero delle armi, ma i depositi degli eserciti dell'est a loro completa disposizione.

La questione delle armi è tenuta nascosta nel budello dell'economia, chiusa in un pancreas di silenzio. L'Italia spende in armi ventisette miliardi di dollari. Più soldi della Russia, il doppio di Israele. La classifica l'ha stesa l'Istituto internazionale di Stoccolma per la ricerca sulla pace, il SIPRI.

Francesco Schiavone Sandokan, Michele Zagaria e il clan Moccia erano i più importanti soci di Cirio e Parmalat in Campania.

Don Peppino [Diana] aveva come priorità ricordare che bisognava, dinanzi all'ondata del potere dei clan, non più contenere l'attività nel silenzio del confessionale. Setacciò così la voce dei profeti per sostenere la necessità prioritaria di scendere per le strade, di denunciare, di agire come condizione assoluta per dare ancora un senso al proprio essere.
[...] Il giorno del suo onomastico, il 19 marzo del 1994. Mattina prestissimo. Don Peppino non si era ancora vestito con gli abiti talari. Stava nella sala riunioni della chiesa, vicino allo studio. Non era immediatamente riconoscibile.
"Chi è Don Peppino?"
"Sono io..."
L'ultima risposta. Cinque colpi che rimbombarono nelle navate, due pallottole lo colpirono al volto, le altre bucarono la testa, il collo e una mano.
[...] Aveva trentasei anni.

Si racconta a Casal di Principe che il boss aveva chiesto al suo architetto di costruirgli una villa identica a quella del gangster cubano di Miami, Tony Montana, in Scarface.

Antonio La Torre è stato arrestato ad Aberdeen nel marzo 2005, su di lui pendeva un mandato d'arresto italiano per associazione a delinquere di stampo camorristico ed estorsione. Per anni aveva evitato sia l'arresto che l'estradizione [...] La Scozia non voleva perdere uno dei suoi imprenditori più brillanti.

La zona più colpita dal cancro del traffico di veleni si trova tra i comuni di Grazzanise, Cancello Arnone, Santa Maria La Fossa, Castelvolturno, Casal di Principe - quasi trecento chilometri quadrati di estensione - e nel perimetro napoletano di Giugliano, Qualiano, Villaricca, Nola, Acerra e Marigliano. Nessun'altra terra nel mondo occidentale ha avuto un carico maggiore di rifiuti, tossici e non tossici, sversati illegalmente. Grazie a questo business, il fatturato piovuto nelle tasche dei clan e dei loro mediatori ha raggiunto in quattro anni quarantaquattro miliardi di euro.

Videografia

Il regista Matteo Garrone ha girato il film "Gomorra", ispirato ad alcune storie raccontate nel libro omonimo. Qui sotto trovate alcuni filmati trovati sul solito YouTube.

Intervista di Roberto Saviano al TG1

Trailer del film "Gomorra"

Saviano parla della camorra su Arcoiris tv



Pubblicato il 2 settembre 2008
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